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Autore: hikarufly    18/10/2010    4 recensioni
La Morte si avvicina al castello di Camelot... un gran ballo è stato indetto per accogliere una ospite illustre, un'amica d'infanzia di Uther Pendragon. Chissà che sorprese riserverà a tutta la corte!
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Seconda stagione
- Questa storia fa parte della serie 'Le cronache dei re di Caledonia'
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Una luce scintillante lo investì. Non sapeva da dove provenisse, ma era come se una forte musica, dolce e rassicurante, lo invitasse a iniziare a camminare in direzione della fonte di quella luce. Iniziò a muovere i primi passi, e notò che era comparsa una figura che prima non c’era. Una donna, dal viso piacevole, gli occhi grandi e un sorriso confortante, materno si stagliava contro il bagliore. Sembrava vestita di luce, e luce erano i suoi capelli. I suoi occhi si illuminarono e tese le braccia: lo invitava a raggiungerla. E lui voleva farlo. Aveva capito che doveva lasciare tutto alle spalle, che era giunto il momento. Non aveva più rimpianti…
Un forte terrore prese il giovane Merlino, che si svegliò di soprassalto. Non urlò, non proferì parola, e rimase disteso, stropicciandosi nelle coperte, con uno strano gelo nel cuore. Si alzò un po’ intirizzito, scombussolato, poiché oramai il sole era alto. In fondo, non era stato un incubo, anzi. Si era sentito così bene durante il sogno, eppure quando si era svegliato, aveva temuto che fosse un presagio funesto, come una visione premonitrice.
Non appena mise piede nello studiolo del suo mentore e medico di corte, Gaius, ricordò subito che giorno era: era il giorno in cui la Regina Bianca sarebbe giunta al castello. 
«Merlino, sbrigati, mangia in fretta e raggiungi il principe… ci sono troppe cose da fare e troppo poco tempo per farle!» esclamò il medico, tutto preso a risistemare alcuni volumi di antiche usanze straniere.
«Io non ho ancora compreso, Gaius… perchè Uther dovrebbe voler incontrare la sovrana di un regno lontanissimo nel quale nessuno di noi metterà mai piede?» disse il giovane, con la bocca piena della prelibata colazione appena offertagli. Gaius lo osservò, pensando che era ora che gli si insegnasse un po' di cose sulla diplomazia e sulla politica.
«La Regina Siara di Caledonia è una sovrana giusta e imparziale. Una visita da parte sua potrebbe essere una grande opportunità di instaurare rapporti commerciali molto fruttuosi e la garanzia di appoggio in caso di scontri con comuni nemici. È difficile che la Regina accetti un invito, ed è stata una vera sorpresa per re Uther e per tutti noi… sono dieci anni che le chiede di raggiungerlo per un solenne banchetto in suo onore. Non speravamo più che accettasse»
«In sostanza, vi siete ridotti all’ultimo minuto?» domandò Merlino, spazzolando le ultime cucchiaiate di colazione e alzandosi. Gaius gli lanciò un’altra delle sue occhiate rimproveranti, ma a pensarci bene…
«Effettivamente ci aspettavamo tutti un rifiuto. Alfrec il ciambellano è svenuto quando ha ricevuto la lettera con la quale la Regina accettava l’invito. Appena si è ripreso, è impazzito di gioia, ma ha messo tutti sotto pressione, persino me. Devo trovare il modo di procurargli più informazioni possibili sulle usanze di Caledonia, ma io ho solo un libro. Anzi, consegnaglielo, e sparisci!»
Merlino si vide scaraventare un librone vetusto del medico in pieno stomaco, e con un suono soffocato di sofferenza e il fiato mozzato, corse via.
Non riuscì a trovare un solo corridoio sgombro; era passata un’ora al massimo dall’alba, e già il castello era in subbuglio: ogni servo correva a perdifiato, portava cose, consegnava oggetti, parlottava, dava istruzioni… si sentì ancora più in ritardo, e un assistente del ciambellano gli strappò il libro di mano, nervoso, indicandogli la via meno trafficata per raggiungere le stanze del principe Artù. Appena le raggiunse, entrò senza fare un rumore, trovando il giovane erede al trono perfettamente vestito, ma in cerca di qualcos’altro da mettersi, in preda al panico.
«Quello stupido idiota ritardatario! Quando ho bisogno di lui non c’è mai!» borbottò iroso, per poi gridare «Merlino!» nel girarsi indietro. Il giovane mago sussultò impercettibilmente e fece un cenno di saluto con la mano, con un sorriso furbo stampato sul volto.
«Dove diavolo eri finito?» esclamò furioso Artù. Merlino aprì la bocca per replicare ma capì subito che qualsiasi cosa avesse detto, sarebbe stata la risposta sbagliata. Il principe ringhiò sommessamente. 
«Mio padre mi ha ordinato di fare bella figura, e ho già ricevuto un ammonimento da parte sua per il mio vestiario! È sparito e non si trova, per di più. Potrebbe fare almeno la sua parte, no? È stata una sua maledetta idea di chiamare quella Regina Bianca!» concluse, cercando di stipare a forza alcune delle sue vesti in un ampio cassettone.
«Ma esattamente, signore, perché la chiamano così?» domandò Merlino curioso, per niente incline a discutere di abiti come una ragazzina. Artù era parecchio nervoso, ma quel "signore" in mezzo alla frase gli fece dimenticare per un secondo che l'impudenza di non prestargli attenzione andava severamente punita.
«La regina di Caledonia si veste a lutto, di bianco, da quando suo marito è morto. Non hanno avuto figli, non hanno eredi e lei non si è mai risposata, anche se era giovane quando è rimasta vedova. Io so solo questo, ma non mi pare siano affari tuoi, Merlino! Ora, trovami qualcuno che ci capisca qualcosa di abbigliamento o ti posso giurare sulla mia corona che passerai ogni giorno della tua vita almeno due ore alla gogna» ordinò il principe, con un cipiglio che lasciava intendere che non stava assolutamente scherzando. Merlino schizzò via come il vento, in direzione delle stanze dell'unica ragazza di cui si fidasse ciecamente in fatto di cose da donne: Morgana. Prima aveva pensato a Gwen... ma lei era più adatta a decidere quali parti di corazza scegliere!
Bussò forte, ma non sentì risposta. Cercò di forzare la porta, e la aprì con facilità, dato che non era chiusa. Dentro, la giovane protetta del re era agli inizi dei suoi preparativi per il banchetto serale. Merlino era sconcertato dalla quantità di tempo che Morgana impiegava per prepararsi. Personalmente, la trovava bellissima tutti i giorni, senza sospettare che la sua vestizione fosse piuttosto lunga tutte le mattine.
«Buongiorno Merlino!» esclamò Ginevra, impegnata a pettinare i capelli corvini della sua padrona. Morgana si voltò in direzione del nuovo arrivato e sorrise gentilmente.
«Merlino... come mai qui? Artù non ti sta strapazzando un po' come è sua abitudine?» chiese la giovane protetta del re.
«Sono qui per suo conto, milady... dice di aver bisogno di una udienza con chi può vestirlo bene per l'ospite di stasera» spiegò il più diplomaticamente possibile Merlino. Morgana sembrò pensarci un po' su, per poi scambiare un'occhiata complice con Ginevra, che le sorrise di rimando.
Merlino non sapeva cosa fare sul momento, se dire qualcosa o sollecitare una risposta, ma fortunatamente le due ragazze uscirono dalla stanza in direzione delle camere di Artù. Il terzetto si fece avanti nel campo di battaglia che era diventata la stanza di Artù: alcune ancelle erano state chiamate dallo stizzito principe per rovistare ogni angolo dei suoi armadi, e le poverine non avevano trovato modo di sistemarli tutti fuori. Morgana le congedò con un ordine perentorio ma dolce e quelle si sentirono profondamente sollevate, tanto erano indaffarate per tutt'altra cosa.
«Dovresti calmarti, Artù... l'ansia ti fa spuntare foruncoli su tutto il viso» disse Morgana, con un sorrisetto di scherno. Il rossore di rabbia sulle guance del principe si fece più intenso, e alzò il dito in segno di ammonimento, ma prima che potesse proferire parola, la ragazza continuò:
«Dato che sono impegnata come tutti qui al castello, vediamo di sbrigarci... hai bisogno di aiuto?»
Artù, suo malgrado, fece tornare il braccio lungo il busto e sbuffò.
«Mio padre se l'è presa con i miei vestiti. Devi trovarmi qualcosa che non mi faccia sfigurare o mi darà il tormento» spiegò.
Ginevra, prontamente, prese a rovistare tra la pila di vesti, una più sfarzosa dell'altra. Alcune erano più semplici, più scure, altre più chiare, alcune assolutamente ridicole. Morgana le osservava con occhio critico, facendo cenno alla sua ancella di scartarne alcune e tenerne altre. Artù e Merlino osservavano la scena come due scienziati che studiano il comportamento di una specie misteriosa. Finalmente, le due donne trovarono alcuni completi di buona foggia, abbastanza sobri, non eccessivi, ma che mostravano lo status di erede al trono.
«Ora però dovremmo vedere come ti stanno, Artù» spiegò Morgana, guardandolo come lo spogliasse con gli occhi. Artù aggrottò la fronte.
«Non ho tempo! Devo istruire le guardie, fare il giro di ronda, e tutto il resto! Non ho intenzione di cambiarmi fino a stasera. Anzi, sono già in ritardo, per colpa di Merlino!» esclamò infine. La protetta del re voltò lo sguardo verso il suo servo con una strana luce negli occhi. Artù, spazientito, se ne andò biascicando un saluto, e Merlino si sentì particolarmente a disagio.
«D'accordo, Merlino, spogliati!» ordinò Morgana divertita. Merlino sgranò gli occhi e prese a scuotere la testa imbarazzato e a balbettare qualcosa.
«Avanti, qualcuno deve vedere se ci sono dei problemi con queste vesti» spiegò lei.
«Perdonatemi, m-milady ma io non... non ho la corporatura del principe, non... non potrei esservi d'aiuto!» si difese il giovane mago.
«Poco importa, so che queste vesti calzano a pennello su Artù. Ci servi solo come... appendi abiti!» ribatté la protetta del re.
Merlino inghiottì a vuoto. Ebbene, non poteva sottrarsi oltre. Prese a sfilarsi la casacca, mentre Gwen avvampava e Morgana prendeva a ridacchiare con le guance appena tinte di rosa. Lui si fermò a osservarle, perplesso, con la veste che gli faceva da manicotto.
«C'è il paravento, Merlino» spiegò imbarazzatissima Gwen.
Merlino non se lo fece ripetere, e schizzò dietro al massiccio legno d'ebano intagliato.
 
Una calma carica di tensione si era impossessata del castello di Camelot e del piccolo villaggio che lo abbracciava. Tutti, dal re all’ultimo dei servi, dal capo villaggio all’ultimo dei bambini di strada era in attesa di un arrivo molto desiderato e dal quale non si sapeva cosa aspettarsi. La regina di Caledonia era famosa per essere un’ospite particolare, dai gusti non troppo pretenziosi ma che esigeva che ogni sua istruzione, mai eccessiva, venisse eseguita alla lettera. Accettava sempre con criteri misteriosi a quale regnante concedere la propria presenza: a volte al primo invito era subito presente, a volte passavano molti anni prima che accettasse, come era successo per Camelot, oppure rifiutava perentoriamente finché il padrone di casa non lasciava il posto al proprio erede. Era una donna di bell’aspetto, in forma, che non aveva mai conosciuto particolari malattie, dolori e che non aveva mai avuto figli, cosa che le aveva donato un fisico longilineo che per molte della sua età era solo un blando ricordo. Non si era mai risposata, secondo alcuni per devozione, altri perché non aveva mai amato davvero nessun uomo. O nessuna donna.
L’intera corte era appollaiata alla scalinata che dava all’ingresso interno al cortile del castello, Uther in prima fila sullo scalino più basso, con il figlio e la figliastra al suo fianco, Alfrec e i suoi assistenti in fila pronti a scattare, Gwen, Merlino e Gaius alle loro spalle e via via altri nobili con i propri servi e i cavalieri di Camelot a circondarli, per protezione. Gli occhi del sovrano erano puntati sul massiccio ingresso, oltre il ponte levatoio abbassato. Da quella posizione era possibile scorgere la strada che veniva dal villaggio, e come un puntino, Uther e la sua corte videro giungere un piccolo drappello. Era lei, il suo corteo.
Una musica accompagnava il gruppo, un misto di tamburi da esercito e strumenti a fiato, suonata da giovani paggi di corte. A mano a mano che si avvicinavano, i sudditi poterono vedere finalmente la regina di Caledonia: era abbigliata di una veste bianca, dalla gonna lunga e dal tessuto fluido, un busto ricamato e impreziosito in maniera sottile e raffinata da fili color avorio. Sulle spalle e nelle braccia portava un singolare drappo che le faceva da cappuccio e direttamente sul viso aveva come un leggero velo che le celava appena il viso dai lineamenti flessuosi e gli occhi sottili, il tutto sormontato da una corona sottile e leggera d’argento. Sedeva su di un purosangue di un nero cupo, enorme e mostruoso rispetto alla sua padrona, che era circondata dai musicanti e da qualche servo, e seguita da alcuni nobili a cavallo di stalloni color della neve.
Il drappello giunse di fronte al regnante di Camelot, mentre i musicanti riducevano la musica a un lento digredire verso il silenzio. I servi della regina si fecero spazio tra i suonatori, che si disposero da parte in uno schema perfetto, e l’aiutarono a scendere dall’enorme cavallo nero. 
Il silenzio caricava l’aria di tensione, come se fosse attraversata da una tempesta di fulmini e nessuno osasse muoversi per paura di essere distrutto. Uther si mosse, però, non appena la regina fu a pochi passi da lui. Stettero uno di fronte all’altro per qualche secondo, poi lei gli porse la destra. Lui, dopo una piccola esitazione, la prese con la sua, si inginocchiò chinando il capo e baciandole la mano. Solo quando Uther ebbe fatto un passo indietro, anche la Regina bianca si inchinò. Merlino notò che Alfrec era particolarmente sollevato che questo saluto fosse andato alla perfezione e impallidì quando i due sovrani si abbracciarono forte, come fratello e sorella.
«Iniziavo a pensare che non valesse la pena per Voi visitare un vecchio amico» disse Uther, allontanandosi da lei, che sotto il velo sorrideva.
«Non è l’affetto che mi spinge a muovermi, Uther Pendragon» replicò quella in tono calmo ma diretto. Uther chinò leggermente il capo, in segno di rispettosa riservatezza, senza chiedere altro.
Alfrec scattò subito, e i suoi assistenti scortarono tutti i servi della corte, compresi Merlino, Gwen e Gaius, di fronte a i musicanti, in una lunga linea, uno di fianco all’altro. La Regina Bianca si allontanò dal Re di Camelot e camminò di fronte alla riga di servi, osservandoli uno dopo l’altro con una specie di sguardo avido. Teneva le lunghe dita sul mento ammantato di tulle, sotto il quale traspariva un leggero sorriso.
«Gaius… sono passati molti anni da quando vi conobbi, eppure sembrate sempre lo stesso» disse la regina, a pochi passi da lui, fermandosi. Gaius chinò il capo senza rispondere.
«So che avete un nuovo apprendista, qual è il suo nome?» domandò, come se non ci fosse nessun altro a parte loro due.
«Merlino, mia signora» replicò il medico.
La regina si avvicinò al ragazzo, senza apparentemente esitazione, e si fermò di fronte a lui, senza che nessuno glielo indicasse.
«Vieni, ragazzo» ordinò lei, prendendo a camminare, senza aspettarlo. Non aveva dato quell’istruzione con sprezzo o con cattiveria, ma sinceramente con molta autorità. Merlino partì goffamente e la seguì, mentre il suo corteo le faceva da coda, ricominciando a suonare.
 
Merlino si sentiva molto sotto pressione. Gaius gli aveva spiegato che la Regina Bianca sceglieva sempre un servo della corte che la ospitava, che fosse giovane o vecchio, uomo o donna non importava, che svolgesse un rituale di immensa importanza. Era dovere del padrone di casa istruire tutti i suoi servi affinché conoscessero i loro compiti per filo e per segno, in modo che la Regina potesse decidere liberamente un qualsiasi servitore, perché sarebbero stati tutti in grado di fare ciò che veniva chiesto loro. Eppure, nonostante Merlino avesse del tutto compreso ciò che doveva fare, era particolarmente impaziente di concludere il suo compito e andarsene. 
La Regina Bianca era indubbiamente molto bella, i segni del tempo sembravano aver acuito la perfezione dei suoi lineamenti, ma enormemente inasprito i suoi occhi con un velo molto simile a quello che effettivamente portava. Sembrava aver posto un ostacolo tra sé stessa e il mondo, e guardare tutti come se non potesse raggiungerli. Merlino, mentre la inseguiva, notò che la donna dardeggiava l’aria come se cercasse di controllare che tutto fosse pronto, e non di sicuro per il banchetto. Sembrava che la Regina sapesse perfettamente dove doveva recarsi, senza che nessuno dovesse spiegarglielo. Re Uther, il principe Artù, lady Morgana e tutta la corte e i servi avevano seguito una strada diversa per raggiungere il salone dei banchetti, mentre la Regina Bianca, il suo corteo e il giovane stregone Merlino stavano percorrendo un corridoio parallelo, ed infine, quando gli abitanti di Camelot si erano già accomodati, Siara di Caledonia fece il suo ingresso, aprendo ella stessa le porte, che cedettero subito al suo tocco pieno di forza.
Alfrec il ciambellano si trattenne a stento dal far correre i suoi collaboratori a rimettere tutto in sesto, fermarla e aprirle la porta. Sapeva perfettamente che la Regina Bianca non ammetteva i soliti polverosi rituali ai quali lui era invece così affezionato ed avvezzo. 
Il tavolo presso i quali erano sistemati i commensali erano a ferro di cavallo, al centro del quale c’era tutto lo spazio per danzare, cosa che la Regina pretendeva. Al centro esatto del ferro stava un piccolo trono mobile, rivolto verso il re. Siara di Caledonia si diresse proprio verso quello scranno e vi ci sedette, con fierezza regale. Merlino, sentendosi molti occhi addosso, soprattutto quelli di Artù, il quale sarebbe stato ritenuto responsabile se proprio quell’incapace del suo servo avesse combinato un guaio, si avvicinò nervosamente, e si pose di fronte a lei. Ebbe la strana sensazione di esserle superiore, di essere più potente di lei, e di poterla sconfiggere con la sua mente. Sensazione che passò presto quando Siara lo guardò intensamente, e il ragazzo iniziò a sudare freddo. Un piccolo paggio vestito di bianco si mise alla destra di Merlino, e dopo che quest’ultimo ebbe deglutito a vuoto, il rituale iniziò.
 
Merlino allungò le mani e sfilò alla regina la corona dorata dalla testa, porgendola al piccolo paggio. Abbassò il cappuccio di Siara e ne rivelò il capo, celato da quel velo bianco sottile come l’aria, e con delicatezza iniziò a toglierlo, prima dalla base del collo dove era stato fermato, fino alla sommità del suo capo, facendo emergere i capelli nero pece della regina. Fece un passo indietro, e gli sembrò che quella donna non fosse umana. Aveva uno sguardo molto strano, come se non conoscesse niente del mondo, e il capo disadorno la faceva somigliare a una bambina indifesa. Merlino le diede le spalle e consegnò il velo ad Artù, cioè all’erede al trono, e tornò dalla Regina bianca. Le tirò su il cappuccio e riassicurò la corona sulla sua testa, e poi si congedò con un repentino inchino, sparendo con uno scatto. Siara, con un sorriso soddisfatto, scese dal trono, mentre il suo paggio faceva cenno a tre colleghi di aiutarlo a togliere quella seggiola di torno. 
Siara allungò un braccio in direzione del tavolo dei regnanti, in richiesta di un primo ballo. Artù era ancora in piedi, e il padre gli fece cenno di muoversi. No, non era il padrone di casa a dover aprire le danze, mai. Le vecchie generazioni erano polverose, mentre le nuove dovevano farsi avanti con eleganza e cavalleria, cioè danzando. Queste erano le regole.
I musicanti imbracciarono gli strumenti e diedero loro fiato, li pizzicarono o li percossero, e Artù prese la mano della regina. La festa era iniziata.
 
Passarono alcune ore prima che Siara fosse soddisfatta delle doti di ballerino di Artù. Il ragazzo si aspettava che una donna poco più giovane di suo padre avesse una resistenza molto minore di quella che aveva dimostrato. Il principe Artù era un cavaliere, era stato addestrato a essere una macchina da guerra sin da quando era diventato grande abbastanza per stare in piedi con una spada in mano. Il giorno precedente al banchetto, Artù era stato istruito dal ciambellano Alfrec per sei ore consecutive (in seguito ricordò quel pomeriggio come uno degli addestramenti più duri) nella pratica della danza, e la cosa si era rivelata ben più ardua del battere un esercito. Erano, quelli, tempi in cui la danza era un rituale, un insieme di mosse studiate, in cui coloro che ballavano erano i piccoli tasselli di un mosaico perfetto, per il quale si richiedeva precisione al millimetro e al millisecondo. Era complesso rimanere concentrati senza avere una vera e propria esperienza, e trovandosi a fronteggiare non solo altri membri della corte quando il ballo richiedeva più di due persone, ma anche una regina che faceva quell’esercizio da tutta una vita, e usava quel momento per conversare con chi più gli aggradava, Artù si sentì fortemente fuori posto. Il ballo era un attimo perfetto per le confidenze: nessuno poteva sentire, erano tutti troppo concentrati a guardare i corpi muoversi che non a sentire le parole. La conversazione di Artù, proprio per la complessità delle mosse, fu piuttosto monotona e limitata a dei vaghi mugolii di assenso, diniego o espressioni neutre e intercalari. Finalmente, Siara si fermò e si inchinò ad Artù, il quale si mosse quasi subito e con passo sostenuto verso un po’ della lauta cena che aspettava dalla prima nota dei musici. Anche lei si mosse verso il tavolo, nel posto d’onore accanto al padrone di casa, posto che solitamente era riservato a Morgana, che si era dovuta accontentare di stare lontana da Uther, ma accanto ad Artù.
Merlino e gli altri servi rimasero ai lati della sala, come sempre, ma qualcosa di diverso c’era. Il giovane stregone ne fu estremamente felice: era stato imbandito un tavolo anche per loro, e potevano mangiare tutto ciò che volevano, purché non si mischiassero ai nobili. Purtroppo, Siara non si era mai azzardata a rompere quei tabù, rammarico che la infastidiva spesso.
La Regina Bianca mangiava come un uccellino, in piccole quantità e con molta grazia. Uther, che si era rifocillato mentre lei danzava, era più che altro concentrato sul vino.
«Sono lieto abbiate accettato il mio invito. È molto tempo che non si tengono dei banchetti qui a Camelot» esordì lui, con noncuranza.
«Era giunto il momento, Uther, amico mio. Iniziavo a sentire la mancanza del vostro tono pieno di fascino nell’elogiare gli ospiti…» replicò lei, senza guardarlo. Lui rise un poco, divertito.
«Non smetterete mai di prendermi in giro, non è così?»
«Al contrario… non potrei essere più seria. Avete sempre avuto questo tono sornione quando facevate dei complimenti a qualcuno, sin da ragazzino» spiegò lei, seria «vi ho sempre molto invidiato… però mi è stato detto che siete diventato molto più burbero, con gli anni» aggiunse, mentre le labbra le si arricciavano.
Uther non rispose, imbarazzato, e svuotò ancora una volta il suo calice.
«Elusivo, come da ragazzo…» osservò lei.
«E voi siete ancora avvezza alle scomode verità, vedo» replicò quello, osservandola con occhi malinconici.
«Vi mancano quei tempi, forse?» domandò Siara, mangiando un piccolo boccone di cacciagione.
«Chi non vorrebbe tornare giovane?» ribatté Uther, cercando di capire dove volesse arrivare.
Dopo qualche istante di silenzio, accantonò le posate.
«A quanto pare non vi ritenete più giovane come una volta, ma credete di poter ancora danzare?» buttò lì come una sfida, senza guardarlo, per poi, a frase conclusa, lanciargli uno sguardo penetrante.
Era molto tempo che Uther non si sentiva così a disagio. Annuì con un cenno autoritario della testa, un po’ impacciato, e si alzò per precederla, porgendole il braccio.
L’orchestra concluse il suo pezzo, e i commensali ammutolirono nel vedere Uther sulla pista, mentre, ad un cenno della mano della Regina Bianca, iniziarono a suonare un antico valzer. Nessuno ebbe il coraggio di mettersi a ballare la Volta con il sovrano: molte donne della corte erano consce che aveva certamente la forza per sollevarle da terra come voleva la danza, ma non erano sicure di essere stimate dal re tanto da tornare con i piedi sul pavimento senza danni. Nessun conte, poi, se la sentiva di essere messo di fronte alla Regina Bianca, che li aveva molto impressionati e debilitati con le danze precedenti.
Uther e Siara batterono le mani una volta, di fianco alle loro teste, girarono su sé stessi, e iniziarono a danzare. Il re era decisamente fuori allenamento, ma se la cavava meglio di quanto egli stesso sperasse. Siara, ovviamente, colse l’occasione per parlargli senza che le orecchie di Artù o di Morgana potessero sentire. Non sapeva che Merlino, dopo il suo sogno misterioso, era molto più attento del solito…
«È dal vostro matrimonio, in effetti, che non ci vediamo, sire… mi dispiace per ciò che è accaduto a vostra moglie» disse, un po’ distaccata ma apparentemente rattristata. Uther replicò con uno sguardo grave.
«In ogni caso, potete dire di aver potuto godere dell’affetto e della compagnia di vostro figlio… erano molti anni che non vedevo un così aitante erede al trono. Sembra anche molto nobile di spirito» continuò lei, senza fermarsi.
«Somiglia molto a sua madre» riuscì a dire Uther, con tono orgoglioso.
«Vi sottovalutate, Uther. Eravate molto valoroso e gentile anche voi, da giovane» replicò lei.
Dopo un poco di silenzio, senza che la musica o loro si fermassero, Siara parve pronta a discorsi più seri.
«Perché mi avete invitata, Uther? Nostalgia?» domandò seria, con una punta di ironia nell’ultima parola.
«Il ciambellano ritiene ormai da anni che sia opportuno invitare a corte altri sovrani, per trattati di pace e per accordi commerciali. Mancavate solo voi. Mi chiedevo soltanto perché tanta riluttanza» rispose lui.
«E perciò non vi chiedete perché abbia accettato il vostro invito proprio ora?» continuò lei, con uno sguardo vagamente etereo.
«Dite voi stessa che è giunto il momento» ribatté Uther, un po’ sulla difensiva, senza capire.
«Sì, Uther. È giunto il momento. Perché io sono la Morte» disse lei, e al sovrano sembrò che quella voce non fosse la sua.
 
Uther perse per qualche istante la cognizione del tempo e dello spazio. Credette di sentir cedere le ginocchia, ma fu solo un'impressione. Era in piedi, continuava a muoversi, anzi, sollevò Siara, e la riapoggiò a terra, i piedi della regina leggeri come aria sul pavimento, entrambi ancora intrappolati nella danza.
«Non scherzate, Siara» disse, anche se non credeva che fosse un bugia.
Lei fece silenzio, e quando la musica stranamente cambiò, il suo viso si fece bellissimo ed insieme terribile, gli occhi taglienti e la pelle più chiara.
«Sono io la Morte, e porto corona. Io son di tutti voi signora e padrona; e così sono crudele, così forte sono e dura che non mi fermeranno le tue mura» recitò quasi cantando, mentre Uther sbiancava. Era una vecchia canzone che cantavano da bambini. Si divertivano a sconvolgere i figli dei feudatari, della stessa età ma di una casta minore, spaventandoli.
Voleva dirle di smettere con quelle sciocchezze, ma una strana sensazione gli diceva di tacere. O gli impediva di parlare.
«Sono io la morte e porto corona. Io son di tutti voi signora e padrona; e davanti alla mia falce il capo tu dovrai chinare, e dell'oscura morte al passo andare»
Rimasero in silenzio per un po', senza mai smettere di ballare, e gli invitati parvero non sentire nulla. Solo uno di loro, colui il quale segreto, se svelato, gli avrebbe procurato una decapitazione in pubblica piazza, aveva orecchio attento.
Merlino inizialmente pensò che fosse una conversazione in un codice misterioso dell'infanzia del re, ma il viso di Uther non lo convinceva. Lanciò un'occhiata al principe Artù, che sembrava troppo impegnato a farsi elogiare da varie dame di corte sotto gli sguardi un po' delusi e un po' infuriati di Morgana e Gwen. Così, il giovane stregone restò in ascolto...
Siara e Uther sapevano quasi di non potersi fermare. Il re, finalmente, sembrò riuscire a parlare, ma la sua fu una replica debole.
«Siara... è solo una vecchia filastrocca...» 
Lei mantenne quegli occhi, così snaturati nei suoi tratti gentili, ma che la rendeva così ammaliante eppure così terrificante.
«Mi dispiace, Uther. Credevo che una persona così cara al vostro cuore, come me, potesse esservi d'aiuto, di conforto. Per molti anni non ho accettato il vostro invito perché la vostra ora non era giunta. Ma è venuto il momento di lasciare queste lande e raggiungere la terra oltre il velo» replicò la sua Morte, seria e in qualche modo malinconica.
Avrebbe voluto dirle che era follia, che non poteva essere vero e che era una sciocchezza: ma il suo tono, i suoi gesti, i suoi occhi gli dicevano che non stava mentendo.
«Voi siete Siara, colei che conosco... non potete essere... perché ora, perché adesso?» continuò lui, mentre la scena intorno a loro si faceva più scura, indefinita e inchiostrata di fumo. Si ritrovarono nel cortile interno del castello, lontano dagli occhi della sala dei banchetti, l'aria illuminata da poche lanterne e dalla luna.
Uther era in piedi, e camminava avanti e indietro senza rendersene conto. Siara era seduta su una panchina di pietra rozzamente abbozzata con motivi celti, e lo guardava con comprensione, dolcezza, e il suo abito bianco risplendeva nell'oscurità, mentre permaneva quella strana forza o spirito nei suoi occhi.
«Non si sono accorti di nulla. Abbiamo concluso la danza e nella confusione siamo usciti. Vostro figlio sta ballano con lady Morgana e tutti sono felici. Non è questo che importa?» spiegò lei.
Uther si voltò verso di lei, fermandosi di colpo.
«Rispondetemi! Perché ora?» ruggì.
«Voi non mi credete. Perché dovrei rispondervi?» replicò la Morte, con un pizzico di rimprovero.
Uther fece una piccola pausa prima di parlare ancora.
«Ci conosciamo da quando eravamo bambini... parlavamo delle superstizioni sulla Morte... eravate sempre d'accordo con me quando parlavamo di come avremmo lasciato i nostri corpi e questa vita. Non posso credere a ciò che mi avete confessato»
Lei lanciò un'occhiata veloce a terra per poi tornare a fissarlo.
«Siete sempre stato troppo attaccato a ciò che potevate toccare con mano, a ciò che la ragione vi diceva. Forse se Igraine fosse sopravvissuta, sareste stato un uomo diverso. L'affetto di vostro figlio non vi ha aiutato a comprendere che c'è sempre qualcosa oltre a ciò che si vede con gli occhi. Io sono la vostra amica d'infanzia, lo sono, ma sono anche la vostra Morte. Sono colei che vi strappò una promessa, quando eravamo bambini, che solo noi conoscevamo. Ve lo ricordate?»
 
La mente di Uther tornò improvvisamente a quel momento. Sorrise, suo malgrado, con nostalgia. Gli sembrò di vedere le ombre del passato, e forse c'erano davvero: due bambini, uno piuttosto grande per la sua età, con gli occhi chiari e i capelli cortissimi, con una tunica semplice da soldato in miniatura, e una piccola coetanea con la chioma color pece che le incorniciava il viso coperto dalle mani, e una camicia da notte color avorio. Erano in una stanzetta, quella di lui, dato l'arredamento spartano e scuro. Lui era scattato in piedi non appena lei era entrata, e l'aveva condotta a sedersi sul letto ora vuoto. 
«Siara?» chiese lui, con una vocetta squillante ma sussurrata. Lei piangeva sommessamente, scuotendo il capo e coprendosi la faccia.
«Siara! Calmatevi!» continuò il bambino, brusco, ma in fondo preoccupato, perché era sempre stata così forte, e vederla piangere... Suonava troppo formale quel voi, però. Allora soggiunse «sei qui con me. Che succede?»
Lei singhiozzò un secondo e poi scoprì il viso, solcato da piccoli rivoli di lacrime simili a rugiada.
«Ho fatto un terribile incubo, Uther! E sembrava così vero che non posso credere che non lo sia!» esclamò lei, con una vocetta ancora più acuta di quella dell'altro bambino.
«Che incubo?» incalzò lui, curioso.
«Ho sognato che ero diventata vecchia e avvizzita e vivevo in una baracca in mezzo al bosco. E tu eri diventato un grande re ma eri crudele e un giorno, vicino alla mia casa, tu venivi ucciso brutalmente e io non ho potuto salvarti! È stato orribile!» spiegò lei, trafelata, coprendosi ancora il viso. Uther la costrinse a guardarlo, prendendole i polsi con forza e con una specie di espressione risoluta, le disse:
«Era solo un incubo. Tu non finirai in una baracca ma sarai una grande regina e io non diventerò affatto crudele. E se sarà possibile, tu mi salverai. Capito?» concluse, annuendo lui stesso con un leggero cenno del capo.
Lei tirò su con il naso e fece sì con la testa, mentre lui la lasciava andare e lei si rimetteva in piedi a pochi passi da lui, per poi prendere la via verso la porta.
«Uther?» domandò lei bisbigliando, fermandosi e voltandosi prima di uscire.
«Mmm» borbottò lui, che voleva solo tornare a dormire, ora che lei stava bene.
«Mi prometti che se avrò un altro incubo verrai a dirmi che non era vero?» chiese. Lui sorrise beffardo, ma anche un po' addolcito.
«D'accordo. Ma non dire a nessuno che non ci diamo del voi quando siamo soli» aggiunse, cancellando quell'espressione gioiosa e montandone su una aggrottata, senza guardarla. Le labbra di lei si aprirono in un'espressione che la illuminò tutta, e corse ad abbracciarlo. Lui buttò gli occhi al cielo e fu grato del fatto che si staccò in fretta.
«Grazie!» esclamò infine lei, correndo via. 
 
Le figure dei due bambini e la camera svanirono, e furono di nuovo lì, l'uno di fronte all'altra, invecchiati e incupiti dalle cose orribili del mondo. 
«Ma non manteneste la promessa. Non ci foste quando feci altri incubi. Qualcuno prese il vostro posto, così come Igraine prese il mio. Ne fui molto felice, davvero. Finché feci l'ultimo e il più spaventoso dei miei sogni, e l'uomo che amavo morì» spiegò lei.
La sua voce era sia umana che ultraterrena, e Uther abbassò la testa, in segno di rispetto.
«Fu allora che mi venne affidato questo compito. Ho accompagnato molti dei nostri amici verso la nuova vita»
Uther alzò il volto e la guardò con timore e con sorpresa e con ira.
«Tu hai ucciso i nostri compagni?» domandò il re.
Lei scosse il capo con vigore.
«Non sono io a decidere chi vive o chi muore» ribatté, risentita e orgogliosa.
«E chi sarebbe, allora?» incalzò lui, sempre più furioso.
«Non mi aspetto che tu capisca. Lo so e basta» rispose la Morte, con un'occhiata che lo fece rabbrividire, e lo impose al silenzio per qualche secondo.
Sospirò profondamente, mentre il senso di ciò che stava succedendo e la verità della sua amica gli piombava addosso. Stranamente, era stanco e rassegnato più di sempre. Si sedette pesantemente accanto a lei, tenendosi la testa tra le mani, i gomiti sulle ginocchia.
«Non posso lasciare mio figlio solo» fu il suo primo pensiero, ad alta voce.
La Morte gli posò una mano piccola sulla spalla possente, esattamente come tanti anni prima.
«Non è solo... ha un amico fedele al suo fianco e un futuro meraviglioso» lo rassicurò.
«Di chi parli?» chiese lui aggrottando le sopracciglia e fissandola, raddrizzandosi.
«Di Merlino, uno dei più grandi stregoni della storia» rispose la Morte, mentre il giovane servo del principe venne catapultato a pochi passi da loro, dietro una colonna, senza che nessuno dei due regnanti se ne accorgesse.
 
Merlino si sentì un secondo spaesato, ma tese l'orecchio per ascoltare. Non poteva perdersi una parola, dato che era appena stato nominato dalla Morte.
«Uno stregone? Alla mia corte? Alle dipendenze di mio figlio?» esclamò subito Uther, iroso, riprendendo a camminare avanti e indietro, scuotendo la testa nervosamente.
«Non ti ricordi di lui?» domandò la Morte, restando calma, mentre una leggera brezza notturna gelava le ossa a entrambi i regnanti. Uther ci pensò un po' su, e la figura di quel ragazzo magro e pallido gli venne subito in mente.
«Certo che mi ricordo di lui. È anche l'assistente di Gaius, il medico di corte. Devo immediatamente farlo arrestare! È una minaccia per tutti noi!» continuò, mentre cercava di ricordare quando aveva manifestato cattive intenzioni, senza riuscirci. La Morte sospirò.
«Uther, amico mio, hai il cuore ancora così gonfio di rabbia da renderti così cieco?» domandò, alzando una mano come a voler prendere quella di lui o semplicemente per porgergliela. Il re di Camelot si fermò di scatto, guardandola con sconcerto.
«Rabbia? Rabbia, dici? Io so solo che gli stregoni non portano altro che morte, perdita, distruzione e caos» replicò orgoglioso. Lei scosse il capo.
«Forse Nimueh era così. E tu non puoi perdonarti di averle creduto e di aver perso la donna che amavi. Ma non tutti gli stregoni vogliono il male. Come ricordi, anche Gaius un tempo usava la magia, e solo per il bene»
Uther sembrò sentire quelle parole, a differenza di quando queste opinioni tentava di non ascoltarle. Ma non voleva farsi abbindolare così facilmente. Aveva perso troppo e non poteva cedere ancora a una debolezza e...
«Il potere può cambiare il cuore di un uomo» sentenziò, grave.
«Sembra che il potere abbia condizionato il tuo» replicò lei, seria. 
Uther si fece minaccioso, e si avvicinò a lei, sovrastandola come un enorme assassino.
«Chi sei tu per parlarmi così? Dove eri tu quando mia moglie è morta? Dove eri quando la magia cercava di prendere il mio regno?» 
La Morte subì le accuse chiudendo gli occhi, per poi riaprirli quando lui ebbe finito.
«Sono tua amica. Lo sono sempre stata. Mi dispiace di non essere stata qui, perché anche io avevo bisogno di conforto. Se fossi stata qui, forse le cose sarebbero state diverse... tu sei forse stato più forte, più giusto uccidendo qualsiasi persona che usasse la magia, che fosse uomo, donna o bambino? Sei stato veramente migliore di loro?» concluse, trapassandolo con lo sguardo.
«Ho fatto ciò che era necessario» si giustificò, dopo una piccola pausa, con la voce meno sicura del solito.
«Ti sei trasformato nel re crudele di cui avevo sognato. L'odio porta solo odio, Uther» continuò lei.
Uther ammutolì e si sedette accanto a lei. Si appoggiò sulle ginocchia con gli avambracci e senza guardala, riprese a parlare, più rassegnato.
«Tu credi davvero che quel ragazzo lo aiuterà?» domandò, incerto.
«Non lo credo. Io lo so. Forse non mi credi più?» ribatté la Morte, con un sorriso quasi materno.
Il re di Camelot tornò in silenzio per un poco. Merlino, dietro al suo nascondiglio, si lasciò scivolare un poco, contento che non si parlasse più di lui.
«Com'è l'aldilà, Siara?» chiese, con voce più tranquilla, non rassegnata.
«Dimmi tu come credi che sia. Come ti piacerebbe che fosse» specificò lei. Uther, suo malgrado, arricciò le labbra.
«Non abbiamo più sette anni» replicò il re.
«Ciò non vuol dire che non possiamo più sognare, non credi?» rispose la regina.
Uther sembrò pensarci su per un po'.
«Mi piacerebbe un luogo tranquillo, dove ci fosse tanto sole, il vento e il verde» disse poi, ad alta voce.
«Un posto dove i tuoi affetti ti circondino? Dove non sarai più solo?» consigliò lei, per completare il quadro.
«Io non sono solo» precisò, osservandola dubbioso. Lei sorrise.
«È un bene che tu te ne renda conto» disse la Morte. Uther ebbe un altro pensiero fulmineo.
«Cosa ne sarà di Morgana?» domandò preoccupato.
La Morte sembrò tornare completamente umana per un momento, sorpresa da quella domanda, sapendone la risposta. Si affrettò a rispondere:
«Baderà a sé stessa. È forte come lo era suo padre e come lo sei tu»
Uther sembrò non fare caso al tono frettoloso e amareggiato di Siara.
«Non so se sono pronto a lasciarli: Morgana, Artù... come potrò essere in pace senza di loro?» continuò il re, cercando conforto da quella vecchia amica.
«Prima o poi tutti lasciamo questa terra. Dovrai solo aspettarli, vegliare su di loro e staranno bene, così come starai bene tu» lo confortò lei, e si alzò, tendendogli la mano.
«Vieni con me?» chiese, come la bambina che era stata.
Il cervello di Merlino scattò di corsa, e prima di poter riflettere su ciò che faceva, corse verso di loro, con il cuore che gli martellava nel petto, come se volesse uscirne. Si bloccò di fronte a loro: Siara lo osservò un poco sorpresa, quasi contenta di vederlo, mentre Uther non sapeva veramente cosa pensare. Doveva denunciarlo? A vederlo così sembrava innocuo... e perché avrebbe salvato suo figlio tante volte se era veramente malvagio?
«Ehm... vostra Maestà... cioè Vostre Maestà... vostro figlio, il principe Artù, lui... lui vorrebbe che tornaste al banchetto perché... perché Alfrec il ciambellano ha ricominciato a diventare agitato, scontroso e isterico» inventò in fretta, sperando di essere abbastanza convincente.
Uther sembrò cercare per un secondo l'approvazione di Siara. La Morte sorrise, serena e si rivolse a Merlino.
«Facci strada, ragazzo» replicò, con calma.
Il giovane stregone prese a camminare, sconclusionato e pensieroso, seguito dai due sovrani, entrambi con la mente a giorni lontani, in cui nessuno dei due aveva pensieri o responsabilità.
 
Merlino si mosse freneticamente, nervoso, con i due sovrani che si lanciavano strane occhiate dietro di lui. Il loro passo era deciso, ma non affrettato quanto quello del giovane stregone, che non osava voltarsi del tutto per guardare la regina bianca, o meglio, la Morte. Il solo pensiero gli faceva rizzare i capelli sulla nuca e sudare freddo.
Entrarono nella grande sala, e Merlino si defilò in fretta in mezzo agli altri servi. Doveva parlare con Gaius, immediatamente. I due regnanti si resero invece conto che tutti gli occhi erano puntati su di loro. A quanto pareva, avevano sì lasciato la sala con la magia senza che nessuno se ne accorgesse, ma la loro assenza, dopo un po', era diventata evidente. La musica era muta, tutti tacquero il loro vociare, mentre Alfrec pareva riprendere i sensi nel vederli: erano ancora vivi, intonsi, e quindi poteva considerarsi appena un po' più sereno. 
Uther, ancora scosso da ciò che la sua Morte gli aveva detto, pareva non rendesi conto che la vita era continuata, che il ballo non si era dissolto mentre era stato via. Guardò tutti un po' smarrito, e fortunatamente Siara, che era sempre stata una donna di polso, prese la situazione in mano. Sorrise un po' maliziosamente all'assemblea, alzò il braccio porgendolo ad Uther, come a dargli una possibilità di fare qualcosa. Lui si scosse, prese il braccio della donna e fece cenno all'orchestra di ricominciare e a tutti di tornare a mangiare, bere, ballare e festeggiare. Diede l'ordine nel suo modo perentorio, secco, autoritario, e Alfrec iniziò a sibilare ai suoi di rimettere tutto in ordine.
Mentre i nobili ricominciavano a darsi ai festeggiamenti e a ballare, molto più debolmente di prima e senza smettere di vociare sospettosi, Uther e Siara non raggiunsero Artù e Morgana al tavolo centrale, ma rimasero vicino a una grande finestra, su una panca massiccia dalla linea semplice.
Merlino finalmente raggiunse Gaius, che lo guardò subito con sospetto, con un sopracciglio più alzato dell'altro: un viso che Merlino raramente sfidava. Ma era troppo importante trovare le rispose. 
«Gaius!» esclamò in un sussurro Merlino, preoccupato.
«Che cosa è successo, Merlino? Dove eri finito? Sei sparito d'improvviso e proprio mentre tutti si chiedevano dove fossero finiti i sovrani! E poi spunti insieme a loro dai corridoi... cosa dovrei pensare?» iniziò a elencare il medico di corte, perentoriamente, in cerca di una risposta decisa e veloce.
«Gaius, la Regina... lei è la Morte!» continuò il ragazzo, sconvolto.
Gaius alzò entrambe le sopracciglia e iniziò a ridacchiare malignamente, piuttosto irritato.
«Merlino, è la scusa più fantasiosa e assurda che io abbia mai sentito...Conosco Siara di Caledonia da quando era una bambina e viveva qui con sua madre...»
«Non è una bugia! L'ha detto lei stessa a Uther! Lo voleva portare via con sé! Sono stato trasportato di fronte a loro da una magia che non avevo mai sentito, la sua! Anche se... se voleva davvero farlo morire, perché sono comparso io?» concluse, l'ultima frase rivolta a sé stesso.
Gaius rimase in silenzio per un momento: non stava scherzando. Ma come era possibile? Siara di Caledonia era sempre stata una ragazza di sangue reale particolarmente colta e decisa, ma mai avrebbe pensato... ignorò il pensiero ad alta voce di Merlino, e replicò:
«Quando la Morte decide di prenderci, Merlino, niente può distoglierla dal farlo...»
Merlino istintivamente guardò verso il tavolo centrale: Artù rideva istericamente e quasi senza prendere fiato, probabilmente a causa del vino. Morgana, anche lei probabilmente alticcia date le guance troppo rosee, lanciava occhiate piuttosto penetranti a uno dei primi cavalieri, evidentemente lusingato.
Sarebbe stato troppo duro per loro perdere il padre? Artù era pronto a diventare re? Il Grande Drago non vedeva l'ora di venire liberato dalla magia, cosa che sarebbe accaduta solo quando Uther fosse morto. Ma Gaius sosteneva che il principe era troppo giovane e la sua esperienza era troppo poca per farlo regnare... doveva fare qualcosa, e farlo in fretta.
Gli venne in mente solo una cosa, d'improvviso. Una cosa che sua madre gli disse quando era bambino...
«La Morte ci è amica, Merlino. Ci viene a prendere quando è il momento. E con lei saremo in pace, sereni, per l'eternità» gli aveva detto una sera, dopo la favola e prima del bacio della buona notte.
«E se fosse troppo presto? Se avesse sbagliato giorno o ci fossero cose troppo importanti per seguirla?» chiese lo stregone ancora bambino, curiosissimo.
«Forse si potrebbe intrattenerla, fino a che non si dimentichi perché era venuta. Come noi ci distraiamo per non pensare a lei» replicò Hunit, baciando il bambino sulla fronte e spegnendo la sua candela.
 
Siara e Uther passarono qualche minuto a guardarsi negli occhi. Avevano entrambi uno strano timore di parlare. Lui era piuttosto pensieroso, e rifletteva sul suo destino e su quello di suo figlio e della sua figliastra. Lei, invece, aveva uno sguardo imperturbabile, ma un sorriso malinconico e un po' stanco le dipingeva il volto.
«Non stai bene?» chiese lui dopo un po', stranamente premuroso. Le sue labbra si distesero un poco di più.
«Mi passerà... non credevo avresti avuto il coraggio di darmi del tu in mezzo ai tuoi ospiti, anche se non ci sentono» aggiunse lei, con un sospiro. Uther ridacchiò.
Merlino li osservava da lontano, ormai deciso: doveva distrarla, ma come? Aveva notato che ballare sembrava il suo passatempo preferito, ma come convincerla a tornare sul grande pavimento della sala?
«Ricordi il giorno che me ne andai?» chiese, rivelando i suoi pensieri.
Uther annuì con un cenno lento. Così come aveva visto comparire sé stesso bambino, ora vedeva la sala trasformarsi in un corridoio deserto se non fosse stato per un paio di guardie. Una ragazza dai capelli biondo grano, fasciata in un abito blu, correva con frenesia in direzione di un massiccio uscio di legno scuro. Bussò con la piccola mano e le sopracciglia sopra ai suoi occhi verdi si inarcarono piacevolmente.
«Posso entrare?» chiese con una bella voce musicale.
«Igraine?» chiese una voce di donna dall'altra parte dell'enorme porta.
«Sì, sono io!» esclamò quella.
Merlino, abbastanza vicino da essere coinvolto in quella visione, osservò per la prima volta la madre di Artù. Era di sicuro lei, somigliava troppo al principe per non esserlo: i capelli e gli occhi erano gli stessi, e nei suoi lineamenti gentili si potevano riconoscere alcuni tratti del figlio. Si ritrovò a pensare che sarebbe stato bello per il futuro sovrano avere la possibilità di vedere sua madre, anche se non aveva potuto conoscerla. Si sentì un po' in colpa e invadente nel condividere quel ricordo.
«Entrate pure...» replicò l'altra voce, che si scoprì appartenere a una giovane Siara. I suo capelli nero pece erano ancora più lucenti di quanto non lo fossero ora, il suo viso era molto fresco, i suoi lineamenti dolci... tutto il contrario di come era ora, invecchiata e sovrumana. Si stava spazzolando i capelli, in quel giorno di tanti anni fa, quando non poteva essere più vecchia di una ventenne.
«Avete bisogno di me?» domandò, lasciando perdere la toeletta. Sembrava un po' agitata.
«Io... so che non siamo mai state proprio... amiche...» iniziò Igraine, una volta chiusasi la porta alle spalle ed essersi accomodata vicino a lei. Siara accennò un assenso dispiaciuto.
«Però... non ho grande confidenza con le altre dame di corte e... penso che se non confesserò questa cosa a qualcuno, scoppierò!» disse infine, un po' agitata. Siara le fece cenno di continuare.
«Allora ditemi, vi prego. Non vorrei avervi sulla coscienza» disse quest'ultima, con un'ironia dal tono pungente e non maligna.
«Il principe Uther mi ha chiesta in sposa!» esclamò, letteralmente raggiante. Siara sbatté gli occhi, talmente sorpresa da aver perso il dono della parola.
«Io non... non avrei mai sperato... insomma, lui è l'erede al trono e io pensavo che ci fossero donne più degne, anche perché...» si interruppe, sperando di non svegliarsi da quello che era come un bellissimo sogno.
Siara continuò a guardarla sorpresa, come in uno stato di catalessi. Dopo un poco, però, sotto gli occhi impazienti e preoccupati di Igraine, si riscosse.
«Uther Pendragon è riuscito a chiedervelo? Per davvero?» domandò ora con un sorrisetto maligno sul volto «quel vigliacco farabutto...» concluse. Igraine si indignò molto.
«Io non... non posso permettervi di parlare così di lui!» disse Igraine, evitando però di guardarla in faccia. Siara era pur sempre di sangue reale, mentre lei no. La sua interlocutrice parve divertirsi  alla sua reazione.
«Tranquilla, Igraine... devo solo fargli un discorsetto... è così tanto tempo che è infatuato di voi che non ricordo neppure la prima volta che me l'ha confessato... è una vita che vuole farsi avanti ma mi diceva di aver bisogno di aiuto, quello stupido ipocrita... devo fargli una lavata di capo! Con permesso...» concluse, alzandosi e facendo una piccola riverenza a Igraine, sbigottita, prima di partire di gran carriera lungo il corridoio dal quale la futura regina di Camelot era venuta.
La Morte, Uther ormai adulto e Merlino la osservarono attraversare di gran carriera quasi tutto il castello, sparendo oltre le scale che portavano ai piani superiori, alla cima di una delle torri più alte. Lì, frustato da un vento che non arrivava al presente, stava il giovane Uther, del tutto riconoscibile. Non era cambiato troppo da quei giorni, in cui era un principe spavaldo e valoroso, seppure un po' burbero. Aveva il viso più disteso, però, più sereno, tanto felice quanto oscurato da una strana preoccupazione. Si voltò verso Siara non appena quella giunse alle sue spalle.
«Tu! Proprio te cercavo!» esclamò, quasi infuriato.
«Me? E perché diavolo mi cercavi?» replicò lei, sulla difensiva.
«Hai persino il coraggio di domandarmelo!» continuò il futuro re, iniziando a camminare avanti e indietro.
«Certo che ne ho il coraggio! Perché diavolo sei così sconvolto?» ribatté Siara, che iniziava ad irritarsi «a quanto pare non avresti motivo di essere così poco felice dato che ti stai per sposare con la tua preziosa Igraine!» sputò infine il rospo. Lui si bloccò, arrossendo appena.
«Come sei venuta a saperlo?» domandò, con una nota più spaventata nella voce.
«Come mi dici? È venuta lei stessa, sbrodolante di giubilo! E tu non ti sei neppure degnato di farmelo sapere!» rispose con un tono leggermente isterico.
«Ma senti da che pulpito! Il tuo Kenneth è venuto da me poco fa a comunicarmi che tra pochi giorni ti porterà nella sua terra di Caledonia per farti sua regina! Ed è una decisione di due mesi fa! Quando pensavi di dirmelo?» eruppe Uther, ancora più furibondo.
Siara aprì la bocca per ribattere ancora, ma si zittì. Si sentì stranamente in colpa, ma per orgoglio non volle dimostrarlo. Ringhiò a denti stretti e incrociò le braccia, arrabbiata. Uther fu particolarmente scocciato da quella reazione e la copiò in tutto e per tutto.
Dopo essersi squadrati per qualche secondo, si sciolsero entrambi in una risata amara. Siara si andò a sedere in una piccola panca lì vicino e sostenne il mento con i palmi delle mani, facendo perno sui gomiti.
«Ma perché non te l'ho detto?» si domandò ad alta voce. Uther si sedette accanto a lei.
«Ah questa è una bella domanda...» rispose un po' sprezzante.
«Possibile che tu debba essere così acido? Spiegami il motivo per cui sei così sconvolto!» continuò Siara, guardandolo in faccia e aprendo le braccia.
«Dovresti dirmi tu perché lo sei!» rispose lui. Siara si zittì ancora, cosa che irritò Uther ancora di più. 
«Te ne andrai, allora?» chiese il futuro re, con la voce più bassa e vagamente amareggiata.
«Sì, io... devo andare» replicò la futura regina, triste quanto lui «forse è per quello che siamo entrambi così agitati... ma non era esattamente quello che volevamo? Sposarci con le persone che amiamo?»
«Non avevamo previsto di doverci separare... non ce ne siamo neanche resi conto» concluse Uther, sentendosi stupido. Siara si passò una mano tra i capelli con uno sbuffo.
«Per quanto posso ricordare, ho sempre vissuto qui, da quando mio padre è morto e suo fratello si è preso il suo regno. Mi dici come farò da sola, lontanissimo da qui?» sbottò lei.
«Ma non sarai da sola, sciocca! Quell'imbranato bietolone di Kenneth di Caledonia sarà il tuo piccolo schiavo finché morte non vi separi!» replicò lui, burbero.
«Oh, certo, un imbranato bietolone quanto te! E tu invece avrai la piccola caramellosa Igraine a prepararti i ricami per la camera da letto!» ribattè Siara, offesa «Tu mi avevi fatto una promessa...» ribattè Siara, mettendo su lo sguardo che aveva da bambina, ma con un broncio.
«Siara, maledizione, non abbiamo più sei anni!» disse Uther, alzandosi e incombendo di fronte a lei.
«E cosa vuol dire? Io ho promesso di farti ragionare quando inizi a intestardirti come un mulo! E non ho mai smesso! Lei ce la farà? Mi sembra troppo delicata...» si difese subito lei.
«Io non posso più correre nella tua stanza ogni volta che hai un incubo!» tentò di farla ragionare lui.
«Ma io non intendevo quello! Volevo solo avere qualcuno con cui sfogare i miei problemi! Qualcuno che mi sostenesse!» sbottò ancora Siara.
Uther aprì la bocca ma la richiuse. Abbassò lo sguardo per qualche secondo per poi risollevarlo.
«Ci stiamo comportando come due bambini. Siamo adulti ormai, e abbiamo trovato la nostra strada. Inutile rimuginare sul passato» dichiarò, diplomaticamente. Siara mantenne un po' del suo broncio, ma come aveva fatto una notte di tanti anni prima, gli si gettò fra le braccia, e lui invece di alzare gli occhi al cielo, la strinse a sua volta.
«Inutile stupido orso... mi mancherai» disse, la voce soffocata dal contatto con la veste di Uther.
«Anche tu, piccola strega isterica» ribatté lui. 
Siara alzò lo sguardo verso Uther, che per un breve e fugace momento si sentì perso al pensiero di non vederla più. Erano tempi in cui un viaggio come quello che avrebbe intrapreso lei era troppo lungo e impervio per essere percorso più di una volta ogni dieci anni. Ma era come una sorella per lui, come avrebbe fatto senza i suoi consigli e la sua testardaggine?
Poggiò la fronte contro la sua e sembrò voler commettere l'errore più grosso della sua vita, mentre i loro nasi si sfiorarono, le loro labbra si schiusero e le palpebre si abbassavano... fu Siara a scostarsi in fretta.
«Ti sei completamente rincretinito?» domandò, ancora un po' confusa. Il panico era dipinto sul volto di entrambi, che si voltarono, dandosi la schiena l'uno con l'altra.
Dopo qualche minuto di imbarazzo, fu lei a lasciare la torre, di corsa, senza una parola.
La scena si trasfigurò nel cortile del castello, bagnato da una pioggerellina leggera ma fastidiosa. Un cavaliere dai capelli rossicci montava un enorme e mostruoso cavallo nero, paurosamente simile a quello su cui la Morte era giunta a Camelot, e osservava soddisfatto e felice un gruppetto di servi che caricava una quantità infinita di bagagli su un carretto da contadino. Vicino stava una piccola carrozza dal colore cupo, alla quale si avvicinò la giovane Siara, un poco abbattuta. Il cavaliere si avvicinò a lei, senza scendere dal destriero.
«Verrà a salutarvi, vedrete. Non avrà il coraggio di lasciarvi partire così» la confortò, con voce gentile. Lei gli sorrise, un poco mestamente.
«Vorrei davvero credervi» ribatté. Il giovane, che era il principe Kenneth di Caledonia, osservò la scalinata che portava verso i corridoi interni.
«Oh, invece dovreste... spesso mi spaventa la mia sagacia» soggiunse, allontanandosi da lei, e lasciando che vedesse. Uther stava ritto e apparentemente impassibile. Al suo fianco, Igraine era particolarmente nervosa. Era stata lei a insistere perché il suo futuro sposo si facesse almeno vedere. Gli sussurrò qualcosa, e dopo un momento di esitazione, Uther si avvicinò a Siara, che intanto aveva la testa china e rivolta verso la sua destra, le braccia lasciate andare lungo i fianchi.
«Mi dispiace» bisbigliò lui frettolosamente.
«Dispiace anche a me» rispose subito lei, nello stesso tono, voltandosi a guardarlo.
Gli occhi le si riempirono di lacrime tutto d'un tratto, la gola le bruciò e i due si abbracciarono di nuovo, molto più stretti e più legati che mai.
«Fa sì che questo non sia un addio, d'accordo?» disse Uther, poco prima di lasciarla andare.
«Impara a danzare, così potrai invitarmi ad un ballo. Sai i burocrati come si muovono in fretta quando si parla di frivolezze...» ribatté lei, con un sorriso lacrimoso. Si inchinarono l'uno all'altra e la scena si dissolse, lasciando Uther, ormai vedovo, Siara, ormai sola e Merlino, distante ma nascosto, senza parole.
Uther sospirò.
«Mi dispiace che tu non sia più così ironica e solare... immagino che sia stata la perdita di Kenneth...» disse lui d'improvviso.
«E a me dispiace che tu abbia dimenticato quanto giusto e benevolo eri. Hai almeno imparato a ballare come si deve?» domandò poi, mentre un'ombra della donna che era stata le attraversava lo sguardo.
«Certo... Igraine era una maestra eccezionale» replicò, fiero. Siara si alzò e gli tese la mano.
«Vediamo, allora. Penso che il tuo viaggio possa attendere un po'» sorrise.
Merlino, meravigliosamente sollevato, corse da Gaius a raccontargli la bella notizia, mentre i musici ricominciavano ad eseguire.
 
Siara aprì gli occhi timidamente, e per qualche secondo vide tutto un po' appannato. Quando riuscì a mettere a fuoco la scena, le sembrò di aver dormito per molto tempo, forse per anni. Era adagiata in un grande letto a baldacchino comodo e cambiato da poco. L'atmosfera era chiara, leggera e fresca: una finestra era aperta, lasciando entrare la brezza mattutina. Si alzò a sedere tra le lenzuola, e le accarezzò con la mano. Quel tessuto... non l'avrebbe potuto dimenticare. L'aveva lasciato lì, tanti anni prima, nella speranza che quel posto rimanesse lo stesso, e che se mai fosse tornata, e se tutto fosse cambiato avrebbe ancora potuto chiamare quel posto casa. 
Era la sua vecchia stanza... lasciò il letto, accorgendosi di avere indosso una delle sue vecchie camicie da notte, o forse una di sua madre. Si sentiva stranamente molto leggera, e si andò a specchiare in quella che scoprì essere la sua vecchia specchiera. Le sembrava di avere la pelle più luminosa del solito, e di avere uno sguardo diverso. Pensò che fosse la luce di Camelot, una luce che non la illuminava da tanto.
Si posò la vestaglia abbandonata su una seggiola vicina, e incurante del suo abbigliamento, senza chiedersi nemmeno che ora fosse come invece si conviene a un reale, uscì nel corridoio. Una guardia trasalì appena nel vederla, ma non si mosse: in fondo, gli pareva che stesse bene.
La regina continuò a camminare lungo il corridoio, apparentemente deserto. Doveva essere ancora presto. Ad un certo momento, incrociò un servo, che riconobbe subito essere Merlino. Il ragazzo si inchinò con deferenza, il viso disteso e un po' di sonnolenza negli occhi. Siara mise su un sorrisetto malizioso.
«Grazie» disse, con una voce che non ricordava di avere da molti anni.
«Per cosa, mia signora?» domandò lui, malcelando la sua soddisfazione.
«Per tutto» replicò lei, superandolo. Merlino sorrise ancora di più, e si diresse come ogni mattina, verso le stanze del principe, conscio che l'avrebbe insultato per l'ora così precoce, e conscio anche che avrebbe dovuto faticare per fargli sapere che non era una sua vendetta personale, ma semplicemente il protocollo che imponeva quella levataccia, anche dopo una sontuosa festa.
Dopo un poco, fece trasalire il povero Alfrec, che la rincorse immediatamente per costringerla a farsi vestire dalle sue ancelle. Lei, sempre mantenendo il suo sorrisetto, lo liquidò facendolo letteralmente sbiancare in viso, dicendogli che al Castello, da giovane, non aveva mai fatto mistero del suo fisico... perché iniziare ora? Era molto più coperta di tanti anni prima, gli disse.
Incrociò infine Uther: sembrava a Siara che non fosse mai andato a dormire, ed era stato così. Era rimasto con lei tutta la sera, fin quando Artù era crollato addormentato sul tavolo, Gwen aveva ricondotto una Morgana scossa da risatine isteriche nella sua stanza, e Gaius e Merlino erano tornati barcollando alla loro. Era rimasto Alfrec, abituato a dover tenere tutto d'occhio, e la sua squadra di attendenti. Il re aveva dunque dato ordine di portare Siara, addormentatasi mentre parlavano di Igraine, nel suo vecchio alloggio. Il resto della notte l'aveva passato a rimuginare sul fatto che Siara non era più la sua Siara, che era lo strumento di qualche essere superiore, e che l'avrebbe portato via con sé. Eppure... quelle ultime ore, dopo che il servo di Artù li aveva interrotti, gli erano sembrate quelle di un tempo in cui entrambi avevano meno anni sulle spalle e meno pensieri ad affollare loro la mente. Fu proprio mentre tentava di ricordare qualcosa della loro conversazione nel cortile che la incrociò.
«Come diavolo vi siete conciata? Tornate immediatamente nelle vostre camere e vestitevi!» esclamò, dopo aver notato guardie e cavalieri intorno. Erano scandalizzati, alcuni invece divertiti e certuni ammaliati. Per avere l'età del re, o poco meno, era rimasta bella quasi quanto da giovane. Siara ridacchiò di gusto, e ad Uther sembrò di tornare indietro nel tempo, ma non era un ricordo. Era lei, la sua Siara, quella che aveva perduto tanti anni prima.
«Come se non mi aveste mai vista così... quando avevamo sedici anni non sembravate così scandalizzato» puntualizzò lei, portandosi una mano alla bocca, scossa dalla ridarella.
Uther sgranò gli occhi, sconvolto e ad alcuni sembrò persino arrossire. La prese per un braccio con poche buone maniere e la trascinò via con sé verso le sue vecchie stanze, mentre lei non smetteva di sorridere.
La trascinò dentro e chiuse la porta alle sue spalle, sotto gli occhi curiosi di parte della folla che li aveva visti incontrare, che li aveva seguiti entrambi.
«Tu devi essere completamente impazzita!» esclamò Uther, lasciandola andare solo quando fu sicuro che erano soli, e lei si fermò al centro della stanza. Lei non replicava, e lo guardava con la stessa espressione di quando era una ragazzina, e aveva appena scoperto cos'era l'amore. Aveva baciato un cavaliere, quel giorno, e l'aveva condotto nelle stalle e nel tragitto aveva iniziato a spogliarlo delle sue armi... Uther non volle ascoltare altro, quel giorno, ma ricordava perfettamente il suo viso pieno di un selvaggio giubilo, fresca come una mela rosso fuoco. Dapprima era infuriato: ora sembrava smarrito. Fu lei che aprì le braccia verso di lui, la leggera vestaglia e i capelli bagnati di luce.
«Io non so cosa mi sia successo Uther, io non lo so! Ma mi sento così... viva!» disse, tremando quasi dalla sorpresa e sorridendo come non faceva da tempo «da quando Kenneth è morto e io diventai la Morte, colei che tutti ci accompagna, vivevo oltre un velo e non riuscivo bene a distinguere attraverso di esso. Ma ora... io so che qualcosa è cambiato! Io non posso più accompagnarti nella terra della pace, amico mio. Non voglio e non posso!» concluse, raggiante, prendendo le mani del sovrano.
Uther la osservò perplesso. Oh, come non pensare che fosse tornata lei? Come non riconoscere la giovane principessa senza padre che toglieva il respiro ai cavalieri, e mozzava il fiato dalla vergogna alle dame per bene? Come non riconoscere la sua migliore amica e confidente di un tempo? La abbracciò in fretta, senza quasi riuscire a respirare. 
Lei si allontanò un poco, e in un gesto repentino posò le sue labbra in un attimo su quelle del re di Camelot. Si allontanò subito, però, con un sorrisetto.
«Questo te lo dovevo. Quel giorno, non era proprio il momento!» spiegò.
 
Rimaserò lì a parlare per ore, a ridere e scherzare come nessuno dei due faceva da troppi anni. Uther infine comprese, nonostante la sua natura così rude e burbera, che davvero Siara non era più la sua Morte, e forse era diventata la sua Speranza. Infine, il re di Camelot dovette lasciarsi trascinare via dai consiglieri per sbrigare i suoi doveri, e per non fare preoccupare il figlio e la figliastra della sua assenza. Prima di uscire dalla stanza, però, Siara gli pose un'ultima domanda.
«Ricordi Merlino?» chiese, giocherellando con un lembo della propria manica.
«Merlino? Il servo di Artù?» replicò Uther, confuso.
«Sì... sembra un ragazzo particolare...» continuò lei.
«Gli è molto fedele, e sembra innocuo. Credo non abbia alcuna abilità particolare, ma è responsabilità di Artù badare ai servi di cui si circonda» rispose uscendo, lasciandola ben felice che la sua confessione su Merlino fosse stata in qualche bizzarro modo dimenticata.
Siara, con suo grande rammarico, dovette indossare qualcosa di più consono: iniziava a rinfrescare. Indossò uno degli abiti di sua madre, dato che i suoi erano in un baule tra i suoi bagagli ed erano tutti bianchi. Era una veste smeraldina, ancora bella e poco rovinata dal tempo. Uscì dalle stanze sorridendo a tutti e interloquendo con i membri della sua corte che l'avevano accompagnata lì. Erano, dal primo all'ultimo, sorpresi di tanta loquacità, sbalorditi del sorriso felice che portava, e sconvolti da quando sembrasse loro serena, come se comprendesse infine che chiudersi in sé stessa e dimenticare i bei momenti che aveva vissuto era inutile e crudele. La regina aveva solo una cosa da fare, al più presto: parlare con il giovane Merlino.
Entrò subito nello studiolo di Gaius, dopo aver bussato ma senza chiedere il permesso. Il medico di corte si sorprese di vederla lì, soprattutto con quell'abito e sola. Una regina si muoveva sempre con le sue ancelle, che le volesse o no, e non con una veste semplice e senza nessun paramento regale. D'altronde, nelle cronache la Regina Bianca era nota per avere delle usanze e costumi tutti suoi. Gli ricordò d'improvviso la ragazzina che era stata, e che sgattaiolava da lui quando era troppo orgogliosa per ammettere con altri di essersi fatta male.
«Maestà...» la salutò chinando il capo. Lei lo imitò per poi guardarsi intorno: Merlino era immerso in quello che sembrava un paiolo grande quasi quanto lui. Riemerse, con qualcosa di appiccicoso tra i capelli e un paio di macchie sulla maglia leggera. 
«Merlino...» lo invocò il vecchio medico di corte, accennando con un piccolo movimento del capo a Siara. Merlino si rimise in piedi goffamente, e altrettanto goffamente si inchinò, quasi cadendo: il sangue gli era affluito troppo in fretta alla testa nell'uscire dal paiolo, e quasi perse l'equilibrio. Siara rise un poco, divertita, senza schernirlo.
«Possiamo parlare, giovane Merlino?» domandò molto tranquillamente la regina, mentre Gaius agitava energicamente la testa per far capire a Merlino che un diniego non era proprio possibile.
«C-certo» balbettò insicuro, mentre lei attendeva una sua mossa. Il giovane stregone si guardò intorno, e il suo sguardo si posò sulla sua cameretta. Forse non era il luogo adatto, ma c'era solo quello. Le fece cenno di seguirlo, con ripetute riverenze molto comiche, e lei lo seguì con molta compostezza e rispetto.
Merlino le indicò il suo letto, con un'espressione di scusa per la sua modestia, e lei si sedette molto elegantemente. Lei gli fece cenno di accomodarsi accanto a lei, e il giovane stregone obbedì, un po' a disagio. Siara lo osservava con la testa inclinata, e con gli occhi suadenti e maliziosi di chi conosce tutti i tuoi segreti. Merlino fissò il pavimento, lanciandole fugaci occhiate di terrore.
«Ho visto cose che non credevo neppure possibili... eppure tu sei qui» disse, prendendo ad osservare una finestra che lasciava entrare la luce bianca delle terre di Camelot. Inspirò profondamente l'aria che tanto le mancava.
«Io, maestà?» chiese, cercando di far finta di non aver intuito di cosa parlasse.
«Il tuo segreto è al sicuro. Uther non ricorda niente di ciò che gli ho detto riguardo a te. Ho avuto... o meglio, la Morte ha avuto l'accortezza di farmi questo ultimo favore» precisò infine.
Merlino la guardò perplesso... sapeva che li aveva spiati? Non osò chiederlo. Fortunatamente, un piccolo strascico di poteri le erano rimasti in corpo, e prima che sparissero, Siara intendeva usarli tutti.
«Oh sì, ragazzo, so che ci hai sentiti. Probabilmente quando ti ho inserito nella nostra conversazione» rise un poco, quasi di scherno «avrei potuto perdere molti, nella mia vita, soffrendo per loro ma riuscendo a rifarmi una vita. Mia madre, la mia nutrice, gli amici e i consiglieri. Solo due persone non avrei sopportato di perdere: il mio sposo e quello che per me era come un fratello»
Merlino la ascoltava rapito, senza sapere perché si stesse confidando proprio con lui. Più osservava i reali e viveva con loro, più capiva quanto complessa potesse essere la loro vita, nonostante gli agi a cui accedevano.
«E quando il primo se n'è andato, mi è sembrato di non avere più uno scopo. Fu allora che fui investita di quel compito tanto ingrato quanto rassicurante di accompagnare le persone al riposo e alla pace. Sono stata egoista, per una volta, però. Credo di averti evocato io, senza rendermene conto. Sono felice che tu sia intervenuto» concluse, guardandolo grata e con un sorrisetto contento.
«Non ho fatto niente di speciale...» ribatté modesto Merlino. Effettivamente non vedeva niente di speciale nell'averli interrotti o nell'aver pensato di distrarla.
«Credo che le cose più semplici siano le più straordinarie. Se non fossi intervenuto avrei dovuto fare qualcosa di cui mi sarei pentita. Probabilmente sarei morta persino io, senza più affetti» rispose la Regina.
«Però... re Uther è stato così scortese con voi. Vi ha praticamente cacciato via quando vi siete fidanzata con...» Merlino si interruppe. Non doveva saperlo: era un ricordo a cui aveva assistito senza volerlo. Siara sgranò un secondo gli occhi per la sorpresa, ma poi mise su un'espressione maliziosa.
«Io ho molti difetti, Merlino, così come li abbiamo tutti. Uther non è diverso da me o te: ha anche lui pregi e le sue mancanze, forse piuttosto scomode. Io l'ho sempre apprezzato e amato per chi era e non per chi volevo che fosse. Ho accettato subito i suoi rimproveri e i suoi elogi, ma non sono riuscita a impedire che la distanza tra noi si attenuasse. È tutto ciò che mi resta, o almeno credo. Perciò penso che diventerò protettiva e petulante come lo ero da ragazza. Chi non vorrebbe tornare giovane, in qualche modo?» concluse, ridacchiando. 
Merlino avrebbe preferito lei come regnante, di gran lunga. Faceva persino le battute con lui! La regina si alzò, lisciandosi la veste.
«Ciononostante, devo tornare a casa. È una tappa che non posso saltare, suppongo. Poi, si vedrà. Mi piacerebbe tornare» spiegò, voltandosi verso di lui. Merlino ci restò un po' male. Con lei avrebbe potuto avere più protezione. Aveva la sensazione che avrebbe potuto far ragionare Uther come nessuno.
«Mi dispiace che andiate. La festa ieri, con voi, è stata davvero una delle migliori a cui abbia assistito...» disse cortesemente il giovane stregone. Quella citazione fece venire in mente un nuovo quesito, che fu presto domandato: «Perché è stato organizzato un ballo? Cioè, credo di aver capito che venite sempre per un ballo quando dovete... quando dovevate accompagnare coloro che dovevano morire... perché?»
Siara sembrò presa in contro piede. Corrugò la fronte e si massaggiò il mento. Quando la rivelazione arrivò anche a lei, rise un poco, scuotendo la testa.
«La Morte è davvero per l'uguaglianza e la giustizia... immagino servisse a dare la possibilità a qualcuno di distrarmi e così salvare chi dovevo portare via. C'è sempre una seconda possibilità, allora!»
 
Merlino si interrogò sul perché in fondo avesse salvato Uther. Si sorprese di constatare che era sempre la solita storia: non era giunto il momento, né per lui né per Artù, di finire al centro della scena. Dovevano imparare entrambi molto. Era su questo che rimuginava mentre osservava tutto il corteo di Siara parlottare, caricare i bagagli e riorganizzarsi. Erano ancora tutti vestiti di bianco, ma la Regina non lo era più: aveva un bell'abito rosso acceso, che faceva risaltare i capelli scuri e gli occhi accesi. Uther era molto rigido, inflessibile e serio, ma si sentiva come tanti anni prima, con una vita tutta sua ancora da vivere, con un figlio e una figliastra a cui badare piuttosto che una famiglia da creare, ma la sensazione era la stessa. Avrebbe voluto avere ancora la sua migliore amica accanto perché il tempo fosse passato, la natura delle cose non era poi così tanto mutata. Siara lo osservava con il capo inclinato e il sorrisetto con cui si era rivolta a Merlino. Artù si domandò quanto bella potesse essere da giovane, e Morgana si chiese cosa in realtà c'era stato tra i due tanti anni prima.
Gaius osservava la scena accanto a Merlino e a Gwen, e insieme allo stuolo di servitori che proprio Siara voleva essere presenti. I cavalieri di Camelot stavano eretti, un po' annoiati e intorpiditi chi dal turno di guardia e chi dagli allenamenti.
«Ricordate come va a finire la canzone?» domandò la regina a Uther. Lui corrugò la fronte.
«La canzone?» replicò. Gli sembrò che nessuno li sentisse.
«Sì... la canzone della morte» continuò lei.
Uther rimase stupito. 
«Certo che la ricordo» asserì.
«Sei l'ospite d'onore del ballo che per te suoniamo, posa la falce e danza tondo a tondo. Il giro di una danza e poi un'altra ancora...» iniziò ad intonare lei, piano.
«... e tu del tempo non sei più signora» concluse Uther, ben attento a non farsi sentire da nessuno.
Siara mise su un mezzo broncio. Si lanciò di scatto su Uther, abbracciandolo.
«A presto» disse, mentre Alfrec si appoggiava alla scalinata per non far cedere le ginocchia, sbiancando.
E fu così che Uther Pendragon vide partire l'unica donna che aveva potuto chiamare amica. Si scrissero e si videro spesso, prima della sua morte. E furono sempre giorni lieti, conclusi con un ballo in fa diesis minore.
   
 
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