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Autore: Silvar tales    19/10/2010    10 recensioni
Non era mai nevicato, da quando ci eravamo conosciuti.
Esisteva perenne pioggia che minacciava spesso nevischio, senza mai concluderlo del tutto.
Aveva freddo, Deidara. E gli piaceva.
Io non la pensavo come lui, ma fui costretto a sperimentarlo comunque.
E la pioggia continuava a bagnare i nostri corpi, prendendosi gioco delle nostre brevi vite.
Mi accorsi che me l'aveva portato via.
[Seconda classificata al "Cold contest" indetto da Shark Attack]
Genere: Drammatico, Slice of life, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Akasuna no Sasori, Deidara, Naruto Uzumaki | Coppie: Sasori/Deidara
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Naruto Shippuuden
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Tales ~


Nickname:
Deidaradanna93 su efp forum / Silvar Tales su efp sito
Titolo:
Tales ~ la mia storia ~
Personaggi scelti:
Sasori, Deidara
Genere:
Drammatico, triste, romantico, slice of life
Contesto:
Naruto Shippuuden
Rating:
Arancione
Avvertimenti:
One shot, what if?, yaoi
Beta reader:
no
Introduzione:
Non aveva mai nevicato, da quando ci eravamo conosciuti.
Esisteva perenne pioggia che minacciava spesso nevischio, senza mai concluderlo del tutto.
Aveva freddo, Deidara. E gli piaceva.
Io non la pensavo come lui, ma fui costretto a sperimentarlo comunque.
E la pioggia continuava a bagnare i nostri corpi, prendendosi gioco delle nostre brevi vite.
Mi accorsi che me l'aveva portato via.

Note dell'autrice: *a fine storia

~ Seconda classificata al “Cold contest” indetto da Shark Attack sul forum di efp ~

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Tales

~ La mia storia ~


A Konoha c'era grande agitazione quel giorno.
Donne comuni, kunoichi, bambini di nuova e vecchia generazione, anziani pettegoli, daymo, giovani uomini.
Erano tutti accorsi da ogni lembo del paese del fuoco, o anche, per chi riuscisse a sostenere la portata del viaggio, da oltre confine.
Non c'era mai stato brulicare di gente più grande, le piccole vie erano gremite all'inverosimile.
Decori e addobbi erano parcheggiati dappertutto: la classica bandiera con il simbolo della foglia che dava in dotazione l'hokage a tutti gli abitanti veleggiava da ogni balcone.
Erano stati chiamati i grandi mastri vetrai di Suna, e tutti i cristalli dei lampioni erano stati sostituiti così da rendere lo spettacolo di luci, non appena fosse calata la sera, così variopinto da fare invidia a qualunque villaggio.
I negozianti facevano affari d'oro per quell'occasione, e portavano ricchezza nelle case della gente.
Il benessere e il tenore di vita non era mai stato più alto in quel giorno di festa, e prometteva che le cose sarebbero andate ancora meglio in futuro.
Il giorno della pace, dell'amore, e della ricostruzione.
Questa scritta era ripetuta ad ogni dove, sugli striscioni appesi, nei discorsi della gente.
Akatsuki era sconfitta.
Ogni minaccia esistente era sconfitta.
Ora non esisteva più nient'altro oltre la pace, oltre i giorni di gloria e di felicità.
Sembrava proprio che il bambino della volpe questa volta ci fosse riuscito, a riportare equilibrio tra i ninja. A fermare conflitti e odio.
Era stato nominato hokage praticamente subito, i paesani lo amavano come lui amava la foglia.
Quel giorno era la fine. La fine della pericolosa minaccia di Alba.
La fine che molti credevano non potesse arrivare.
La fine che Naruto Uzumaki aveva sbattuto in faccia a tutti loro, servita su un piatto d'argento.
E ora l'hokage offriva a tutti un giorno di festa, di follia, di divertimenti, di balli, di luci.
Esisteva forse un modo migliore per iniziare a farsi amare?


L'imponente via-vai della folla confluiva in un unico punto, ai piedi della magione del capo villaggio, dove era stato allestito un enorme tendone per via delle nuvole che già da quella mattina minacciavano pioggia. Lì era stato centrato il culmine della festa, il simbolo del pericolo cessato.
Uno di loro era sopravvissuto.
Non sarebbe stato necessario privarlo degli arti per impedirgli di fare mosse strane in presenza di civili. Gli avevano già iniettato una dose di veleno in quel buco che era la sua cassa toracica, veleno che avrebbe cominciato a fare effetto solo dopo quattro ore, e che una volta entrato in azione l'avrebbe ammazzato nel giro di dieci secondi.
Un sistema davvero efficace, ereditato dal defunto ninja supremo Tsunade.
Ognuno agognava pervenire a quel rituale, ognuno si accalcava per acciuffare i posti migliori.

Mamma, quello è per davvero un ninja dell'Akatsuki?”
Non guardarlo per piacere, Hachiko”
Signora, l'hokage intende fare un'esecuzione plateale?”
Non lo posso dire con certezza...”
Meritano di morire tutti quei cani! Perché quello è ancora vivo?!”
Frasi di cattiveria e di giustificato odio serpeggiavano sulle lingue dei paesani.
La guerra era finita, ma l'odio non era estinto, anche se il nemico era stato decimato.
L'attenzione e la maldicenza di tutti convergeva ora in quell'unico punto, nel baricentro di quell'anima messa alla berlina, sospeso tra il suo viso abbassato, di cui si scorgeva solo l'esile bocca, e il petto scoperto.
Non si poteva neppure chiamare essere umano.
Cos'era?
Le braccia spaccate e la pancia aperta sputavano schegge e rivelavano ingranaggi.
Non poteva essere umano. Era un guscio vuoto, un semplice pannello di legno e ferraglia.
Eppure molti ci si accanivano contro, lanciandogli maledizioni e cattiveria, non sapendo neppure se fosse vivo o morto, vero o finto.
Il nobile hokage scendeva di gran carriera le scale della magione, accerchiato dai suoi dignitari che continuamente lo tempestavano di domande usando un finto tono reverenziale, ricordandosi di avere a che fare con un ragazzino, credendo per questo di poter imporsi.

Mi scusi ma, signor hokage. Intende ucciderlo davanti a dei civili?”
Mi creda, non ci faremmo una gran bella figura, neppure davanti agli altri paesi. Sa che sono venuti fin dalle contrade di Iwa per assistere a questa fiera?”
...”
Lo sa?”
Non sarebbe meglio ritirarlo dal pubblico appena prima la scadenza del tempo, lasciandogli credere che lo lasciamo vivo? Poi lo ammazziamo nelle segrete...”
Perché?” Domandò adirato l'hokage, deciso finalmente a reagire ai loro martellamenti.
Come perché?”
Il sommo di Konoha li fulminò uno ad uno con lo sguardo, come per ricordargli di essere cambiato, di non essere più il bambino che credevano di aver di fronte.

Perché, io non ho visto la morte in faccia? Io non ho salvato tutti loro dalla morte?”
Ma non pensa che...”
Ne ho abbastanza delle vostre supposizioni” sbottò Naruto voltandosi e continuando a percorrere il corridoio, affrettando ulteriormente il passo.
Ora, mi state facendo perdere del tempo. Laggiù aspettano solo me, e quel bastardo ha i minuti contati, quindi per favore...”
 Decisamente l'aver raggiunto quella carica gli aveva montato la testa.


*


L'eccitazione era al culmine, i dubbi e gli scherni aumentavano. Il volume dello schiamazzo della folla cresceva esponenzialmente, molti cominciavano ad irritarsi per il ritardo.
Per quanto ancora avrebbe dovuto patire quell'essere, ormai più morto che vivo? Uzumaki aveva intenzione di sbeffeggiarli divertendosi ad osservarli scannare quella creatura?
Aveva intenzione di darla in pasto alla folla? Se quella fosse stata la sua scelta, l'avrebbero smembrato, violentato, divorato fino all'ultimo osso.
Alcuni lo richiedevano, anzi lo pretendevano, altri avevano già intuito la piega che stava prendendo la situazione e portavano via i loro bambini.
Proprio allora apparve la figura dell'eroe, stagliata grande contro il popolo intero.
Dominava tutti i suoi concittadini e beneamati invitati dalla posizione un poco elevata che gli offriva una sorta di ampia scalinata, a gradoni larghi e bassi.
Davanti a sé era inchiodato ad un palo di cemento e filo spinato lo sgradito ospite, ovvero il piatto forte della serata. Stava a testa china, come aspettasse di venire decapitato, come aspettasse di sentir scendere sul collo la fredda mannaia della morte.
Il suo cuore, visibile nell'incastro tondo del torace, apriva autonomamente pulsanti ferite, lacerando il tessuto miocardico e rivelando abbozzi di ventricoli meccanici che cercavano disperatamente di espellere la scoria del veleno.
Sussulti e schiume bianche erano i sintomi della sua insanabile ferita.
Non aveva mani per guarirla, ma aveva occhi per guardarla. Per convincersi sempre di più di non avere speranza di vedere la mattina del giorno dopo.
La gente acclamò Naruto Uzumaki non appena videro la sua testa bionda alzarsi davanti a tutti loro.
Lo guardarono affamati, le bestie insaziabili, volendo chiedere il linciaggio, non trovando il coraggio o la faccia per alzare la voce.
Naruto sapeva questo. Sapeva di avere scatenato un mostro negli animi di quelle fiere da combattimento. Diventando adulto, crescendo a contatto con dure realtà, aveva imparato a conoscere la natura dell'uomo e sapeva che l'uomo odiava e odiava il colpevole fino allo sfinimento, una volta scoperta la sua identità.
Odiare era ciò che l'uomo sapeva fare meglio.

Prestatemi attenzione, voi tutti, miei compaesani e miei cari ospiti. Sono Naruto Uzumaki, il più giovane kage di Konoha mai esistito. Ho debellato la cerchia della nota organizzazione Akatsuki, come voi ben sapete. Ho ricostruito ciò che potevo ricostruire, ciò che costoro bramavano distruggere e hanno distrutto.
Vite umane, case, giardini, interi villaggi. Alcuni paesi si sono perfino piegati alla loro influenza, rinunciando in modo imperdonabile alla loro dignità, alla loro tradizione, pur di mantenere salva la vita con uno sporco e infido ricatto. Io sono stato chiamato per guarire questa piaga, per riuscire a dire dove altri hanno scosso la testa e l'hanno piegata al loro assassino.
Ora tocca a voi. Tocca a voi giudicare queste chimere, queste imitazioni dell'umano.
Dite, ha la mia stessa mentalità? Ha il mio modo, il vostro modo, di ragionare, di porre le cose?”
Alzò con ribrezzo il mento scheggiato del nemico, che aveva taciuto fino a quel momento.
Risuonò un no collettivo in risposta, un ululato comune, un ringhio, un pianto di rabbia.
Naruto aveva già saputo scaldare gli animi, aveva già saputo catturare e commuovere quel mucchio di carne.
Gli occhi vuoti e inespressivi del condannato fissavano uno ad uno gli ignoti visi degli spettatori, così che questi poterono vedere se davvero viveva o era solamente uno stupido fantoccio.

Costui che vedete è Sasori, traditore di Suna, traditore che Suna non ha saputo tenere a freno ed annientare”. Bisbigli e maldicenze si fecero largo tra gli animi della massa, muovendo la curiosità e la vergogna degli abitanti originari del paese desertico.
Tuttavia ormai erano chiare le intenzioni dell'hokage: i presenti stavano assistendo a un macello all'aperto. All'esecuzione di una pena capitale.
Molti già si chiedevano se ciò non venisse vietato dagli antichi comandamenti espressi dal capostipite di Konoha, se non venisse considerato un'eccessiva e inutile manifestazione di barbarie.
Naruto spense il brusio con un sol gesto, reclamando nuovamente attenzione.

Ma noi non siamo animaleschi e spregiudicati come costoro, o no? Non ci abbasseremo al loro livello”.
Uzumaki tese una mano verso il prigioniero, come volesse cedergli la parola.

Prego, Sasori”.
Nessuno intese il significato di quell'invito, né di quel gesto. Si chiedevano se fosse finalmente arrivato il momento di porre fine a quella buffonata.

Cosa dovrei fare, signor hokage?” Ci fu un sussulto generale, nell'udire il suono efebo e morbido della voce che pronunciò quelle parole. Ormai tutti si erano illusi che il malaugurato non avrebbe aperto bocca fino all'ora della sua morte.
Parlare, presentare le tue giustificazioni davanti a questi signori qua presenti. Parlare dell'Akatsuki e dei bravi ninja che ne facevano parte. Esporre i motivi per cui non dovremmo odiarvi, cantare la tua bella storiella”.
Cosa significava tutto ciò?
Il dubbio era nuovamente dipinto sulle facce dei presenti.
La delusione si avvertiva a fior di pelle.
Non era il caso di dare aria alla bocca di un tale individuo.
Loro non erano disposti ad ascoltare, qualsiasi cosa lui avesse da dire.
Eppure quell'esile voce lasciò nuovamente tutti quanti sgomento, e riuscì ad imporre silenzio.

Vi racconterò una storia”.
E la sua bocca si decise finalmente a lasciar defluire quell'insieme di lettere, altrimenti chiamato parole, che costruiscono frasi, e ancora ad articolare le frasi in lunghi capoversi, lasciando che volassero uscendo a fatica dalle sue labbra socchiuse, e s'insinuassero nelle orecchie e nella coscienza della gente.
L'ultima sua possibilità di lasciare un segno, di non sparire come una pedina senza nome né volto.

Piacere, io mi chiamo Deidara”

C'era Deidara”.
Due misere parole per introdurre la vicenda di una vita.
Un solo nome per iniziare a giocare il racconto, ma quel nome, quella musica che riempiva quelle quattro sillabe, aveva costituito la sua esistenza.
Aveva dato un senso e un altro scopo del suo essere al mondo.
Aveva palesato l'inutilità di combattere, uccidere e venire uccisi.

E poi c'era la pioggia”.

Che cosa mi dice questo idiota?
Lo so già come si chiama, come se questo poi potrebbe tornarmi utile in qualcosa...
Solo uno stramaledetto dato in più da immagazzinare nel cervello.

Volete sapere quale fu la prima cosa che dissi quando lo vidi? Assolutamente niente. Ma vi posso dire quello che pensai”.
Parlava a rilento, Sasori. Forse doveva ancora pensare a cosa dire, forse non trovava nemmeno le parole adeguate per dirlo.

Che mi sarebbe stato solo d'intralcio e di disturbo, che non aveva confronti con il potere posseduto da Orochimaru, e un'ultima cosa” si fermò, forse per prendere il respiro, più probabilmente per assicurarsi di essere ascoltato fino in fondo.
Che lui camminava nella pioggia, e la pioggia se lo portava con sé”

Quello fu il primo giorno che lo vidi, e mi sembrò uno scherzo della natura.
Un mukenin non si comportava a quel modo.

Muoviti” gli intimai, perché al nostro ritorno da Iwa sembravano essersi aperte le cateratte del cielo.
Mi piacerebbe che uscissi di lì”.
Sospirai.

Muoviti” ripetei, ricalcando il tono.
Mi piacerebbe proprio che uscissi di lì!”
Perché doveva divertirsi a sfidare la mia pazienza?
Lui stava al mio passo volando su quello strambo aggeggio.
Io visionavo l'esterno dalla mia marionetta.
Non avevamo neppure bisogno di guardarci in faccia, o di parlare.
Che bisogno aveva di farmi queste richieste?

Non ho intenzione di collaborare, se non mi mostri almeno il tuo volto”.
Molto probabilmente la testardaggine era il suo peggior difetto.
Gli lanciai un'occhiata, guardandolo attentamente solo ora.

Stasera ti accontenterò”
Lo guardai di nuovo.
Quando mi accorsi che non riuscivo a smettere, era troppo tardi.

Quella sera lo raggiunsi nella sua camera, gli mostrai il mio volto, ancora giovane.
Lo volli confrontare con il suo, e senza neanche accorgermene lo baciai.
Sentii le nostre pelli riscaldarsi a contatto, il suo profilo si completava con il mio.
Eravamo soli, completamente soli su quel letto.
Non ci curammo di accendere la luce, così poco a poco l'avanzamento della notte fece la sua parte, e facemmo l'amore. Non lo sapevamo neanche noi come c'eravamo finiti lì, in quella situazione.
Tentati dal buio che ci toglieva qualsiasi imbarazzo. Spinti da un istinto troppe volte represso.
Sfogai le sue voglie da bambino, la curiosità, e subito dopo sfogai la sua voglia da adulto, il suo desiderio. Semplicemente vivemmo quel momento. Almeno quello, fu nostro.”

Glielo dovevo dire.
Ero consumato segretamente dall'odio, nonostante la mia espressione ferrea.
Volevo ribellarmi, volare via dalle catene che mi tenevano imprigionato a pregiudizi e doveri.
Scommetto che, alla fin fine, lui pensava la stessa cosa.
Eravamo ancora umani, e c'eravamo riscoperti simili.

Ero spavaldo. Mi si poteva definire spavaldo. Avevo assaggiato qualcosa di diverso, qualcosa di totalmente opposto a quello cui ero stato educato. Qualcosa di delicato, non di invincibile. Qualcosa da costruire, non da distruggere.”

Qual è la tua ambizione, Sasori?”
Non l'hai visto? Io sono un artista”
E allora?”
Cosa intendeva?

Speravo che non ti fossi ancora trasformato in una macchina da guerra senza cervello”
Nonostante il momento, quella frase dettata con quell'arroganza riuscì ad irritarmi.

Non provare a-”
Un artista che si definisce ancora tale, non vuole cercare di alzare il proprio livello?”
...”
Non vuoi puntare ancora più in alto?”

Non avrebbe mai dovuto pormi quella domanda, perché cominciai effettivamente a puntare più in alto. Cominciai a voler rendere il mio corpo immortale, lontano da vecchiaia e logoramenti, anche se questo era comunque un pensiero lontano, molto lontano dall'essere realizzato.
Ricordo che spesso domandavo a Deidara come facesse a starsene fermo, sapendo che un giorno si sarebbe deteriorato, sarebbe diventato inutilizzabile. Lui non mi rispondeva, scuoteva la testa, sorrideva tra sé e sé. Ora capisco quello che voleva dirmi, e che non avrebbe mai osato dirmi: lui non ci sarebbe mai arrivato alle porte della morte. Se ne sarebbe andato molto, molto prima di diventare debole, e lo sapeva bene, perché faceva parte dei suoi piani.”

Io... sono un artista”
Ridevo, mentre lo guardavo seduto sulla sponda.

Mi spiace, mocciosetto, ma non sei niente di tutto ciò”.

Ancora mi chiedo come facesse a starsene immerso in quell'acqua ghiacciata.
Era primavera, ci trovavamo in una regione montana, e il clima caldo doveva ancora avviarsi a causa dell'inverno rigido di quell'anno.
Lui diceva di adorare il freddo, qualunque aspetto che il gelo portasse con sé.
La brina la mattina presto e la neve sui prati d'inverno, le rinfrescanti gocce di pioggia d'estate, la bora polare. D'altronde, era anche comprensibile, dato il paese da cui veniva.
Iwa non era e non è altro che una fossa costruita ai piedi di giganti di quattromila metri, nei mesi invernali quasi sparisce sotto la mole di neve e ghiaccio, e i lupi scendono nelle vie razziando il poco cibo che riescono a trovare”.

Veramente non hai freddo?”
I suoi vestiti erano gettati sull'erba ancora intirizzita e sterile che abitava la riva.
Tutti i suoi vestiti.
Rabbrividivo solo a guardarla quell'acqua mansueta che, ne ero certo, rassomigliava più a ghiaccio fuso.
E lui faceva il bagno nudo?

Vuoi provocarmi?”
Dipende da come tu interpreti i miei gesti. Io ora voglio solo farmi un bagno”
...”
Non mi aveva convinto, neppure lontanamente.
Lui ovviamente percepì il mio sospetto.

Abbiamo camminato per un giorno intero... se vuoi dormire nella stessa mia stanza stasera, ti conviene che mi faccia un bagno”.
Indubbiamente, non volevo che qualcuno mi ricordasse quanto si uscisse sudati da un giorno di marcia sostenuta.

E dovresti farlo anche tu...”
Non ci penso proprio”
Dovresti”
Deidara, il mio villaggio e il tuo hanno qualche grado di differenza. Io sono abituato a ben altri climi. Ciò che per te è bollente, per me è tiepido”.

E lui rise. Rise perché gli piaceva quando gli parlavo, quando non mi limitavo ad estinguere sempre i discorsi che lui intraprendeva.
Era un gran chiacchierone, io invece non potevo esattamente definirmi loquace.
Adorava il freddo, e io amavo il caldo, io costruivo marionette...”

E lui?”
Sasori alzò curioso e sorpreso il viso, cercando di drizzare il collo per quanto lo permettesse il blocco cervicale, causato dal veleno che gli aveva intaccato i nervi organici della spina dorsale. Non riuscì comunque a vedere chi fosse colui che gli aveva posto la domanda, quindi si rassegnò piegando nuovamente la testa.

E lui camminava nella pioggia”.
Disse, semplicemente.

Avevamo appena messo piede sulla scarna soglia del nostro rifugio, rimediato in una vecchia capanna, probabilmente appartenuta a un taglialegna.
Al ritorno da un'estenuante missione, la prima cosa che feci fu rinchiudermi nel box doccia, desideroso di sentire sulla mia pelle un getto d'acqua di temperatura più accettabile di quella esterna.
Non avevo neanche iniziato a rilassarmi che il mio energico compagno di disavventura cominciò a bussare alla porta, reclamando il proprio diritto di usufruire della toilette.

Potevi anche avvertirmi prima di appropriarti del bagno in modo permanente!”
Imprecai a bassa voce.

Deidara, concedimi una pausa”.
Avere un tizio simile con cui dividere una sola camera e un solo bagno non era una questione di semplice affido.

Lasciami entrare, scemo, avanti...”
Pigolò lui in un lamentoso tono sofferente.
Presi un respiro profondo, chiedendomi come avrei fatto a sopportarlo nei giorni successivi.
Era da quando era successo quell'episodio che Deidara si comportava strano con me.
Ostentava spesso il suo corpo, alcune volte mi guardava e mi parlava come se volesse qualcosa, altre mi squadrava irritato o addirittura intimorito.
E io non riuscivo a decifrare nessuno dei suoi atteggiamenti.

E va bene, entra, ma fai presto”
Il presunto terrorista spalancò la porta senza pensarci due volte e, naturalmente, fece l'ultima cosa che io volevo facesse. Ovvero mi guardò, e io maledì i vetri trasparenti della scatola dove mi trovavo.
Lo ignorai.
Ormai avevo capito che quello era il giusto metodo da adottare con lui, e con le persone come lui in generale.

C'è un vapore bestiale qua dentro...”
Disse posizionandosi in piedi davanti al water e slacciandosi la cintura dei pantaloni.

Hm”
Mugolai in risposta, cercando di far finta di niente, continuando a pulirmi come meglio riuscivo con quel pezzo sgusciante di sapone.
Avrei giurato su qualsiasi cosa che l'arrossamento sulle mie guance non era solamente dovuto alla condensa ustionante e al fumo caldo.

Sasori...”
La sua voce giunse troppo vicina alle mie orecchie.
Mi girai, e incontrai il suo sguardo celeste attraverso il vetro.
Prima che me ne rendessi conto, aveva già aperto la porta scorrevole del box, inumidendo lo stanzino di una nuvola di vapore.
Il mio sguardo cadde sulle sue mani, che sbottonavano la camicia già zuppa.
Il getto d'acqua bollente gli bagnava i capelli e gli attaccava i pantaloni alla pelle delle gambe.
I suoi occhi blu erano fissi sui miei.
Sentii inesorabilmente una stretta allo stomaco seguita da un ulteriore calore esplosomi nel ventre.
L'aiutai a liberarsi di quei vestiti più velocemente possibile, mentre cadevo a sedere sulle piastrelle scivolose, portandomi sopra lui.
Quasi non mi accorsi delle sue labbra sulle mie, del suo corpo freddo a contatto con il mio petto e con le mie gambe, delle sue mani sulle mie cosce.

...hmm...”
Non appena si allontanò per riprendere fiato di quell'aria soffocante, io gli addentai il labbro, tirando piano la carne morbida tra i miei denti.
Lo accarezzavo sulle spalle, seguendo la linea delle scapole e della spina dorsale, passando poi ai fianchi e alle lombari, fasciate di muscoli forti.
Per la prima volta mi resi conto di quanto fosse imbarazzante fare sesso con lui senza un minimo di penombra.


...”
Esisteva silenzio, e solo silenzio.
Tutti guardavano quel burattino come il loro narratore, erano entrati nella sua vita a pochi secondi dalla sua fine.

Eravamo i protagonisti di una storia proibita da raccontare, ma cominciavamo a chiamare amore ciò che ci succedeva”
Il marionettista riafferrava le fila del suo racconto, rincorreva nuovamente le parole che si delineavano nei suoi pensieri, rievocando ricordi felicemente amari.
Le nuvole sopra di loro si addensavano ulteriormente, e si univano in un unico batuffolo di seta nera.


Quest'acqua è troppo calda...”
Puntuale.
Non poteva passare più di un minuto senza lamentarsi.

Vorrei proprio sapere come la fai tu la doccia...”
Ah, sei tu che la lasci calda, lo sapevo...”
Idiota, chi altri poteva mai essere visto che viviamo in due in questa topaia?”
...”
Ringrazia che ci sia, piuttosto”
Detto questo, uscii dal bagno.
Sapevo che lui usava l'acqua fredda.
Sapevo che non si sarebbe mai lavato con l'acqua calda neanche se avesse voluto, perché la lasciava per me.


Era una fiera creatura delle nevi, un crudele combattente dalla mente ghiacciata, una bellissima chimera dai fini profili nordici.
La sua pelle lattea si contrastava con la mia carnagione leggermente più scura, I suoi capelli lunghi e biondi risaltavano intrecciati ai miei rossi.
Lui proveniva da un paese montano, io da una contrada desertica.
Perfino le nostre arti erano due tipi di incastro opposto.
Eravamo perfetti e contrari.”
Sapeva che presto quel fiocco lugubre annodato in cielo si sarebbe slegato liberando la pioggia che conteneva.

Lui amava il freddo. Lo amava in tutti i suoi particolari...”
Si fermò, accorgendosi che si stava ripetendo.

Corri!”
Lo chiamavo ridendo, mentre ci facevamo strada scostando con i piedi le foglie colorate d'autunno.
Pioveva ancora, pioveva sulla nostra giovinezza.
Deidara si lamentava, giusto per non essere ripetitivo.
Voleva un riparo e una sosta.
Non potevo dargli tregua, il viaggio era ancora lungo.

Avanti... Sasori...”
Sei una lagna continua...”
L'acqua penetrava fin sotto i vestiti, i capelli bagnati ricadevano sul collo come fredde spade, il rumore dei fulmini metteva ansia e il gelo del lampo, durante la sua breve vita, toglieva il respiro.

Dai...”
Deidara mi raggiunse a fatica, inciampando e scivolando sull'erba e sui sassi del sentiero franoso.
Non capivo cosa volesse, se non lamentarsi ed obbligarmi ad aspettarlo.
Ma non voleva quello, no...
Fissai per un secondo la mano che mi porgeva, sentendo mille domande e contraddizioni curiose accendersi in testa, dandomi un nuovo moto di serenità.

Avanti...”
Voleva che gli prendessi la mano.
Non c'era assolutamente nulla di strano.
La presi con tutte e due le mie, baciandola, e gli sorrisi.
Non c'era nulla di strano ad amarsi.
Era solo bello.
Non c'era nulla che andasse contro qualche regola scritta, sulla carta o per aria.
Non aveva importanza se avevamo ucciso e uccidevamo ancora.
Ora che avevo anche qualcosa da proteggere, potevo recitare anch'io la parte del buono.
Ora stringevo la sua mano, e nessuno di noi due se ne vergognava.

Guarda che io mica ti amo...”
Me n'ero accorto sai? Rompiballe...”

Perché secondo la vostra concezione il mondo deve essere diviso in persone che amano e persone che odiano?”
Era una domanda.
La folla intera guardò attonita quell'apparente ragazzino, colpiti -o infastiditi- dal suo discorso.
Sasori si accorse di non riuscire ad alzare la testa quel che bastava per guardarli in faccia.
In corrispondenza della sua cervicale era stato legato al palo un bastone posto orizzontalmente, in modo da obbligargli a tenere il collo piegato in basso.
La morte, secondo dopo secondo, si avvicinava sempre di più.
Sasori la sentiva molto, molto vicina.
Ma ormai la sua unica paura era di non riuscire a finire in tempo la sua storia.


Era nevicato quella notte.
La neve soffice inondava i prati, il vento cantava le note della bora polare e dal tetto del nostro asilo pendevano affilati coltelli ghiacciati, che parevano i cocci di uno specchio andato in frantumi.
Vidi io per primo quello spettacolo, sbirciando dal vetro della finestrella sopra al nostro letto.
Quel piccolo spazio riparato dalle enormi coperte era esageratamente caldo.
Occupavamo in due un letto singolo, ed eravamo entrambi nudi.
Il mio corpo gelido a contatto con quello bollente di Deidara.
Lui diceva che adorava addormentarsi nelle mie braccia, perché erano fredde, diceva che il freddo gli dava una sensazione di libertà, e gli faceva fare sogni liberi.
Io d'altronde amavo averlo vicino, perché il suo corpo caldo mi donava un piacevole tepore.
Naturalmente non gliel'avevo mai detto.

Era la prima volta che nevicava da quando ci eravamo conosciuti. Fino a quel momento era sempre piovuto”.
Il temporale venne iniziato con un fulmine, e un tetro rombo che si perpetuò per tutta la valle.
Piccole gocce cominciavano a scivolare sul telo che fungeva da riparo, accompagnando un lieve ticchettio alle parole.

Lui adorava la neve, come ogni cosa portata dal freddo.
Appena lo svegliai non vedeva l'ora di uscire.
Gli ricordai più volte che sembrava un bambino, cercando di rimproverarlo e sforzandomi di non ridere.
Potevo ancora aspettare, avevamo appena iniziato, io e lui.
Avevamo tutto il tempo per conoscerci meglio, avevamo tutto il tempo per iniziare a scrivere la nostra storia.
Giocava in mezzo a quei fiocchi, che continuavano a scendere.
Lo guardavo, tenendomi a distanza, timoroso di invadere il suo momento di pace.
Apriva le braccia guardando in alto, girando un po' su se stesso, sorridendo come non l'avevo mai visto sorridere.
Correva un po' più in là, si tuffava in quell'intreccio nebbioso e maculato, spariva per un po' dal mio campo visivo, per un po' tornava.
Io sorridevo, e lo guardavo quando riappariva, lo seguivo con lo sguardo, lo vedevo sempre meno, mi accorsi di stare sorridendo ancora.
Mi guardai intorno, leggermente spaesato, avanzai più avanti nella direzione in cui l'avevo visto l'ultima volta.
Vuoi giocare? Pensai divertito, poi irritato, quando cominciai ad accorgermi che non era divertente.
Quando cominciai ad accorgermi che non lo vedevo più.
La nebbia continuava a infittirsi.

De...” mi schiarii la voce.
Deidara” lo chiamai.
Sentii la mia voce risuonare a vuoto, e l'insopportabile silenzio della neve che cadeva.
Feci un'altra decina di metri, girandomi continuamente indietro, più volte rischiando di inciampare.
Dov'era finito?
Neve, bianco, intorno a me.
Solo questo tutto intorno a me.

Deidara!”
Mi girava la testa, rischiavo di cadere.
Quel candore mi accecava, mi disorientava.
Non capivo più da che parte era la nostra base.
Avevo perso il senso dell'orientamento, molto probabilmente anche lui.

Deidara...”
Perché non mi rispondeva?


La risposta mi venne scritta sugli occhi, qualche passo avanti da me, nell'immagine sotto di me che colpì violentemente il mio cervello, come se non fosse veritiera”.
Plic... plic...
La pioggia cadeva, in uno scrosciante esercito di specchi acquosi, nei quali veniva riflesso un mondo sottostante. Appariva tanto piccolo, fotografato in quella minuscola perla.

Lo vidi qualche metro più in là, finalmente.
Era sdraiato in mezzo a quel gelo.
Non rispondeva ancora ai miei richiami, era ostinato.
Giuro, gli avrei fatto una bella predica stavolta.
L'avrei portato dentro e riscaldato con la fiamma del camino, cercando di rimediare il rimediabile, anche se un raffreddore questa volta non glielo toglieva nessuno.
Sentivo una piacevole sensazione, tuttavia, all'idea di prendermi cura di lui.

Scemo! Si può sapere che fai lì...”
Il rimprovero mi si ghiacciò in gola, e lì rimase come un bolo impegnativo da inghiottire.
I miei occhi rimasero incollati ai particolari, mettendoli a fuoco quando io non volevo, guardando morbosamente ciò da cui volevo fuggire, facendomi provare il brivido della vicinanza, ordinando passivamente al mio cervello di abbassarmi sulle ginocchia, avvicinandomi troppo, troppo a quello strazio.
Immediatamente l'immagine delle nostre notti si mescolò a quella presente, dandomi una visione repellente, facendomi salire il vomito alla gola.
Non vomitai.
Ripresi calma e controllo, mi accorsi solo allora di avere la stessa espressione inerme, di non essermi lasciato sfuggire nemmeno un'imprecazione.
Il suo petto era squarciato in due, tagliava i vestiti pesanti e li inzuppava all'inverosimile di sangue, il cui odore non riusciva ad essere cancellato nemmeno da quella neve purificatrice.
Istintivamente mi guardai intorno, allarmato, colto totalmente alla sprovvista.
Se qualcuno avesse ingaggiato un combattimento, proprio in quell'istante, non avrei saputo reagire.
Le gambe mi tremavano. Per la prima volta avevo davvero paura. La morte era vicina, vicinissima.
Poteva colpire nuovamente, poteva ammazzarmi da un momento all'altro.
Dopo una manciata di minuti, passati ad ascoltare il mio respiro, mi resi finalmente conto che il pericolo oggettivo non esisteva.
E insieme a ciò mi resi anche conto di vederlo davvero, i suoi occhi blu coperti dalle palpebre chiuse, la gola attraversata da un taglio profondo, le braccia abbandonate e alle loro estremità due mani dalle dita aperte, come volessero afferrare un'arma che non portava con sé.
La neve cadeva su di lui e lo copriva di una brina trasparente, dando forma al suo velo mortuario.
La neve si trasformava in acqua quando si incastrava nei suoi capelli, donandogli piccoli diamanti di ghiaccio, piccoli pendenti di cristallo.
Lo fissai.
La morte l'avevo incontrata tante volte, quell'immagine non fu diversa.
Non riuscii a formulare un pensiero concreto o consono alla situazione.
Non riuscii ad essere triste, non riuscii a cadere nella disperazione.
Percepivo solo una spiacevole sensazione, all'altezza del petto.
Sentivo di aver perso qualcosa, mi sentivo sbandato.
Ero senza bandiera, senza riferimento, non sapevo esattamente dove andare.
Non ricordavo esattamente cosa dovevo fare, quale missione affidatami dovevo portare a termine.
Quella bolla di felicità era scoppiata sul nascere.
Avevano ucciso il nostro neonato, che forse poteva essere battezzato con il nome di un sentimento nuovo.
Perfettamente inutile.

'Un artista che si definisce ancora tale, non vuole cercare di alzare il proprio livello?'
Mi ricordavo le sue parole, la sua eredità.

'Non vuoi puntare ancora più in alto?'
Aveva affidato tutto a me.
Era nato e morto in un tempo troppo breve, e solo io ero testimone della sue esistenza.
Il suo ricordo era sotto la mia custodia. Era mio.
'Ti lascerò qui Deidara, in questo luogo sterile e sepolto dalla neve'.
Rabbrividii, sentendo due lame incandescenti scendermi sulle guance.
Non avrei voluto soffrire mai più, perché era orribile.
E pian piano, mi rendevo conto d'esistere.

Lui camminava nella pioggia, e la pioggia innamorata se lo portò via con sé.
Fino a quel momento era sempre piovuto, il primo giorno che ci conoscemmo, e a seguire ogni momento passato insieme era bagnato delle lacrime delle nuvole.
La pioggia lo inghiottì e morì con lui.
Costruì intorno alle sue gocce piccole lapidi di ghiaccio, creò ciò che noi chiamavamo neve, e non era altro che un piccolo omaggio a quella stella spenta”.
Gli animi tremavano, sospesi tra la vicenda e la fine. I corpi si scuotevano come fuscelli, ondeggiavano come alberi frondosi scossi dal vento, scuotevano le loro gocce sui corpi degli altri, ammassavano rimorsi su pentimenti, accusavano cogliendo le entità, abbassavano la testa quando carpivano il significato, venivano spogliati dell'orgoglio che prima avevano urlato con tanto fervore, venivano privati della gioia.
Aspettavano, quasi pregavano che quel povero essere morisse.

Fu un discendente di Konoha a togliergli la vita. Lo colse alle spalle in uno dei suoi girotondi.
Lo pugnalò nel mezzo della sua innocenza, squarciò il cielo del suo angolo giocondo, gli fece provare il freddo della morte gettandogli sopra altro freddo, facendolo cadere nella neve, spingendolo giù, giù in mezzo al gelo e a tutto quel freddo che lo circondava, inondandolo del suo sangue bollente.
Lo colse alla sprovvista.
Lo colse in un momento privo di odio, privo di qualsiasi rancore.
Privo di guerra, pieno di pace.
Deidara adorava la neve, per questo era felice, tanto.
Voleva giocare con me, poco più in là aveva disegnato sul manto nevoso una scritta dai semplici caratteri: Sasori...
Ci avevo aggiunto a fianco: Deidara.
Lui non aveva fatto in tempo.
Forse voleva soltanto prendermi in giro”.
Rise appena, per quanto ancora poteva. Poi tornò serio, all'istante.

Sapete perché quel ragazzo ha agito in quel modo?”
La risposta era nascosta nelle parole che aveva appena pronunciato.

Perché come voi, pensava che quelli come noi non avrebbero mai potuto amare, o alimentare sentimenti diversi dalla perversione. Non avrebbero mai potuto avere un momento inoffensivo di innocenza, perciò lo uccise come una bestia da macellare, convinto di stare annientando un semplice meccanismo guerrigliero che altro non conosceva se non la malvagità, e uno spirito insensato di distruzione”.
In molti rabbrividirono a quelle parole, in pochi si indignarono.
Naruto Uzumaki osservava quella scena pietosa, dimenticandosi di avere architettato lui quel teatrino. Fu commosso dal profondo del cuore, ma sapeva che come capo villaggio doveva tenere polso fermo, e sapeva - come d'altronde sapevano i suoi paesani - che giusto o sbagliato che fosse, lui e i suoi ninja avrebbero dovuto perseverare per quella via, continuando a mietere le vite che costituivano un pericolo.
Iniziava il conto alla rovescia.

Era forte, Deidara. Non l'avevo mai visto versare una sola lacrima.
Eravamo forti tutti noi, ma uno ad uno siamo caduti come stupidi birilli.
Lui, lo scoprii dopo, aveva solamente quindici anni. Quindici orrendi anni di presenza al censimento mondano. La vita non avrebbe potuto essere più ingiusta con lui. Era ingenuo, era giovane, troppo giovane. Per questo conservava ancora la sua gelida purezza”.
Pausa, momento di panico, momento di paura, e poi sentimento di sconforto.
E la pioggia impertinente conservava il suo carattere e la sua voglia ribelle.

Inseguii nuovi obiettivi. Trasformai il mio corpo, lo resi indifferente dal dolore. Diventai l'arma che ora voi conoscete, ma lo diventai perché mi era stato tolto ciò che poteva diventare il mio scopo di vita”.
Pioveva, pioveva sulle loro vite.
La sua correva già via, e ormai era giunta al traguardo.
Aveva fatto in tempo, era felice, ora.
Era come se fosse già morto, non importava nient'altro.
Sorrise, serenamente.
Tuono in lontananza, squarcio nel cielo.

Devo chiederle signor hokage di lasciarmi andare. Mi sleghi”.
Aveva sentito che lui c'era, e sorrideva attraverso la pioggia. I suoi occhi blu lo guardavano attraverso il mondo e il buio nero della morte, la cui porta spalancata si avvicinava, senza scomodarlo.
Naruto sembrò svegliarsi solo in quel momento dal suo stato apatico.
Registrò in fretta e furia la richiesta, e la rifiutò sotto consiglio dei suoi dignitari.
La gente protestava. Chiedeva pietà, chiedeva clemenza.
Sotto quelle pressioni, il sommo scelse di dare voce al popolo, e slegò il burattino, ciò che un tempo era stato Sasori.

Non ti reggi neanche in piedi”.
Si appoggiò al palo con una spalla, essendo privo delle braccia.
Arrancò fuori dall'area delle scalinate, raggiungendo l'aria aperta non protetta dal tendone.
La pioggia scorreva su di lui, dilaniandolo di quel freddo biondo che gli ricordava troppo i loro momenti bagnati dall'acquazzone.
Deidara, alla fine, cosa aveva significato nella sua vita?
Tre mesi era stato il loro tempo.
Ma era stato l'unico, per lui.
Si trascinò arrampicandosi come poteva per il sentiero che portava fuori villaggio, scegliendo il posto dove morire.
La gente lo osservava tenendosi rispettosamente a distanza, lasciandogli vivere i suoi ultimi momenti di libertà come preferiva, assieme alla pioggia scrosciante.
Riviveva Deidara in quelle gocce, riviveva la sua giovinezza.
Sentiva di poterlo abbracciare e riscaldare come avrebbe dovuto fare quella volta.
Sentiva di amarlo come mai l'aveva amato.
Sentiva di piangere, non sapeva se di felicità o di rimorso.
Sentiva che era con lui.
Lo sentì lasciandosi inondare di quel gelo, poteva quasi volare, e dimenticarsi di quel mondo.
In fondo, cosa significava la vita?
Erano pedine di una guerra continua e senza fine.
Aveva compiuto il suo dovere.
Sentì di morire.

Deidara, tu amavi tanto il freddo... come puoi permetterti di dire ciò? Il freddo che sto provando ora non mi è indifferente, non si può riscaldare e uccide”.
Aveva compiuto il suo dovere.
Nient'altro.

Tu non lo conosci”.
Sentì il cuore fermarsi.


~ End



Replicante

Sono tornato a casa, ho vinto la guerra e adesso sono dietro la tua porta.
Ho cercato di rispettare le leggi, di vederne il significato assoluto.
Ti ricordi di me? Prima della guerra.
Sono l'uomo che viveva nella porta accanto.
Molto tempo fa...

Come puoi vedere quando mi guardi, sono ridotto a pezzi, non sono più quello che ero.
E' più facile se non mi vedi quando sono in piedi.
Sono più alto quando siedo qui immobile, mi chiedi se i miei sogni si sono realizzati.
Mi hanno costruito un cuore di acciaio, di quelli che le pallottole del nemico non possono scalfire.

Niente è come sembra,
sono un replicante, sono un replicante.
Un guscio vuoto dentro di me,
non sono più io, sono un replicante di me stesso.

La luce è verde, ci ho messo una pietra sopra,
una nuova vita per riempire il vuoto che c'è in me.
Non ho un nome, lo scorso dicembre, la vigilia di Natale, non mi ricordo.
Il dolore era costante, vedevo la tua ombra nella pioggia.
Ho insanguinato ciò che ti riguardava.
Invece avrei voluto stare a casa.

Niente è come sembra,
sono un replicante, sono un replicante.
Un guscio vuoto dentro di me,
non sono più io, sono un replicante di me stesso.

Mi lascerai quando sarà tutto finito.
Mi lascerai, il mio mondo è finito.

Mi risollevo dal luogo dov'ero, cerco di tenere pulita la mia base.
Adesso sono qui e credo che non tornerò indietro.

Mi addormento e sogno.
Sto volteggiando in un urlo silenzioso.
Nessuno mi biasima.
Ma niente è come sembra.

Niente è come sembra,
sono un replicante, sono un replicante.
Un guscio vuoto dentro di me,
non sono più io, sono un replicante di me stesso.

Sono tornato a casa, ho vinto la guerra e adesso sono dietro la tua porta.
Ho cercato di rispettare le leggi, di vederne il significato assoluto.
Ti ricordi di me? Prima della guerra.

Sono l'uomo che viveva...




Note dell'autrice: Come sempre, mi sono buttata a capofitto sul tragico. Un'altra delle mie one-shot basata sempre sul meccanismo presente-flash back, una what-if un tantino esagerata in cui Sasori è l'unico superstite dell'Akatsuki, e Deidara muore pochi mesi dopo essere entrato nell'organizzazione. Inizialmente volevo inserire anche dei flash back in cui Sasori raccontava anche dell'amore tra Hidan e Kakuzu, ma dopo ho preferito di scartare questa possibilità, per tanti motivi: sia per questioni di tempo, sia per il fatto che non ho mai scritto una KakuHida e non so trattare bene né la coppia né i personaggi, e poi perché sarebbe risultato eccessivo alla fine.
Ho voluto inquadrare una visione diversa, uno spaccato differente del mondo di Naruto, capovolgendo un tantino le visioni canon, ispirata anche un po' dal bel discorso che ha fatto Pein a Naruto prima di morire.
Riguardo appunto a Naruto, vorrei giustificare un po' il suo comportamento. Prima di tutto è diventato hokage e questo, a mio parere, l'ha reso arrogante e sopratutto ribelle nei confronti dei vecchi pilastri della foglia, persone di cui lui si vuole liberare spinto anche da rancori precedenti che sono noti anche nella storia originale. Basti pensare il rapporto che Danzo aveva con Tsunade e con il terzo hokage. In un certo senso, i dignitari sono i vecchi nobili come i due consiglieri e Danzo, mentre Naruto regge la stirpe degli hokage, e ne vuole a tutti i costi difendere l'onore e non fallire come Tsunade, che non ha saputo tenergli testa.
Inoltre l'odio di Naruto verso personaggi come possono essere i membri dell'Akatsuki mi sembra essere presente anche nel manga, anche se qui metto in scena un Naruto “più accanito”, questo giustificato dal fatto che lui ora ha la responsabilità e dei suoi paesani, parla davanti a loro, tiene le redini del villaggio. È cresciuto e non può permettersi di vacillare, di dimostrarsi clemente con individui odiati e perseguitati da tutto il mondo civile.
Bene, chiudo discorso Naruto :P
Ero indecisa riguardo al rating da attribuire a questa storia, direi che sia un arancione tendente al rosso, ci sono alcune scene un po' crude, forse ^^” ma ho deciso alla fine per l'arancione, sperando di non aver commesso un errore palese.
Passo infine all'ultima cosa.

Il testo finale è la traduzione di una canzone dei Sonata Arctica, intitolata “Replica”.
Ammetto che io ho conosciuto sia il gruppo che la canzone quando avevo praticamente concluso la fic, quindi non mi sono assolutamente ispirata ad essa. Mi sono solo accorta, dopo averla ascoltata ed aver guardato il testo, che si sposa davvero bene con la mia storia, come testo (nei pezzi come "h
o cercato di rispettare le leggi, di vederne il significato assoluto"; "quando mi guardi, sono ridotto a pezzi, non sono più quello che ero"; "mi hanno costruito un cuore di acciaio"; "sono un replicante, un guscio vuoto dentro di me, non sono più io, sono un replicante di me stesso" "Il dolore era costante, vedevo la tua ombra nella pioggia, ho insanguinato ciò che ti riguardava"; "Mi lascerai, il mio mondo è finito"; "Mi risollevo dal luogo dov'ero, cerco di tenere pulita la mia base") ma anche e sopratutto come musica, io la trovo una canzone tutto sommato molto, molto triste. Sasori, in fin dei conti, è sul serio un replicante di se stesso.
L'ho inserita come una sorta di “titoli di coda” (visto che io ho sempre una visione cinematografica delle fic...).

Bene, considero questa fic un po' come l'inaugurazione del mio nick, dato il suo titolo“Tales”. Inoltre ho aggiunto il sottotitolo “La mia storia” per inserirla poi nella serie assieme a “La tua storia” e sì, arriverà anche una “La nostra storia” XD
lo so, sono incredibilmente monotona ...
I flash back sono i capoversi allineati a destra e in corsivo, e sono tutti episodi raccontati da Sasori alla folla che lo ascolta. Ho voluto esporli sotto forma di veri e propri episodi a parte per non appesantire troppo i dialoghi e per non rendere il tutto troppo noioso. Un po' come in un film c'è un personaggio che racconta e poi si passa ad inquadrare direttamente i pezzi di episodi che racconta come fossero attuali.


Tales, di Silvar Tales [ II classificata ]

Grammatica: 14/15;
Utilizzo dei dialoghi/descrizioni e andamento della trama in generale: 15/15;
Originalità: 15/15;
Attinenza al tema del Contest: 10/10;
Caratterizzazione dei personaggi: 9/10;
Gradimento della giudice: 5/5;
Totale:
68/70.


Giudizio scritto del giudice [Shark Attack]

L'impressione generale che mi ha dato la fic ad una prima lettura è stata quella di gelida armonia, ottima direzione della trama e dei dialoghi, interiori o puramente narrativi da parte del protagonista. L'idea stessa di ambientare questa strana fic, che potrebbe sembrare un'AU per i personaggi estraniati dalla reale vita che hanno nel manga anche se, ovviamente, AU non è, dicevo l'idea di ambientarla sul patibolo di morte, come episodio finale di una storia più grande che scopriamo solo ora, mentre i secondi scappano crudeli sotto gli occhi e il respiro affannato di Sasori morente... beh, mi ha colpita. L'atmosfera è raggelante, ma di un freddo che colpisce dentro, perché il sentimento creato è strano, potente e labile, come gettato sul filo del rasoio. La narrazione dell'assassino è lucida ed appassionata, con sempre una parola dolce e un ricordo affettuoso nei confronti del suo biondino, unico pensiero nella morte. Fa scappare parecchi sorrisi, mentre ci si sente coinvolti, quasi fossimo anche noi lettori lì sotto il patibolo, a guardare quella testa china e bagnata dalla pioggia, sotto lo sguardo di un Naruto algido e distaccato, cosa che non mi è dispiaciuta molto ma che ha tolto un punto nell'IC perché mi sembrava un pochino irreale... hai specificato bene, nelle note finali, il motivo del suo cambiamento di carattere, ma ritengo comunque che Naruto, proprio essendo Naruto, non avrebbe mai avuto un simile atteggiamento, troppo da Sasuke, diciamo! XD Per il resto non ho altro da dire, se non complimenti per la splendida posizione, per il premio giuria (proprio perché mi hai trascinata nella vicenda rendendola palpabile e viva ai miei occhi! *-*) (ah, sono anche riuscita a fare dei bei banner, sono molto contenta di non aver contornato una così bella fic con degli sgorbi!) e per tutto in generale! ^.-


~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ ~ ♠
Beh, non so davvero cos'altro dire se non che sono davvero contenta del giudizio, della posizione raggiunta, e di questo contest in generale ^__^
Devo ancora fare i complimenti alla giudice per l'estrema velocità e precisione, per l'accuratezza dei giudizi, per la sua disponibilità sul forum, e per i banner, naturalmente, li ho adorati!
E naturalmente complimenti a tutte le altre partecipanti!

Beh, che altro dire ancora? Direi che mi farò sentire come sempre alla prossima fic, spero al prossimo aggiornamento delle long-fic che ho in corso - mi dispiace ma ho avuto un altro blocco dello scrittore (della scrittrice, ahem) e in questo periodo, tra i preparativi per Lucca Comics e tra la scuola (che colpisce sempre senza pietà), tra i contest (diavoli tentatori >.< e mi sono iscritta a un altroo!) e tra naturalmente l'ispirazione che è scomparsa per le quelle tre storie che ho in corso, mi sa che sarà molto difficile che io le aggiorni. Naturalmente, io continuo a ripeterlo, finirò tutte, ma tutte long-fic che ho in corso. Odio lasciare le cose incompiute.
A presto, se (di nuovo) l'ispirazione non mi abbandona del tutto,
Sara


   
 
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