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Autore: zoisite    17/10/2010    5 recensioni
"Devo sentirmi lusingato dal tuo silenzio?" aveva mormorato Sherlock, con un lieve sorriso sulle labbra e già febbricitante, a giudicare dagli occhi lucidi.
Genere: Erotico, Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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.I am brain.



Sherlock era straordinario, prodigioso e geniale. Ma sapeva anche essere assurdo, impossibile, persino pericoloso.
John era consapevole che, mai ed in nessun caso, sarebbe stato facile convivere con un uomo come lui, seguire il filo dei suoi monologhi, dei suoi silenzi.
Inoltre, Sherlock era capace di provare momenti di altissima euforia, altri di profondissima cupezza, di compiere gesti imprevedibili e di sfiorare ripetutamente la soglia dell'autolesionismo. Come quel giorno.

"Ti sei iniettato cosa?"

Non era una sorpresa per nessuno che Holmes, per i propri esperimenti, maneggiasse - tanto in laboratorio, quanto nella cucina di casa - pericolosi reagenti chimici, sostanze tossiche, veleni. Ma che, come aveva appena candidamente ammesso, potesse arrivare ad inocularsi più dosi di un vaccino, per provocarsi volontariamente la malattia, andava ad di là di qualsiasi comprensione. E, come medico, mandava John su tutte le furie.
Oltre a lasciarlo ufficialmente senza parole.

"Cinque giorni fa." precisò Sherlock dalla poltrona. "Devo sentirmi lusingato dal tuo silenzio?" aveva poi mormorato, con un lieve sorriso compiaciuto sulle labbra e già febbricitante, a giudicare dagli occhi lucidi.
"Non preoccuparti, John, è solo influenza." Svolazzo della mano. "Il virus di stagione. Ormai l'incubazione dovrebbe essere arrivata al termine."
Impossibile credere - in quel momento - di avere a che fare con un uomo adulto, tecnicamente maturo, uno che viveva nel mondo contemporaneo e non in qualche rocambolesco poliziesco vittoriano. Un uomo che, si supponeva, badasse a sé (anche se, ogni giorno, il dubbio che questo non fosse vero si radicava sempre più motivatamente).

"E perché, di grazia, avresti fatto una cosa del genere?" domandò Watson, cercando, senza successo, di controllare il volume della voce.

"La febbre mi serve a pensare, John. Ho bisogno d'indebolire le periferiche per potenziare l'hard drive centrale."

Pazzesco. Malato.

"La febbre non ti aiuterà affatto a pensare, anzi ti farà sentire confuso. Perché maltratti così il tuo corpo?" aveva commentato John, accigliato da quell'illogicità infantile.

"Perché io sono cervello. Il resto di me è una mera appendice."

Come tutte le sue scempiaggini, anche questa aveva un senso.
Più volte John s'era già soffermato a pensare che doveva esserci qualcosa di differente in Holmes; se inizialmente aveva pensato che fosse solo la mente di Sherlock ad essere unica e singolare, più il tempo passava e più si era persuaso che, no, anche il suo corpo doveva essere tutt'altro che ordinario.
Non si alimentava mai, apparentamente, e nella realtà mangiava comunque pochissimo. Non dormiva che poche ore, neanche tutte le notti. Era esile e pareva quasi delicato, con quell'incarnato bianchissimo, il collo lungo, le mani affusolate, le braccia sottili. Ma correva veloce, picchiava come un pugile, non soffriva il freddo e non si ammalava, salvo che in questo caso corrente, che non avrebbe fatto comunque testo. Il legame fra Psiche e Soma, già misterioso in chiunque, lo era tanto più in Sherlock: di questo Watson era persuaso.

Ma, grazie a Dio, John era per contro concreto e saldo, con i piedi per terra, con un ottimo controllo di sé e con una pazienza dai limiti sempre più ampi. E lui ringraziava quotidianamente tutti i suoi santi protettori, da Ippocrate a Sir Alexander Fleming, nonché la solida formazione della Barts e persino l'esperienza sul campo di battaglia, per essere diventato un bravo medico.
"Per fortuna", si disse. Ed il motivo di questa riflessione... era difficile da spiegare, al di là del momento contingente, nel quale senza dubbio la conoscenza medica avrebbe aiutato.

In senso più ampio, John non sapeva perché era importante che lui ci fosse, ma percepiva distintamente, che era proprio questo -- importante -- essere lì, nella vita di Sherlock, in quella casa che non conosceva un giorno di pace. John sentiva che non avrebbe voluto essere da nessun'altra parte.

Ignaro dei suoi pensieri, il contagiato continuava a parlare.
"Dopo che il mio corpo sarà aggredito dal virus, avrò la febbre, poi guarirò, e il mio cervello troverà nuove risorse utili a cogliere la soluzione del... Oh, non importa."

Watson comprese: Sherlock dunque lavorava a un caso da solo? Poco male. Non riusciva a venirne a capo. Ben gli stava. Però, che dovesse infliggersi un malanno solo perché sperava di poter intravedere, grazie ad esso, la soluzione, il dettaglio che gli era sfuggito... Questo era idiota. Grandiosamente idiota.
Ma, malgrado John motivasse a sé stesso che un dottore non può venir meno al proprio compito e che dunque avrebbe curato Sherlock solo per questa ragione, sapeva perfettamente che la deontologia professionale non c'entrava nulla. Ma perché avvertiva così pressante ed urgente il bisogno di proteggerlo? Non glielo chiedeva, non ne aveva bisogno e, spesso, non se lo meritava nemmeno! Andiamo!
E, soprattutto, perché si sorprendeva disposto a passar sopra a qualsiasi cosa, ed anche in questo caso si sentiva già pronto ad accettare la patologica trovata del suo coinquilino, e a farsi in quattro per alleviargliene le conseguenze?

Forse perché, John si disse, i miracoli non avevano mai fatto parte delle sue aspirazioni: come medico, desiderava intervenire solo su quello che poteva essere curato, salvaguardando e rispettando la natura delle cose.
Per analogia, stare accanto a Sherlock, per lui, non significava volerlo trasformare in un'altra persona. Significava soltanto preservarlo da ciò che avrebbe potuto fargli male. Ecco perché non poteva davvero prendersela con lui, ecco qual era il motivo di essere lì. O uno dei motivi.

"Va a stenderti sul divano, voglio darti un'occhiata."


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Il seguito, presto!
Il titolo della fanfiction proviene da "Clocks" dei Coldplay, una canzone che mi ha perseguitata per ragioni che sarebbe troppo prolisso spiegare qui, ma che meritava una punizione, in una maniera o nell'altra XD
La citazione "I am brain, Watson. The rest of me is a mere appendix" è tratta invece da Sir Arthur Conan Doyle, The case-book of Sherlock Holmes, The Mazarin Stone.
  
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