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Autore: Abraxas    21/10/2010    9 recensioni
Tre secoli e mezzo dopo il confronto con i Cullen, il potere dei Volturi è solo una pallida ombra di ciò che era un tempo. Se solo le cose fossero andate diversamente, medita Aro…
E se esistesse un modo per cambiare gli eventi?
E se qualcuno fosse incaricato di impedire queste modifiche?
Qualcuno che non sospetta minimamente dell’esistenza di vampiri e licantropi…
Lei torna a sedersi dietro la scrivania, facendo segno di accomodarmi sulla poltrona di fronte. “Una missione Infiltrazione e Controllo temporale attivo standard. Primo decennio del ventunesimo secolo.”
Mi allunga un datapad, che prendo e comincio a scorrere velocemente.
“Sistemazione a centocinquanta miglia da Seattle? Riserva indiana di La Push? Dico, siete impazziti? Come diavolo farei a passare inosservato?”
Genere: Science-fiction, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Quileute, Seth Clearwater, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più libri/film
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- PROLOGO -


Viaggiare per lui era… curioso. Di norma chi doveva incontrarlo per un qualsiasi motivo, volente o nolente, faceva i bagagli e si portava ossequioso al suo cospetto. Non in questo caso. Era stata più una necessità che altro a convincerlo a partire, ma aveva accolto la novità con entusiasmo quasi infantile. Ogni tanto cambiare aria gli faceva bene, doveva ammetterlo. Certo, doversi separare dalla sua scorta era un qualcosa di tremendamente scocciante, ma una scorta in questo caso sarebbe stata estremamente appariscente, e da qualche tempo a questa parte era meglio se evitava di farsi notare. Le cose non andavano troppo bene, ma presto tutto sarebbe cambiato.
Sospirò lievemente, un’azione inutile per lui e puramente scenica, ma che sentiva essere davvero adatta all’occasione. Provava un certo fastidio per la lentezza del trasporto, ma era troppo esperto per darlo a vedere tamburellando sul bracciolo del suo sedile o rivelandolo con altri gesti del genere. No, la sua irritazione trapelava dal modo in cui fulminava con lo sguardo le assistenti di volo e chiunque altro osasse rivolgergli la parola per qualunque motivo non fosse sufficientemente importante da rendere indispensabile una sua risposta. Cioè tutti.

“Avvisiamo i signori passeggeri che attraccheremo alla stazione spaziale Calypso fra quindici minuti. I signori passeggeri sono pregati di tornare ai loro posti e di allacciare le imbracature di sicurezza, grazie.”

Si risolse a legarsi intorno alla vita quella scomoda cintura, rassegnandosi al fatto di dover spiegazzare irrimediabilmente il suo raffinato abito nero da viaggio.
Che seccatura.

Attese pazientemente che il pilota portasse la navetta nell’hangar, e seguì scrupolosamente le istruzioni che gli vennero date per poter sbarcare. Sbrigò in fretta le procedure doganali e fu uno dei primi passeggeri a lasciare lo spazioporto per entrare nell’enorme arcologia che era Calypso.
La gente si apriva spontaneamente di fronte a lui, creandogli un percorso nel mezzo della folla che occupava le strade della città orbitante. Poteva sembrare uno dei tanti terrestri che arrivavano ogni giorno per affari su Calypso, eppure qualcosa lo distingueva da tutti gli altri. Il suo modo di muoversi rivelava un’eleganza nobile che non si vedeva spesso da quelle parti. Ogni dettaglio del suo vestiario sembrava trasudare ricercatezza ma, al tempo stesso, semplicità. Avanzava tranquillo, con passo spedito, rivolgendo occhiate interessate alle costruzioni intorno a sé, mentre le sue gambe lo conducevano verso uno dei quartieri più malfamati.
Non pochi malintenzionati lo scrutarono allettati dai gioielli che sfoggiava con tale naturalezza, ma tutti quanti si ritrassero timorosi. C’era qualcosa, nella sua figura, che sembrava voler indicare una sorta di minaccia nascosta dietro la facciata da tranquillo gentiluomo.
Era come un’isola di grazia nel mare di squallore di quella parte della città. Si sistemò meglio la giacca, composto come sempre,  prima di proseguire all’interno di un’unità abitativa diroccata quanto le altre, apparentemente indistinguibile dalle altre centinaia.

“Kain?”, chiamò.

Sapeva che era lì, poteva avvertirne distintamente l’odore. Un odore nauseabondo, notò con disappunto.

Attese qualche secondo, nascondendo alla perfezione la sua impazienza. Aveva aspettato secoli, poteva anche permettersi di spendere cinque minuti in più, no? Eppure si era scoperto bramoso di incontrare faccia a faccia la persona di cui i suoi segugi gli avevano tanto parlato. Tempo… era tutta questione di tempo. Il tempo era il motivo per cui si trovava lì in quel momento. Il tempo, il suo scorrere, e la possibilità di cambiarlo… La possibilità di rimediare a vecchi errori. Ad un vecchio errore in particolare.
Poi Kain si fece avanti, emergendo dall’oscurità in cui era rimasto nascosto. Tremava, era visibilmente impaurito, come se avvertisse il pericolo proveniente da quel visitatore così ben vestito. Lui gli sorrise, allungandogli la mano in quello che sarebbe potuto normalmente passare come un gesto di amicizia, ma che entrambi sapevano non esserlo.

“Non avere paura, Kain. Non ho intenzione di farti del male. Sono qui per aiutarti… se tu aiuterai me.”

Kain continuò a scrutarlo, il terrore che si agitava chiaramente in fondo a quegli occhi così scuri.

“Cosa… cosa vuoi?”, gli chiese sgarbatamente.

“Te.”

“P-perché?”

“Mio caro Kain, tu possiedi un dono che non sai ancora di avere… un dono molto importante per me, un dono che mi permetterà di riprendere ciò che legittimamente mi appartiene. Tu hai il potere di parlare attraverso le epoche. Unisciti a me. Con te io ricostruirò il mio regno, ed in cambio ti offrirò una vita di ricchezze… una vita senza fine. La vera immortalità. Non quella squallida imitazione che offrono oggi nelle cliniche private con il ringiovanimento cellulare. Mi seguirai?”

Kain restò tentennante qualche minuto, per poi cedere alle allettanti parole del suo visitatore, annuendo impercettibilmente.

“Eccellente! Seguimi!”, ordinò l’uomo, battendo allegramente le mani, voltandosi verso la porta ed uscendo alla luce del giorno artificiale. La giornata si preannunciava decisamente interessante, notò eccitato. Si sentiva strappato dalla sua solita apatia… in un certo senso, si sentiva vivo come non mai. Quel viaggio era stato proprio un’ottima idea, pensò, pienamente soddisfatto. Forse avrebbe dovuto concedersi più frequentemente distrazioni del genere… e chissà, forse avrebbe anche trovato un paio d’ore da dedicare ad una comune visita alla stazione spaziale. Era emozionante vedere come gli esseri umani si fossero lanciati sulla strada del progresso. Li aveva visti erigere i primi rozzi monumenti al potere dei faraoni, ed ora era testimone della loro conquista dello spazio. Emozionante, sì, era proprio il termine giusto.
Kain tuttavia tentennava, ignaro delle riflessioni del suo visitatore, non ancora pienamente convinto.

“Tu… chi sei?”, si risolse infine a chiedere.

L’uomo si voltò, sorridendo accondiscendente e guardandolo dal profondo dei suoi occhi rosso sangue come si guarda un bambino che ha appena fatto una domanda estremamente stupida.

“Il mio nome è Aro. Ma da oggi Maestro andrà più che bene.”
   
 
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