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Autore: Berenike    15/10/2010    9 recensioni
Kate Beckett ha appena preso l'uomo che ha ucciso sua madre: uno spietato criminale, che però è costretta ad uccidere per difendere Castle. Cercherà rifugio nell'unica cosa che conosce: la solitudine e l'allenamento. Ma non ha fatto i conti con la dolcezza di Castle che, ancora una volta, sarà lì per prendersi cura di lei.
Genere: Drammatico, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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A scuola di dolore

Era stata una giornata davvero snervante. Era stata una giornata stressante, adrenalitica, stancante, sfibrante. Ma per qualcuno forse quella giornata era stata anche molto di più.
Kate Beckett era uscita dalla centrale appena avevano risolto il caso. Castle l'aveva guardata uscire con quello sguardo che tutto faceva trasparire tranne voglia di parlarne. Era corsa via con la voglia nel cuore di solitudine e isolamento. Castle l'aveva lasciata andare, e per quanto sapesse che non poteva essere andata lontano (doveva infatti ancora compilare tutte le pratiche), aveva sentito quel bisogno paterno di seguirla e di lasciarla sfogare.
Invece era rimasto immobile, lì dov'era, mentre lei gli dava la schiena pronta a varcare la soglia dell'ascensore.
Quel giorno era stato particolarmente duro per Kate: nessuno poteva immaginare cosa avesse provato la detective Beckett nel ritrovarsi davanti l'assassino di sua madre, il killer spietato che gliela aveva portata via, senza però avere la possibilità di domandargli perché, di chiedergli chi l'avesse mandato.
Perché, perché, perché.
Nemmeno Castle, con la sua fervida immaginazione, poteva dar fiato al dolore che aveva provato Kate nell'uccide l'unico uomo, il solo criminale, che potesse svelarle la verità su sua madre, quella verità che aveva tanto disperatamente cercato.
Kate aveva dovuto ucciderlo per salvare proprio lui, Castle, che si trovava nel posto sbagliato al momento sbagliato: Kate aveva dovuto difenderlo, aveva dovuto evitare ciò che lui aveva fatto a sua madre molti anni prima.
Ma fermando i battiti del cuore di quel bastardo, aveva spento anche il suo cervello, la sua memoria, la facoltà della parola di quell'uomo. Insieme a lui era morta la verità, con lui moriva ciò che Beckett bramava di sapere più di qualsiasi altra cosa: il perché della sua infanzia spezzata, il perché del suo cuore frantumato in mille pezzi a causa di quella morte prematura.
Dopo aver ucciso l'unico ponte che la potesse condurre al motivo della morte della madre, Beckett aveva preso le sue cose ed era andata chissà dove, immersa nei suoi pensieri, i suoi dubbi, le sue domande...
Castle non poteva lasciarla sola in quel momento. Ma in un momento di debolezza l'aveva lasciata andare ed ora non sapeva dove potesse essere.
Dopo quella che le sembrava un eternità in cui Castle aveva fissato assente le porte dell'ascensore, Castle vide il detective Ryan che gli si avvicinò e gli sussurrò:
-Di solito Beckett va a sfogarsi nella palestra al piano terra. Sai, le serve per liberare la mente...- e si allontanò velocemente da lui, quasi gli avesse svelato una verità scomoda, che non voleva essergli attribuita.
Castle corse verso la porta dell'ascensore aperta, e premette il pulsante 0. Poteva sentire la sua tensione crescere man mano che l'ascensore scendeva. Appena si aprirono le porte, camminò velocemente verso la piccola palestra dedicata al distretto, per tutti coloro che si volessero allenare nella lotta contro il crimine. Lui non vi era mai entrato, ma sapeva che Beckett ne faceva uso spesso.
Attraversò la palestra in fretta, sotto gli occhi arrabbiati di coloro che stavano usando le attrezzature e che lo vedevano invadere i loro spazi. Kate non usava attrezzi per allenarsi, lei preferiva il sacco, con una buona dose di sudore, lividi, potenza e fatica.
Ed infatti fu esattamente lì che Castle trovò Beckett: nella piccola stanzetta dedicata al sacco. Tanti tappetoni a terra e una donna, bellissima e sconvolta nel suo dolore, che sfogava la propria rabbia in quell'oggetto che rappresentava forse il criminale, forse l'omicida, forse sé stessa.
Kate non si accorse subito di Castle all'interno della stanza, era troppo concentrata nell'uccidere i demoni all'interno del proprio cuore.
Castle invece la osservò per qualche istante: il sudore le rigava la fronte, il volto, i muscoli delle braccia e delle gambe.
Non esistevano nient'altro che lei e quel sacco nella stanza.
Castle notò che Beckett non stava piangendo, sfogava i propri pensieri con la forza dei propri muscoli.
Castle fece qualche passo avanti, scoprendosi alla luce flebile della stanza. Fu allora che Beckett lo vi, e non ne fu per niente contenta.
-Castle, vattene. - gli disse in modo sbrigativo. Lui non si mosse, anzi avanzò.
Kate continuò a lottare contro il sacco, improvvisamente più dura, più combattiva, più energica. Vide Castle avanzare e lo sfidò.
-Ancora un passo, Castle, e sarai tu il mio sacco! - Castle la guardò come guardava sua figlia Alexis da piccola, quando lo pugnava perché era arrabbiata con lui.
Pugni innocenti, ben diversi da quelli che si ritrovava di fronte.
Lo scrittore avanzò ancora, trovandosi a pochi metri dalla detective, che non le era mai parsa così minacciosa e allo stesso tempo così sensuale.
Poi Kate sferrò al sacco un calcio in aria particolarmente potente, che le fece perdere l'equilibrio e la spinse a terra con forza. Castle colse a pieno quel momento per avvicinarsi a lei. Kate rimase immobile, a terra, sfinita.
-Sai, di solito le persone normali quando hanno bisogno di sfogarsi, non fanno così... - le sorrise Castle, accennando al sacco che ancora oscillava sopra la testa di Beckett.
-E come reagiscono? Sentiamo. - disse lei senza entusiasmo. A volte Castle era così opprimente. Lei voleva solo combattere, uccidere, sentire i propri muscoli gridare pietà e stancarsi tanto da riuscire ad addormentarsi subito la sera.
Una notte senza pensieri e senza demoni. Era questo che voleva.
Castle questa volta non rispose. Le si avvicinò e si sedette accanto, sporcandosi i pantaloni blu notte di pece per le mani e sudore femminile.
Poi la guardò negli occhi in modo così dolce che Beckett sentì delle lacrime spingere per uscire. Ma lei le ricacciò dentro, come sempre.
-Le persone piangono, Kate. - le sussurrò lui, aprendo le labbra in un sorriso caldo.
-Mai! - rispose lei in tono di sfida.
Non mi mostrerò mai, mai debole di fronte a Castle...
-Piangere non è una debolezza – continuò lo scrittore, ripetendo lo stesso discorso che aveva fatto ad Alexis quanto era piccola -Non c'è niente di male. -
Poi fece qualcosa che colse Kate all'improvviso, e la lasciò inerme, senza difese.
Castle si protese verso di lei, la abbracciò e la strinse così tanto da impedirle di divincolarsi. Beckett cercò una via di fuga tra quelle braccia possenti e calde, ma per quanto allenata fosse era esausta e i suoi muscoli non rispondevano a nessuno dei suoi comandi. Per la prima volta in vita sua smise di lottare contro Castle, contro sé stessa, contro il proprio destino.
Si abbandonò solo a quelle braccia avvolgenti e dimenticò tutto il resto. Grandi lacrime le rigarono il volto e caddero nel maglione di cachemire dello scrittore, che con la mano destra accarezzava i capelli sudati della detective.
Nessuno dei due seppe quanto tempo passarono in quella posizione, né per quanto lui la cullò e si prese cura di lei. Forse un secondo, un ora, un giorno, un anno.
Kate Beckett pianse e pianse fino a che ebbe lacrime, e ancora, ancora, pianse dolore, frustrazione, pianse angoscia fino ad addormentarsi, sfinita tra le braccia di colui che aveva scavalcato ogni sua difesa e l'aveva resa umana.


Quando si svegliò, due ore dopo, la detective Beckett si trovava seduta alla sua scrivania, e per un momento pensò che fosse stato tutto un sogno. Si toccò il viso, ma questo non era rigato di lacrime, né le dolevano i muscoli.
Si guardò intorno in cerca di Castle che trovò accanto alla macchinetta del caffè.
Le si avvicinò cauto, le porse la tazza fumante che teneva in mano e con il migliore dei suoi sorrisi le disse:
-Ti senti meglio ora? -
Decisamente, non era stato un sogno.


Kate Beckett si guardò dentro e sentì che il cuore le facevano un po' meno male, che il dolore era stato domato.
Grazie, Castle.



ANGOLO DELL'AUTRICE
Lo so, è tristissimo. Lo so, in questo momento mi vorreste uccide per i sentimenti contrastanti che probabilmente ho suscitato in voi.
O almeno, spero di aver suscitato. Non sapete quanto!
Io mi sono letteralmente commossa a scrivere questa one-shot, di cui sono piuttosto orgogliosa, e vorrei con tutto il cuore che piacesse anche a voi!
Per favore, in nome di tutto l'impegno e il sentimento che ho messo nel scrivere questa storia, scrivetemi cosa ne pensate!

Berenike
   
 
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