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Autore: Kicchina    17/10/2010    2 recensioni
[6927 - MukuTsuna][AU; OneShot; Shounen'ai]
"Tsuna si sentiva profondamente confuso e smarrito.
Non che non comprendesse il motivo della voragine che si ampliava nel suo petto – metaforicamente parlando. Insomma, non ci voleva certo un genio per capire che Rokudo gli mancava.
Il motivo di smarrimento era più che altro la semplice sensazione di nuovo che gli attanagliava gola e mente. Smarrito. Confuso."
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Altro Personaggio, Mukuro Rokudo, Tsunayoshi Sawada
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Nome: The Alien and The Beetle
Pairing: Mukuro x Tsuna - 6927
Rating: Giallo
Avvertenze: One Shot, OOC, Shounen'ai, AU
Word Count: 2731
Disclaimers: Mukuro, Tsuna e tutti i personaggi presenti e nominati nella fic appartengono alla maestra Amano.
Note: è un esperimento, lo stile con cui è scritta è abbastanza diverso da quello che uso di solito ed, alla fine, presa da sola non ha molto senso. È lunga, più lunga delle solite, ma comunque non esageratamente lunga. Mukuro e Tsuna hanno rispettivamente 26 e 25 anni, quindi per il carattere di Tsuna tenete comunque conto dei possibili cambiamenti dati dall'avanzare del tempo. Potrebbe sembrare OOC, ma mettendoci quel particolare, il sonno, l'alcool, alla fine dovrebbe risultare abbastanza azzeccato. Comunque lo segno lo stesso. Basta, mi scoccio di dire altro. Solo che ultimamente sono molto in questa coppia, tutto qui. Non fate troppo caso al titolo, non ha poi tutto 'sto senso, in fondo.


The Alien and The Beetle




Avevano iniziato a vivere assieme da circa un anno.
Anzi, più correttamente si poteva dire che, un giorno di tredici mesi prima, Mukuro Rokudo era apparso alla porta della sua casa e vi si era infilato dentro, mettendo lì radici.
Al tempo in cui gli era comparso dinanzi alla porta erano passati esattamente sette anni dall'ultima volta in cui lo aveva visto, il giorno della fine del suo penultimo anno di liceo. In quel periodo Mukuro aveva diciotto anni, lui diciassette.
Quel giorno di tredici mesi prima, invece, possedevano rispettivamente venticinque e ventiquattro anni.
Mukuro si era presentato dinanzi a lui senza una ragione ed aveva iniziato a vivere lì, ma ormai Tsuna ci aveva fatto l'abitudine. Aveva fatto l'abitudine anche a quel modo particolarmente fisico che aveva Rokudo di mostrare i propri sentimenti.
Diciamo che, a quel punto, considerava parte del piacevole quotidiano le sue mani che lo carezzavano ovunque ed in qualunque momento; difficilmente rinunciava anche al bacio di buongiorno, buonanotte, buon lavoro o checché fosse. Erano piccole cose che lo facevano sentire vivo ed amato, raramente le rifiutava.
Eppure, in quel momento, Mukuro non c'era. Ed era una settimana che quella casa era vuota di lui.
Tsuna si sentiva profondamente confuso e smarrito.
Non che non comprendesse il motivo della voragine che si ampliava nel suo petto – metaforicamente parlando. Insomma, non ci voleva certo un genio per capire che Rokudo gli mancava.
Il motivo di smarrimento era più che altro la semplice sensazione di nuovo che gli attanagliava gola e mente. Smarrito. Confuso.
Era lui o chiunque provava quei sentimenti? Si sentì un po' stupido, a dirla tutta.
Anche perché star seduto sul divano, cuscino tra le braccia e sguardo fisso sulla cornetta del telefono, non era proprio tra i comportamenti più sani del mondo, per quanto riguarda la mente.
All'improvviso inizi a dar di matto, sono cose normali, non dipendono dal carattere, i geni o cose del genere. È un semplice susseguirsi di gesti, azione e reazione, roba così.
Ad un certo punto cominci a sragionare, dimentichi lo scopo finale, ti domandi perché sei ancora lì e non, chessò, alle Bahamas oppure le Fiji, steso su una sdraio a prendere il sole, non preoccupandoti più di nulla.
Perché invece sei lì, giorno dopo giorno, sullo stesso divano, abbracciando lo stesso cuscino, a venticinque anni suonati, chiedendoti perché non chiama e ti dice dove diamine è.
Che poi, all'inizio l'aveva presa anche male.
Tornando indietro nel tempo, a quando erano appena trascorse due settimane dall'insediamento forzato di quell'uomo dai capelli non-più-troppo-ad-ananas nella sua casa. Quella volta che si era svegliato ed aveva trovato Mukuro nel suo letto, un braccio attorno alle sue spalle e l'altro a circondargli la vita, terminando poi con una mano infilata tra i suoi pantaloni e l'intimo.
L'aveva presa davvero malissimo, quella volta.
Non aveva avuto il cuore di cacciarlo di casa, sapeva sarebbe finito senza un tetto sulla testa o un posto in cui andare. Di contro, però, non si era lasciato più toccare tanto facilmente e, per due settimane e tre giorni da allora, aveva sempre chiuso a chiave la porta della sua stanza, la sera.
Non si era arrabbiato, tuttavia, per la situazione in sé. Poteva sembrare assurdo, ma se quella volta si fosse semplicemente svegliato, avesse visto Mukuro e si fosse alterato, urlandogli contro e simili, non l'avrebbe presa così male.
Perché, in fondo, il problema dove sarebbe stato?
Bastava dirgli che gli dava fastidio, che non aveva quegli interessi, che, se voleva restare a vivere lì, doveva evitare certi scherzi idioti.
Probabilmente Mukuro se ne sarebbe uscito con una qualche battutina poco divertente, Tsuna avrebbe riso per educazione e poi sarebbe terminato così. Tutto finito.
Eppure non era andata a quel modo. Tsuna, quella volta, non aveva reagito a quel modo.
Ripensare a quegli avvenimenti in quel momento lo portava a ragionare sulla sequenza causa-effetto che tanto sembrava dominare l'intero universo. Se... allora. Era sempre così.
Insomma, quella volta Tsuna non aveva urlato. Aveva impiegato parecchi minuti a comprendere la situazione, il suo cervello si era finalmente svegliato ed aveva capito dove Mukuro tenesse quella mano.
Poi era avvampato in volto ed aveva avuto un'erezione.
Una come quelle che non gli venivano dal terzo anno di scuole medie, dieci anni prima, forte ed intensa.
Compresa anche quell'ultima, scioccante verità, era diventato ancora più rosso e si era immobilizzato, la possibilità di venir scoperto che lo riempiva contemporaneamente di puro terrore ed estrema eccitazione. Era sgusciato fuori dal letto, la mente mantenente ancora i pensieri in stato di fermo, nel caso avessero deciso malauguratamente di scivolare lì dove era meglio non riflettere, gettandosi in bagno e poi sotto una doccia fredda.
Quella volta l'aveva presa malissimo, davvero.
Però adesso se ne stava lì, seduto sul divano, abbracciando un cuscino – un cuscino rosso, un cuscino pieno di ovatta sintetica e senza nessun ricamo particolare a coprirlo – ed aspettava che tornasse o, quantomeno, chiamasse.
Era per questo che si sentiva idiota, soprattutto.

E poi, all'improvviso, con la testa aveva iniziato a divagare. Non sapeva bene come, quasi certamente era partito o da qualcosa connesso al telefono, o forse da Mukuro, o il cuscino. Uno dei tre comunque, perché in quella settimana, praticamente, non aveva pensato ad altro.
Era partito da uno di quei tre e, non ricordando né i passaggi, né l'effettivo legame che tra essi intercorreva, era poi giunto a riflettere su quella storia che gli aveva raccontato una volta Gokudera.
Quella sull'alieno ed il coleottero.
Non la ricordava bene, anche perché non gli erano mai interessate troppo le digressioni assurde di Hayato riguardanti il paranormale e l'extrasensoriale; in più dopo era arrivato anche Yamamoto e, del finale, Tsuna non aveva saputo più niente.
Però una cosa gli era rimasta particolarmente impressa: quell'alieno, una volta giunto sulla Terra, vedendo il coleottero aveva pensato di trovarsi ancora a casa sua, perché anche lì c'erano quegli insetti.
Era un particolare stupidissimo da rimembrare, però era ancora lì, tra ricordi sfocati e collegamenti senza nesso.
Forse anche Mukuro era un alieno, aveva pensato d'un tratto. Forse era un alieno che somigliava ad un incrocio tra un essere umano ed un ananas, che si era trovato per sbaglio sulla Terra e si era mischiato a loro sinché non aveva avuto l'opportunità di andarsene. Forse adesso era sulla sua navicella spaziale diretto verso casa, assieme a quei due amici strani e quella ragazza che gli stava sempre troppo appiccicata – a parere di Tsuna. Forse non l'avrebbe più rivisto, forse lo aveva lasciato senza nemmeno una parola, forse non gli era mai interessato nulla di lui, forse, forse, forse...
Forse stava facendo troppi pensieri assurdi, e fissare per giorni una cornetta del telefono restando immobile sul divano davvero friggeva i neuroni.
Però la storia dell'uomo-ananas era plausibile.

Alle quattro e trentasette dell'ottavo giorno il telefono squillò. Tsuna dormiva in quel momento, ma si svegliò non appena fu terminato il secondo squillo. Lasciò cadere il cuscino e si precipitò sull'aggeggio rumoroso posto a meno di un metro da lui, lì sul tavolino basso in legno di ciliegio.
- Pronto, buonasera, chiamo per la...
Mise giù senza spiccicare nemmeno una parola, ignorando la voce della ragazzina all'altro capo. Quella era la terza volta che chiamavano e riattaccava.
Non che lo infastidissero troppo, quelle chiamate per vendere prodotti a caso. Tsuna era una persona dal cuore buono, li lasciava parlare sempre, a volte comprava anche qualcosa per farli felici; da quando vivevano assieme, Mukuro aveva riso spesso di quel suo particolare comportamento. Però in quel periodo non era proprio il caso, tenere occupato il telefono per più di pochi millesimi era fuori discussione. E se lui avesse chiamato ed avesse trovato l'apparecchio occupato?
Per quel pensiero aggiunse una tacca sulla sua barra della stupidità – sempre metaforicamente parlando. Rokudo lo faceva comportare da idiota, prese nota mentalmente. Una volta tornato gliel'avrebbe fatta pagare. Perché sarebbe tornato, o quanto meno avrebbe chiamato, di questo Tsuna era pienamente convinto.
O almeno credeva di esserlo.
Alle sette e quarantotto il telefono squillò di nuovo. Prima di rispondere lasciò che il suono meccanico si ripetesse tredici volte, poi pensò che uno di quei ragazzi delle vendite via telefono non avrebbe lasciato squillare tanto, quindi rispose.
- Decimo! Che fine ha fatto?
Era Gokudera, di sottofondo si sentiva anche la voce di Yamamoto. Tsuna sospirò pesantemente.
- Gokudera-kun, che piacere sentirti...
Era una bugia, almeno in parte, però il tono allarmato del ragazzo dall'altro lato sembrò addolcirsi appena.
- L'aspettiamo da più di un'ora, ormai! È forse successo qualcosa?
Aspettare? Aspettare per cosa? Tsuna ci rifletté un po', avevano forse qualcosa da fare assieme lui, Gokudera e Yamamoto?
Quando la mente raggiunse la soluzione, si batté rumorosamente il palmo sinistro sulla fronte, quello non occupato a mantenere la cornetta. Dovevano uscire per andare a bere, l'avevano deciso tre settimane prima perché ultimamente si erano visti poco.
- Mi dispiace, Gokudera-kun, stavo... io... arrivo immediatamente!

Il locale era piccolo, ma pulito. Loro tre assieme vi si erano recati spesso nel periodo del liceo, quando condividevano praticamente ogni secondo di ogni giornata.
- Tsuna! Hai un aspetto orribile!
Il castano sorrise lievemente alle parole estremamente sincere di Yamamoto, mentre Gokudera gli urlava contro di avere più rispetto et similia. Per Tsuna non era un problema, dopotutto aveva ragione.
Lo fece notare, Gokudera si zittì, poi domandò delle occhiaie e del colorito pallido.
A quel punto Tsuna sorrise di nuovo, senza spiegare nulla. Tanto con loro non era mai necessario.
- Mukuro Rokudo! - sbottò poi l'italiano, ed il castano abbassò lo sguardo al proprio bicchiere. - Io quello lo faccio fuori!
Yamamoto rise, cercò di calmare il compagno, entrambi si zittirono solo alle parole mormorate di Tsuna.
- Se riesci a trovarlo...
Ma non aveva alcuna voglia di parlare di Mukuro in quel momento. Anzi, sarebbe stato meglio anche evitare di pensare qualunque cosa a lui fosse collegata, quindi tentò di sviare l'argomento su altro, come andava il lavoro, in che modo procedesse la loro vita di coppia, se avessero sentito Ryohei ed Hibari, le ultime stupidaggini di Lambo. Cose del genere. Yamamoto e Gokudera decisero di assecondare quel suo ostinato silenzio sull'argomento, passarono l'intera serata a bere e dire sciocchezze.
Verso le undici e un quarto andarono via da lì, spostandosi nel piccolo parco in periferia, quello vicino casa di Hayato in cui andavano a giocare da bambini. Tsuna era praticamente ubriaco, Gokudera un po' brillo, come reggeva l'alcool Yamamoto, invece, non c'era nessuno. Forse era perché faceva molto sport, o forse invece non c'entrava nulla, chissà. Di queste cose nessuno di loro si intendeva troppo.
- Se non se ne fosse andato, – sbottò d'un tratto il più piccolo, parlando mentre fissava l'altalena – adesso staremmo facendo sesso!
Yamamoto scoppiò a ridere, Gokudera avvampò.
- Decimo! Non- non dovrebbe dire cose simili in un posto del genere!
Tsuna lo guardò storto, dal basso verso l'alto, inclinando la testa verso sinistra. In quel momento la certezza che fosse ubriaco salì ai livelli massimi.
- Andiamo, tanto lo so che se non se ne fosse andato adesso anche voi stareste facendo sesso!
- Ha ragione! - fece un sorridente Yamamoto rivolgendosi ad Hayato ed il colore del viso di quest'ultimo raggiunse il porpora.
- I-idiota del baseball! Non lo stia ad ascoltare, Decimo!
Tsuna lo ignorò. Non aveva più voglia di parlare di quell'argomento, quando era ubriaco diventava particolarmente volubile. Si sedette sull'altalena, lasciandosi dondolare lentamente e guardando il cielo stellato. Voleva tornare a casa a controllare se il telefono stesse squillando.
Diede voce a quel pensiero, Gokudera fece presente che se Rokudo l'avesse cercato avrebbe chiamato sul cellulare, Tsuna affermò nuovamente che sarebbe tornato a casa. Alla fine lo accompagnarono fino all'entrata del condominio, dove si divisero.

Quando si ritrovò dinanzi alla porta di casa ci mise qualche secondo per ricordarsi che doveva aprirla ed entrare. Poi perse ancora una decina di minuti nel trovare il mazzo di chiavi, scegliere quella giusta, riuscire ad inserirla nella toppa. Al momento di far scattare la serratura, tuttavia, si rese conto che era già aperta.
Era una cosa strana quella. A volte capita che il corpo si comporti in maniera assurda, non è così? Tsuna non lo aveva mai provato prima, però sentiva che era una cosa normale. Nello stesso istante in cui il suo cervello registrò la mancata chiusura della porta, quando si rese conto che lui l'aveva sicuramente bloccata, lo ricordava benissimo, in quello stesso momento sentì la testa tornare nuovamente lucida, l'effetto dell'alcool sparire completamente.
C'è qualcuno in casa, pensò solo. E l'unica persona la cui immagine occupava la sua mente aveva gli occhi di colori diversi e la testa a forma di ananas.
Si precipitò nell'ingresso e poi, senza chiudere la porta, nella stanza con il divano, il cuscino rosso ed il telefono. Trovò l'uomo seduto a gambe incrociate sul pavimento, senza maglia e con in mano una scatola fumante di ramen istantaneo, i capelli lunghi legati nel solito codino e le labbra sporche sul lato destro. Il castano lo guardò qualche secondo con la bocca semiaperta, lui ricambiò con uno sguardo a metà tra il neutro ed il sorpreso, poi sorrise.
E lì accadde la seconda cosa strana.
Tsuna sentì la stanchezza di giorni e giorni di insonnia pesargli sulle spalle e sulle palpebre tutta nello stesso momento, il mal di testa da post-sbornia lo colpì improvvisamente e, vagamente, sentì anche la nausea iniziare a premere nella parte inferiore del suo stomaco. Non rivolgendo a Mukuro nemmeno una parola, tornò indietro nell'ingresso, chiuse la porta, tolse le scarpe. Appese le chiavi all'apposito gancio e fece lo stesso con la giacca.
Successivamente tornò nel salotto e guardò l'uomo con occhi stanchi.
- Sono a casa – disse solo, poi si diresse verso la propria stanza e, senza preoccuparsi di chiudere la porta o indossare il pigiama, si infilò sotto le lenzuola.
- Ohi ohi ohi- si affrettò Mukuro lungo il corridoio, raggiungendo poi la camera e poggiandosi allo stipite dell'ingresso - È tutto ciò che hai da dirmi?
- Sono stanco adesso, ti ammazzerò domani. - mormorò da sotto le pesanti coperte Tsuna con voce impastata dal sonno.
Mukuro rise sommessamente.
- Non vuoi sapere dove sono stato?
- Certo che sì, me lo dirai dopo che ti avrò ammazzato.
- È un po' irragionevole come programma – gongolò Mukuro, poi dondolò con la sua solita camminata sino al letto del più giovane, alzò le coltri e si sistemò al suo fianco, coprendo accuratamente entrambi e cingendo Tsuna con le braccia. Lui, a sentire il calore del corpo di Rokudo, si rigirò tra le sue braccia e posizionò la testa tra le sua spalla ed il suo collo.
- Forse. - ammise – Ma è il meglio a cui sono riuscito a pensare adesso.
Il profumo di Mukuro era buono. Sapeva di fiori, in un certo senso, molto gradevole. Tsuna amava restare ore ed ore ad assaporarlo, era tra le cose di quell'uomo che preferiva.
Si sporse verso l'alto, posando le proprie labbra su quelle dell'altro e lasciando che la lingua scivolasse tra di esse sino ad incontrare quella di Rokudo, le palpebre ancora chiuse e pesanti per il sonno.
Storse il naso, fece una smorfia con la bocca.
- Sai di ramen. - si lamentò mentre risistemava la testa sulla sua spalla. Mukuro rise.
- Tu sai di alcool, Tsunayoshi-kun. Hai bevuto molto?
Il più piccolo annuì, anche se non era proprio certo di aver capito ciò che gli era stato chiesto. La sua mente era già lidi e lidi distante dalla realtà, tutta quella situazione aveva avuto un potentissimo effetto soporifero su di lui.
- Domani ti ammazzo.- ripeté all'improvviso convinto – Ti ammazzo e poi mi dici dove sei stato.
- Va bene. - accondiscese Mukuro, lasciando scivolare una mano sotto la camicia bianca e l'altra nel jeans scuro.
- E poi facciamo sesso.
Rokudo rise, Tsuna ormai era a pochi passi dal sonno profondo.
- Facciamo sesso tutto il giorno, anche di più.
- Non potrei chiedere di meglio, Tsunayoshi-kun.
La voce di Mukuro era melliflua e suadente, il castano, per un misero, sporadico istante di lucidità, fu certo che grazie ad essa si sarebbe anche potuto sciogliere.
- Facciamo sesso quanto vuoi, quindi ora lasciami dormire – concluse, scivolando finalmente nell'oblio donato dalle braccia di Morfeo.







  
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