Racconto di inverno
Non aveva smesso un attimo di piovere, la pioggia aveva cominciato a
cadere già durante la notte, ma era stato il vento a renderla ancora più forte
e feroce, mentre ogni cosa veniva portata via dalla
sua furia.
Era una tipica giornata d’inverno e Harry Potter stava trascorrendo il pomeriggio
a guardare fuori dalla finestra, considerando quanto il suo stato d’animo fosse
così simile al tempo. Non era riuscito a chiudere occhio, e non per via del
maltempo o di qualche preoccupazione legata al lavoro, ma piuttosto per un nodo
alla bocca dello stomaco che lo rendeva inquieto e triste. Impossibile negarlo,
era stanco di essere forte ad ogni costo.
Non gli era concesso essere debole o egoista, ma solo di recitare il suo ruolo
di Salvatore del Mondo Magico fino alla fine. E mai prima di allora, si era
sentito così frustrato e bloccato in quella specie di prigione dorata,
invisibile a tutti, persino alla sua migliore amica. Anche Hermione, che aveva
sempre avuto una specie di sesto senso per quel genere di cose, sembrava essere
sorda alle sue richieste di aiuto. Malgrado ciò, Harry non riusciva a essere
arrabbiato con lei. Persino in quel momento, mentre lei dormiva beata sulla
poltrona, ignara di quello che stava provando.
Si era addormentata mentre leggeva il fascicolo del caso, e non poteva
biasimarla. Quando lui aveva letto le prime righe
aveva sbadigliato un paio di volte per poi dedicarsi a un altro tipo di lettura,
facendo finta di lavorare.
Era seduta vicino al camino e la coperta le era scivolata sul tappeto, come
anche il lavoro che aveva portato con sé. I capelli sembravano in fiamme per
via del fuoco e il suo viso era ancora più bello, illuminato da quella luce.
La corrente, sempre più forte, fece sbattere le ante
degli infissi riportandola bruscamente alla realtà. Si guardò intorno come se
non riconoscesse l’ambiente che la circondava per poi sorridere a Harry, che
non aveva smesso un attimo di guardarla.
“Dovevi svegliarmi.” disse, stiracchiandosi.
“Scusa, non ne ho avuto il coraggio, eri così bella.”
“Sì, certo come no! Stavi solo festeggiando perché così non potevo tormentarti
col caso,” commentò con sarcasmo. Sapeva di essere
ossessiva e, a volte, noiosa quando si trattava di lavoro. Quel giorno aveva
chiesto il parere del suo amico perché, per la prima volta, aveva messo in
dubbio il proprio giudizio.
“Allora è innocente?” gli chiese timorosa.
“Sì.” Fu la semplice risposta di Harry.
“Davvero? Allora avevo ragione!” Gli
occhi le luccicarono per la felicità. “Che cosa ti ha convinto? C’è
qualcosa che mi è sfuggito in quei documenti?”
“No, nulla, anche perché quei fogli non li ho letti.”
“Che cosa? E cosa hai fatto mentre dormivo?” sbottò irritata. Era venuta da lui
per chiedergli aiuto, per essere rassicurata, e ora aveva ancora più dubbi.
“Leggevo altro,” rispose con tono piatto, come se
fosse la cosa più naturale del mondo.
Furono quelle ultime parole a irritarla; si alzò di scatto dalla poltrona per
raccogliere le sue cose, con l’intenzione di andarsene. “Ti avevo
chiesto una sola cosa! E tu niente, come al tuo solito, del resto.”
“Non ho bisogno di leggere quel dannato fascicolo, ‘Mione.
Il caso lo conosco a memoria, dopotutto l’ho arrestato io il tuo cliente!”
“Appunto! E ora lo reputi innocente, non posso negare di essere parecchio
confusa.”
“L’ho arrestato perché tutte le prove portavano a lui, ma tu hai accettato la
sua difesa, non l’accusa, e questo mi ha convinto che ero io e non tu ad avere
torto.”
Ora era stupita, non capiva nulla di quello che stava blaterando il suo amico.
Era stupido o aveva preso troppi Anatemi in testa?
“Quindi, tu mi stai dicendo che hai sbagliato a giudicarlo solo perché io lo credo innocente?” ricapitolò la ragazza.
“Esatto.”
“E perché? Harry spiegati, mi stai facendo impazzire
oggi!” disse, lasciandosi cadere sulla poltrona. Era esausta e il suo migliore
amico stava portando al limite la sua pazienza.
“Hermione, io mi fido ciecamente di te. Ogni cosa che fai viene
prima pensata e analizzata in tutte le sue probabilità. Se tu mi dici che è innocente,
lo è. Tu non ti pronunci prima di avere prove e in
passato hai spesso avuto ragione, per non dire sempre. Hai una mente
formidabile che, insieme al tuo incredibile istinto, non ti hai mai fatto
sbagliare, e queste tue caratteristiche ti rendono unica. Ora
tranquillizzati perché domani andrà tutto bene: lui è innocente e ha te
che lo sosterrai.”
Ora lo fissava con la bocca aperta. Come poteva farla innervosire un attimo
prima per poi dire quelle cose così belle su di lei? Era impossibile resistergli,
vinceva sempre lui, quindi con un sorriso si andò a sedere al suo fianco.
“Grazie,” gli sussurrò.
Lui la guardò a lungo e le sorrise in quel modo talmente disarmante da farle
venire i brividi. Calò un silenzio irreale e la ragazza sentì il bisogno di allontanarsi,
di scappare da quel salotto, anche se nello stesso tempo c’era qualcosa che la
inchiodava lì, accanto a lui.
“Cosa stavi leggendo prima?” chiese, cercando di spezzare
la tensione creatasi.
Un’ombra passò tra gli occhi verdi del ragazzo. “Racconto di inverno
di William Shakespeare.”
“Shakespeare? E da quando lo leggi?”
“Ero curioso… come sempre, del resto!” disse, sorridendo per le sue stesse
parole.
“Di cosa parla?”
“È la storia di due amici di infanzia: Polissene e Leonte. Quest’ultimo crede
che la sua sposa Hermione…”
“Hermione?” chiese, interrompendo l’amico.
“Sì, si chiama come te. Quindi dicevo… Leonte crede
che Hermione lo tradisca con il suo migliore amico e comincia a pensare che il
figlio che lei porta in grembo non sia suo, ma del suo amico,”
concluse Harry, prendendole le mani.
Quella storia la infastidì e il fatto che lui non avesse mai smesso di
guardarla mentre la raccontava la metteva a disagio.
“Ed era vero? Insomma, lo tradiva?”
“No. Ma lui lo crederà fino alla morte di Hermione, quando
ormai sarà troppo tardi.” La voce di Harry divenne un sussurro, per l’emozione,
come se volesse comunicare tanto altro con quelle
poche e semplici parole.
Le mancava l’aria, doveva andare. “È tardi, devo passare a prendere Rose, Molly
starà impazzendo.”
“Non è vero. Dovresti smettere di avere paura di me,
non ti salto mica addosso!”
Perché le era successo tutto questo? Se solo avesse potuto, Hermione sarebbe
tornata indietro nel tempo, al loro primo incontro, avvenuto grazie a Neville e
al suo rospo, sulla carrozza dell’Espresso che li avrebbe portati a Hogwarts.
All’epoca era tutto così bello e facile.
“Sai, Rose è identica a te,” le disse per calmarla.
“Non direi, è identica a suo padre: impulsiva, avventata e, come lui, non pensa
mai prima di parlare,” disse, rivolgendogli
un’occhiata tagliente.
“ Io quando la guardo vedo te…”
“Ma se anche il colore dei capelli li ha presi dalla
parte paterna!” Era veramente irritata, anche perché aveva sperato che sua
figlia le assomigliasse, e invece non aveva preso nulla da lei.
“Vero. Ma quando è arrabbiata arriccia il naso come
te… come adesso, a dire il vero. E quando ride, diamine, è bellissima.” Era
visibilmente emozionato mentre le parlava. Hermione era capace di fargli
disconnettere del tutto il cervello, dando il via libera al suo cuore, che in
quel momento gli stava per scoppiare nel petto.
“Per favore…” Fu un semplice sussurro, ma alle orecchie di Harry suonò come un
urlo disperato.
C’era stato un tempo in cui erano soliti passare ore e ore a parlare davanti al
camino della Sala Comune prima, e dopo davanti a quello di Grimmauld
Place, mentre ora le poteva leggere negli occhi solo paura. Aveva
paura di lui. Come poteva essere? Durante gli anni trascorsi a Hogwarts erano stati inseparabili ed era stata lei a
trasmettergli la forza necessaria per sconfiggere Voldemort. A quel tempo Harry sapeva bene che il compito
di sconfiggerlo ricadeva su di lui, ma a guidarlo era stata soprattutto la
consapevolezza che se non avesse agito per il meglio al mondo non ci sarebbe
stato più niente di bello. Nemmeno lei. E ora erano
arrivati a quel punto di non ritorno. Non poteva sfiorarla. Non poteva piangere
o urlare per la rabbia. Non poteva.
Doveva farlo per lei, e per dimenticare quell’unico momento di debolezza che
aveva incrinato la loro amicizia.
Le tese la mano. “Andiamo alla Tana, c’è anche il mio Albus
con i nonni.”
Hermione gli rivolse un sorriso tremulo prima di baciare il palmo della sua
mano.
“Non mi hai ancora detto come finisce la storia.”
“Leonte scopre che sua moglie non è realmente morta e
che la statua costruita in suo onore non è altro che Hermione stessa
trasformata in pietra con la magia da una strega, per non permetterle di morire
d’amore. Leonte capisce di avere sbagliato e riesce a
farle riprendere le sue sembianze umane,” concluse,
cercando di placare il tormento che lo stava devastando.
“Andiamo insieme?” chiese infine l’amica ponendo fine a quell’attimo magico.
E loro erano davvero innocenti?
Harry le aveva preso la mano, intrecciandola alla sua.
Non c’era nessuna colpa da espiare. Non più.
“Come sempre.”