Tales ~ ♠
Nickname:
Deidaradanna93
su efp forum / Silvar
Tales
su efp sito
Titolo:
Tales
~ la mia storia ~
Personaggi
scelti: Sasori,
Deidara
Genere:
Drammatico,
triste, romantico, slice of life
Contesto:
Naruto
Shippuuden
Rating:
Arancione
Avvertimenti:
One
shot, what if?, yaoi
Beta
reader: no
Introduzione:
Non
aveva mai
nevicato, da quando ci eravamo conosciuti.
Esisteva
perenne pioggia che minacciava spesso nevischio, senza mai
concluderlo del tutto.
Aveva
freddo, Deidara. E gli piaceva.
Io
non la pensavo come lui, ma fui costretto a sperimentarlo comunque.
E
la pioggia continuava a bagnare i nostri corpi, prendendosi gioco
delle nostre brevi vite.
Mi
accorsi che me l'aveva portato via.
Note
dell'autrice:
*a
fine storia
~ Seconda classificata al “Cold contest” indetto da Shark Attack sul forum di efp ~
Tales
~ La mia storia ~
A
Konoha c'era grande agitazione quel giorno.
Donne
comuni, kunoichi, bambini di nuova e vecchia generazione, anziani
pettegoli, daymo, giovani uomini.
Erano
tutti accorsi da ogni lembo del paese del fuoco, o anche, per chi
riuscisse a sostenere la portata del viaggio, da oltre confine.
Non
c'era mai stato brulicare di gente più grande, le piccole
vie erano
gremite all'inverosimile.
Decori
e addobbi erano parcheggiati dappertutto: la classica bandiera con il
simbolo della foglia che dava in dotazione l'hokage a tutti gli
abitanti veleggiava da ogni balcone.
Erano
stati chiamati i grandi mastri vetrai di Suna, e tutti i cristalli
dei lampioni erano stati sostituiti così da rendere lo
spettacolo di
luci, non appena fosse calata la sera, così variopinto da
fare
invidia a qualunque villaggio.
I
negozianti facevano affari d'oro per quell'occasione, e portavano
ricchezza nelle case della gente.
Il
benessere e il tenore di vita non era mai stato più alto in
quel
giorno di festa, e prometteva che le cose sarebbero andate ancora
meglio in futuro.
Il
giorno della pace, dell'amore, e della ricostruzione.
Questa
scritta era ripetuta ad ogni dove, sugli striscioni appesi, nei
discorsi della gente.
Akatsuki
era sconfitta.
Ogni
minaccia esistente era sconfitta.
Ora
non esisteva più nient'altro oltre la pace, oltre i giorni
di gloria
e di felicità.
Sembrava
proprio che il bambino della volpe questa volta ci fosse riuscito, a
riportare equilibrio tra i ninja. A fermare conflitti e odio.
Era
stato nominato hokage praticamente subito, i paesani lo amavano come
lui amava la foglia.
Quel
giorno era la fine. La fine della pericolosa minaccia di Alba.
La
fine che molti credevano non potesse arrivare.
La
fine che Naruto Uzumaki aveva sbattuto in faccia a tutti loro,
servita su un piatto d'argento.
E
ora l'hokage offriva a tutti un giorno di festa, di follia, di
divertimenti, di balli, di luci.
Esisteva
forse un modo migliore per iniziare a farsi amare?
L'imponente
via-vai della folla confluiva in un unico punto, ai piedi della
magione del capo villaggio, dove era stato allestito un enorme
tendone per via delle nuvole che già da quella mattina
minacciavano
pioggia. Lì era stato centrato il culmine della festa, il
simbolo
del pericolo cessato.
Uno
di loro era
sopravvissuto.
Non
sarebbe stato necessario privarlo degli arti per impedirgli di fare
mosse strane in presenza di civili. Gli avevano già
iniettato
una dose di veleno in quel buco che era la sua cassa toracica, veleno
che avrebbe cominciato a fare effetto solo dopo quattro ore, e che
una volta entrato in azione l'avrebbe ammazzato nel giro di dieci
secondi.
Un
sistema davvero efficace, ereditato dal defunto ninja supremo
Tsunade.
Ognuno
agognava pervenire a quel rituale, ognuno si accalcava per acciuffare
i posti migliori.
“Mamma,
quello è per davvero un ninja dell'Akatsuki?”
“Non
guardarlo per piacere, Hachiko”
“Signora,
l'hokage intende fare un'esecuzione plateale?”
“Non
lo posso dire con certezza...”
“Meritano
di morire tutti quei cani! Perché quello è ancora
vivo?!”
Frasi
di cattiveria e di giustificato odio serpeggiavano sulle lingue dei
paesani.
La
guerra era finita, ma l'odio non era estinto, anche se il nemico era
stato decimato.
L'attenzione
e la maldicenza di tutti convergeva ora in quell'unico punto, nel
baricentro di quell'anima messa alla berlina, sospeso tra il suo viso
abbassato, di cui si scorgeva solo l'esile bocca, e il petto
scoperto.
Non
si poteva neppure chiamare essere umano.
Cos'era?
Le
braccia spaccate e la pancia aperta sputavano schegge e rivelavano
ingranaggi.
Non
poteva essere umano. Era un guscio vuoto, un semplice pannello di
legno e ferraglia.
Eppure
molti ci si accanivano contro, lanciandogli maledizioni e cattiveria,
non sapendo neppure se fosse vivo o morto, vero o finto.
Il
nobile hokage scendeva di gran carriera le scale della magione,
accerchiato dai suoi dignitari che continuamente lo tempestavano di
domande usando un finto tono reverenziale, ricordandosi di avere a
che fare con un ragazzino, credendo per questo di poter imporsi.
“Mi
scusi ma, signor hokage. Intende ucciderlo davanti a dei
civili?”
“Mi
creda, non ci faremmo una gran bella figura, neppure davanti agli
altri paesi. Sa che sono venuti fin dalle contrade di Iwa per
assistere a questa fiera?”
“...”
“Lo
sa?”
“Non
sarebbe meglio ritirarlo dal pubblico appena prima la scadenza del
tempo, lasciandogli credere che lo lasciamo vivo? Poi lo ammazziamo
nelle segrete...”
“Perché?”
Domandò adirato l'hokage, deciso finalmente a reagire ai
loro
martellamenti.
“Come
perché?”
Il
sommo di Konoha li fulminò uno ad uno con lo sguardo, come
per
ricordargli di essere cambiato, di non essere più il bambino
che
credevano di aver di fronte.
“Perché,
io non ho visto la morte in faccia? Io non ho salvato tutti loro
dalla morte?”
“Ma
non pensa che...”
“Ne
ho abbastanza delle vostre supposizioni” sbottò
Naruto voltandosi
e continuando a percorrere il corridoio, affrettando ulteriormente il
passo.
“Ora,
mi state facendo perdere del tempo. Laggiù aspettano solo
me, e quel
bastardo ha i minuti contati, quindi per favore...”
Decisamente
l'aver raggiunto quella carica gli aveva montato la testa.
*
L'eccitazione
era al culmine, i dubbi e gli scherni aumentavano. Il volume dello
schiamazzo della folla cresceva esponenzialmente, molti cominciavano
ad irritarsi per il ritardo.
Per
quanto ancora avrebbe dovuto patire quell'essere, ormai più
morto
che vivo? Uzumaki aveva intenzione di sbeffeggiarli divertendosi ad
osservarli scannare quella creatura?
Aveva
intenzione di darla in pasto alla folla? Se quella fosse stata la sua
scelta, l'avrebbero smembrato, violentato, divorato fino all'ultimo
osso.
Alcuni
lo richiedevano, anzi lo pretendevano, altri avevano già
intuito la
piega che stava prendendo la situazione e portavano via i loro
bambini.
Proprio
allora apparve la figura dell'eroe, stagliata grande contro il popolo
intero.
Dominava
tutti i suoi concittadini e beneamati invitati dalla posizione un
poco elevata che gli offriva una sorta di ampia scalinata, a gradoni
larghi e bassi.
Davanti
a sé era inchiodato ad un palo di cemento e filo spinato lo
sgradito
ospite, ovvero il piatto forte della serata. Stava a testa china,
come aspettasse di venire decapitato, come aspettasse di sentir
scendere sul collo la fredda mannaia della morte.
Il
suo cuore, visibile nell'incastro tondo del torace, apriva
autonomamente pulsanti ferite, lacerando il tessuto miocardico e
rivelando abbozzi di ventricoli meccanici che cercavano
disperatamente di espellere la scoria del veleno.
Sussulti
e schiume bianche erano i sintomi della sua insanabile ferita.
Non
aveva mani per guarirla, ma aveva occhi per guardarla. Per
convincersi sempre di più di non avere speranza di vedere la
mattina
del giorno dopo.
La
gente acclamò Naruto Uzumaki non appena videro la sua testa
bionda
alzarsi davanti a tutti loro.
Lo
guardarono affamati, le bestie insaziabili, volendo chiedere il
linciaggio, non trovando il coraggio o la faccia per alzare la voce.
Naruto
sapeva questo. Sapeva di avere scatenato un mostro negli animi di
quelle fiere da combattimento. Diventando adulto, crescendo a
contatto con dure realtà, aveva imparato a conoscere la
natura
dell'uomo e sapeva che l'uomo odiava e odiava il colpevole fino allo
sfinimento, una volta scoperta la sua identità.
Odiare
era ciò che l'uomo sapeva fare meglio.
“Prestatemi
attenzione, voi tutti, miei compaesani e miei cari ospiti. Sono
Naruto Uzumaki, il più giovane kage di Konoha mai esistito.
Ho
debellato la cerchia della nota organizzazione Akatsuki, come voi ben
sapete. Ho ricostruito ciò che potevo ricostruire,
ciò che costoro
bramavano distruggere e hanno distrutto.
Vite
umane, case, giardini, interi villaggi. Alcuni paesi si sono perfino
piegati alla loro influenza, rinunciando in modo imperdonabile alla
loro dignità, alla loro tradizione, pur di mantenere salva
la vita
con uno sporco e infido ricatto. Io sono stato chiamato per guarire
questa piaga, per riuscire a dire sì dove
altri hanno scosso
la testa e l'hanno piegata al loro assassino.
Ora
tocca a voi. Tocca a voi giudicare queste chimere, queste imitazioni
dell'umano.
Dite,
ha la mia stessa mentalità? Ha il mio modo, il vostro modo,
di
ragionare, di porre le cose?”
Alzò
con ribrezzo il mento scheggiato del nemico, che aveva taciuto fino a
quel momento.
Risuonò
un no collettivo in risposta, un ululato comune,
un ringhio,
un pianto di rabbia.
Naruto
aveva già saputo scaldare gli animi, aveva già
saputo catturare e
commuovere quel mucchio di carne.
Gli
occhi vuoti e inespressivi del condannato fissavano uno ad uno gli
ignoti visi degli spettatori, così che questi poterono
vedere se
davvero viveva o era solamente uno stupido fantoccio.
“Costui
che vedete è Sasori, traditore di Suna, traditore che Suna
non ha
saputo tenere a freno ed annientare”. Bisbigli e maldicenze
si
fecero largo tra gli animi della massa, muovendo la
curiosità e la
vergogna degli abitanti originari del paese desertico.
Tuttavia
ormai erano chiare le intenzioni dell'hokage: i presenti stavano
assistendo a un macello all'aperto. All'esecuzione di una pena
capitale.
Molti
già si chiedevano se ciò non venisse vietato
dagli antichi
comandamenti espressi dal capostipite di Konoha, se non venisse
considerato un'eccessiva e inutile manifestazione di barbarie.
Naruto
spense il brusio con un sol gesto, reclamando nuovamente attenzione.
“Ma
noi non siamo animaleschi e spregiudicati come costoro, o no? Non ci
abbasseremo al loro livello”.
Uzumaki
tese una mano verso il prigioniero, come volesse cedergli la parola.
“Prego,
Sasori”.
Nessuno
intese il significato di quell'invito, né di quel gesto. Si
chiedevano se fosse finalmente arrivato il momento di porre fine a
quella buffonata.
“Cosa
dovrei fare, signor hokage?” Ci fu un sussulto generale,
nell'udire
il suono efebo e morbido della voce che pronunciò quelle
parole.
Ormai tutti si erano illusi che il malaugurato non avrebbe aperto
bocca fino all'ora della sua morte.
“Parlare,
presentare le tue giustificazioni davanti a questi signori qua
presenti. Parlare dell'Akatsuki e dei bravi ninja che ne facevano
parte. Esporre i motivi per cui non dovremmo odiarvi, cantare la tua
bella storiella”.
Cosa
significava tutto ciò?
Il
dubbio era nuovamente dipinto sulle facce dei presenti.
La
delusione si avvertiva a fior di pelle.
Non
era il caso di dare aria alla bocca di un tale individuo.
Loro
non erano disposti ad ascoltare, qualsiasi cosa lui avesse da dire.
Eppure
quell'esile voce lasciò nuovamente tutti quanti sgomento, e
riuscì
ad imporre silenzio.
“Vi
racconterò una storia”.
E
la sua bocca si decise finalmente a lasciar defluire quell'insieme di
lettere, altrimenti chiamato parole, che costruiscono frasi, e ancora
ad articolare le frasi in lunghi capoversi, lasciando che volassero
uscendo a fatica dalle sue labbra socchiuse, e s'insinuassero nelle
orecchie e nella coscienza della gente.
L'ultima
sua possibilità di lasciare un segno, di non sparire come
una pedina
senza nome né volto.
“Piacere, io mi chiamo Deidara”
“C'era
Deidara”.
Due
misere parole per introdurre la vicenda di una vita.
Un
solo nome per iniziare a giocare il racconto, ma quel nome, quella
musica che riempiva quelle quattro sillabe, aveva costituito la sua
esistenza.
Aveva
dato un senso e un altro scopo del suo essere al mondo.
Aveva
palesato l'inutilità di combattere, uccidere e venire uccisi.
“E
poi c'era la pioggia”.
Che
cosa mi dice questo idiota?
Lo
so già come si chiama, come se questo poi potrebbe tornarmi
utile in
qualcosa...
Solo
uno stramaledetto dato in più da immagazzinare nel cervello.
“Volete
sapere quale fu la prima cosa che dissi quando lo vidi? Assolutamente
niente. Ma vi posso dire quello che pensai”.
Parlava
a rilento, Sasori. Forse doveva ancora pensare a cosa dire, forse non
trovava nemmeno le parole adeguate per dirlo.
“Che
mi sarebbe stato solo d'intralcio e di disturbo, che non aveva
confronti con il potere posseduto da Orochimaru, e un'ultima
cosa”
si fermò, forse per prendere il respiro, più
probabilmente per
assicurarsi di essere ascoltato fino in fondo.
“Che
lui camminava nella pioggia, e la pioggia se lo portava con
sé”
Quello
fu il primo giorno che lo vidi, e mi sembrò uno scherzo
della
natura.
Un
mukenin non si comportava a quel modo.
“Muoviti”
gli intimai, perché al nostro ritorno da Iwa sembravano
essersi
aperte le cateratte del cielo.
“Mi
piacerebbe che uscissi di lì”.
Sospirai.
“Muoviti”
ripetei, ricalcando il tono.
“Mi
piacerebbe proprio che uscissi di lì!”
Perché
doveva divertirsi a sfidare la mia pazienza?
Lui
stava al mio passo volando su quello strambo aggeggio.
Io
visionavo l'esterno dalla mia marionetta.
Non
avevamo neppure bisogno di guardarci in faccia, o di parlare.
Che
bisogno aveva di farmi queste richieste?
“Non
ho intenzione di collaborare, se non mi mostri almeno il tuo
volto”.
Molto
probabilmente la testardaggine era il suo peggior difetto.
Gli
lanciai un'occhiata, guardandolo attentamente solo ora.
“Stasera
ti accontenterò”
Lo
guardai di nuovo.
Quando
mi accorsi che non riuscivo a smettere, era troppo tardi.
“Quella
sera lo raggiunsi nella sua camera, gli mostrai il mio volto, ancora
giovane.
Lo
volli confrontare con il suo, e senza neanche accorgermene lo baciai.
Sentii
le nostre pelli riscaldarsi a contatto, il suo profilo si completava
con il mio.
Eravamo
soli, completamente soli su quel letto.
Non
ci curammo di accendere la luce, così poco a poco
l'avanzamento
della notte fece la sua parte, e facemmo l'amore. Non lo sapevamo
neanche noi come c'eravamo finiti lì, in quella situazione.
Tentati
dal buio che ci toglieva qualsiasi imbarazzo. Spinti da un istinto
troppe volte represso.
Sfogai
le sue voglie da bambino, la curiosità, e subito dopo sfogai
la sua
voglia da adulto, il suo desiderio. Semplicemente vivemmo quel
momento. Almeno quello, fu nostro.”
Glielo
dovevo dire.
Ero
consumato segretamente dall'odio, nonostante la mia espressione
ferrea.
Volevo
ribellarmi, volare via dalle catene che mi tenevano imprigionato a
pregiudizi e doveri.
Scommetto
che, alla fin fine, lui pensava la stessa cosa.
Eravamo
ancora umani, e c'eravamo riscoperti simili.
“Ero
spavaldo. Mi si poteva definire spavaldo. Avevo assaggiato qualcosa
di diverso, qualcosa di totalmente opposto a quello cui ero stato
educato. Qualcosa di delicato, non di invincibile. Qualcosa da
costruire, non da distruggere.”
“Qual
è la tua ambizione, Sasori?”
“Non
l'hai visto? Io sono un artista”
“E
allora?”
Cosa
intendeva?
“Speravo
che non ti fossi ancora trasformato in una macchina da guerra senza
cervello”
Nonostante
il momento, quella frase dettata con quell'arroganza riuscì
ad
irritarmi.
“Non
provare a-”
“Un
artista che si definisce ancora tale, non vuole cercare di alzare il
proprio livello?”
“...”
“Non
vuoi puntare ancora più in alto?”
“Non
avrebbe mai dovuto pormi quella domanda, perché cominciai
effettivamente a puntare più in alto. Cominciai a voler
rendere il
mio corpo immortale, lontano da vecchiaia e logoramenti, anche se
questo era comunque un pensiero lontano, molto lontano dall'essere
realizzato.
Ricordo
che spesso domandavo a Deidara come facesse a starsene fermo, sapendo
che un giorno si sarebbe deteriorato, sarebbe diventato
inutilizzabile. Lui non mi rispondeva, scuoteva la testa, sorrideva
tra sé e sé. Ora capisco quello che voleva dirmi,
e che non avrebbe
mai osato dirmi: lui non ci sarebbe mai arrivato alle porte della
morte. Se ne sarebbe andato molto, molto prima di diventare debole, e
lo sapeva bene, perché faceva parte dei suoi
piani.”
“Io...
sono un artista”
Ridevo,
mentre lo guardavo seduto sulla sponda.
“Mi
spiace, mocciosetto, ma non sei niente di tutto
ciò”.
“Ancora
mi chiedo come facesse a starsene immerso in quell'acqua ghiacciata.
Era
primavera, ci trovavamo in una regione montana, e il clima caldo
doveva ancora avviarsi a causa dell'inverno rigido di quell'anno.
Lui
diceva di adorare il freddo, qualunque aspetto che il gelo portasse
con sé.
La
brina la mattina presto e la neve sui prati d'inverno, le
rinfrescanti gocce di pioggia d'estate, la bora polare. D'altronde,
era anche comprensibile, dato il paese da cui veniva.
Iwa
non era e non è altro che una fossa costruita ai piedi di
giganti di
quattromila metri, nei mesi invernali quasi sparisce sotto la mole di
neve e ghiaccio, e i lupi scendono nelle vie razziando il poco cibo
che riescono a trovare”.
“Veramente
non hai freddo?”
I
suoi vestiti erano gettati sull'erba ancora intirizzita e sterile che
abitava la riva.
Tutti
i suoi vestiti.
Rabbrividivo
solo a guardarla quell'acqua mansueta che, ne ero certo,
rassomigliava più a ghiaccio fuso.
E
lui faceva il bagno nudo?
“Vuoi
provocarmi?”
“Dipende
da come tu interpreti i miei gesti. Io ora voglio solo farmi un
bagno”
“...”
Non
mi aveva convinto, neppure lontanamente.
Lui
ovviamente percepì il mio sospetto.
“Abbiamo
camminato per un giorno intero... se vuoi dormire nella stessa mia
stanza stasera, ti conviene che mi faccia un bagno”.
Indubbiamente,
non volevo che qualcuno mi ricordasse quanto si uscisse sudati da un
giorno di marcia sostenuta.
“E
dovresti farlo anche tu...”
“Non
ci penso proprio”
“Dovresti”
“Deidara,
il mio villaggio e il tuo hanno qualche grado di differenza. Io sono
abituato a ben altri climi. Ciò che per te è
bollente, per me è
tiepido”.
“E
lui rise. Rise perché gli piaceva quando gli parlavo, quando
non mi
limitavo ad estinguere sempre i discorsi che lui intraprendeva.
Era
un gran chiacchierone, io invece non potevo esattamente definirmi
loquace.
Adorava
il freddo, e io amavo il caldo, io costruivo marionette...”
“E
lui?”
Sasori
alzò curioso e sorpreso il viso, cercando di drizzare il
collo per
quanto lo permettesse il blocco cervicale, causato dal veleno che gli
aveva intaccato i nervi organici della spina dorsale. Non
riuscì
comunque a vedere chi fosse colui che gli aveva posto la domanda,
quindi si rassegnò piegando nuovamente la testa.
“E
lui camminava nella pioggia”.
Disse,
semplicemente.
Avevamo
appena messo piede sulla scarna soglia del nostro rifugio, rimediato
in una vecchia capanna, probabilmente appartenuta a un taglialegna.
Al
ritorno da un'estenuante missione, la prima cosa che feci fu
rinchiudermi nel box doccia, desideroso di sentire sulla mia pelle un
getto d'acqua di temperatura più accettabile di quella
esterna.
Non
avevo neanche iniziato a rilassarmi che il mio energico compagno di
disavventura cominciò a bussare alla porta, reclamando il
proprio
diritto di usufruire della toilette.
“Potevi
anche avvertirmi prima di appropriarti del bagno in modo
permanente!”
Imprecai
a bassa voce.
“Deidara,
concedimi una pausa”.
Avere
un tizio simile con cui dividere una sola camera e un solo bagno non
era una questione di semplice affido.
“Lasciami
entrare, scemo, avanti...”
Pigolò
lui in un lamentoso tono sofferente.
Presi
un respiro profondo, chiedendomi come avrei fatto a sopportarlo nei
giorni successivi.
Era
da quando era successo quell'episodio che Deidara si comportava
strano con me.
Ostentava
spesso il suo corpo, alcune volte mi guardava e mi parlava come se
volesse qualcosa, altre mi squadrava irritato o addirittura
intimorito.
E
io non riuscivo a decifrare nessuno dei suoi atteggiamenti.
“E
va bene, entra, ma fai presto”
Il
presunto terrorista spalancò la porta senza pensarci due
volte e,
naturalmente, fece l'ultima cosa che io volevo facesse. Ovvero mi
guardò, e io maledì i vetri trasparenti della
scatola dove mi
trovavo.
Lo
ignorai.
Ormai
avevo capito che quello era il giusto metodo da adottare con lui, e
con le persone come lui in generale.
“C'è
un vapore bestiale qua dentro...”
Disse
posizionandosi in piedi davanti al water e slacciandosi la cintura
dei pantaloni.
“Hm”
Mugolai
in risposta, cercando di far finta di niente, continuando a pulirmi
come meglio riuscivo con quel pezzo sgusciante di sapone.
Avrei
giurato su qualsiasi cosa che l'arrossamento sulle mie guance non era
solamente dovuto alla condensa ustionante e al fumo caldo.
“Sasori...”
La
sua voce giunse troppo vicina alle mie orecchie.
Mi
girai, e incontrai il suo sguardo celeste attraverso il vetro.
Prima
che me ne rendessi conto, aveva già aperto la porta
scorrevole del
box, inumidendo lo stanzino di una nuvola di vapore.
Il
mio sguardo cadde sulle sue mani, che sbottonavano la camicia
già
zuppa.
Il
getto d'acqua bollente gli bagnava i capelli e gli attaccava i
pantaloni alla pelle delle gambe.
I
suoi occhi blu erano fissi sui miei.
Sentii
inesorabilmente una stretta allo stomaco seguita da un ulteriore
calore esplosomi nel ventre.
L'aiutai
a liberarsi di quei vestiti più velocemente possibile,
mentre cadevo
a sedere sulle piastrelle scivolose, portandomi sopra lui.
Quasi
non mi accorsi delle sue labbra sulle mie, del suo corpo freddo a
contatto con il mio petto e con le mie gambe, delle sue mani sulle
mie cosce.
“...hmm...”
Non
appena si allontanò per riprendere fiato di quell'aria
soffocante,
io gli addentai il labbro, tirando piano la carne morbida tra i miei
denti.
Lo
accarezzavo sulle spalle, seguendo la linea delle scapole e della
spina dorsale, passando poi ai fianchi e alle lombari, fasciate di
muscoli forti.
Per
la prima volta mi resi conto di quanto fosse imbarazzante fare sesso
con lui senza un minimo di penombra.
“...”
Esisteva silenzio, e solo
silenzio.
Tutti guardavano quel burattino
come il loro narratore, erano entrati nella sua vita a pochi secondi
dalla sua fine.
“Eravamo
i protagonisti di una
storia proibita da raccontare, ma cominciavamo a chiamare amore
ciò che ci succedeva”
Il marionettista riafferrava le
fila del suo racconto, rincorreva nuovamente le parole che si
delineavano nei suoi pensieri, rievocando ricordi felicemente amari.
Le nuvole sopra di loro si
addensavano ulteriormente, e si univano in un unico batuffolo di seta
nera.
“Quest'acqua
è troppo calda...”
Puntuale.
Non
poteva passare più di un minuto senza lamentarsi.
“Vorrei
proprio sapere come la fai tu la doccia...”
“Ah,
sei tu che la lasci calda, lo sapevo...”
“Idiota,
chi altri poteva mai essere visto che viviamo in due in questa
topaia?”
“...”
“Ringrazia
che ci sia, piuttosto”
Detto
questo, uscii dal bagno.
Sapevo
che lui usava l'acqua fredda.
Sapevo
che non si sarebbe mai lavato con l'acqua calda neanche se avesse
voluto, perché la lasciava per me.
“Era
una fiera creatura delle nevi, un crudele combattente dalla mente
ghiacciata, una bellissima chimera dai fini profili nordici.
La
sua pelle lattea si contrastava con la mia carnagione leggermente
più
scura, I suoi capelli lunghi e biondi risaltavano intrecciati ai miei
rossi.
Lui
proveniva da un paese montano, io da una contrada desertica.
Perfino
le nostre arti erano due tipi di incastro opposto.
Eravamo
perfetti e contrari.”
Sapeva
che presto quel fiocco lugubre annodato in cielo si sarebbe slegato
liberando la pioggia che conteneva.
“Lui
amava il freddo. Lo amava in tutti i suoi particolari...”
Si
fermò, accorgendosi che si stava ripetendo.
“Corri!”
Lo
chiamavo ridendo, mentre ci facevamo strada scostando con i piedi le
foglie colorate d'autunno.
Pioveva
ancora, pioveva sulla nostra giovinezza.
Deidara
si lamentava, giusto per non essere ripetitivo.
Voleva
un riparo e una sosta.
Non
potevo dargli tregua, il viaggio era ancora lungo.
“Avanti...
Sasori...”
“Sei
una lagna continua...”
L'acqua
penetrava fin sotto i vestiti, i capelli bagnati ricadevano sul collo
come fredde spade, il rumore dei fulmini metteva ansia e il gelo del
lampo, durante la sua breve vita, toglieva il respiro.
“Dai...”
Deidara
mi raggiunse a fatica, inciampando e scivolando sull'erba e sui sassi
del sentiero franoso.
Non
capivo cosa volesse, se non lamentarsi ed obbligarmi ad aspettarlo.
Ma
non voleva quello, no...
Fissai
per un secondo la mano che mi porgeva, sentendo mille domande e
contraddizioni curiose accendersi in testa, dandomi un nuovo moto di
serenità.
“Avanti...”
Voleva
che gli prendessi la mano.
Non
c'era assolutamente nulla di strano.
La
presi con tutte e due le mie, baciandola, e gli sorrisi.
Non
c'era nulla di strano ad amarsi.
Era
solo bello.
Non
c'era nulla che andasse contro qualche regola scritta, sulla carta o
per aria.
Non
aveva importanza se avevamo ucciso e uccidevamo ancora.
Ora
che avevo anche qualcosa da proteggere, potevo recitare anch'io la
parte del buono.
Ora
stringevo la sua mano, e nessuno di noi due se ne vergognava.
“Guarda
che io mica ti amo...”
“Me
n'ero accorto sai? Rompiballe...”
“Perché
secondo la vostra concezione il mondo deve essere diviso in persone
che amano e persone che odiano?”
Era
una domanda.
La
folla intera guardò attonita quell'apparente ragazzino,
colpiti -o
infastiditi-
dal suo
discorso.
Sasori si accorse di non
riuscire ad alzare la testa quel che bastava per guardarli in faccia.
In corrispondenza della sua
cervicale era stato legato al palo un bastone posto orizzontalmente,
in modo da obbligargli a tenere il collo piegato in basso.
La morte, secondo dopo secondo,
si avvicinava sempre di più.
Sasori la sentiva molto, molto
vicina.
Ma ormai la sua unica paura era
di non riuscire a finire in tempo la sua storia.
Era
nevicato quella notte.
La
neve soffice inondava i prati, il vento cantava le note della bora
polare e dal tetto del nostro asilo pendevano affilati coltelli
ghiacciati, che parevano i cocci di uno specchio andato in frantumi.
Vidi
io per primo quello spettacolo, sbirciando dal vetro della
finestrella sopra al nostro letto.
Quel
piccolo spazio riparato dalle enormi coperte era esageratamente
caldo.
Occupavamo
in due un letto singolo, ed eravamo entrambi nudi.
Il
mio corpo gelido a contatto con quello bollente di Deidara.
Lui
diceva che adorava addormentarsi nelle mie braccia, perché
erano
fredde, diceva che il freddo gli dava una sensazione di
libertà, e
gli faceva fare sogni liberi.
Io
d'altronde amavo averlo vicino, perché il suo corpo caldo mi
donava
un piacevole tepore.
Naturalmente
non gliel'avevo mai detto.
“Era
la prima volta che nevicava da quando ci eravamo conosciuti. Fino a
quel momento era sempre piovuto”.
Il
temporale venne iniziato con un fulmine, e un tetro rombo che si
perpetuò per tutta la valle.
Piccole
gocce cominciavano a scivolare sul telo che fungeva da riparo,
accompagnando un lieve ticchettio alle parole.
Lui
adorava la neve, come ogni cosa portata dal freddo.
Appena
lo svegliai non vedeva l'ora di uscire.
Gli
ricordai più volte che sembrava un bambino, cercando di
rimproverarlo e sforzandomi di non ridere.
Potevo
ancora aspettare, avevamo appena iniziato, io e lui.
Avevamo
tutto il tempo per conoscerci meglio, avevamo tutto il tempo per
iniziare a scrivere la nostra storia.
Giocava
in mezzo a quei fiocchi, che continuavano a scendere.
Lo
guardavo, tenendomi a distanza, timoroso di invadere il suo momento
di pace.
Apriva
le braccia guardando in alto, girando un po' su se stesso, sorridendo
come non l'avevo mai visto sorridere.
Correva
un po' più in là, si tuffava in quell'intreccio
nebbioso e
maculato, spariva per un po' dal mio campo visivo, per un po'
tornava.
Io
sorridevo, e lo guardavo quando riappariva, lo seguivo con lo
sguardo, lo vedevo sempre meno, mi accorsi di stare sorridendo
ancora.
Mi
guardai intorno, leggermente spaesato, avanzai più avanti
nella
direzione in cui l'avevo visto l'ultima volta.
Vuoi
giocare? Pensai divertito, poi irritato, quando cominciai ad
accorgermi che non era divertente.
Quando
cominciai ad accorgermi che non lo vedevo più.
La
nebbia continuava a infittirsi.
“De...”
mi schiarii la voce.
“Deidara”
lo chiamai.
Sentii
la mia voce risuonare a vuoto, e l'insopportabile silenzio della neve
che cadeva.
Feci
un'altra decina di metri, girandomi continuamente indietro,
più
volte rischiando di inciampare.
Dov'era
finito?
Neve,
bianco, intorno a me.
Solo
questo tutto intorno a me.
“Deidara!”
Mi
girava la testa, rischiavo di cadere.
Quel
candore mi accecava, mi disorientava.
Non
capivo più da che parte era la nostra base.
Avevo
perso il senso dell'orientamento, molto probabilmente anche lui.
“Deidara...”
Perché
non mi rispondeva?
“La
risposta mi venne scritta sugli occhi, qualche passo avanti da me,
nell'immagine sotto di me che colpì violentemente il mio
cervello,
come se non fosse veritiera”.
Plic...
plic...
La
pioggia cadeva, in uno scrosciante esercito di specchi acquosi, nei
quali veniva riflesso un mondo sottostante. Appariva tanto piccolo,
fotografato in quella minuscola perla.
Lo
vidi qualche metro più in là, finalmente.
Era
sdraiato in mezzo a quel gelo.
Non
rispondeva ancora ai miei richiami, era ostinato.
Giuro,
gli avrei fatto una bella predica stavolta.
L'avrei
portato dentro e riscaldato con la fiamma del camino, cercando di
rimediare il rimediabile, anche se un raffreddore questa volta non
glielo toglieva nessuno.
Sentivo
una piacevole sensazione, tuttavia, all'idea di prendermi cura di
lui.
“Scemo!
Si può sapere che fai lì...”
Il
rimprovero mi si ghiacciò in gola, e lì rimase
come un bolo
impegnativo da inghiottire.
I
miei occhi rimasero incollati ai particolari, mettendoli a fuoco
quando io non volevo, guardando morbosamente ciò da cui
volevo
fuggire, facendomi provare il brivido della vicinanza, ordinando
passivamente al mio cervello di abbassarmi sulle ginocchia,
avvicinandomi troppo, troppo a quello strazio.
Immediatamente
l'immagine delle nostre notti si mescolò a quella presente,
dandomi
una visione repellente, facendomi salire il vomito alla gola.
Non
vomitai.
Ripresi
calma e controllo, mi accorsi solo allora di avere la stessa
espressione inerme, di non essermi lasciato sfuggire nemmeno
un'imprecazione.
Il
suo petto era squarciato in due, tagliava i vestiti pesanti e li
inzuppava all'inverosimile di sangue, il cui odore non riusciva ad
essere cancellato nemmeno da quella neve purificatrice.
Istintivamente
mi guardai intorno, allarmato, colto totalmente alla sprovvista.
Se
qualcuno avesse ingaggiato un combattimento, proprio in
quell'istante, non avrei saputo reagire.
Le
gambe mi tremavano. Per la prima volta avevo davvero paura. La morte
era vicina, vicinissima.
Poteva
colpire nuovamente, poteva ammazzarmi da un momento all'altro.
Dopo
una manciata di minuti, passati ad ascoltare il mio respiro, mi resi
finalmente conto che il pericolo oggettivo non esisteva.
E
insieme a ciò mi resi anche conto di vederlo davvero, i suoi
occhi
blu coperti dalle palpebre chiuse, la gola attraversata da un taglio
profondo, le braccia abbandonate e alle loro estremità due
mani
dalle dita aperte, come volessero afferrare un'arma che non portava
con sé.
La
neve cadeva su di lui e lo copriva di una brina trasparente, dando
forma al suo velo mortuario.
La
neve si trasformava in acqua quando si incastrava nei suoi capelli,
donandogli piccoli diamanti di ghiaccio, piccoli pendenti di
cristallo.
Lo
fissai.
La
morte l'avevo incontrata tante volte, quell'immagine non fu diversa.
Non
riuscii a formulare un pensiero concreto o consono alla situazione.
Non
riuscii ad essere triste, non riuscii a cadere nella disperazione.
Percepivo
solo una spiacevole sensazione, all'altezza del petto.
Sentivo
di aver perso qualcosa, mi sentivo sbandato.
Ero
senza bandiera, senza riferimento, non sapevo esattamente dove
andare.
Non
ricordavo esattamente cosa dovevo fare, quale missione affidatami
dovevo portare a termine.
Quella
bolla di felicità era scoppiata sul nascere.
Avevano
ucciso il nostro neonato, che forse poteva essere battezzato con il
nome di un sentimento nuovo.
Perfettamente
inutile.
'Un
artista che si definisce ancora tale, non vuole cercare di alzare il
proprio livello?'
Mi
ricordavo le sue parole, la sua eredità.
'Non
vuoi puntare ancora più in alto?'
Aveva
affidato tutto a me.
Era
nato e morto in un tempo troppo breve, e solo io ero testimone della
sue esistenza.
Il
suo ricordo era sotto la mia custodia. Era mio.
'Ti
lascerò qui Deidara, in questo luogo sterile e sepolto dalla
neve'.
Rabbrividii,
sentendo due lame incandescenti scendermi sulle guance.
Non
avrei voluto soffrire mai più, perché era
orribile.
E
pian piano, mi rendevo conto d'esistere.
“Lui
camminava nella pioggia, e la pioggia innamorata se lo portò
via con
sé.
Fino
a quel momento era sempre piovuto, il primo giorno che ci conoscemmo,
e a seguire ogni momento passato insieme era bagnato delle lacrime
delle nuvole.
La
pioggia lo inghiottì e morì con lui.
Costruì
intorno alle sue gocce piccole lapidi di ghiaccio, creò
ciò che noi
chiamavamo neve, e non era altro che un piccolo omaggio a quella
stella spenta”.
Gli
animi tremavano, sospesi tra la vicenda e la fine. I corpi si
scuotevano come fuscelli, ondeggiavano come alberi frondosi scossi
dal vento, scuotevano le loro gocce sui corpi degli altri,
ammassavano rimorsi su pentimenti, accusavano cogliendo le
entità,
abbassavano la testa quando carpivano il significato, venivano
spogliati dell'orgoglio che prima avevano urlato con tanto fervore,
venivano privati della gioia.
Aspettavano,
quasi pregavano che quel povero essere morisse.
“Fu
un discendente di Konoha a togliergli la vita. Lo colse alle spalle
in uno dei suoi girotondi.
Lo
pugnalò nel mezzo della sua innocenza, squarciò
il cielo del suo
angolo giocondo, gli fece provare il freddo della
morte
gettandogli sopra altro freddo, facendolo cadere nella neve,
spingendolo giù, giù in mezzo al gelo e a tutto
quel freddo che
lo circondava, inondandolo del suo sangue bollente.
Lo
colse alla sprovvista.
Lo
colse in un momento privo di odio, privo di qualsiasi rancore.
Privo
di guerra, pieno di pace.
Deidara
adorava la neve, per questo era felice, tanto.
Voleva
giocare con me, poco più in là aveva disegnato
sul manto nevoso una
scritta dai semplici caratteri: Sasori...
Ci
avevo aggiunto a fianco: Deidara.
Lui
non aveva fatto in tempo.
Forse
voleva soltanto prendermi in giro”.
Rise
appena, per quanto ancora poteva. Poi tornò serio,
all'istante.
“Sapete
perché quel ragazzo ha agito in quel modo?”
La
risposta era nascosta nelle parole che aveva appena pronunciato.
“Perché
come voi, pensava che quelli come noi non avrebbero mai potuto amare,
o alimentare sentimenti diversi dalla perversione. Non avrebbero mai
potuto avere un momento inoffensivo di innocenza, perciò lo
uccise
come una bestia da macellare, convinto di stare annientando un
semplice meccanismo guerrigliero che altro non conosceva se non la
malvagità, e uno spirito insensato di distruzione”.
In
molti rabbrividirono a quelle parole, in pochi si indignarono.
Naruto
Uzumaki osservava quella scena pietosa, dimenticandosi di avere
architettato lui quel teatrino. Fu commosso dal profondo del cuore,
ma sapeva che come capo villaggio doveva tenere polso fermo, e sapeva
- come d'altronde sapevano i suoi paesani - che giusto o sbagliato
che fosse, lui e i suoi ninja avrebbero dovuto perseverare per quella
via, continuando a mietere le vite che costituivano un pericolo.
Iniziava
il conto alla rovescia.
“Era
forte, Deidara. Non l'avevo mai visto versare una sola lacrima.
Eravamo
forti tutti noi, ma uno ad uno siamo caduti come stupidi birilli.
Lui,
lo scoprii dopo, aveva solamente quindici anni. Quindici orrendi anni
di presenza al censimento mondano. La vita non avrebbe potuto essere
più ingiusta con lui. Era ingenuo, era giovane, troppo
giovane. Per
questo conservava ancora la sua gelida purezza”.
Pausa,
momento di panico, momento di paura, e poi sentimento di sconforto.
E
la pioggia impertinente conservava il suo carattere e la sua voglia
ribelle.
“Inseguii
nuovi obiettivi. Trasformai il mio corpo, lo resi indifferente dal
dolore. Diventai l'arma che ora voi conoscete, ma lo diventai
perché
mi era stato tolto ciò che poteva diventare il mio scopo di
vita”.
Pioveva,
pioveva sulle loro vite.
La
sua correva già via, e ormai era giunta al traguardo.
Aveva
fatto in tempo, era felice, ora.
Era
come se fosse già morto, non importava nient'altro.
Sorrise,
serenamente.
Tuono
in lontananza, squarcio nel cielo.
“Devo
chiederle signor hokage di lasciarmi andare. Mi sleghi”.
Aveva
sentito che lui c'era, e sorrideva attraverso la pioggia. I suoi
occhi blu lo guardavano attraverso il mondo e il buio nero della
morte, la cui porta spalancata si avvicinava, senza scomodarlo.
Naruto
sembrò svegliarsi solo in quel momento dal suo stato apatico.
Registrò
in fretta e furia la richiesta, e la rifiutò sotto consiglio
dei
suoi dignitari.
La
gente protestava. Chiedeva pietà, chiedeva clemenza.
Sotto
quelle pressioni, il sommo scelse di dare voce al popolo, e
slegò il
burattino, ciò che un tempo era stato Sasori.
“Non
ti reggi neanche in piedi”.
Si
appoggiò al palo con una spalla, essendo privo delle braccia.
Arrancò
fuori dall'area delle scalinate, raggiungendo l'aria aperta non
protetta dal tendone.
La
pioggia scorreva su di lui, dilaniandolo di quel freddo biondo che
gli ricordava troppo i loro momenti bagnati dall'acquazzone.
Deidara,
alla fine, cosa aveva significato nella sua vita?
Tre
mesi era stato il loro tempo.
Ma
era stato l'unico, per lui.
Si
trascinò arrampicandosi come poteva per il sentiero che
portava
fuori villaggio, scegliendo il posto dove morire.
La
gente lo osservava tenendosi rispettosamente a distanza, lasciandogli
vivere i suoi ultimi momenti di libertà come preferiva,
assieme alla
pioggia scrosciante.
Riviveva
Deidara in quelle gocce, riviveva la sua giovinezza.
Sentiva
di poterlo abbracciare e riscaldare come avrebbe dovuto fare quella
volta.
Sentiva
di amarlo come mai l'aveva amato.
Sentiva
di piangere, non sapeva se di felicità o di rimorso.
Sentiva
che era con lui.
Lo
sentì lasciandosi inondare di quel gelo, poteva quasi
volare, e
dimenticarsi di quel mondo.
In
fondo, cosa significava la vita?
Erano
pedine di una guerra continua e senza fine.
Aveva
compiuto il suo dovere.
Sentì
di morire.
“Deidara,
tu amavi tanto il freddo... come puoi permetterti di dire
ciò? Il
freddo che sto provando ora non mi è indifferente, non si
può
riscaldare e uccide”.
Aveva
compiuto il suo dovere.
Nient'altro.
“Tu
non lo conosci”.
Sentì
il cuore fermarsi.
~ End
Replicante
Sono
tornato a casa, ho vinto la guerra e adesso sono dietro la tua
porta.
Ho cercato di rispettare le leggi, di vederne il
significato assoluto.
Ti ricordi di me? Prima della guerra.
Sono
l'uomo che viveva nella porta accanto.
Molto tempo fa...
Come
puoi vedere quando mi guardi, sono ridotto a pezzi, non sono
più
quello che ero.
E' più facile se non mi vedi quando sono in
piedi.
Sono più alto quando siedo qui immobile, mi chiedi se i
miei sogni si sono realizzati.
Mi hanno costruito un cuore di
acciaio, di quelli che le pallottole del nemico non possono scalfire.
Niente
è come sembra,
sono un replicante, sono un replicante.
Un
guscio vuoto dentro di me,
non sono più io, sono un replicante di
me stesso.
La
luce è verde, ci ho messo una pietra sopra,
una nuova vita per
riempire il vuoto che c'è in me.
Non ho un nome, lo scorso
dicembre, la vigilia di Natale, non mi ricordo.
Il dolore era
costante, vedevo la tua ombra nella pioggia.
Ho insanguinato ciò
che ti riguardava.
Invece avrei voluto stare a casa.
Niente
è come sembra,
sono un replicante, sono un replicante.
Un
guscio vuoto dentro di me,
non sono più io, sono un replicante di
me stesso.
Mi
lascerai quando sarà tutto finito.
Mi lascerai, il mio mondo è
finito.
Mi
risollevo dal luogo dov'ero, cerco di tenere pulita la mia
base.
Adesso sono qui e credo che non tornerò indietro.
Mi
addormento e sogno.
Sto volteggiando in un urlo
silenzioso.
Nessuno mi biasima.
Ma niente è come sembra.
Niente
è come sembra,
sono un replicante, sono un replicante.
Un
guscio vuoto dentro di me,
non sono più io, sono un replicante di
me stesso.
Sono
tornato a casa, ho vinto la guerra e adesso sono dietro la tua
porta.
Ho cercato di rispettare le leggi, di vederne il
significato assoluto.
Ti ricordi di me? Prima della guerra.
Sono
l'uomo che viveva...
Note
dell'autrice: Come sempre, mi sono buttata
a capofitto
sul tragico. Un'altra delle mie one-shot basata sempre sul meccanismo
presente-flash back, una what-if un tantino esagerata in cui Sasori
è
l'unico superstite dell'Akatsuki, e Deidara muore pochi mesi dopo
essere entrato nell'organizzazione. Inizialmente volevo inserire
anche dei flash back in cui Sasori raccontava anche dell'amore tra
Hidan e Kakuzu, ma dopo ho preferito di scartare questa
possibilità,
per tanti motivi: sia per questioni di tempo, sia per il fatto che
non ho mai
scritto
una KakuHida e non so trattare bene né la coppia
né i personaggi, e
poi perché sarebbe risultato eccessivo alla fine.
Ho voluto
inquadrare una visione diversa, uno spaccato differente del mondo di
Naruto, capovolgendo un tantino le visioni canon, ispirata anche un
po' dal bel discorso che ha fatto Pein a Naruto prima di
morire.
Riguardo appunto a Naruto, vorrei giustificare un po' il
suo comportamento. Prima di tutto è diventato hokage e
questo, a mio
parere, l'ha reso arrogante e sopratutto ribelle nei confronti dei
vecchi pilastri della foglia, persone di cui lui si vuole liberare
spinto anche da rancori precedenti che sono noti anche nella storia
originale. Basti pensare il rapporto che Danzo aveva con Tsunade e
con il terzo hokage. In un certo senso, i dignitari sono i vecchi
nobili come i due consiglieri e Danzo, mentre Naruto regge la stirpe
degli hokage, e ne vuole a tutti i costi difendere l'onore e non
fallire come Tsunade, che non ha saputo tenergli testa.
Inoltre
l'odio di Naruto verso personaggi come possono essere i membri
dell'Akatsuki mi sembra essere presente anche nel manga, anche se qui
metto in scena un Naruto “più accanito”,
questo giustificato dal
fatto che lui ora ha la responsabilità e dei suoi paesani,
parla
davanti a loro, tiene le redini del villaggio. È cresciuto e
non può
permettersi di vacillare, di dimostrarsi clemente con individui
odiati e perseguitati da tutto il mondo civile.
Bene, chiudo
discorso Naruto :P
Ero indecisa riguardo al rating da attribuire a
questa storia, direi che sia un arancione tendente al rosso, ci sono
alcune scene un po' crude, forse ^^” ma ho deciso alla fine
per
l'arancione, sperando di non aver commesso un errore palese.
Passo
infine all'ultima cosa.
Il
testo finale è la traduzione di una canzone dei Sonata
Arctica,
intitolata “Replica”.
Ammetto
che io ho conosciuto sia il gruppo che la canzone quando avevo
praticamente concluso la fic, quindi non mi sono assolutamente
ispirata ad essa. Mi sono solo accorta, dopo averla ascoltata ed aver
guardato il testo, che si sposa davvero bene con la mia storia, come
testo (nei pezzi come "ho cercato di
rispettare le
leggi, di vederne il significato assoluto"; "quando mi
guardi, sono ridotto a pezzi, non sono più quello che ero";
"mi
hanno costruito un cuore di acciaio"; "sono un replicante,
un guscio vuoto dentro di me, non sono più io, sono un
replicante di
me stesso" "Il dolore era costante,
vedevo la
tua ombra nella pioggia, ho insanguinato ciò che ti
riguardava";
"Mi lascerai, il mio mondo è
finito"; "Mi
risollevo dal luogo dov'ero, cerco di tenere pulita la mia base")
ma anche e sopratutto come musica, io la trovo una canzone tutto
sommato molto, molto triste. Sasori, in fin dei conti, è sul
serio
un replicante di se stesso.
L'ho inserita come una sorta di
“titoli di coda” (visto che io ho sempre una
visione
cinematografica delle fic...).
Bene,
considero questa fic un po' come l'inaugurazione del mio nick, dato
il suo titolo“Tales”. Inoltre ho aggiunto il
sottotitolo “La
mia storia” per inserirla poi nella serie assieme a
“La tua
storia” e sì, arriverà anche una
“La nostra storia” XD
lo
so, sono incredibilmente monotona ...
I flash back sono i
capoversi allineati a destra e in corsivo, e sono tutti episodi
raccontati da Sasori alla folla che lo ascolta. Ho voluto esporli
sotto forma di veri e propri episodi a parte per non appesantire
troppo i dialoghi e per non rendere il tutto troppo noioso. Un po'
come in un film c'è un personaggio che racconta e poi si
passa ad
inquadrare direttamente i pezzi di episodi che racconta come fossero
attuali.
Tales, di Silvar Tales [ II classificata ]
Grammatica:
14/15;
Utilizzo dei dialoghi/descrizioni e andamento della trama
in generale: 15/15;
Originalità: 15/15;
Attinenza al tema del
Contest: 10/10;
Caratterizzazione dei personaggi: 9/10;
Gradimento
della giudice: 5/5;
Totale: 68/70.
Giudizio scritto del giudice [Shark Attack]
L'impressione generale che mi ha dato la fic ad una prima lettura è stata quella di gelida armonia, ottima direzione della trama e dei dialoghi, interiori o puramente narrativi da parte del protagonista. L'idea stessa di ambientare questa strana fic, che potrebbe sembrare un'AU per i personaggi estraniati dalla reale vita che hanno nel manga anche se, ovviamente, AU non è, dicevo l'idea di ambientarla sul patibolo di morte, come episodio finale di una storia più grande che scopriamo solo ora, mentre i secondi scappano crudeli sotto gli occhi e il respiro affannato di Sasori morente... beh, mi ha colpita. L'atmosfera è raggelante, ma di un freddo che colpisce dentro, perché il sentimento creato è strano, potente e labile, come gettato sul filo del rasoio. La narrazione dell'assassino è lucida ed appassionata, con sempre una parola dolce e un ricordo affettuoso nei confronti del suo biondino, unico pensiero nella morte. Fa scappare parecchi sorrisi, mentre ci si sente coinvolti, quasi fossimo anche noi lettori lì sotto il patibolo, a guardare quella testa china e bagnata dalla pioggia, sotto lo sguardo di un Naruto algido e distaccato, cosa che non mi è dispiaciuta molto ma che ha tolto un punto nell'IC perché mi sembrava un pochino irreale... hai specificato bene, nelle note finali, il motivo del suo cambiamento di carattere, ma ritengo comunque che Naruto, proprio essendo Naruto, non avrebbe mai avuto un simile atteggiamento, troppo da Sasuke, diciamo! XD Per il resto non ho altro da dire, se non complimenti per la splendida posizione, per il premio giuria (proprio perché mi hai trascinata nella vicenda rendendola palpabile e viva ai miei occhi! *-*) (ah, sono anche riuscita a fare dei bei banner, sono molto contenta di non aver contornato una così bella fic con degli sgorbi!) e per tutto in generale! ^.-
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Beh, non so
davvero cos'altro dire se non che sono davvero contenta del giudizio,
della posizione raggiunta, e di questo contest in generale
^__^
Devo ancora fare i complimenti alla giudice per l'estrema
velocità e precisione, per l'accuratezza dei giudizi, per la
sua disponibilità sul forum, e per i banner, naturalmente,
li ho adorati! ♥
E naturalmente complimenti a
tutte le altre partecipanti!
♠
Beh, che altro dire
ancora? Direi che mi farò sentire come sempre alla prossima
fic, spero al prossimo aggiornamento delle long-fic che ho in corso -
mi dispiace ma ho avuto un altro blocco dello scrittore (della
scrittrice, ahem) e in questo periodo, tra i preparativi per Lucca
Comics e tra la scuola (che colpisce sempre senza pietà),
tra i contest (diavoli tentatori >.< e mi sono iscritta a
un altroo!) e tra naturalmente l'ispirazione che è scomparsa
per le quelle tre storie che ho in corso, mi sa che sarà
molto difficile che io le aggiorni. Naturalmente, io continuo a
ripeterlo, finirò tutte, ma tutte long-fic che ho in
corso. Odio lasciare le cose incompiute.
A presto, se (di nuovo) l'ispirazione non mi abbandona del tutto,
Sara