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Autore: Silvre Musgrave    19/10/2010    0 recensioni
Il XIX e il XXI secolo si incontrano quando una donna fugge dal passato, portando malvolentieri con sè il suo inseguitore. La sua sola speranza è nel più geniale detective della storia: Sherlock Holmes. Ho tenuto il titolo originale, tradotto non mi piaceva. Ad un certo punto Holmes potrà sembrare un po' OOC, ma è talmente moderato che non credo sia il caso di metterlo come avvertimento. Un ringraziamento a Silvre Musgrave per aver autorizzato la traduzione ^_^.
Genere: Avventura, Romantico, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: Traduzione | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 20

Capitolo venti: Rimpianti

 

“Forse dovresti prenderti una vacanza.”

Christine faceva girare pigramente il ghiaccio nel suo bicchiere, guardando fuori dalla finestra la gente che passava. Ancora una volta fu colpita da quanto diverso fosse dal 1895 e anche quanto simile.

“Christine?”

Si morse la lingua, cercando di riportare la mente lontano dall’era vittoriana, ma era troppo difficile. Come poteva non pensarci, dopo tutto quello che era successo?

“Christine?”

“Uh?” Voltò di scatto la testa per fissure Walter Birmingham, il suo padrino e vice presidente della compagnia. “Scusami, Walter. Cosa stavi dicendo?”

“Dicevo che forse dovresti prenderti una vacanza.”

“Oh, non credo…” Scosse la testa. “Non potrei farlo.”

“Si che puoi. La compagnia è molto stabile al momento. E con la morte di tuo padre e ora con l’esperienza di Lanaghan… ” Unì le mani e si avvicinò di più a lei nel tavolo. “Sei stata molto tesa dal giorno dell’irruzione, Christine. Capisco che dev’essere stato scioccante vedere Tom e Gina.” La sua voce di abbassò a queste parole. Dopo un momento continuò. “Ma sono passate più di tre settimane. Sembri sempre esausta, sei distratta… Sono solo preoccupato.”

Lei gli battè una mano sul braccio. “Sto bene, Walter. Davvero.”

Le sue grigie sopracciglia si corrugarono e il suo quasi cipiglio diventò più intenso mentre la fissava con uno sguardo dubbioso.

Lei sospirò e si appoggiò indietro nella sedia. Spostò delle ciocche di capelli dagli occhi. “Forse hai ragione. Un po’ di riposo probabilmente non farà male.”

“Per niente.”

Si piegò di nuovo in avanti. “Ma la compagnia ha bisogno di qualcuno che prenda il mio posto a tempo indeterminato.”

“Si. Abbiamo bisogno di preparare alcuni colloqui…”

“Vorrei che quel qualcuno fossi tu, Walter.”

“Io?”

“Sei il vice presidente, è l’unica scelta logica. E ho molta fiducia in te. So che ti pretenderai cura della compagnia.”

“E cosa facciamo con la mia carica?”

“Che ne pensi di Ryan Fleming? E’ un uomo in gamba.”

“Un po’ giovane.” Disse Walter scettico.

Lei sorrise ironica. “Ha la mia età, Walter.”

“Beh,si, ma…”

“E’ un uomo in gamba, responsabile, lavora molto. Mai in ritardo. Cosa ne pensi?”

“Ne parlerò con lui.”

“Vorrei ci parlassimo insieme.”

“Ti farà bene, Christine. Riposati, fai qualche viaggio…”

“…fai un po’ di giardinaggio.”

Lui rise. “Fai un po’ di giardinaggio…Aria fresca, relax, è questo ciò di cui hai bisogno.”

 

Il dottor Watson si svegliò di colpo e si sedette nel letto. Cos’era quello che aveva appena sentito? Un grido?

Cosa diavolo sta…

Un tonfo sordo sotto di lui interruppe i suoi pensieri e lo fece scattare fuori dal letto. Si affrettò giù dalle scale, il bastone da passeggio stretto nella mano e, non appena arrivò alla porta di Holmes, spalancò la porta.

Sollevò il bastone giusto in tempo per vedere che non c’era pericolo. “Sta bene, Holmes?”

Il detective era seduto sul pavimento in un fagotto di coperte; era chiaramente caduto dal letto.

Holmes guardò verso Watson e il dottore notò subito quanto pallido e sudato fosse. “Sta bene?” Ripetè. “Pensavo…pensavo di averla sentita urlare.”

Il detective scosse la testa. “Sto bene, Watson. Solo un sogno.”

“Oh.”

“Sto bene.” Disse di nuovo. “Buonanotte.”

“Buonanotte, Holmes” Disse il dottore e chiuse la porta.

Non appena fu chiusa, Holmes fece un profondo respiro e portò una mano tremante nei capelli.  Si districò dalle lenzuola per sedersi sul bordo del materasso. Si prese il viso tra le mani, cerando invano di cancellare il sogno dalla sua memoria. No, non un sogno. Un incubo.

Era ancora a Reichenbach. Stava combattendo contro Moriarty.

Ma qualcosa era diverso.

Stava combattendo il suo nemico per altre ragioni oltre salvare la sua vita. All’inizio non era in grado di vedere quale fosse la ragione – i sogni rivelano le cose sempre quando stavano avvenendo. Non lo capì finché non era stato colpito e sentì delle mani sottili sul braccio, che lo aiutavano a sollevarsi. Allora l’aveva vista.

“Stia indietro, signorina Andrews!” Aveva urlato sopra il rumore delle cascate.

Aveva sentito un ringhio di rabbia dal professore e lo afferrò cercando di tenerlo alla larga dalla donna.

Ma la signorina Andrews – lei non l’aveva ascoltato – mentre Moriarty cadeva nelle cascate, era stata afferrata per un braccio, cadendo giù con lui!

“NO!” Aveva urlato. Si era spinto sul bordo per vederla aggrappata. “Signorina Andrews! Prenda la mia mano!”

“Non ci arrivo!”

Aveva teso la sua mano verso di lei – doveva raggiungerla, doveva salvarla!

Lei aveva guardato verso di lui con le lacrime agli occhi. “Sto scivolando!” Urlò.

“No! Tenga duro! Ci siamo quasi!

“NO! CHRISTINE!” Lei aveva perso la presa sulle rocce umide ed era caduta, urlando il suo nome.

Era a questo punto che era caduto dal letto.

Si alzò e si avvicinò al lavabo. Immerse la mani dentro e si bagnò il viso con l’acqua, ancora e ancora.

Quando smise di tremare, si fermò con le mani appoggiate al lavabo. Non era la prima volta che la sognava, ma non era mai stato così terrificante.

Guardò fuori dalla finestra verso la luna, luminosa sopra i tetti di Londra. La fissò finché non si sentì calmo mentre pensava vagamente a come stesse la signorina Andrews, cosa stava facendo in quel momento.

Aveva mai pensato a lui?

 

Christine sentì il telefono suonare, ma lasciò che si attivasse la segreteria. Strinse la tazza di tè nella mano, fermandosi per sentire il messaggio.

Era Walter che la invitava fuori a cena. Avrebbe richiamato dopo.

Sospirò e appoggiò la tazza per premere le mani contro le palpebre. Erano passati due mesi e mezzo da quando era tornata nel presente.

Aveva provato ad accantonare i suoi sentimenti per Sherlock Holmes come una cotta passeggera. Pensava sarebbe passata in fretta. Ma non era così. Gli mancava ogni giorno di più.

Abbassò le mani e fissò la sua tazza. Non poteva continuare così. Doveva superarla e andare avanti con la sua vita. Bevve il resto del tè in un sorso, si alzò e portò la tazza in cucina. Dopo averla lasciata nel lavello si legò i capelli in una coda di cavallo, afferrò il cellulare e la borsa dal tavolo della cucina.

Scese le scale della cantina e la attraversò. Andò verso sinistra dove si usciva sul giardino. I fiori adesso erano sbocciati e sentiva come se avesse bisogno di fare qualcosa di buono, un gran lavoro.

Con tutti i suoi interessi e hobby, trovava che il giardinaggio fosse uno dei più rilassanti e gratificanti. In agenda c’era il togliere le erbacce; non ci aveva mai lavorato troppo, ma intendeva cambiare.

Si preparò a lavorare nello spazio dove le margherite stavano sbocciando e con attenzione iniziò  a togliere le erbacce. Lavorò per ore ed entrò in casa per un bicchier d’acqua e un panino. Successivamente decise che aveva bisogno di piantare qualcosa e prese il sacchetto dei semi. Ne prese uno a caso per vedere le esigenze di luce e ombra. Lysimachia.

Involontariamente strinse i denti e gettò il pacchetto di nuovo nella sacca.

Non c’era modo di tenersi lontana da lui. Aveva messo via I casi completi di Sherlock Holmes, nascosto tutti i suoi CD di Chopin, chiuso i suoi vestiti in soffitta…

Aveva fatto di tutto per cercare di dimenticarsi di lui, ma sembrava che più cercasse di dimenticarlo, più pensava a lui.

A volte credeva di scorgerlo tra la folla, camminando per le vie di Londra, ma non era mai lui. Ovvio che non era lui. Lui…lui era morto.

Il pensiero che non c’era modo di rivederlo di nuovo le provocò un groppo in gola. Si tolse i guanti da giardino e si sfregò gli occhi. Quando finirà? Sarò mai in grado di dimenticarlo?

 

Il dottor Watson guardò il familiare profilo di Baker Street e sospirò di soddisfazione. Era stato via per quasi due settimane per visitare alcuni pazienti in campagna. Era bello essere di nuovo a casa. Gli piaceva tanto quanto un po’ di cambiamento.

Rabbrividì quando un’improvvisa folata di vento novembrino sollevò il bavero, e si sbrigò per aprire la porta del 221B, ma si aprì prima che potesse girare la chiave.

“Oh, dottore! Sono così felice che sia tornato.”

“Salve, signora Hudson. C’è qualcosa che non va?”

“E’ il signor Holmes. Tempo che si sia ammalato. E’ stato uno straccio da quando lei è partito – ha a malapena mangiato qualcosa!”

“Andrò a vederlo.” Disse Watson, toccando gentilmente la spalla della padrona di casa. Corse veloce lungo le scale con la sue valige, facendo cadere il bagaglio nel corridoio e correndo dentro la stanza delle consulenze con la sua borsa da medico.

Si fermò di colpo sulla soglia e osservò dalla porta. C’erano piattini, tazze e giornali ovunque. Lo  Stradivari giaceva sul bordo della scrivania di Holmes, in un modo che avrebbe potuto cadere ad ogni momento. Sopra a tutto quel caos, la stanza era al buio e piena di fumo. “Holmes?” Tossì Watson. Gli piaceva un po’ di buon tabacco, ma questo era veramente troppo. Corrugò la fronte e attraversò la stanza dove aprì una finestra, spostando le tende per lasciar entrare un po’ di luce.

Si voltò quindi per guardare il detective, pensando a come avesse fatto a non scorgerlo, seduto sulla sua solita sedia. “Holmes!” Disse con voce di accusa. “Che cosa ha fatto a stesso?”

Holmes sollevò languidamente gli occhi verso Watson. Appariva molto magro, molto stanco e sembrava non si fosse rasato da alcuni giorni. Era vestito con l’accappatoio e le pantofole, malgrado fossero le due del pomeriggio.

“Holmes.” Disse ancora Watson. “Che cosa sta…” Si fermò quando il suo sguardo si posò sul divano, dove giaceva una siringa. “Oh, è così allora.” Le labbra del dottore si strinsero in una linea sottile e marciò verso il suo amico. “Holmes.” Disse aspramente. “Le chiedo, come dottore e come amico, di riprendersi. E’ vergognoso. No, non m’interessa cosa pensa e non voglio sapere le ragioni per cui ha fatto questo a sé stesso.” Lo interruppe quando Holmes provò a rispondere. “Farà quello che le ho detto. La signora Hudson era terribilmente preoccupata, potevo leggerglielo in faccia. La lascio per due settimane e lei sprofonda in questo caos.”

Holmes si alzò e fece per entrare nella sua stanza. “Mi perdoni, Watson.” Disse calmo, fermandosi sulla porta.

Le spalle di Watson si afflosciarono e sospirò. “Io voglio solo che non si ammali. Ci sono già abbastanza malattie in città in questo periodo dell’anno senza che si ammali anche lei.

Un paio di ore più tardi, dopo che Holmes si fu ripulito e sistemato, Watson scese per il tè.

Il detective stava suonando di nuovo il suo violino. Spesso Watson entrava nella stanza quando Holmes suonava, ma stavolta si fermò . Il dottore aveva sentito molte melodie malinconiche arrivare dallo Stradivari, ma nessuna così triste come la musica che arrivava ora alle sue orecchie. Holmes diventava spesso depresso quando la sua mente non era occupata con un caso, e quell’anno era stato lento.

Ma la depressione di solito non era così grave. Pensò a come poteva essere d’aiuto. Mentre ascoltava il violino, il suo cuore si appesantì sempre di più, soprattutto per la consapevolezza che il suo amico, molto probabilmente, non si sarebbe confidato con lui su ciò che lo turbava con una tale importanza.

Quella sera sul tardi, comunque, mentre sedevano fumando le loro pipe in silenzio, Holmes parlò. “Watson.” Disse molto tranquillo. “Non so che cosa fare.”

Watson si tolse la pipa di bocca. “Non sa che cosa fare a proposito di cosa?”

Holmes lasciò pendere la pipa nella mano destra e usò la sinistra per massaggiarsi gli occhi. “Io…di solito non confido le mie faccende personali con altre persone.”

Watson lo guardò e disse gentilmente. “Qualunque cosa ha bisogno di scrollarsi dalle spalle, Holmes, può confidarsi con me. Può fidarsi di me qualunque cosa sia.”

“Lo so, Watson.”Abbassò le mani dalla faccia e rivolse al dottore un rapido sorriso di gratitudine. Qualunque traccia svanì in fretta quando voltò il viso verso il fuoco. Fissò gli occhi sulle fiamme come se non volesse incontrare lo sguardo di Watson.

Il dottore aspettò pazientemente che Holmes dicesse qualcosa; il suo amico non aveva mai rivelato questioni personali intenzionalmente o volentieri. Era qualcosa di molto fuori dall’ordinario.

“Non…non riesco a levarmela dalla testa, Watson.”

La? Pensò Watson incredulo. Una donna nella vita di Holmes era certamente nuovo per lui. “A quale donna si sta riferendo?” Chiese timidamente.

“…la signorina Andrews.” Sussurrò Holmes.

Watson scattò dritto sulla sedia. “La signorina Andrews? Mio caso Holmes, non mi ero reso conto che lei sentisse…non sapevo provasse dei sentimenti per lei.” Non era esattamente una menzogna.  Aveva notato una certa attrazione tra i due, ma pensava fosse solo un leggere interesse, niente di veramente serio. E Holmes era così distante. Non avrebbe mai immaginato che la signorina Andrews – o peraltro qualunque altra donna – fosse la causa della recente depressione del detective.

Le labbra di Holmes si strinsero. “Si.” Cadde nuovamente il silenzio per alcuni momenti. “E’…non è facile per me da dire.” Aspettò una risposta da parte di Watson, ma sapeva che il dottore capiva e avrebbe aspettato volentieri per tutto il tempo che gli serviva per confidarsi. Holmes non poteva andare avanti con questo orribile segreto dentro di lui, quest’orribile dolore, senza cercare di trovare un aiuto. Aveva detto a Watson più di una volta che il sesso debole era il suo campo.

Fece un profondo respiro e disse. “Non riesco a smettere di pensare a lei. Tormenta i miei sogni e i miei pensieri costantemente. L’unica tregua che ho è quando ho a che fare con un caso e, come sa, ne abbiamo visti pochi quest’anno.” Si fermò ancora e coprì stancamente gli occhi con la mano. “Da quando lei è partito, pensavo a lei più del solito e mi sono di nuovo concesso quel vizio che lei fortemente disapprova.” Tornò silenzioso un’altra volta.

Watson sedeva in modo analogo, guardando il suo amico. Cercò di pensare a qualcosa da dire, ma Holmes lo anticipò.

“Credo…” Iniziò, ma si fermò di nuovo e deglutì, come se quello che stava per dire fosse molto difficoltoso da tirar fuori. “Credo di amarla, Watson.” Sussurrò.

“Mio caro Holmes.” Disse Watson dolcemente. Aveva in mente di posare la mano sulla spalla dell’amico, ma decise che forse avrebbe messo ancora più a disagio il detective.

“Ho cercato qualunque cosa per togliermela dalla testa, ma non ci riesco.” Si scoprì gli occhi. “Si è mai trovato di fronte ad un simile dilemma?”

“Si, Holmes.” Replicò Watson, evitando il suo sguardo. “Quando Mary è morta… ”

Holmes si drizzò di colpo, le scuse visibili su tutto il viso. “Mio caro Watson, non avevo intenzione di riportare i suoi pensieri su - ”

“Va tutto bene, Holmes.” Disse Watson, alzando la mano per respingere l’osservazione. “Penso ancora a lei, ma ho voltato pagina. Non dico che non occorra tempo, vecchio mio – sono passati due anni da quando è successo – ma come si suol dire, il tempo cura tutte le ferite. Si prenda solo un po’ di tempo; starà presto meglio.”

Non era esattamente ciò che Holmes voleva sentire. Sperava segretamente in qualche tipo di rimedio istantaneo. Ma era grato a Watson per l’aiuto e il conforto. “Grazie,Watson. Ha perfettamente ragione.” Si alzò per andare alla finestra. Si sentiva meglio essendosi liberato del segreto dal petto. “Watson.” Disse voltandosi. “Non dirà -”

“Muto come un pesce, Holmes.”

 

“Christine, sono veramente preoccupato per te. Sei stata molto triste questi ultimi mesi. Hai visto un dottore o c’è qualcosa che posso fare?”

Christine sprofondò dentro la coperta e portò i piedi sotto di lei, fissando il caminetto nel soggiorno di Walter. “Non ho bisogno di vedere un dottore e non credo tu possa aiutarmi.” Rispose tranquillamente.

“Posso provare.” Disse Walter, avvicinandosi a lei. “Senti Christine. Ti conosco dal giorno in cui sei nata. Sono il tuo padrino. Dovresti avere fiducia in me.”

Ho fiducia in te!” Disse, sedendosi dritta.

“Allora dimmi cosa non va.”

Lei sospirò. “Non posso. Non adesso.” Abbassò gli occhi. “Mi dispiace.”

 

Era gennaio.

Holmes guardava fuori dalla finestra la neve fresca, osservando come cadeva,  scintillando sulla strada.

Il fuoco scoppiettò dietro di lui mentre Watson sistemava i ceppi.

Sembrava stesse meglio durante gli ultimi due mesi, ma pensava ancora spesso a lei. Si era così abituato alla sua presenza durante quel mese che talvolta, quando si era quasi addormentato, gli sembrava di sentire la sua voce o i suoi passi sulle scale.

I suoi sentimenti potevano sparire un giorno, ma come diceva Watson, serviva del tempo.

E non l’avrebbe mai dimenticata del tutto.

 

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Capitolo di transizione prima del finale. Si, il prossimo è l'ultimo.

 Bebbe5: Cara Bebbe, grazie per la ricerca sul fiore, ma mi sa che non c'è un nome decente... L'autrice è proprio andata a cercasela! Avevo trovato anch'io Mazza D'oro, ma è un nome un po' ambiguo e nel contesto della frase la cosa diventava un po' oscena e abbastanza comica :). E vabbè, che Lysimachia sia. Come hai predetto, Watson è stato più presente, soprattutto per aiutare l'amico. Mancava un po' Watson, senza di lui Holmes non sopravviverebbe (almeno alla sua depressione). Ancora qui ritroviamo alcuni passaggi visti nella serie Granada, cosa che approvo incondizionatamente :)).  Spero di non avervi lasciato troppo in sospeso, questo capitolo l'ho quasi tradotto completamente due volte: mai fidarsi del salvataggio automatico -___-', di conseguenza ho perso tempo. Alla prossima, che sarà anche l'ultima per questa storia. ^___^
  
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