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Autore: swanson    16/10/2010    5 recensioni
Ma era la prima volta che Merlin non lo avrebbe seguito, non sarebbe stato al suo fianco. Non avrebbe adempiuto al suo compito, non sarebbe stato l’altra faccia della medaglia. Era stato Arthur a deciderlo, lui sarebbe dovuto rimanere al Castello, a difenderlo. “A difendere un mucchio di pietra!” aveva risposto lui, furioso. “A difendere mia moglie e mio figlio”.
Genere: Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Merlino, Principe Artù
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nel futuro
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“It started out as a feeling / Which then grew into a hope / Which then turned into a quiet thought / Which then turned into a quiet word / And then that word grew louder and louder / 'Til it was a battle cry / I'll come back / When you call me / No need to say goodbye”

The Call, Regina Spektor.

 

Era forse la prima volta che Arthur andava in battaglia?

Lui volgeva il suo sguardo oltre la finestra della sua vecchia stanza, distante, con la mente immersa in complicate strategie belliche che Merlin non avrebbe mai capito. Indossava già l’armatura, fiero, lo stemma dei Pendragon che spiccava sul grigiore del metallo. Arthur era così diverso da come si comportava di solito in quei momenti, non vi era in lui traccia di dolcezza né sentimento, se non nel modo in cui si prendeva cura del suo regno, dei suoi soldati, del suo popolo. Era qualcosa che scattava quando Merlin cominciava a fargli indossare i vestiti per la guerra; il volto del Re diventava tirato, distaccato. Assomigliava tanto ad Uther allora.

No, non era la prima volta.

Ma era la prima volta che Merlin non lo avrebbe seguito, non sarebbe stato al suo fianco. Non avrebbe adempiuto al suo compito, non sarebbe stato l’altra faccia della medaglia. Era stato Arthur a deciderlo, lui sarebbe dovuto rimanere al Castello, a difenderlo. “A difendere un mucchio di pietra!” aveva risposto lui, furioso. “A difendere mia moglie e mio figlio”. La sua vecchia amica, la serva di umili origini Gwen, giaceva nel letto della stanza del Re avvolta da fini coperte e circondata dalla servitù. In grembo portava l’erede tanto agognato da Arthur, il futuro Re di Camelot.

Gli occhi di Merlin si strinsero. Era inutile negare quanto quella rinuncia, quella richiesta, gli pesasse più di qualsiasi altra azione avesse mai fatto nella sua miserevole vita. Forse non era neanche sincero con se stesso quando diceva che era solo perché andava contro il suo Destino, il loro Destino. Non era mai stato sincero con se stesso da quando aveva conosciuto Arthur; quando aveva provato per lui ammirazione si era detto che era un principe borioso e viziato. Quando aveva provato per lui affetto si era detto che era solo un riflesso dell’antipatia che provava realmente. Quando aveva sperato che non sposasse Gwen si era detto che non voleva vederlo soffrire. Quando si era reso conto di amarlo si era detto che era il Destino che parlava per lui e che stava invecchiando.

Ritornò a guardare la figura del suo Sovrano, del suo Amico, del suo Signore e si ritrovò improvvisamente con il desiderio di dire qualcosa – forse Non farlo – ma la sua lingua era incollata al palato. Lo guardò semplicemente come aveva sempre fatto, con gli occhi preoccupati di chi non è in grado di restare fermo a guardare, che non era mai stato in grado di farlo.

Arthur fissava un punto sconosciuto fuori dalla finestra, la fronte poggiata alla fredda pietra. La stanza era calda, il fuoco era acceso e ne poteva sentire lo scoppiettio; ma fuori il grigiore del mattino sormontava gli alberi e i campi, e Camelot era così grigia e bianca. Fuori il vento sferzava violento, dentro le fiamme si muovevano sinuose. E sulla schiena non sentiva che gli occhi di Merlin, non vedeva che la sua espressione sofferente, la sua bocca storta in quella smorfia che lui conosceva così bene. La stessa che sapeva di avere in quel momento.

Serrò leggermente le dita, dicendosi che cercava solo un po’ di calore. Tuttavia quando si voltò verso di lui aveva entrambi i pugni stretti, lungo i fianchi, e sapeva che se avesse lasciato andare quella morsa avrebbe stretto Merlin fra le sue braccia senza riuscire a staccarsi mai più.

“Ti prego di proteggere la mia famiglia”.

Merlin lo guardò ferito. Lo era, non poteva negarlo di fronte ad Arthur, aveva promesso di non mentirgli più. La sensazione di nausea all’altezza della bocca lo accompagnava come la Dama della Morte seguiva le sue future vittime. Non ricordava di aver mai dovuto sopportare dolore più grande del vedere Arthur allontanarsi senza di lui, senza lui al suo fianco, verso una guerra solitaria.

“Non potrei fare altrimenti”.

Arthur vide il suo volto abbassarsi mentre cercava invano di nascondere quel luccichio negli occhi. Tutto il coraggio che aveva racimolato gli sembrò scivolasse lungo le sue braccia, fino alle dita, cadendo come le gocce di lacrime che sarebbero scivolate sulle guance pallide di Merlin. La stanza si fece così fredda che fu costretto a serrare nuovamente i pugni, con più forza che mai.

“Tornerò”.

Il mago socchiuse appena gli occhi, sentendo le ciglia scure bagnarsi. Poi rialzò il capo, cercando di trattenere il fiato nella speranza che ciò gli impedisse di scoppiare a piangere. Il suo corpo lo tradì, e una lacrima gli scese lungo lo zigomo, fino alle labbra. Il suo corpo non sarebbe mai stato in grado di nascondere quello che provava verso l’altro, non di fronte ad Arthur, forse solo a sé stesso.

“Lo so”.

Il Re sentì il suo stomaco rivoltarsi, e le labbra farsi talmente secche da non riuscire a muoverle. Gli parve di non respirare. Mosse piano un passo in avanti, sperando di riuscire a pensare ad altro appena oltrepassata la soglia della porta. La spada cigolò in maniera sinistra, seguendo le movenze della sua gamba. Accelerò e si rese conto di avere gli occhi chiusi. Accelerò e si rese conto che il suo cuore non batteva.

“State attento”.

Si voltò sorpreso, udendo la voce di Merlin. La voce perfettamente ferma di Merlin – perfino sarcastica, e quel suo piccolo sorriso irriverente dipinto sulle labbra. Attorno agli occhi blu però scivolavano ancora piccole lacrime, ed erano gonfi e rossi. Era il suo modo per dirgli di non incasinare le cose, di non comportarsi da asino come suo solito.

Avrebbe voluto dirgli: Una volta mi avresti sorpassato e mi avresti detto che senza di te sarei morto miseramente. Lo avrebbe guardato ridendo e si sarebbero avviati in battaglia insieme, come un duo inseparabile. E i suoi occhi blu avrebbero brillato come stelle, riflessi nei suoi. Ma sapeva cosa stava facendo Merlin: si stava sacrificando, si stava facendo da parte. Stava dicendo: Non hai più bisogno di pensare a me, non preoccuparti. E lo faceva con le lacrime agli occhi e il cuore tra le mani.

“Tornerò”.

Lo ripeté, questa volta sollevando vagamente le sopracciglia, come a dire: Non può essere altrimenti, tranquillo. Stava cercando di consolarlo, e difatti negli occhi del mago si fece larga la consapevolezza che quella era probabilmente la verità. Ora non piangeva più, ma i suoi occhi rimanevano così tristi. Arthur sentì il groppo alla gola farsi insopportabile, e le mani ora con i palmi aperti, seppur rigidi. Anche lui aveva il suo cuore in mano.

Merlin ribadì con uno sguardo il suo precedente monito. State attento.

Il Re lo guardò e sorrise. Sorrise come avrebbe voluto che il suo consigliere facesse per lui ogni istante della sua vita. Io non mi sto facendo da parte. Abbassò la testa di lato, mentre una smorfia di rabbia gli colorava il viso. Lui non si sarebbe mai fatto da parte, vero? Lui avrebbe sempre voluto Merlin al suo fianco, nonostante tutto.

“Lo sarò”.

La sua voce era uscita sofferente. Sollevò lo sguardo, solo per incrociarlo ancora una volta con il mago, un ultima volta. Quegli occhi…  Si voltò e uscì dalla porta, non riuscendo neanche a chiuderla alle sue spalle. Percorse il corridoio con passo austero e orgoglioso, come un Re avrebbe dovuto fare. Quando svoltò l’angolo, tuttavia, lasciò che la sua mano si poggiasse alla parete, sorreggendolo. Oltrepassare quella porta era stato come sentire una spada affondargli nello stomaco. Un colpo senz’altro mortale.

 


NdA: Perché direte, perché questo masochismo? È insito nel mio DNA, credo. E pensare che stavo cercando di andare avanti con un’altra ff che ho in lavorazione, molto gioiosa, felice, a “lieto fine”, quando gironzolando per i miei fanmix Arthur/Merlin che dopo aver scaricato non avevo ancora ascoltato sono capitata su questa canzone: “The Call” di Regina Spektor. E lì l’ispirazione è venuta senza neanche chiamarla. Se la ascoltate, potreste sentire che è leggermente familiare, e in effetti è la canzone finale de “Le Cronache di Narnia: Il Principe Caspian”, quando i protagonisti lasciano Narnia. Comunque… riguardo questa storia. Non ho messo fra gli avvertimenti OOC perché in pratica è un telefilm a parte a mio parere, quindi non ero certa se inserire quell’opzione… mi scuso se qualcuno li ritiene OOC e quindi non avrebbe voluto leggere questa storia. Poi… L’ho riscritta due volte, perché alla fine Arthur mi usciva sempre un po’ insensibile, spero ora si intravedano un po’ i suoi sentimenti (che comunque restano un punto abbastanza oscuro dell’intera storia… è voluto). E infine, ovviamente, ringrazio in anticipo chiunque leggerà o commenterà o inserirà in qualche categoria del suo profilo questa storia. Li prendo tutti come complimenti, sul serio. Spero di avervi rubato qualche lacrimuccia. Oh, la storia non è betata. Non ho mai fatto betare le mie storie in effetti, spero non ci siano molti errori (soprattutto coi tempi verbali).

  
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