A Mamma
Non è facile.
Ma molte persone alla fine
se la cavano piuttosto bene, quindi… perché dovrebbe essere diverso per noi
due?
Non importa, aspetterò,
come al solito.
Quando ho iniziato ad
arrabbiarmi con te?
E tu? Tu quando hai
cominciato a…
A…
Oh, bé, lascia stare. Ho capito,
è un problema solo ed esclusivamente mio.
Tu sei solo invecchiata e
i tuoi passi si sono fatti più lenti e pesanti. Troppo rispetto ai miei.
Chissà se in questi ultimi
tempi tu avrai pensato lo stesso di me, quando qualche volta abbiamo fatto la
spesa insieme; se qualche conoscente diceva: “Quant’è bella, quant’è cresciuta…”
tu annuivi, sorridevi e mi guardavi, come per dire “Visto che capolavoro che ho fatto?”…
Ora come ora, sono la tua figlia
sgangherata: la testa tra le nuvole, la mancanza d’umiltà, metà della famiglia
che non sopporto più…
Sono un caso perso, perché
adesso non puoi più educarmi come facevi vent’anni fa, ma puoi solo guardarmi e
scuotere la testa; oppure puoi metterti a parlare e dirmi cose che ormai ho
imparato a memoria.
Cose che ogni volta fanno
male, anche se cerco di non farci caso, di scrollarmele di dosso.
Non ci riesco. Mai.
Hai l’aria sempre più
stanca, i capelli stanno iniziando a diventarti bianchi, hai messo su qualche
chilo, ma io ti considero ancora bella.
Mi piacciono ancora tanto
i tuoi occhi, così grandi e premurosi, gli stessi che tante volte mi hanno reso
nervosa per l’ansia che mi trasmettevano proprio quando non volevo nessuna
pressione addosso.
E le tue mani, che ogni
sera profumano di crema, le cerco ancora perché mi toccano nello stesso modo
gentile e sapiente di sempre.
Lo so che spesso parlo a
vanvera.
Ma, lasciatelo dire, lo
fai anche tu ogni tanto. Con meno astio nella voce e anche con meno forza, ma
lo fai.
Da chi credi che abbia
preso la bocca?
Ora, quando ci incrociamo
in corridoio, tutte e due la teniamo maledettamente chiusa.
Francamente, sembriamo
solo due stupide.
Preferirei che ce ne
urlassimo di tutti i colori e che poi facessimo subito la pace.
Non sono forte come te, io
non ce la faccio ad apparire così impassibile.
E anche tu, andiamo, non
far finta di essere perfettamente a tuo agio nel tuo ruolo di cattiva. Tanto lo
so che non lo sei.
Oggi ho aperto il cassetto
delle merendine e ci ho trovato le mie preferite, le hai comprate stamattina.
E anche io penso a te.
Tutte le notti sogno di
parlarti come facciamo di solito.
È uno strazio doverti
stare lontana, come è una tortura starti vicina.
Non ci guardiamo, e chi
alza gli occhi per prima viene istantaneamente fulminata dall’altra, è
ridicolo.
E la parola “scusa”? Ti dice niente? Scommetto di no.
Neanche a me.
È una parola tabù per noi,
l’orgoglio personificato.
E adesso come facciamo? Come
finirà stavolta?
Lo facciamo apposta e va
bene così nel nostro tacito, vecchio accordo: litighiamo, saltiamo il passaggio
della riconciliazione e torniamo a parlarci come se nulla fosse mai successo.
Non è esattamente…
ortodosso… e no, non è che ci vada proprio a genio… ma non vediamo alternative,
giusto? Sì, sicuramente questa è l’unica cosa su cui concorderemmo senza
esitare in questo momento.
Sono meglio di te in
questo: tu non riesci a prenderla con filosofia, tu ti accanisci, ti fossilizzi
in quell’unica espressione imbronciata che ormai riconoscerei anche da un
miglio di distanza.
Io almeno sorrido. Provo a
sorriderti. Così gli istanti che ci dividono mi sembrano meno difficili da
sopportare.
Siamo una di quelle coppie
destinate a durare per sempre, il nostro è amore vero.
Rassegnamoci.
Ma andrà meglio. Come ogni
volta.
Siamo entrambe un po’ sgangherate,
con il nostro bizzarro ingranaggio, non trovi? Solo noi lo sappiamo far
funzionare, e non senza sforzi!
Sarebbe da rottamare il
nostro stupido orgoglio.
Magari un giorno
impareremo sul serio a farne a meno.
***
Il titolo del racconto è tratto dalla canzone "Oh mother" di Christina Aguilera, no scopo di lucro.