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Autore: Y_ALE_Y    18/10/2010    6 recensioni
Saaaaaaaaaaalve a tutti! Questa è la mia seconda fanfiction, protagonista d'eccezione: Kyubi (Ho un debole per quella volpe sadica!)
Purtoppo ci saranno pochi accenni al NaruHina, ma non resterete delusi dal nostro demone dall'enneacoda! Buona lettura!
Genere: Avventura, Commedia | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Naruto prima serie
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Squillino le trombe! Questo è il primo capitolo della mia seconda fic, e credo che piacerà a tutti! La trama è liberamente ispirata a un libro, di cui non farò il nome, altrimenti rischio che voi tutti ve lo andiate a comprare e non seguiate più la mia storia!! Un ultima cosa: le poche volte che compariranno delle parentesi, saranno per dei pensieri o delle pillole di saggezza di un protagonista in particolare diretti a voi lettori. E ora senza ulteriore indugio, diamo il via a questa storia!

 

KYUBI – LA CONVOCAZIONE

 

La temperatura della stanza crollò vertiginosamente. Una patina di ghiaccio si formò sulle tende e incrostò le lampade del soffitto. I filamenti delle lampadine si smorzarono e la luce si affievolì, mentre le candele che spuntavano su ogni superficie disponibile come una colonia di funghi si estinsero all’istante. Nella stanza semibuia si levò una nube sulfurea, gialla e irrespirabile, dentro la quale si agitavano ombre nere e indistinte. In lontananza si udiva un coro di voci urlanti. La porta chiusa che affacciava sul pianerottolo fu sottoposta a una pressione improvvisa che la gonfiò verso l’interno e ne fece scricchiolare tutte le assi. Il pavimento fu attraversato da uno scalpiccio di piedi invisibili e dietro il letto e sotto la scrivania bocche incorporee sussurrarono parole sinistre.

Quindi la nuvola solforosa si compattò fino a formare una spessa colonna di fumo da cui proruppero spire sottili, che prima di ritirarsi lambirono l’aria come tante lingue. La colonna rimase sospesa sopra il pentacolo, ribollendo contro il soffitto come il fumo di un vulcano in eruzione. Per un momento quasi impercettibile non accadde nulla. Poi dentro al fumo si materializzarono due occhi rossi e penetranti.

Ehi, era la sua prima volta. Volevo mettergli un pò di strizza.

E ci riuscii. Il ragazzino dai capelli biondi era in piedi al centro di un pentacolo più piccolo, in cui erano scritte rune diverse, a u metro di distanza da quello principale. Di un pallore cadaverico, tremava come una foglia morta in balia della tramontana. I denti battevano come nacchere nelle mascelle tremolanti, perle di sudore gli colavano dalle sopracciglia trasformandosi in ghiaccio a contatto con l’aria e rimbalzando al suolo some chicchi di grandine.

Tutto bene, ma… e allora? Voglio dire, quello avrà avuto si e no dodici anni: occhi fuori dalle orbite, guance scavate dal terrore… che gusto c’è a far venire un colpo a un bambinetto pelle e ossa?

(Su questo punto non tutti concordano con me. Alcuni lo trovano un passatempo delizioso. Hanno raffinato infiniti metodi per terrorizzare con orrende apparizioni chi li convoca. Di solito il meglio che si può sperare è di fargli venire qualche incubo. A volte però questi trucchetti funzionano così bene che gli apprendisti si fanno prendere dal panico ed escono dal cerchio protettivo. In questo caso è una pacchia. Per noi. Ma anche così la faccenda non è priva di rischi. Spesso ricevono una buona istruzione, e da adulti si prendono le loro rivincite)

Così restai lì sospeso a mezz’aria, sperando che non ci mettesse troppo prima di arrivare alla formula del Congedo. Intanto per tenermi occupato, sprigionai qualche lingua di fuoco blu con cui esplorai i contorni interni del pentacolo, come se cercassi uno spiraglio attraverso cui scappar fuori per ghermirlo. Tutta scena ovviamente. Avevo già controllato: il cerchio era stato chiuso più che bene. E purtroppo non c’era neanche uno straccio di errore ortografico.

Finalmente il moccioso sembrò aver trovato il coraggio di parlare. O almeno interpretai così un fremito delle sue labbra che non sembrava più indotto soltanto da puro terrore. Lasciai perdere le fiamme blu e le rimpiazzai con un odore ripugnante.

Il ragazzino parlò con un filo di voce.

“Io ti ordino di… di…” E sbrigati! “…d-d-dirmi il t-tuo nome”

Di solito i più giovani iniziano sempre così. Inutili manfrine. Sia lui che io sapevamo che lo conosceva benissimo, il mio nome. Altrimenti come avrebbe potuto convocarmi? Bisogna conoscere le formule giuste, i segni giusti e soprattutto il nome giusto. Voglio dire, qui non stiamo parlando di un taxi: quando chiami non arriva il primo che capita.

Scelsi un tono di voce profondo, ricco, denso e scuro come la cioccolata, del tipo che risuona ovunque eppure in nessun luogo particolare, e fa rizzare i peli sulle nuche più inesperte.

“KYUBI!”

Nell’udire quella parola, il ragazzino ebbe un singulto strozzato. Bene. Allora non era del tutto sprovveduto: sapeva con chi ero e di cosa ero capace. Conosceva la mia reputazione. Dopo qualche sforzo per deglutire un accumulo di saliva, parlò di nuovo.

“T-ti ordino di rispondermi. Sei tu quel K-Kyubi che fu chiamato dai maghi per riparare le mura di Praga?”

Che razza di perditempo, questo bamboccio. E chi altri dovevo essere? Per rispondere a questa domanda decisi di alzare un po’ i decibel. Il ghiaccio attorno alle lampadine si incrinò come zucchero caramellato. Dietro le tende sporche il vetro della finestra fu percosso da un bagliore e scricchiolò sommessamente. Il ragazzino si ritrasse sui talloni.

“Sono Kyubi! Sono Sakhr al-Jinni, N’gorso il Possente, Volpe dalle nove code! Ho riedificato le mura di Uruk, di Karnak e di Praga. Ho parlato con Salomone.  Ho corso nelle praterie insieme ai padri dei bufali. Ho sorvegliato l’antico Zimbabwe fino a quando le pietre caddero e gli sciacalli banchettarono con le sue genti. Sono Kyubi! Non riconosco signore alcuno. E per questo ora sono io che ti ordino di parlare, ragazzo: chi sei tu per convocarmi?”

Bello pesante, eh? Ed è tutto vero, il che lo rende ancora più impressionante. Ma non era per darmi importanza. Speravo solo che il ragazzetto, intimidito, mi avrebbe rivelato il suo nome, il che mi avrebbe concesso un certo spazio di manovra alle sue spalle.

(Com’è ovvio, finché mi trovavo all’interno de cerchio il suo nome non mi sarebbe servito a nulle. Ma più tardi avrei potuto usarlo per raccogliere informazioni sul suo conto, per scoprire le fragilità del suo carattere, cose sul suo passato che avrei potuto sfruttare a mio vantaggio. Tutti loro hanno qualche punto debole. Tutti voi ne avete, farei meglio a dire) Ma lui non ci cascò.

“Per la morsa del cerchio, i ceppi del pentacolo e il vincolo delle rune, ora sono il tuo padrone. Obbedisci al mio volere!”

Sentire quella vecchia solfa pronunciata con vocina flebile da un simile pischello era più stomachevole del solito. Ricacciai giù la tentazione di dirgli un paio di cosette che pensavo di lui e intonai la solita formula di risposta. Prima finiva quello strazio e meglio era. “Qual è dunque il tuo volere?”

Però riconosco che ero un po’ sorpreso. Di solito gli apprendisti maghi si limitano a dare un’occhiata senza trovare il coraggio di chiedere nulla. Mettono alla prova il loro potenziale giusto per vedere cosa offre il menu, ma poi non osano ordinare. E soprattutto non accade tanto spesso che un simile sbarbato convochi un entità del mio livello.

Il ragazzo si schiarì la gola. Ecco il suo grande momento. Aveva faticato tanto, per arrivarci. Lo aveva sognato per anni, invece di stare sdraiato sul letto a fantasticare su macchine veloci e ragazze, come avrebbe dovuto. Attesi che formulasse la sua patetica richiesta. Che cosa poteva mai volere? In genere finivano tutti per chiedere la levitazione di un oggetto, oppure di spostarlo da una parte all’altra della stanza. Magari desiderava che evocassi per lui una visione. Ci sarebbe stato da divertirsi: avrei trovato di sicuro il modo di interpretare male la sua richiesta e fargli un scherzetto.

(Una volta un mago mi ordinò di mostrargli l’immagine dell’amore della sua vita. E io gli piazzai davanti uno specchio)

“Ti ordino di sottrarre l’Amuleto di Samarcanda dalla casa di Orochimaru e di riportarmelo domani all’alba, quando ti convocherò di nuovo”

“Mi ordini che?”

“Ti ordino di sottrarre…”

“Si, ho sentito” Non era mia intuizione essere petulante. Mi era sfuggito, e per un attimo era venuto meno anche il tono sepolcrale.

“Allora vai”

“Un momento” provai la solita sensazione di nausea che prende allo stomaco quando ti congedano, come se ti risucchiassero le budella da dietro la schiena. Lo devono dire tre volte per mandarti via, se ci tieni a restare. Di solito non ci tieni. Ma questa volta non mi mossi. I due occhi rimasero a dardeggiare in una cappa ribollente di fumo.

“Ti rendi conto di quello che mi stai chiedendo, ragazzo?”

“Non è mio desiderio conversare, discorrere o parlare; non è mia intenzione indulgere in enigmi, scommesse o giochi d’azzardo; non è mio…”

“L’ultima cosa che mi interessa è fare conversazione con un adolescente pelle e ossa, quindi risparmiami le tue formulette a pappagallo. Qualcuno si sta approfittando di te. Chi è, il tuo maestro, forse? Un vecchio codardo che si fa scudo di un ragazzo!” Frenai un po’ il fumo e per la prima volta gli mostra i miei contorni, fiocamente sospesi nell’ombra. “Mandare me a derubare un vero mago è come scherzare con il fuoco due volte. Dove ci troviamo, a Londra?”

Il ragazzo annuì. Già, era senza dubbio Londra. L’interno di una casupola di città. Diedi un’occhiata alla stanza annebbiata dal fumo artificiale. Soffitti bassi, carta da parata lacera. Alla parete, la stampa sbiadita di un desolato paesaggio olandese. Strana scelta, per un ragazzo: mi sarei aspettato qualche cantante pop, dei calciatori… I maghi di solito sono conformisti fin di piccoli.

“Ahimè!” assunsi un tono di riflessione malinconica. “Vivi in un mondo malvagio, e sei ancora così inesperto…”

“Non mi fai paura! Ti ho dato un ordine: vai ed esegui !”

Era il secondo Congedo. Mi sentii come se mi stessero passando con un compressore a vapore sulle budella. La mia forma vacillò e si affievolì. Sarà anche stato inesperto, ma quel bambino aveva forza.

“Non è di me che devi aver paura. Almeno per il momento. Ma quando Orochimaru scoprirà che gli è stato rubato l’Amuleto, verrà dritto da te. E non ti risparmierà in considerazione della tua tenera età”

“Devi piegarti al mio volere”

“Lo so” Bisognava rendergliene atto: era un tipo determinato. E anche molto stupido.

Mosse una mano, e lo sentii pronunciare la prima sillaba della Morsa Sistematica. Stava per farmi male. Andai senza perdere tempo con altri effetti speciali.

 

Quando atterrai sulla cima di un palo della luce nel crepuscolo londinese stava piovigginando. La mia solita fortuna. Avevo preso le sembianze di un merlo, un bell’esemplare con un vivace becco giallo e le piume nere come l’ebano. Nel giro di pochi istanti mi ritrovai fradicio come l’ultimo dei polli di Hampstead. Adocchiai un grande faggio dall’altra parte della strada:i venti di novembre l’avevano spogliato completamente, e un tappeto di foglie marciva ai suoi piedi, ma il fitto intrico di rami mi avrebbe offerto un po’ di riparo. Lo raggiunsi sorvolando un’auto solitaria che stava percorrendo la larga strada residenziale con un cupo brontolio. Dietro le alte mura di cinta e le fronde sempreverdi dei giardini, le brutte facciate di alcune grosse ville bianche baluginavano nel buio, simili a volti di cadaveri.

Beh, forse era il mio umore a farmele apparire così. C’erano cinque pensieri che non mi davano pace. Tanto per cominciare, incominciava già a tormentarmi il dolore sordo che accompagna ogni manifestazione fisica. Me lo sentivo nelle penne. Cambiare forma avrebbe tenuto l’indolenzimento alla larga per un po’, ma poteva anche attirare l’attenzione su di me in un momento delicato. Prima di aver valutato a fondo la situazione, merlo ero e merlo dovevo rimanere.

Il secondo cruccio era il tempo. E c’è poco da aggiungere.

Terzo, avevo scordato le limitazioni dei corpi materiali. C’era un punto appena sopra il becco che non la smetteva di prudere, e i miei sforzi di grattarmi con un’ala erano del tutto inutili.

Quarto, il ragazzino. Avevo parecchie domande su di lui: chi era? Perché desiderava tanto morire? Sarei riuscito a fargliela pagare per avermi assegnato un compito prima che tirasse le cuoia? Le notizie volavano, e avrei avuto i miei problemi quando si fosse saputo in giro per che razza di sgorbietto mi ero dovuto dar da fare.

Quinto… l’Amuleto. A quanto si diceva, era un oggetto magico molto potente. Che cosa volesse farci il ragazzino, per me era un mistero. Forse l’avrebbe semplicemente indossato come accessorio di moda. Forse rubare amuleti era l’ultima moda, la versione magica di sgraffignare copricerchioni. Comunque fosse, intanto dovevo prenderlo. E non era detto che sarebbe stato facile, neanche per uno come me…

Chiusi gli occhi di merlo e aprii quelli interiori, uno dopo l’altro uno per ogni livello.

(Io ho accesso a sette livelli, tutti coesistenti, sovrapposti come gli strati di un pezzo di Viennetta. Sette livelli sono più che sufficienti. Chi opera su un numero di livelli superiore è solo un megalomane.)

Mi guardai attentamente intorno, saltellando avanti e indietro sul ramo per godere di una visuale migliore. Nella via c’erano ben tre ville dotate di protezione magica, il che dimostrava quanto la zona fosse altolocata. Lasciai perdere le due più avanti sulla via, concentrandomi su quella dall’altra parte della strada, dietro il lampione. La residenza di Orochimaru, il mago.

Il primo livello era sgombro, ma sul secondo si vedeva qualche difesa: una sottilissima ragnatela blu che avvolgeva tutto il muro di cinta. E non finiva certo lì, ma proseguiva nell’aria, passava al di sopra della bassa casa bianca e scendeva dall’altra parte, formando una grande cupola scintillante.

Niente male, ma non mi avrebbe fermato.

Sul terzo e sul quarto livello non c’era nulla, invece sul quinto vidi tre sentinelle che si agitavano sospese a mezz’aria, appena sotto l’orlo delle mura del giardino. Erano galline, e ciascuna aveva tre zampe muscolose, che ruotavano su un perno di cartilagine. Al di sopra della cartilagine si trovava una massa informe dotata di due bocche e di numerosi occhi vigili. Le creature si muovevano a casaccio avanti e indietro lungo il perimetro del giardino. D’istinto mi schiacciai contro il tronco del faggio, anche se sapevo che li non potevano individuarmi. A quella distanza sembravo un merlo su tutti e sette i livelli. Quando mi sarei avvicinato, però, avrebbero potuto riconoscere il mio travestimento.

Il sesto livello era sgombro. Ma sul settimo… c’era qualcosa di strano. Non riuscivo a vedere niente di preciso (la casa, la strada, la notte, sembrava tutto normale) eppure, se volete chiamatela intuizione, ma ero sicuro che la fosse appostato qualcosa.

Strofinai pensieroso il becco contro un nodo della corteccia. Come mi aspettavo, erano all’opera parecchi incantesimi potenti. Avevo sentito parlare di Orochimaru. Era considerato un mago formidabile e un padrone esigente. Mi reputavo fortunato a non essere mai stato chiamato a servirlo, e non ero ansioso di inimicarmi lui o i suoi servi.

Ma dovevo ubbidire al ragazzino.

 

Il merlo, ormai fradicio, si staccò dal ramo e attraversò in volo la strada, badando ad evitare il cerchio di luce del lampione più vicino. Atterrò su una chiazza d’erba spelacchiata all’angolo del muro di cinta. Lì accanto erano stati lasciati quattro sacchi neri d’immondizia, in attesa del passaggio della nettezza urbana. Il merlo saltellò dietro ai sacchi. Un gatto, che aveva osservato l’uccello (Su due livelli. I gatti hanno questo potere) da una certa distanza, attese qualche istante che riemergesse, poi perse la pazienza e trotterellò a guardare cosa succedeva dietro i sacchi. Ma non ci trovò ne un merlo nero ne altri volatili. C’era solo un mucchietto di terra smossa di fresco da una talpa.

 

Ed è finito il primo capitolo di questa fic! Il povero Kyubi è stato convocato da un ragazzo biondo (ma chi sarà mai…) per rubare ad Orochimaru qualcosa: come andrà a finire? Lo scoprirete solo seguendo la storia!
  
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