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Autore: AvevoSolo14Anni    17/10/2010    3 recensioni
E' passato un'altro anno, è finalmente estate e Camp Rock sta per riaprire! A Camp Star rimangono ormai ben pochi campers, mentre il nostro camp preferito è fiorente e in continua espansione. Ci sono tanti nuovi iscritti, come per esempio Melanie, una ragazza molto timida che ama suonare la chitarra e che ha una voce dolcissima, anche se non ne è esattamente consapevole. Melanie è da subito spaventata da tutto il viavai che c'è a Camp Rock, ma grazie a qualcuno riuscirà ad aprirsi e a far crescere il suo talento...
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: Missing Moments, Otherverse | Avvertimenti: nessuno
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Timidezza, Pazzia E Musica

 
È una giornata molto calda, il sole batte deciso sulla strada e sulle acque calme del lago che si estende vicino allo sterrato.
Rifletto attentamente su quello che mi accadrà. Vorrei essere qui? Forse. Non so decidermi davvero sulla risposta a questa domanda, perchè ho pensieri molto contrastanti. Ci sono due parti di me, che come sempre vogliono cose opposte.
La mia parte razionale sa che questo è il posto giusto per me. Potrò fare musica in santa pace, imparare a relazionarmi con gli altri e fare nuove amicizie.
La mia parte più codarda, invece, vorrebbe aprire la portiera della macchina e buttarsi giù come in uno di quei film d’azione dove la vettura sta per esplodere, cadere da un dirupo o ha i freni rotti.
Cerco di convincermi che andrà tutto bene. Che sarà una bella estate. Infondo, come posso essere sicura che sarà un completo disastro? È proprio questo il punto, ripete la mia parte pessimista. Ma in effetti ha ragione: nulla mi terrorizza più dell’ignoto. Di non avere aspettative. Di non sapere cosa succederà, dove andrò e con chi starò. Anche il tipico “effetto sorpresa” che a tante persone piace, mi ha sempre spaventata. È sciocco, non trovate? Tutto è imprevedibile nella vita, e io non posso di certo vivere nella costante paura.
Ho bisogno di tranquillizzarmi. Ripasso a mente i pochi elementi che conosco del luogo in cui di lì a poco sarei stata confinata per ben tre mesi: corsi di musica, falò, tanta gente da conoscere, tanto caldo, attività divertenti.
So cosa mi aspetta, no? Andrà tutto bene.
Oddio, con chi capiterò in camera? Non ci sono le camere singole, vero? Dannazione, sarò costretta a parlare! Potrei iniziare a prepararmi degli argomenti di conversazione, magari studiare a memoria le possibili domande degli altri per riuscire a dare una risposta coerente…
Mi mando al diavolo non appena mi accorgo di quello a cui sto pensando. Sono proprio da ricovero. Potrei proporre ai miei genitori di mandarmi in un manicomio anziché in quel posto, almeno là hanno le camere singole… Cavolo, l’ho pensato davvero? Arrossisco senza nessun buon motivo, dato che non ho detto nulla ad alta voce.
“Va tutto bene, Melanie?” sento dire alla vocina acuta della mia sorellina, seduta accanto a me in quel momento, sebbene me ne sono quasi dimenticata.
“Certo” le sorrido cercando di essere il più convincente possibile.
“Ne sei sicura?” in qualche modo, lei intuisce sempre la mia tensione. Anche se probabilmente la maggior parte delle volte ho scritto la parola “nervosa” in fronte a caratteri cubitali.
“Sì” continuo a mentire. Non voglio angosciarla.
La mia sorellina si chiama Madyson – ma potete chiamarla Maddy, come fanno quasi tutti -, ha dieci anni e non penso di essere in grado di descrivervela come si deve. È una delle poche fortune che ho avuto nella mia vita, e sono ben consapevole di quanto sia fantastica. È la bambina più dolce che si possa incontrare, più matura e responsabile del normale, razionale ed estroversa. Insomma, ben diversa da me. Lo confesso, a volte vorrei legarla ad un albero in giardino, ma capita raramente. Okay, diciamo non troppo spesso. Giusto un paio di volte al giorno. Eh sì, perché quando vi dico che è “estroversa”, forse non sono del tutto sincera. Probabilmente il termine più corretto nel suo caso è “esuberante” o anche “logorroica”. Diciamo che ama mooolto chiacchierare e farsi gli affari degli altri. Ma è pur sempre una bambina, anche se a volte me ne dimentico.
Vi ho detto che potete chiamarla con il suo soprannome, ma sappiate che non vi do il diritto di farlo con me: non chiamatemi mai Mel, Melly o surrogati. Sì, vi potrebbe risultare parecchio strano, ma mi da molto fastidio. E quando dico molto, intendo davvero molto. I miei genitori mi hanno chiamata Melanie, ed è così che pretendo di essere chiamata. Questo era tanto per precisare un fatto, scusate la mia intransigenza.
Dato che ci sono, vi descrivo il più brevemente possibile anche il resto della mia famiglia: mia madre si chiama Michelle, non vi dico la sua età perché sono certa che se lei non mi ha mai detto la sua vera data di nascita c’è un motivo, e cioè probabilmente si sente a disagio dal fatto che in realtà è di qualche anno più grande di mio padre (come l’ho scoperto? Lo ammetto, potrei aver preso di nascosto la sua carta d’identità, sapete ero troppo curiosa); mio padre si chiama Matthew, e dato che mi è già sfuggito che mia madre ha qualche hanno più di lui, non posso dirvi nemmeno la sua età. Spero comprendiate le mie motivazioni.
Ad ogni modo, hanno messo su insieme un’impresa mobiliare che fortunatamente ha riscosso un notevole successo. Quando ne parlano non fanno altro che ripetere frasi come “chi l’avrebbe mai detto?” oppure “siamo stati molto fortunati”, ma in realtà non vorrebbero far altro che vantarsene dal mattino alla sera. E con questo non voglio che pensiate che sono persone insopportabili, solo molto orgogliose.
In caso non lo aveste notato o ve ne foste accorti e vi stiate chiedendo se è solo una coincidenza o no, sia io che mia sorella e i miei genitori abbiamo il nome che inizia con la lettera “m”. Ebbene no, non è una coincidenza. I miei sono dei tipi un po’ bizzarri, che si divertono con particolari che nessun’altro nota, e pensano che la “m” sia la loro lettera fortunata. E non solo perché entrambi i loro nomi iniziano con tale lettera, ma anche perché se non ricordo male il nome del college in cui si sono conosciuti iniziava sempre con la fatidica lettera, per non parlare del loro ben noto a tutti primo appuntamento al ristorante Mirage (avranno raccontato l’episodio almeno quindicimila volte in mia presenza, a chiunque varchi la nostra porta di casa). Come se non bastasse, di cognome faccio Mayer, mentre mia madre fa Mackenzie.
Ora sono più che certa che se prima avevate già qualche dubbio sulla sanità mentale dei mie genitori, quei dubbi si sono trasformati in certezze. Ma in fondo, come potrei darvi torto? Ho parecchi dubbi anch’io.
Torno alla realtà quando la macchina prende un dosso e io vengo leggermente sbalzata, prendendo una testata contro il finestrino. Che dolore; mi massaggio la fronte sperando che non venga nessun segno.
“Tutto bene là dietro?” chiede Albert, il nostro autista. Okay, io vi avevo detto che l’impresa dei miei aveva avuto un notevole successo, quindi adesso non stupitevi.
Evidentemente l’impatto tra la mia scatola cranica e il vetro aveva prodotto più rumore di quanto pensassi. “Ho dato solo un colpetto”.
I miei genitori non avevano potuto accompagnarmi per motivi di lavoro, mentre la mia sorellina aveva insistito molto per farmi compagnia durante il viaggio. Probabilmente mi sarebbe mancata molto una volta rimasta sola al camp. Avevamo già stabilito di scriverci una mail ogni giorno, che doveva necessariamente essere molto dettagliata, per non parlare del modo in cui mi aveva ordinato di scattare una marea di foto, sia al camp che ha tutte le persone che avrei conosciuto. Lei sapeva come farsi rispettare nonostante la sua giovane età, e questo è un altro degli aspetti del suo carattere che apprezzo, ammiro e di cui sono consapevole di non essere dotata.
A scuola non ho molti amici. Non sono tra quelli che tutti classificano come “sfigati”, la mia definizione preferita di me stessa è “emarginata per scelta”.
Non sono in grado di stare con la gente. Ne sono cosciente, ma non so come cambiare questo aspetto del mio carattere. E non crediate che non ci abbia provato, ma è tutto inutile. Mi apro solo con mia sorella e la mia migliore amica Carol, che conosco praticamente da quando sono nata dato che ha sempre abitato affianco a me. Viviamo quasi in simbiosi, e questo è un altro dei tanti motivi per cui dubito di poter sopravvivere quest’estate (anche con lei ho già stabilito di sentirci ogni giorno, però tramite telefonate).
E poi, esiste un altro mondo in cui mi apro, il mio preferito, il mondo dove posso decidere di essere come voglio, in cui posso dire tutto quello che penso senza alcun timore, quel mondo che non tutti comprendono: il mondo della musica.
Da piccola i miei mi costrinsero ad imparare a suonare il pianoforte, solo per cultura. Ma ho saputo fin da subito che quello non era il mio strumento e, sebbene non lo disprezzi e sappia suonarlo senza problemi, la mia vera passione è la chitarra. Toglietemi tutto ma non la mia Melody (sì, ho dato un nome alla mia chitarra, ma fidatevi che in quanto a pazzia – considerando i parenti che ho – potevo essere molto peggio, quindi non fate commenti maligni, per piacere).
Qualche volta mi diletto a cantare, ma solo quando sono sola. Nessuno mi ha mai sentita, e spero che non accada mai.
Suonare, invece, è l’unica cosa che non mi imbarazza fare in pubblico. Suono nell’orchestra della scuola, in passato suonavo per quella della chiesa e in casa ormai sono tutti così abituati a sentirmi perennemente strimpellare qualche canzone che probabilmente non ci fanno neanche più caso. Anzi, i futuri mesi senza musica potrebbero risultare ai miei coinquilini addirittura troppo silenziosi.
Torno di nuovo al presente quando sento la macchina rallentare sullo sterrato – mamma mia, quanto sono distratta! – e torna il nervosismo, puntuale come sempre.
Guardo fuori dal finestrino e vedo una grossa insegna in legno: sono arrivata a Camp Rock.
 
 
 
 
Grazie a chiunque abbia letto la mia prima storia! Recensite e commentate, spero tanto che vi sia piaciuta e sarei grata a chiunque mi dia consigli su come migliorare!
A presto con il capitolo numero due!


  
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