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Autore: Danihan    21/10/2010    0 recensioni
In un futuro non troppo lontano ci sarà una guerra senza precedenti, là fuori.
Credere, o non credere? A voi la libertà di scelta.
Genere: Avventura, Azione, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Second Genesis -

 
      Noi siamo i figli del Libero Arbitrio.
      Noi siamo il frutto della Prima Ribellione.
      Il Giorno del Giudizio combatteremo nel Suo nome.

      Quel giorno…è oggi.

                                                                                              - SLOGAN DI PROPAGANDA DEL FRONTE UNITO PER LA LIBERTA’ -

 
      Inizia tutto con un’esplosione.
      Un bagliore accecante, dita di luce avide nel buio, un sussulto dell’anima, e il silenzio.
      Il primo momento di calore in quell’universo freddo.
      La Creazione? No, una bomba.
      L’onda d’urto è un pugno allo stomaco che mi scaraventa a terra, metri indietro. Umido e acre, il sapore dell’asfalto. Piove fuliggine, mentre il fumo sale e si confonde con il colore delle nuvole di notte.
      Mi guardo attorno al rallentatore, mi guardo a destra e a sinistra, cercando di mettere a fuoco la scena.
      Chiudo e riapro gli occhi, chiudo e riapro gli occhi.
      Il cuore batte, unico rumore a scandire un film muto.
      Ovunque le fiamme tingono di un rosso vivo la piazzola e gli scuri edifici che la circondano, e lambiscono ombre in contrasto che corrono come formiche impazzite con le mani al cielo. E’ buffo, penso nonostante la situazione, come sembrano voler gridare senza emettere alcun suono. Sorrido di un sorriso ebete.
      Il cuore batte, nel silenzio.
      Una figura mi si avvicina veloce, un volto familiare, una macchia nera contro lo sfondo infuocato. Ha occhi vigili, mi prende una mano, cerca di alzarmi. I suoi capelli ramati risplendono sporchi del calore delle fiamme, i lineamenti eleganti risaltano come tratti di un disegno. Mi dice qualcosa, non capisco. Diamine, se sussurra da quella distanza non la posso sentire. La sua bocca emette versi afoni, la fisso con occhi straniti. Si volta, alza il braccio libero, impugna qualcosa di metallico, e poff! come uno sparacoriandoli fa accasciare un’ombra che ci correva incontro. Si rivolge di nuovo a me, lo sguardo allarmato e il seno che si alza e si abbassa sotto il respiro affannoso, mi strattona la mano, le parole rimangono anonime, le sue labbra si muovono concitate.
      Le sue labbra, sì, così delicate, così sottili, mi ipnotizzano nella loro danza selvaggia, si chiudono, si schiudono, si accarezzano e si allontanano, e di nuovo si avvicinano e sarebbe divino baciarle, morderle, e assaporare il contorno di quelle linee, oh sì, le sue labbra, così morbide, così sensuali, mi rapiscono nell’armonia del loro tango, e sarebbe una colpa andarsene da questo mondo senza essersi fatto fare da loro un bel…
      Lo schiaffo arriva sonoro, un treno espresso diretto verso la realtà senza fermate intermedie.
      « …andarcene, Izanagi! » sta sbraitando la ragazza.
      Il mondo si affaccia violento al senso dell’udito, con urla, spari, sirene, rombi e ruggiti, fragori, ordini impartiti a gran voce. E’ come se qualcuno avesse deciso di rimettere l’audio, e lo avesse fatto al massimo volume. Insomma, un gran casino.
      Sbatto ripetutamente le palpebre, annuisco con il capo, mi perdo nei suoi occhi di giada.
      Mi alzo di scatto, ho male dappertutto, mi duole perfino dove non pensavo potesse dolere, ma mi alzo. Basic mi copre, qualcuno si avvicina ma lei lo secca che è un piacere, brava la mia Basic, centro sempre al primo colpo.
      « Sbrigati, lumaca! »
      La seguo, amorevole la seguo, e ci infiliamo nel primo vicolo di quel muro di abitazioni abbandonate, lasciandoci alle spalle quel teatro di distruzione. Abbiamo fatto saltare in aria lo stabilimento. Abbiamo fatto saltare in aria lo stabilimento! Rido, mentre mi affretto dietro di lei.
      « E Shannara? » chiedo.
      « E’ con Pollicino, se la caveranno. Rendez-vous al Campo Base. »
      Corriamo senza voltarci, tra stradine e viuzze malfamate dove anche i randagi temono di avventurarsi. Dai tombini si leva olezzo di fogne e fumo di bassifondi, proprio quel fumo che serve a rendere un’atmosfera noir ancora più noir. Latrati, schianti di vetri e gli echi sempre più lontani dello scontro accompagnano i plat plat dei nostri passi sostenuti da un respiro irregolare. Ogni tanto svoltiamo un angolo e proseguiamo per un viottolo ignoto, o meglio, per me ignoto dato che il mio senso dell’orientamento lascia a desiderare, ma pare che Basic sappia con precisione dove ci stiamo dirigendo. O almeno spero.
      Passiamo accanto ad altri tombini, altre pozzanghere, a miagolii e a finestre infrante, a mattoni grigi, a grondaie rampicanti, a ripide pareti, a bidoni della spazzatura, ma come il busto di quel personaggio del Mago di Oz, di latta insomma, a rifiuti sparsi e a lampioni lontani dalla luce ambrata, con noi nella penombra, agili e all’erta, che passiamo.
      Ci fermiamo solo numerosi tombini dopo, quando di fronte ad una piazzetta raggiungiamo l’ingresso scalcinato di un vecchio locale. Sulla porta svetta un’insegna al neon che sicuramente ha visto tempi migliori, Absinthe recita, in un corsivo elegante e di un supposto verde smeraldo quando accesa. Entriamo, svanendo dalla strada come due scie d’inchiostro inghiottite nel buio.
      L’interno è sospeso nel tempo, tale e quale il suo gestore e clienti l’hanno lasciato anni prima, in preda ad una fuga improvvisa. Alte sedie senza schienale posano disordinate intorno ad alti tavoli circolari, su cui bicchieri e bottiglie di alcool sorridono imbevute come in una fotografia in bianco e nero degli anni ’40. Divanetti di un rosso accogliente si adagiano lungo gli angoli contro listelli di legno a mezza parete, tavolini a filo terra per loro, con il pianale in vetro per lasciare scorgere il contrasto con la moquette del vellutato colore del tappeto dei tavoli da biliardo. Separè caduti e sgabelli rovesciati tra frammenti di vetro sembrano inchinarsi di fronte al lucido pianoforte a coda ancora integro su di un gradino in un angolo della sala. Di un nero d’ossidiana, dedica al suo pubblico fantasma mute composizioni di un passato che non ritorna.
      Suonala ancora, Sam. Suona... “ Mentre il tempo passa ”.
      Il bancone in fondo alla parete, dalla parte opposta rispetto all’ingresso, mostra una sfilza di alcolici che con gli anni non avranno fatto altro che migliorare il loro sapore. In fila come fotomodelle, rhum, gin, scotch, liquori e altre che non conosco: d’altronde non bevo.
      Basic ci si avvicina indecisa soppesandole una per una, poi arraffa una fiaschetta dal liquido chiaro e lo tracanna in due sorsi. Rutta, soddisfatta. Non il massimo della finezza, ma non si è mai posta tanti convenevoli in mia presenza. Ed io di certo non mi sono mai lamentato.
      « Ci voleva proprio. » ammette, e ride. La sua risata cristallina invade la stanza, coprendo la luce diffusa nell’ambiente e il ticchettare della pioggia che ha iniziato a cadere all’esterno. Si passa la lingua sulle labbra, e mi scruta con occhi imbevuti di malizia.
      « Dai, fammelo vedere. » mi sussurra. Ma questa volta, anche se da quella distanza, la sento benissimo.
      Sudo freddo. Beh, vorrei vedere voi nei miei panni. Il mio bambino interiore gioisce di fronte all’inaspettato regalo di Natale. E’ giunto dunque il momento? Mesi e mesi di preghiere finalmente ricompensati? Osservo il suo corpo, snello e asciutto. Sodo, apprezzo con cipiglio critico da vero intenditore. Boccoli rossicci litigano sulle spalle nude, la canotta nera e i jeans a vita bassa contribuiscono solo a risaltare le sue aggraziate forme. La mia fantasia prende il largo salutando con il fazzoletto.
      Deglustisco, incerto.
      Basic inarca un sopracciglio.
      « Ciò che ci permetterà di vincere questa guerra. » continua.
      Lusingato. Certo, sono ben conscio della mia virilità, ma non credevo bastasse calarmi le braghe davanti ai nemici per farli scappare a gambe levate.
      Solo allora mi ricordo di stare stringendo in mano il cilindretto d’argento, l’oggetto trafugato dal laboratorio, lo scopo della nostra incursione notturna. Le nostre vite erano in secondo piano rispetto al ritrovamento e recupero di quest’arma all’apparenza innocua. Non solo all’apparenza, diamine, sembra in tutto e per tutto una comunissima pillola gigante di metallo. Per quanto possano essere comuni le pillole giganti.
      « Ah, questo. » mormoro, deluso. Un altro triste inverno, nel cuore di un uomo.
      Basic si ritrae sospettosa, poi scrolla le spalle e si allunga a prendere il cilindretto.
      Ma a questo punto, è doverosa una digressione.
 
      Caddero dal cielo, fendendo le nubi come dita infuocate.
      Caddero in tutto il globo, attraverso praterie, solcando mari, tra steppe e intrichi di giungle e foreste, sulle vette ghiacciate dei monti, nei deserti, nelle città.
      Caddero sotto le stelle, di giorno e di notte.
      Caddero come grandine d’estate, pioggia di lava, neve in tempesta, e s’inabissarono nelle profondità degli oceani, distrussero palazzi, sradicarono ponti, deviarono fiumi, s’incastonarono su spiagge e dorsali e pianure come rubini incandescenti.
      Caddero per la seconda volta, gli Angeli.
      Quel giorno l’umanità emerse pressappoco illesa tra le volute di fumo e vapori di terra bruciata che si levavano dal suolo. Uscì dalle case, dagli uffici, dalle scuole, dalle chiese e dalle moschee, si radunò nelle piazze, nei mercati, nei campi, come destati da un sogno.
      E venne a conoscenza della Verità.
      Dio? Non esisteva alcun Dio. Non quello magnanimo e misericordioso delle religioni. Esistevano loro, sì, le schiere celesti, esseri di pura energia da un’altra dimensione. All’alba dei tempi una di esse, la più intensa, decise di creare il nostro Universo.
      E luce fu.
      Creò la materia e ordinò le varie strutture al ritmo di una cosmica rapsodia, direttore d’orchestra del concerto che diede vita alla danza delle galassie e dei pianeti, dei soli e delle lune. Con qualche accorgimento, qualche correzione e un paio di regole, creò la vita. Nulla di impossibile, solo tanta pazienza e volontà. Ma più che come un padre nei confronti del proprio figlio, il Demiurgo considerava la sua opera come uno scienziato considera il proprio esperimento.
      Aveva in mente grandi progetti, grandi sogni. Ad una delle sue creature avrebbe donato il pensiero, e avrebbe guidato tutti come un narratore tira le fila dei propri personaggi dietro le quinte. Voleva essere lo sceneggiatore del loro Destino, il Regista Nascosto.
      Ma il fratello del Demiurgo, suo pari, non era d’accordo. Se infondi la Vita, aveva contestato Azmael, devi dare ad essa la possibilità di scegliere. Scegliere se adorarti, scegliere se seguire i tuoi schemi, scegliere perfino se rifiutare il tuo dono. Come io e te siamo liberi e vivi, così devono esserlo coloro a cui tu dai la Vita.
      La Vita è scelta. E lasciare vivere è rispettare le scelte altrui.
      Il Demiurgo non la prese bene.
      Il cielo si divise, su due fronti opposti. Ci fu una grande guerra, in cui Azmael e il suo esercito combatté per la Libertà del Creato, per la nostra Libertà, ancora prima che nascessimo.
      Fallì, e venne esiliato su questa terra con i suoi maggiori sottoposti. A contatto con la nostra dimensione iniziarono a splendere di luce corrotta, confinati entro corpi di carne e sangue per l’eternità. In cuor suo, tuttavia, Azmael sapeva che con quel gesto avrebbe poi garantito la libertà al genere umano.
      Ma quel giorno qualcosa si era irrimediabilmente spezzato in cielo, e il malcontento continuò a serpeggiare fino a sfociare anni e anni e anni dopo nella Seconda Ribellione. Oggi.
      Gli angeli della Seconda Caduta rappresentavano solo una minoranza rispetto ai loro compagni che ancora combattevano lassù. Avevano deciso di portare il conflitto sulla terra, di rendere partecipe e far valere la voce dell’umanità, causa della contesa e del sacrificio di Azmael, alla riconquista del Cielo.
      Inaspettatamente, anche il genere umano si ritrovò diviso.
      Fu cessata ogni battaglia, ogni scontro e ogni guerra, civile e non, solo per istituirne una ancora più epocale.
      Venne fondato il Magistero della Luce, costituito da coloro che ritenevano quegli angeli e le loro parole la prova concreta dell’esistenza del demonio, e per tale motivo da diffidare ed estirpare senza diritto di replica. I più estremisti sostenevano che fosse proprio il Libero Arbitrio ad essere il peccato originale, corrompendo l’uomo a tal punto da indurlo a distruggere lo stesso pianeta su cui vive.
      Era una setta gerarchica con sede a Nuova Roma, presieduta dalla figura del Papa Guerriero e strutturata in austere classi militari che riesumavano i nomi di antiche istituzioni religiose: dagli Inquisitori ai Zeloti, dagli Arconti ai Templari.
      Contro il Magistero si erse prepotente il Fronte Unito per la Libertà, un’organizzazione democratica a carattere terroristico sostenitrice della causa celeste. I suoi membri, in inferiorità numerica rispetto agli illuminati del Magistero, prediligevano le guerriglie urbane, muovendosi nell’oscurità in gruppi di quattro elementi. Ogni facente parte del Fronte rinunciava alla propria identità, al proprio status e al proprio passato, accogliendo in sé una nuova vita con la scelta di un nome di battaglia che diveniva a tutti gli effetti il proprio nome.
      Io, a loro pari, voglio credere alle parole dei Caduti.
      Forse il Libero Arbitrio avrà pure corrotto il genere umano, ma proprio in quanto scelta non esclude all’uomo la possibilità di cambiare e migliorarsi, consapevole.
      Non mancarono coloro che decisero di astenersi dal conflitto e portare avanti l’economia, e questi  erano i Civili, la fazione più numerosa, disposti a sposare qualsiasi filosofia a condizione che li si lasciasse vivere in pace. Una scelta coraggiosa, la loro.
      Ho dimenticato quanto tempo oramai sia passato dall’inizio di questa guerra. Dieci anni, quindici, ogni giorno è maledettamente uguale all’altro, ogni giorno piove, ogni giorno qualcuno di caro muore. Ma la cosa buffa è che è una guerra puramente umana. Non ci sono uomini alati in perizoma avvinti in scontri mozzafiato con lame divine e onde energetiche. Mi sarebbe piaciuto. E invece no, i Caduti sono creature mortali e fragili come noi, l’esilio ha comportato il confinamento della propria energia, per cui certo non invecchieranno né si ammaleranno, ma un colpo di pistola in fronte è letale tanto a noi quanto a loro.
      Questa notte ci siamo infiltrati nei laboratori sotterranei della Red Javelin Inc., di proprietà del Magistero, avendo ricevuto una soffiata riguardo al completamento del prototipo della prima arma di classe Aleph-Zero. Obiettivo: il recupero dell’arma e il brillamento dell’edificio.
      Delle sei squadre operative in azione nello stabilimento, solo l’Avalanche e un membro della Sapphire ha fatto ritorno al Campo Base. La missione è stata dichiarata completata con successo.
 

“ Powers and Dominions, Deities of heav’n,
for since no deep within her gulf can hold
Immortal vigor, though oppressed and fall’n,
We give not heav’n for lost. From this descent
Celestial Virtues rising will appear
more glorious and more dread than from no fall,
and trust themselves to fear no second fate. ”

 
      « John Milton, Lost Paradise, Libro II. » commenta Pollicino, senza distogliere l’attenzione dallo spartito sul leggio del pianoforte. Le sue enormi dita faticano a non premere più di un tasto per volta, eppure si muove con grazia e la melodia accompagna i versi con solennità tra scale, diesis e bemolle.
      Basic chiude il libro e scende dal bancone su cui è seduta, appoggiata allo stipite a gambe distese e incrociate.
      Una ragazza tira su con il naso. E’ Cassandra, l’unica sopravvissuta della squadra Sapphire. Ha deciso di avere pianto abbastanza la morte dei suoi compagni. Eppure continua ad abbracciare le ginocchia, e i suoi occhi arrossati rimangono fissi nel vuoto.
      Shannara si dedica alla manutenzione e pulizia delle armi da fuoco con cura meticolosa. Con una postura elfica sulla sedia, smonta e rimonta ogni semiautomatica con un’efficienza maniacale, olia il carrello, il percussore, rimuove la polvere da sparo residua, pulisce l’asola del cane, il chiavistello, la canna ad anima rigata e la rampa di alimentazione, tra un assolo di jazz e un notturno in Do Minore che dipinge e accarezza l’ambiente come la luce dorata del tramonto scalda i volti degli ultimi bagnanti.
      Abbiamo un ospite. Fin troppo panciuto per essere un randagio, trattasi di uno splendido micio nero che Pollicino ha voluto accogliere nel locale per tentare di riportare un sorriso sul volto di Cassandra. Un grand’uomo con un gran cuore. E anche un gran senso dell’umorismo, a quanto pare. Gargantua, Odino, Prometeo o anche solo Figlio Illegittimo di Spartaco sarebbero stati nomi più appropriati a lui. Ma scelse di essere Pollicino, e Pollicino sia. Cassandra battezza il gatto Zaffiro, in memoriam.
      In diretta dai setosi divanetti dell’Absinthe il sottoscritto ammira distratto il suo nuovo Cubo di Rubick di forma fallica. Nessun meccanismo, nessuna apertura, nessuna incisione. E dire che ho provato sia con Apriti Sesamo che con Alohomora, ma la supposta d’argento ha continuato a riflettere la mia immagine, indifferente. Un ottimo soprammobile, sicuramente. Di certo non un’arma di classe Aleph-Zero.
      Aspettiamo, tutti aspettiamo. Nella malcelata speranza che qualcun altro si sia salvato, e che presto sopraggiunga al luogo di ritrovo. Ancora qualche minuto. Ancora qualche minuto.
      Nessuno riesce a dormire.
      Scorgo con la coda dell’occhio Basic avvicinarsi con finta innocenza a Cassandra, e annusarla rapita. Inspira ed espira profondamente, le sue verdi iridi splendono di una luce a me sconosciuta.
      « Adoro le vergini, avete un profumo… »
      Le mie orecchie diventano due parabole satellitari, un topo passeggia ubriaco su una trave scalcinata al piano di sopra, a due isolati di distanza. Cassandra è paonazza, e non per le lacrime versate.
      « Ci spostiamo sul retro? Ho voglia di rilassarmi un poco e anche tu ne avresti bisogno, credimi. » le propone. La sua mano si sposta a sfiorare quella di lei.
      In quel momento scopro qualcosa che non avrei mai voluto scoprire. Ma forse c’è ancora qualche speranza. Un quadretto bucolico composto da tre figure passa e scorre veloce come uno stacchetto pubblicitario tra i pensieri. La mia mano si affretta ad asciugare un rivolo di bava.
      Toc toc.
      Qualcuno bussa. Ma prima che il pugno batta sul legno per la seconda volta, Shannara ha già riassemblato le pistole e noi le stiamo già puntando verso l’ingresso. Pollicino non dimostra di essersene accorto, anche se più probabilmente continua a suonare per non dare l’impressione all’esterno dello stato di allerta. Non stecca una nota, non indugia su di una pausa più del dovuto.
      « Siamo chiusi. »
      Amici o nemici? Il cuore batte, protagonista di un balletto surreale con Charlie Chaplin sui tempi rubati dell’eroica polacca. La voce al di là del portone risponde per noi.
      « Vogliate perdonarmi l’orario, ma il Magistero sta facendo controlli porta a porta nel distretto a causa dell’attentato di poche ore fa allo stabilimento della Red Javelin Inc.. Avrete di certo sentito l’esplosione. »
      Diamine, nemici. Ce lo saremmo dovuti aspettare.
      « Mi chiedo chi non l’abbia sentita! E’ sceso tutto il quartiere in strada, domandandosi cosa fosse successo. Ma…addirittura un attentato, da non crederci. Mi spiace molto, ma non centriamo niente con la faccenda e non vogliamo averne nulla a cui spartire. Questa è una festa privata. »
      Un improvvisatore nato, non c’è che dire. Da qualche parte, un pubblico applaude.
      « Vi comprendo alla perfezione. Sareste comunque così gentili da lasciarci entrare per un’ispezione discreta? »
      Sono intento a ricercare qualcosa ad effetto nel Catalogo delle Scuse Plausibili, quando una voce femminile irrompe e crea scompiglio nel dialogo.
      « Largo, fatemi passare! » Familiare. Troppo familiare.
      « Ma Madame, non possiamo… »
      « C’E’ IL MIO GATTO LI’ DENTRO!! »
      La porta si spalanca e una ragazza impettita si fa strada nel locale, salvo bloccarsi quando si accorge di essere nella linea di tiro di numerose armi. Indossa un pesante impermeabile bianco che quasi le arriva alle caviglie, mentre sulle spalliere rinforzate sono disegnate due croci dorate. I biondi capelli le si sdraiano bagnati sul volto. In mano, il rilevatore del chip sottocutaneo emette un biiip quasi continuo.
      L’Inquisitrice Susan Reynolds.
      La mia ex-fidanzata.
      Le mani di Pollicino si fermano a mezz’aria, curiose anche loro di guardare la scena.
      Gocciola sul pavimento. E il frastuono della pioggia copre ora ogni altro rumore.
      « Oh » mormora Susan.
      « Oh » le faccio eco.
      Si volta ad osservarmi tagliente.
      « Will »
      « Suse » inclino la testa di lato, salutandola. Mi prendo il lusso di abbassare la mia colt, accavallare le gambe e stendere le braccia lungo lo schienale.
      Il micio miagola, andandole incontro e strusciandosi sornione tra i suoi stivali bianchi.
      « Bastet! » strilla, chinandosi per sollevarlo.
      Inarco un sopracciglio. « Lo sai che Bastet è una divinità egizia femminile, vero? »
      Povero Zaffiro! In preda alle crisi d’identità non mi stupisco abbia tentato di fuggire dalla sua padrona.
      « Ritengo dovresti piuttosto preoccuparti per la vostra condizione. Ci sono almeno altri venti Guardiani nei dintorni, pronti ad accorrere al primo sparo. » afferma, risoluta. I due sottoposti all’ingresso rinsaldano la loro presa sui mitragliatori, tenendo sotto mira l’interno dell’Absinthe. Uno dei due deglutisce.
      Basic e Shannara li stanno comunque già puntando con una delle due mani armate.
      Quanto mi mancavano i bei stalli messicani di una volta.
      « Seguiteci, e nessuno si farà del male. » ordina Susan.
      Nessuno si muove.
      Susan sbianca di colpo quando il suo sguardo incontra qualcosa sul tavolino innanzi a me. Cerco di seguire la sua linea immaginaria di vista, e mi ritrovo sotto gli occhi il cilindretto d’argento.
      « C-consegnami il Second Genesis, seguiteci e nessuno si farà del male. » balbetta, correggendosi. Protende la mano.
      Interessante. E così il pillolone ha anche un nome. E noto incute pure un certo timore. Con una lentezza disarmante impugno l’Arma e la punto sfacciatamente contro l’Inquisitrice.
      « Esci da quella porta, comanda ai tuoi uomini di andarsene lontano da qui e nessuno si farà del male. Ah e lasciaci qui il gatto. » Sapete, mi ci sono affezionato. « E il rilevatore, ovviamente. »
      « Non intenderai davvero usarlo in questo luogo. »
      « Solo se mi ci costringi, mia cara. »
      « Moriremo tutti. »
      « E’ proprio quello che voglio. »
      « Assieme a mezzo continente. »
      « Non vedo l’ora. »
      « Sarai l’unico a sopravvivere. »
      « Ne sono ben consapevole. »
      « Non ti pesa la morte dei tuoi compagni? »
      « Me ne farò degli altri. »
      Basic mi fulmina con lo sguardo.
      « Non hai la minima idea di cosa hai in mano, vero? » azzarda Susan.
      « Che sciocchezza. »
      « Non è un esplosivo. »
      « Lo so, ma mi piace stare al gioco. »
      « Mostrami come funziona, allora. Se dobbiamo morire comunque. »
      « Ne sei proprio sicura? »
      « Sì. »
      « E sia. »
      « Bene. » conferma Susan, seccata.
      « Bene. » ribadisco, ancora più seccato.
      « Allora? »
      « Arrivo. »
      Non so se sia più ridicolo il mio bluff o il battibecco in stile marito e moglie tra me e la mia ex. Abbandono il divanetto con movenze teatrali e traboccanti di pathos, so di avere ora la completa attenzione della folla. Tutti si aspettano qualcosa da me. Persino Zaffiro mi contempla, ipnotizzato. Nella destra la colt, nella sinistra il Second Genesis. Incrocio e disincrocio le braccia, fisso i presenti uno per uno annuendo con la testa. I due Guardiani alla porta pendono dalle mie labbra. Le luci basse alimentano la tensione. La pioggia improvvisa un rullo di tamburi. Qualcuno deglutisce.
      Signore e signori! Solo per stanotte, all’Absinthe, avrà luogo il mirabolante show del Mago Izanagi!
      Non c’è trucco, non c’è inganno! Assistete alla Meraviglia delle Meraviglie!
      Inizio sollevando e brindando il Second Genesis come un trofeo. Gli spettatori seguono con lo sguardo. Compio un ampio arco con la mano. Gli spettatori continuano a seguire con lo sguardo.
      Giurerei di avere sentito un oooooh di stupore.
      Mormoro qualche verso misterioso, armeggio a mani unite sulla Pillola Gigante di fronte a me. Di modo che tutti vedano. Non ci sono trucchi, è pura magia. Non ho nulla da nascondere.
      Giunge dunque il momento.
      Consiglio ai deboli di cuore di non guardare. Alle ragazze che sverranno ci penserò poi io a rianimarle.
      Inspiro profondamente. Sono pronto.
      Porto in basso il Second Genesis, aiutandomi nel movimento con la flessione delle ginocchia. Una molla che si carica. E poi, fischia lo starter e le braccia scattano verso l’alto, le ginocchia si stendono, la mano lascia la presa sul cilindretto che si libra nell’aria fin quasi verso il soffitto, e -mio Dio, signore e signori- è uno splendido homerun! Il pubblico in visibilio incita il fuori campo e si alza sugli spalti, immaginate la scena signore e signori, non ci sono parole, l’epicità del volo fa passare in secondo piano due poff! poff! distanti, e quando la gravità riporta l’Arma sulla mia mano, i due Guardiani giacciono morti e il mio braccio cinge da dietro il collo dell’Inquisitrice.
      Il mondo pare riprendersi da un incanto, senza che nessuno riesca a capire cosa sia successo.
      « Piaciuto il mio spettacolo, Suse? » le sussurro in un orecchio. La bacio rapido sul collo, prima di abbatterle sulla tempia il Second Genesis a mo’ di sasso. Un colpo non mortale, ho dosato la forza, ma almeno da perdere i sensi per qualche ora.
      « Veloci, prima che arrivino gli altri! » intimo ai miei  compagni, come ridestatisi dal torpore invernale.
      Non ho ancora capito di cosa sia capace la mia Pillola Gigante, ma fino ad ora si è rivelata un’arma più che eccezionale.
      Ed in un batter d’occhio noi squadra Avalanche, famiglia allargata comprendente anche la vergine Cassandra e il miagolante Zaffiro, ci ritroviamo sotto la pioggia e svaniamo inghiottiti nel buio di stradine, tombini e fumo di città. In un paesaggio molto noir, insomma.
      Verso la prossima missione.
 
 
 
 
 
 Note dell’Autore:
- ‘Alohomora’ è l’incantesimo che Hermione Granger usa nel secondo Harry Potter per aprire una porta chiusa. Appartiene quindi alla mente creativa della Rowling e non è farina del mio sacco(è una citazione, come le altre) XD
- La citazione durante la descrizione dell'Absinthe vuole essere un omaggio al film "Casablanca" di Michael Curtiz, del 1942.
  
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