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Autore: vannagio    20/10/2010    7 recensioni
‹‹Per Sam è stata molto più dura che per noi. È stato il primo: era solo e non c'era nessuno a spiegargli niente››.
‹‹La prima volta che è successo - la prima volta che si è trasformato - pensava di essere impazzito. Gli ci vollero due settimane per calmarsi e ritrasformarsi››.

(Jacob Black, capitolo cinque “Imprinting”, Eclipse)
[Prima classificata al contest "Da un'immagine...", indetto da Fabi_Fabi]
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Sam Uley | Coppie: Leah/Sam
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Precedente alla saga
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Dedico questa one-shot a Fabi_, perchè senza di lei tale ff non esisterebbe.





Per la serie...
"Quando vannagio vaneggia!"



Io, me e il lupo





«Per Sam è stata molto più dura che per noi. È stato il primo: era solo e non c'era nessuno a spiegargli niente». […] «La prima volta che è successo - la prima volta che si è trasformato - pensava di essere impazzito. Gli ci vollero due settimane per calmarsi e ritrasformarsi».
(Jacob Black, capitolo cinque “Imprinting”, Eclipse)




*




«Sam? Dove sei, Sam?».


Apro gli occhi frastornato. Buio e oscurità. È calata la notte, nera come il mio manto. Drizzo le orecchie. Un silenzio denso e appiccicoso mi avvolge. Sollevo il muso da terra e annuso l’aria. Polvere nelle narici, terra umida sotto le zampe, solitudine intorno a me. Nient’altro.
Solo un falso allarme. Non c’è nessuno nella mia tana a parte me. Io, me e il lupo.
Poggio nuovamente il capo sulle zampe anteriori e chiudendo gli occhi, mi lascio sfuggire un guaito che assomiglia tanto a un sospiro rassegnato. Ma un lupo è in grado di sospirare?
Non è la prima volta che sento delle voci nella mia testa. Forse - quasi certamente - sono impazzito.
Sam. È un nome. Il mio nome?
Certe volte quel Sam riecheggia nella mente come un vago ricordo lontano - così effimero nella sua inconsistenza, un sussurro fioco e appena udibile, paragonabile al fruscio di una foglia che scivola sulla pelle liscia, morbida e glabra di… di che cosa? Il mio corpo è ricoperto di pelliccia e le foglie spesso vi rimangono impigliate. Non ho più una pelle. L’ho mai avuta? -, altre volte invece quel nome, quel Sam, è forte, vivo, presente dentro di me, e sembra che qualcuno mi stia chiamando per davvero.
Ma Sam è solo.
Scatto in piedi come una molla. Improvvisamente la piccola grotta - che da un po’ di tempo a questa parte è diventata il mio rifugio e che ho trovato sempre così accogliente e rassicurante - mi sta stretta. Come accade ogni notte da quando sono cambiato, dopo aver trascorso un’intera giornata al chiuso, le pareti della tana diventano opprimenti e il soffitto pare incombere su di me come un macigno che si trova sul punto di rovinarmi addosso.
Sam deve uscire.
È una necessità impellente. Un bisogno vitale quasi quanto quello di respirare. Le mie zampe raspano il terriccio, attendono la corsa e la fatica con impazienza. Il mio cuore freme - e Sam con lui - al pensiero di sfrecciare per il bosco e lasciarsi alle spalle il dolore e la sofferenza per qualcosa che gli manca ma che non ricorda con esattezza.
Solamente quando decido di muovere i primi passi verso l’esterno della tana, mi rendo conto che effettivamente sono già uscito e sto correndo da diversi minuti, seguendo un sentiero che solo io conosco: un percorso ogni notte diverso, tracciato dall’istinto e dal lupo.


*


Non so quanto tempo sia trascorso da quel giorno. Le giornate si susseguono uguali e diverse allo stesso tempo. Per Sam il tempo non ha alcun significato.
Ricordo che la notte in cui il mio corpo è mutato, la luna era piena. Stanotte è riuscita a emergere faticosamente dalle nuvole appesantite dalla pioggia. Seduto accanto a un albero, al limitare di una grande radura circolare, la osservo rapito, mentre una brezza fresca e leggera scompiglia la folta pelliccia del mio petto. Mi accorgo con rammarico che la luna è quasi scomparsa del tutto. Sottile come un fuscello curvato dal vento, quel che resta di lei mi sorride gentile e mi ricorda qualcosa. La fisso con più attenzione. Sì, somiglia molto a…


…le sue labbra rosse e piene si distesero in un sorriso.
Annuì appena, come se si vergognasse, ma quello sguardo fermo e deciso - che la rendeva unica, diversa da qualsiasi altra ragazza - gli fece intuire che lei era tutt’altro che imbarazzata.
Aveva aspettato quel momento con trepidazione quasi quanto lui…


Una piccola nuvola attraversa il cielo stellato, nasconde la luna ai miei occhi e ritorno bruscamente alla realtà. La notte si è fatta più scura. All’improvviso la tristezza che corsa e caccia avevano scacciato via ritorna con prepotenza. Anche la solitudine si è fatta più pesante del solito e non capisco se sia colpa della luna, che lentamente si assottiglia e scompare, o di quel sorriso al quale non riesco ad attribuire un nome.
Quasi mi dispiace che la luna debba andare via - insieme alle stelle rappresenta la mia unica compagna - così ululo al vento per salutarla e invitarla a tornare presto. Mi sembra di non aver mai sofferto come in questo momento. Mi accuccio al suolo guaendo e cerco di ricordare la luna per come l’ho conosciuta: tonda, luminosa e amichevole.
Inaspettatamente, però, al suo posto la mia mente evoca qualcos’altro...


...lui ammirava quegli occhi a mandorla - incorniciati da ciglia lunghe e scure -, che erano neri e freddi come le notti invernali quando litigavano, caldi e accoglienti mentre facevano l’amore. Venerava quella bocca invitante che raramente concedeva un sorriso. E quando lo faceva… allora lui si sentiva l’essere più fortunato della terra. Adorava il modo in cui le sue guance si imbrunivano ogni volta che la faceva infuriare.
Che dire, poi, della ruga che solcava la fronte spaziosa quando si concentrava su qualcosa? Del broncio che compariva sul suo adorabile musetto quando si arrabbiava? Della stretta cicatrice che interrompeva la linea perfetta del sopraciglio destro? Del piccolo neo situato appena sotto il labbro inferiore?
Lo sapeva, ne era certo: non avrebbe mai amato un altro viso come ora amava quello…


Per la seconda volta in questa fredda notte scatto in piedi senza neanche accorgermene.
Sam conosce quel volto.
Cerco in tutti i modi di trattenerne i lineamenti, di scolpirlo nella mente, per ricordare, per sforzare la memoria e farne uscire un nome, una parola, un qualsiasi dettaglio capace di suggerirmi l’identità di quella ragazza che so di conoscere e… amare. Sono sicuro che quel volto sia importante per me. A esso sono associati molti odori - buoni, forti, familiari, che mi appartengono - ma non rammento nient’altro e ciò, unito alla consapevolezza di essere solo - ora più che mai -, non fa altro che acuire la mia sofferenza.
Vorrei rivederlo, quel viso di ragazza. Mi consola, mi tranquillizza, mi rende quasi felice. Purtroppo, indipendentemente dal mio volere, ben presto l’immagine comincia a sbiadire - proprio coma la luna -, i contorni sfumano e si fanno sempre più indefiniti. Infine un rumore - forse uno scoiattolo che salta da un ramo all’altro - mi distrae e il suo viso si dilegua nel nulla come una scia lavata via dalla pioggia.


*


All’alba ho l’abitudine di venire qua, sulla scogliera. Contemplo il moto ondoso che scuote le acque dell’oceano, il placido sorgere del sole e lo stingersi del nero che si trasforma in un azzurro via via sempre più chiaro. Altre nubi, grigie e pesanti, si affacciano all’orizzonte promettendo l’ennesimo acquazzone, forse un temporale. Il mondo sembra dominato da una pace sonnacchiosa: c’è chi torna a dormire dopo una notte di scorribande, c’è chi sta per svegliarsi e riappropriarsi della vita. Il vento soffia più forte adesso, portando con sé gli odori del bosco, nuovi e sconosciuti.
Punto il muso verso l’alto e cerco di riconoscerne qualcuno.
Gli odori accompagnano le mie giornate e, insieme alla solitudine, rappresentano l’unica certezza di questa nuova esistenza che mi trovo costretto a vivere. Annusando riesco a vedere, sentire, toccare, esplorare, scoprire, perché gli odori non mentono mai e tutti - perfino quelli più silenziosi e timidi - hanno qualcosa da raccontare.
Chiudo gli occhi e ispiro l’aria frizzante del mattino.
Alcuni odori bisbigliano dolcemente nel mio orecchio: allettanti, vaporosi e sensuali, mi incitano a seguirli. Per Sam è davvero difficile resistere. Molti suoni sono accompagnati da odori ben precisi. Lo scrosciare allegro e incessante che proviene dal cuore del bosco - ad esempio - sa di pulito e di purezza. Acqua. Una scia continua, limpida e fresca che raggiunge ogni essere vivente nel raggio di chilometri e fa ardere la gola fin dalla prima annusata. Poi c’è l’odore della paura. Inconfondibile ed eccitante. Per Sam ha quasi sempre lo stesso significato: cibo.
Di tanto in tanto incontro degli odori sgradevoli. Tra questi ve n’è uno che mi fa rizzare il pelo sul dorso. Un fetore ripugnante, dolciastro e ghiacciato. Mi insulta, punge, graffia, morde perfino. Quando lo capto, il muso si arriccia per il dolore e il disgusto. Sam se ne tiene alla larga. Lo detesto e lo odio con tutto me stesso, anche se non ne conosco la fonte.
Ispiro ancora una volta, cercando di distinguere le numerose piste che si diramano di fronte a me, e finalmente una nuova traccia cattura la mia attenzione, interrompendo definitivamente il filo logico dei miei pensieri.


*


Questa scia singolarmente familiare mi ha condotto ai margini del bosco, in prossimità di una piccola casa di legno. Le pareti grigie e scolorite sono costellate da minuscole finestre, i cui vetri sono stati decorati con tendine bianche di pizzo ingiallito. Sul davanzale non mancano vasi e fiori di diversi colori. Non oso avvicinarmi all’abitazione, perché se qualcuno mi vedesse - ne sono certo - per me e quel qualcuno sarebbe la fine. Così resto nascosto tra la vegetazione, spiando la casetta e tenendo i sensi all’erta, pronto alla fuga in caso di necessità.
Sam è già stato in questo luogo. Conosco l’odore che l’abitazione emana: il tipico profumo dei ricordi.
Ho imparato che tutto ciò che mi circonda possiede un odore. Anche gli echi della mia mente ne hanno uno. Il profumo dei ricordi è costituito da innumerevoli essenze, che si mischiano e si fondono tra loro stimolando la mia memoria. Posso scordare i nomi, le facce, le situazioni, la mia stessa identità, ma non gli odori. Mi basta fiutarne uno per richiamare alla mente immagini che credevo perse per sempre e che a tratti mi appaiono del tutto estranee.
Dalla canna fumaria del camino vedo fuoriuscire del fumo. La fuliggine irrita gli occhi e le narici. Indietreggio di qualche passo per non essere costretto a respirarla, ma è troppo tardi. L’odore forte e acre del fumo riporta alla memoria altre essenze, ugualmente odiose e fastidiose: sigaretta, dopobarba e… abbandono.


«Papà? Dove stai andando?», chiese il bambino.
Indossava un pigiama a pallini rossi, verdi e azzurri. Nella mano destra stringeva un vecchio orsacchiotto guercio. In piedi, in mezzo al corridoio, rivolgeva delle rapide occhiate assonnate in direzione del padre, sbadigliando e stropicciandosi gli occhi con le manine cicciotte.
«Non riesco a dormire. Vado a fumare una sigaretta. Torna a letto, Sam», spiegò l’uomo con sguardo serio e corrucciato. Il ragazzino annuì con la testa ciondolante per la stanchezza e tornò nella sua stanza, strascicandosi dietro i piedini scalzi.
Qualche minuto più tardi, dal piano di sotto sopraggiunse il rumore di una porta che si apre e si chiude velocemente. Infagottato sotto il piumone, il bambino sbadigliò un’ultima volta. Abbracciò l’orsacchiotto di pezza, stringendolo forte al petto e si riaddormentò, domandandosi perché mai suo padre avesse bisogno della valigia per fumare una sigaretta.


Una folata di vento investe il mio muso, liberandomi dalla puzza intossicante di legna arsa. Nello stesso tempo, però, raccoglie da una delle finestre aperte una fragranza dolce e calda. Ispiro profondamente - cannella, biscotti… casa - e le immagini incomprensibili di prima vengono spazzate quasi subito da altre più nitide e definite.


«Ahia!», urlò il ragazzo, massaggiandosi il dorso della mano che la madre aveva bacchettato con il mestolo di legno. «Perché lo hai fatto?», domandò con risentimento.
«Poche storie e giù le zampe!», tagliò corto la donna, tirando fuori dal forno la seconda teglia di biscotti. Si fermò un attimo a contemplare con aria soddisfatta il risultato di un’intera mattinata di lavoro. «Questi…», aggiunse poi, indicando i dolci e lanciando un’occhiata ammonitrice al figlio, «…sono per Harry Clearwater che in questi giorni si è sentito poco bene».
«Sono sicuro che Harry non si accorgerà che ne manca qualcuno», replicò il ragazzo nel disperato tentativo di convincere la madre.
«Ma io sì!».
E con quelle tre parole la donna pose fine alla loro discussione.
La sera stessa, sul comodino della sua stanza, il ragazzo trovò una tazza di latte bollente e una ciotola contenente alcuni dei biscotti alla cannella che aveva cercato di sgraffignare. Ne addentò subito uno. Sorridendo e masticando con gusto, il ragazzo pensò che sua madre fosse come quei biscotti: una scorza dura e amara all’esterno, un cuore morbido e dolce all’interno.


Sono confuso. Vorrei comprendere il significato di queste “visioni” ma contemporaneamente ho paura di trovare una soluzione e quindi di soffrire. Forse in fondo ho già capito, ma non ho il coraggio di accettare la verità. Perché ammettere che l’uomo e la donna di questi ricordi siano i miei genitori, sarebbe come arrendersi all’idea che io - essere umano, ragazzo di diciotto anni, Sam - mi sia trasformato in un enorme lupo. No. È molto più facile credere che io sia stato un lupo fin dall’inizio. Nessun legame, nessuna sofferenza. Solo una tana, il bosco e la luna.
E anche se smanio dalla voglia di riabbracciare mia madre, di chiamarla, di rassicurarla - avrà sofferto per la mia mancanza? - di sentire la sua voce morbida pronunciare il mio nome con quel tono materno e affettuoso che mi è tanto caro, sono sicuro di aver preso la decisione giusta. Non posso tornare da lei, non in queste condizioni. Sono un mostro, una creatura alla quale neanche io riesco a dare un nome. Mia madre starà meglio senza di me e mio padre… beh… non credo che gli importi di me. Per quel che ne so, potrebbe essere morto da chissà quanto tempo.
Adesso che ricordo tutto - o quasi - vorrei cancellare ogni cosa e tornare all’incoscienza del lupo, che in queste settimane mi ha protetto e mi ha permesso di vivere più o meno serenamente. Vorrei piangere ma gli occhi di un lupo non sono capaci di versare lacrime. Vorrei gridare ma dalla mia bocca escono solo guaiti e brontolii indistinti.
E così faccio l’unica cosa a me concessa: scappare.


*


Avevo ragione. Le nuvole intraviste all’orizzonte hanno portato un temporale, che riflette in tutto e per tutto il mio stato d’animo. Rannicchiato sul fondo della mia tana, ascolto il fragore della pioggia e dei tuoni che prevale su qualsiasi altro suono. I lampi illuminano gran parte della grotta e proiettano le ombre oblunghe degli alberi fino alle mie zampe. L’odore della pioggia è intenso e penetrante. Amo il profumo della terra bagnata, perché ha un che di purificante e rigenerante, come se il mondo venisse pulito da ogni sporcizia e impurità.


«Sam?».


Alzo la testa e raddrizzo le orecchie quasi automaticamente. Di nuovo quella voce. È nella mia testa o è reale?


«Sam?».


Qualcuno mi sta chiamando davvero? Fisso con sospetto l’entrata della grotta, dalla quale riesco a vedere distintamente le gocce di pioggia precipitare al suolo. Mi sembra quanto meno impossibile avvertire dei suoni che non siano quelli del temporale, ma il mio udito è più fine e più sviluppato adesso. Forse…


«Dove sei, Sam?».


Tergiversare è inutile. C’è solo un modo per scoprire se sono impazzito veramente.
In un batter d’occhio mi ritrovo a correre sotto la pioggia incessante, bagnato fradicio. Le zampe sfiorano appena il terreno, mi sembra di volare tanto sto andando veloce. Il cuore cerca di starmi dietro. Mi pare quasi di vederlo, mentre pompa grosse quantità di sangue e le spinge a forza all’interno delle arterie. L’adrenalina è in circolo, acuisce i miei sensi e mi sveglia del tutto. I polmoni si gonfiano e si sgonfiano rapidamente: di questo passo potrebbero esplodere. Ma non mi importa.
Non ho idea di dove stia andando. Seguo la direzione dalla quale mi è parso che provenisse il richiamo. Seguo soprattutto il mio l’istinto. Seguo anche qualcos’altro: un odore. Lo conosco. Sì, ne sono certo. Perché è mio. Perché mi appartiene. Impiego altri due secondi per identificarlo: mandorle, donna… amore. Leah!
Lo sgomento è tale che, mentre sto ancora correndo a perdifiato, inciampo su qualcosa - forse le mie stesse gambe - e cado per terra, dopo aver ruzzolato - come un sasso giù per un pendio - per diversi metri. Supino, in mezzo al fango e all’acqua, rivolgo la faccia al cielo. La pioggia picchia la mia pelle nuda con violenza e mi costringere a chiudere gli occhi. Ciononostante non vedo altro che lei.


«Ti amo», le confessò. La sua voce era resa roca dagli ansiti di piacere.
Non era la prima volta che glielo diceva ma amava ripeterglielo all’infinito. Ancora di più adorava scorgere sul suo volto le reazioni che quelle due semplici parole scatenavano in lei.
Anche in quel frangente, che stava per esplodere dentro di lei, voleva guardarla, ammirarla, imprimere per sempre nella memoria ogni minimo particolare. I suoi occhi - solitamente freddi e imperscrutabili - adesso erano languidi, lucidi, animati da una nuova e potentissima energia. La vide inarcare la schiena sotto di lui e mordersi il labbro inferiore nel tentativo di reprimere un gemito, mentre le sue guance si imporporavano ulteriormente.
Si sentiva potente e fragile allo stesso tempo quando si rendeva conto che era tutto merito suo. Soltanto lui possedeva la chiave di quell’universo misterioso e sconosciuto chiamato Leah.
«Sam…», farfugliò lei, aggrappandosi alle spalle sudate di lui.
Era la prima volta per entrambi e il ragazzo non poté fare a meno di pensare che Leah sarebbe stata sua per sempre. Affondò il viso nell’incavo del suo collo lungo ed elegante, inspirando quell’odore di donna che amava e che avrebbe riconosciuto tra mille. Avvicinò le labbra al suo orecchio, posando un piccolo bacio sul lobo bollente.
«Dimmelo, Leah. Non aver paura», sussurrò, sicuro come non lo era mai stato.
«Io…», la sentì deglutire a vuoto, mentre i loro respiri si facevano sempre più irregolari - inscindibili l’uno dall’altro - e i loro cuori battevano come dei forsennati all’interno dei loro petti.
«Io…», la voce rotta da un altro sospiro a mala pena trattenuto, «...ti amo anch’io».
E anche se quel giorno non avessero fatto l’amore, lui lo avrebbe comunque ricordato come il più bello della sua vita: la prima volta in cui Leah gli aveva aperto il suo cuore e confessato apertamente i suoi sentimenti.


«Sam, svegliati! Ti prego, Sam!».
Occhi profondi mi scrutano ansiosi dall’alto. Sono reali. Come le lacrime che solcano il suo viso e che si mescolano alla pioggia. Come la mano gentile e premurosa che accarezza la mia guancia. Non sono pazzo. Lei è qui e prima ho davvero sentito la sua voce. Risate di gioia si confondono ai singhiozzi. È la prima volta da quando la conosco che la vedo piangere.
«Sei tornato finalmente!», esclama Leah. Le sorrido, imbarazzato.
Sì, sono tornato. Nudo come un verme, nel fango, sotto la pioggia, nel bel mezzo del nulla. Sono tornato nuovamente me stesso.
Io, me e… nessun altro.
Soltanto Sam.





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Note di fine one-shot:
Il titolo di questa ff prende spunto dal titolo del film “Io, me e Irene”.





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Note dell’autore:

Questa one-shot ha partecipato al contest ‘Da un’immagine’, indetto da Fabi_Fabi, classificandosi al primo posto e vincendo il 'Premio Stile'.
La giudice aveva fornito un elenco di immagini. Ogni concorrente doveva sceglierne una e trarne spunto per scrivere una ff. Inoltre, ogni partecipante poteva pescare un personaggio da un elenco di numeri. Mi è capitato Sam Uley, come penso avrete capito, mentre l’immagine per la quale ho optato è quella che potete vedere sotto il titolo di questa one-shot.

Alcuni anni fa ho letto il racconto di Italo Svevo “Argo e il suo padrone”, che narra le vicende del cane Argo e del suo padrone, appunto. Essendo un amante dei cani, questo racconto mi aveva affascinato parecchio ed è così rimasto impresso nella mia mente che, quando mi è capitato in sorte il personaggio di Sam, anche se era passato molto tempo, ho subito pensato ad Argo e alla singolare prospettiva secondo la quale venivano narrate le vicende della sua storia: il punto di vista di Argo stesso, il cane!
Considerando che Sam è un licantropo (lupo gigante) e che la foto raffigurante il lupo c’era, non mi è servito molto tempo per decidere di che cosa avrebbe dovuto parlare la mia ff: la prima volta di Sam sotto forma di lupo; la sua prima metamorfosi da lupo a umano. Ho letto tante ff sulle prime trasformazioni in licantropo dei vari membri del branco, perciò mi sembrava un’idea originale e dal grande potenziale quella di descrivere il processo inverso, che è altrettanto difficile. Sam ci ha impiegato due settimane per tornare alla sua forma originaria!
Ho cercato di immedesimarmi in lui il più possibile. Mi sono ispirata a Svevo, che per dare voce al suo Argo alterna l’uso della prima persona a quello della terza. Ho adottato uno stile frammentato, con frasi incomplete e spezzettate per evidenziare lo stato di confusione del Lupo-Sam. Da quello che dice Jacob in Eclipse (vedi citazione all’inizio della ff) si può intuire che per Sam la sua prima trasformazione è stata quanto meno traumatica. È solo, non sa niente, non capisce che cosa è diventato, addirittura immagina di essere impazzito. Perciò trovo plausibile che lui, in queste due settimane in forma di lupo, abbia perso memoria di quello che è e delle persone che ama. Spesso la nostra psiche per proteggerci da eventi dolorosi li rimuove totalmente. Insomma per me, Sam è più o meno consapevole della sua trasformazione ma la nega, abbandonandosi all’istinto del lupo (proprio come fa Jacob, quando alla fine di Eclipse scappa per sfuggire al suo dolore umano).
Infine mi piaceva l’idea di conferire a Leah (o meglio, al ricordo di Leah e all’amore che Sam prova per lei), e alla memoria olfattiva, il potere di aiutare il ragazzo a ritrasformarsi in un umano. Infatti, dopo aver recuperato i ricordi legati ai suoi genitori, Sam smette di riferirsi a se stesso in terza persona, sintomo che la sua metamorfosi è vicina. Quando poi sente la voce di Leah e capta il suo odore, i ricordi riaffiorano con più prepotenza e lui torna umano.
Non so che cosa ne sia uscito fuori alla fine. Posso dire di aver tentato, faticato e di essermi divertita. Perdonate questo immenso papiro.
Ringrazio tutti quelli che leggeranno ed eventualmente recensiranno questa ff.
Come sempre, un grazie speciale va a Fabi_ per il giudizio chiaro e preciso e per questo - ennesimo - magnifico contest!
Probabilmente senza di lei e il suo contest questa one-shot non esisterebbe. Grazie!!





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Ecco il giudizio della giudice.



Prima classificata: Vannagio - Io, me e il lupo -


Grammatica e sintassi: 10/10 punti
Stile: 10/10 punti
Originalità: 15/15 punti
Caratterizzazione dei personaggi:12.5/ 15 punti
Sviluppo della trama: 15/15 punti
Gradimento personale: 10/10 punti
Bonus per la scelta casuale del personaggio: 5 punti

Totale:77.5/80


Immaginavo che tu mi avresti stupita, finora l’hai sempre fatto, ed è successo ancora: hai reso alla perfezione il carattere di Sam cosa che mi ha stupito, perché hai parlato di un Sam che viaggia in se stesso, cercandosi e infine ritrovando la propria umanità nel modo più giusto, hai trattato bene Leah, dandole una dignità che nei libri è praticamente mancata quasi totalmente.
Non hai fatto errori grammaticali, il tuo stile è perfetto: cambia seguendo Sam, io non so se tu te ne sia resa conto, forse hai studiato questo stile, ma rende alla perfezione il suo stato d'animo.
Hai sviluppato la trama in modo molto ‘ordinato’, questo non perché la trama sia ordinata, anzi, la situazione è confusa esattamente come dovrebbe essere, Sam si sente folle e sragiona, non è più sicuro di quello che era, ha dubbi su se stesso e sulla sua umanità, non crede neanche che ci sia mai stata.
Mi piace da morire il fatto che sia proprio Leah a riportarlo indietro, ho amato il modo che lui ha di rivederla, un modo dolce, che ci mostra finalmente quell’amore che Sam prova per lei, perché lei è ancora la sua donna.
L’unica cosa che mi ha lasciata un po’ perplessa è il ritorno di Sam, all’epoca nessuno immaginava che i Licantropi sarebbero tornati, Leah non sapeva niente, in effetti non saprà nulla fino a quando non toccherà a lei, poverina; quindi il fatto che lei veda arrivare Sam nudo, sporco di fango, di ritorno dopo giorni durante i quali nessuno sapeva che fine avesse fatto, e che gli dica: ‘sei tornato, bene’, mi sembra un po’ surreale, diciamo che la mia reazione sarebbe stata più un: ‘Sei tornato! Nudo? Dopo giorni? Dove accidenti sei stato? E credo che avrei avuto il fucile, non c’è amore che tenga, né dolci visioni di muscoli che mi fermino, prima mi spieghi, poi facciamo pace^^.
Ok, forse sono andata un po’ fuori tema, ma era per spiegare il motivo del punteggio non pieno alla caratterizzazione del personaggio (appunto per Leah, e la tua scelta è stata omantica e dolcissima ai fini della narrazione) e dello sviluppo della trama, che ha perso un po’ di credibilità.
Forse ti sei lasciata trasportare dal sentimento, cosa che, lo ammetto, è successa anche a me la prima volta che ho letto la tua storia.
La trasformazione di Sam da Lupo a uomo è una cosa che mai avevo immaginato di leggere, quindi il punteggio pieno in originalità non te lo toglie nessuno!
Brava.



   
 
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