Attenzione a voi che leggete!
Questa storia contiene uno spoiler (capitolo 423)
su un abito
indossato da Aizen, quindi magari se non volete rovinarvi la
“sorpresa” non leggete.
Per il resto aggiungo questo, questa lunga oneshot partecipa ad una
mini sfida “Halloween Party”
indetta da Fanworld e il
prompt da me scelto è “qualcosa di
inaspettato”. E bene o
male è la base per il racconto che vi apprestate a leggere.
La storia è legata al ciclo di oneshot “Raining
Stones” ma è
ambientata prima di “Malizia” (per ovvi motivi se
avete letto).
In più, aggiungo un piccolo particolare.
Qualcuno privatamente mi ha chiesto se questa mia serie AU era per
caso ambientata in Giappone, perchè in un primo momento
sembrava
così. Onestamente, io non ho mai specificato che la storia
di
“Raining Stones” si svolgesse proprio in Giappone.
Non cito mai i
nomi delle città, ne le vie e manco il nome della
città stessa in
cui sono ambientate tutte le vicende da me narrate.
Idem per la moneta che circola, non ho mai specificato se trattasi di
yen o dollari.
Ho volutamente lasciato il tutto a interpretazione
personale.
È vero, ci sono dei personaggi che si danno del
“sensei”, “sama”
o “nii-sama”. Ma se ci fate caso lo dicono solo i
personaggi di –
presumibilmente – nazionalità nipponica.
Ad ogni modo, buona lettura a voi!
trick or treat (Did you see my whip?)
“C'è qualcosa che non va...”
Non era una novità che
mezzo mondo cercasse di apparire perfetto dinnanzi al prossimo.
Se poi si parlava di
Sosuke Aizen, allora quell'aspetto della perfezione assumeva una
forma quasi ironica.
A meno di cinque giorni da
quella festa pagana che i comuni mortali chiamavano
“Halloween”,
c'era chi ancora non aveva dato il suo consenso nel partecipare alla
consueta festa organizzata dalla sua casa farmaceutica – in
collaborazione con gli eterni rivali – a cui per ovvie
ragioni pure
l'intero consiglio comunale partecipava. Non si poteva dire
di no
a due ditte che davano da lavorare a mezza città.
Sosuke era fatto così, un
uomo che godeva nel farsi desiderare oltre che odiare. Pertanto,
prima di affermare che sarebbe andato a quella penosa festa per dire:
“Che andava tutto bene e non c'erano attriti di nessun
tipo”,
aveva lasciato correre un mese intero.
Mettendo a dura prova i
nervi degli organizzatori e facendo ridere fino alle lacrime un
compiaciuto Gin Ichimaru, dando a quei bifolchi risposte tutt'altro
che soddisfacenti per telefono.
Però alla festa ci
sarebbe andato. Oh si.
E lo avrebbe fatto al suo
solito, stupendo tutti sia in positivo che in negativo.
Poiché solo
in quel modo poteva essere sicuro di essere costantemente sulla bocca
di tutti.
Eppure, amaro scherzo del
destino, il vestito che gli era arrivato neanche due ore fa giusto in
tempo per andare a quella fiera dell'ipocrisia umana e far parlare
ancora una volta di se, appariva insolito sotto il suo sguardo
velatamente perplesso.
Forse la causa era dovuta
al penoso servizio di spedizioni che aveva scelto, oppure al fatto
che aveva messo loro una grandissima fretta mista ad ansia per il
fatto che lui era Sosuke Aizen ma...
Forse avevano sbagliato
a mandargli costume.
“Giusto per chiedere...
Ma a quale film con esatta precisione ha deciso di
attingere,
eh?!”
Accanto a lui, dentro quel
grande ufficio spartano ed elegante situato a metà strada
dell'edificio più alto di tutta la sua avveniristica
industria, Gin
Ichimaru guardava curioso e allegro quello stranissimo costume.
Avvolto in uno yukata
nero, il suo fidato braccio destro non si limitava a stupire nel modo
antiquato di vestire ma nel suo pensiero a dir poco singolare.
In poche parole, era uno
stronzo nato con la cravatta. Per questo motivo, uomo perfetto per
lavorare a suo fianco.
“Il film? Oh... Si
tratta di Tron. Hai presente quel film degli anni ottanta? Da
ragazzino ci andavo matto”
“Ed esattamente, da
quanto tempo è che non vede... Tron?!”
“Da quasi venti anni
ormai. Ahh... Quanti ricordi!”
Per un breve momento Aizen
lasciò perdere il contenuto della scatola, per assaporare
quei
ricordi di infanzia nostalgicamente lontani.
A pochi passi dai due
uomini invece, seduto con flemmatica eleganza su di un divanetto di
pelle nera, un uomo di ovvie origini afroamericane scrutava
impassibile quello che i due uomini confabulavano.
Non era di grandi parole
Kaname Tousen, decisamente più propenso ai fatti seppur in
modo
piuttosto silenzioso. Era il braccio sinistro di Sosuke Aizen.
Nientemeno colui che si preoccupava dell'aspetto legale dell'azienda.
E anche se era cieco fin
dalla nascita – un particolare che non lo aveva fatto
desistere dal
fare carriera – non era uno stupido.
Ciò che i due uomini
toccavano tra il curioso e il perplesso, non poteva essere una tuta
fatta di fibra sintetica. Il suo udito funzionava alla perfezione
così come il suo intuito.
“Tron...?!” mormorò
quasi impassibile lui.
“Non dirmi che non lo
hai mai vist... – si morse il labbro Gin,
prima di
correggersi - ...mai sentito parlare! Era una cosa eccezionale per
l'epoca”
Sia Aizen che Ichimaru, si
erano quasi scordati della presenza silenziosa di Tousen presente
neanche a pochi passi da loro due. Si voltarono giusto di scorcio per
aver conferma della sua presenza, magari pensando di sfruttare il suo
intuito per capire che cos'era quella cosa tra le mani di entrambi.
“Quello non mi sembra il
rumore di stoffa sintetica, ma di pelle signori
miei...”
“E questo costume non ha
manco i led luminosi! Aizen sama, credo che vi abbiano spedito una
imitazione scadente”
Se le parole di Kaname
sembrarono sibilline, quelle dell'albino Gin suonarono un po' a presa
per i fondelli. Tuttavia, la situazione non la si poteva descrivere.
Il sommo Aizen si passò
una mano tra i capelli sbuffando con noia, lasciando ricadere nella
scatola l'indumento precedentemente esaminato.
“Imitazione scadente
sicuramente lo è... E questo è un vero peccato
dato che i soldi che
ho dato non erano pochi”
Essere fregati – o
comunque lasciati con l'amaro in bocca – a meno di poche ore
dall'inizio della festa che lo avrebbe visto come uno tra i
protagonisti più assoluti, era una cosa a dir poco snervante
anche
per l'uomo dalla pazienza più storica.
“Quindi che intenzioni
ha? Vuole disdire tutto? Vuole che dica alla signorina...
Cioè...
Signora Inoue Orihime che non potrà farle
da cavaliere?”
L'unico che ancora si
dilettava a toccare quelle nere maschere controverse, provocando
così
un rumore specifico di pelle e borchie, era Ichimaru che ben
pensò
di punzecchiare a quel modo il suo superiore.
Messaggio ben colto da
Aizen, che non era affatto in vena di fare la figura del perdente.
“E fare così un
dispiacere alla signora Inoue e un piacere ai magnifici
quarantasei? – in riferimento ai consiglieri
comunali – via,
che padrone di casa sarei se mancassi alla festa?!”
“Quindi lei è davvero
sicuro di volerci andare? Quei dannati venduti potrebb...”
“Va bene così, mio buon
Tousen. Siamo ad Halloween dopotutto, quindi anche se questo costume
è una autentica delusione – adocchiò
senza reale sentimento il
contenuto di una scatola abbandonata sulla sua scrivania – io
sarò
sulla loro bocca ancora una volta. E ora per piacere miei cari
signori, gradirei essere lasciato solo mentre mi cambio”
Fu di semplici e fin
troppe chiare parole. Avrebbe continuato con il suo spettacolo delle
illusioni ancora una volta, giocando sempre e costantemente sui
pregiudizi di gente piatta e banale.
I suoi uomini non ebbero
altro da dire se non di darsi reciprocamente delle brevi occhiate,
quindi di uscire silenziosamente dall'ufficio, colmi di sentimenti
contrastanti tra loro.
Le brevi occhiate alla
scatola incriminata ci furono eccome, tuttavia se quel contenuto
–
qualunque esso sia – andava bene ad Aizen, allora loro in
teoria
non avevano nulla di cui preoccuparsi.
Tuttavia fu solo quando i
due si chiusero le porte alle spalle, che Gin Ichimaru – per
sommo
disgusto di un Tousen che aveva compreso la situazione –
emise una
risata che ben somigliava al sibilo di una teiera in ebollizione
a causa dell'ancora troppa vicinanza agli uffici di Aizen sama.
Un suono sgradevole per le
orecchie dell'avvocato, che con grande maestria sapeva destreggiarsi
per i corridoi aziendali senza l'ausilio di un bastone o di una
guida.
Fu solo quando i due
raggiunsero l'ascensore personale di Sosuke Aizen e del suo staff che
il giovane si lasciò andare ad una fragorosa –
quanto sfacciata –
risata.
Una risata stridula,
accompagnata da colpi di pugni chiusi contro la parete in cedro scuro
della cabina, portando così nuovo disgusto a Tousen. Ma
non
poteva starsene semplicemente zitto? Non c'era proprio nulla da
ridere.
“C'è per forza bisogno
di ridere in modo così volgare? La situazione è
grave! Rischiamo la
faccia!”
A quelle parole, invece di
darsi una calmata, Ichimaru rise ancor più forte dando
addirittura
pacche sulle spalle di Kaname. Che rimase pietrificato e indifferente
al gesto, in attesa di una sua risposta concreta.
“Aahh... Oh Madre!
È spettacolare Tousen! È la cosa più
incredibile vista in vita
mia! – aveva le lacrime agli occhi e ora si era pure messo a
dargli
pacche sul petto – quell'uomo è un genio da
rispettare!!”
“Un genio che rischia
grosso, questo lo devi ammettere... E gradirei che ti scrollassi di
dosso, per piacere”
Nell'esatto momento in cui
il moro pronunciò quelle parole, le porte scorrevoli
dell'ascensore
si aprirono al piano desiderato. E Gin dovette per forza di cose
spegnere l'interruttore delle risate dato l'alto tasso di personale
presente.
Si scostò veloce da
Kaname, per continuare assieme a lui la pacifica camminata per
corridoio pieni di caos dell'ultima ora, cogliendo impreparati i
dipendenti che ben si adoperarono a salutarli a modo.
Tuttavia, nonostante il
caos di uffici perennemente in fiamme, Tousen sentì alla
perfezione
le parole del pericoloso collega.
“Non ti preoccupare
troppo per Aizen sama, mio buon Tousen... Sono certo che
riuscirà a
trarne profitto anche in una situazione tragica come questa”
La sua voce fu poco più
di un sibilo compiaciuto per una situazione piuttosto compromettente.
Anche se rimaneva della pubblicità, quella negativa non
faceva bene
a lui. Non con l'amministrazione comunale che si ritrovavano.
“Di questo non ne
dubito. Ma è quel vestito che è totalmente
sbagliato”
“Ah, beh – trotterellò
più vicino a Kaname per potergli sussurrare meglio e con
complicità
– ma tu eri a conoscenza di quel suo piccolo vizietto?
...
Ahhh.... No! Dalla faccia che fai mi sa che non lo sapevi manco tu!
Siamo in due allora, ehe!”
L'avvocato sospirò
terribilmente sconsolato a quelle considerazioni incredibilmente
stupide.
Ichimaru pareva alle volte
davvero infantile con i suoi modi di fare e battute, purtroppo ben
sapeva che bisognava andarci cauti con lui, dato che tutto quel
sfottere era solo una maschera ben collaudata.
“Mi sa che manco lui
sapeva di avercelo, Gin...”
[…]
Era una seccatura quando i piani non coincidevano mai.
Che fosse colpa di un
personale inefficiente, o di materiale scadente come in quel caso
(era sicurissimo che non potevano aver sbagliato la consegna, i dati
sulla bolla parlavano chiaro), bisognava sempre fare buon viso a
cattiva sorte anche in situazioni al limite.
Per questo Sosuke Aizen
smise di pensare a quanto fosse brutto quel costume di Tron,
infilandoselo pezzo dopo pezzo con calma e pure un briciolo di
fatica.
Era incredibilmente
stretto sia al livello del petto che del cavallo.
Con un ampio
impermeabile che faceva da unico indumento superiore, arrivando a
coprire le gambe sino all'altezza delle ginocchia. Le mani poi... Che
razza di guanti erano?
Erano dei pezzi di pelle
senza fori per le dita, tanto da sembrare degli spauracchi dei guanti
usati dai bambini durante le fredde giornate invernali.
A completare il tutto
infine, una vasta moltitudine di borchie e cinghie con cui tenere ben
saldo il vestito, fino a togliere il respiro al loro padrone. Che tra
l'altro ci vedeva pure poco perchè, sorpresa delle sorprese,
il
costume era provvisto pure di una scomodissima benda per l'occhio.
Non metteva in dubbio che
un costume di Tron fosse più semplice da indossare, con
tutti quei
led luminosi forse era ancora più difficile, però
non toglieva il
fatto che risultare credibile era faticoso.
Pazienza, se si era
accontentato lui di quell'affare, allora pure la sua dama per quella
nottata di festa si sarebbe accontentata.
Intanto, mentre il signore
di un impero industriale si vestiva a festa per la gioia dei suoi
sudditi, la notte stava calando su di una città preda
dell'aria
frizzante di un inverno insolitamente freddo.
Anche se si trattava di
qualcosa di inaspettato, avrebbe
indossato quel costume
e avrebbe fatto anche bella figura.
[…]
Sorseggiò pensierosa
l'aranciata frizzante nel bicchiere di cartone, pensando che forse
non era stata una buona idea quella di cedere così
facilmente a
pericolose lusinghe.
Pericolose era il termine
esatto, se a farle era il direttore dove ora lavorava part-time.
Il suo lavoro come
infermiera giù all'ospedale pubblico rischiava di vacillare,
a causa
dei tanti tagli al personale che stavano facendo. E per campare
doveva per forza di cose trovarsi almeno un lavoro che coprisse le
ore buche lasciate da quello fisso.
In pratica, non è che
Orihime Inoue se la stesse spassando benissimo da un anno a quella
parte.
Stava divorziando da suo
marito – Grimmjow Jaggerjack di professione poliziotto
– e le
rate del mutuo da pagare per l'appartamento preso dopo il matrimonio
erano salate. Per di più, avevano un figlio di quattro anni
da
mantenere.
Inoue strinse con più
forza e senza accorgersene, il bicchiere di carta di medie dimensione
dell'aranciata che stava ormai sorseggiando da più di un'ora.
I polpastrelli delle dita
si bagnarono così delle gocce di umidità dovute
alla condensa del
freddo liquido, mentre i suoi denti masticavano la cannuccia
insapore, tirando su la bevanda con noia e senza reale sete.
Come un riflesso
condizionato, si riempiva le guance di aranciata frizzante e poi la
lasciava nuovamente ricadere nel bicchiere senza inghiottirla.
Non era con la sete che
era andata al bar aziendale a prenderla, semplicemente, aveva un
disperato bisogno di riflettere.
Oh, sarebbe stato tutto
più semplice si Grimmjow non fosse stato così maledettamente
orgoglioso e avesse accettato le ramanzine senza farsi
degradare.
Se non avesse contestato qualunque cosa in un momento così
fragile
per lei, cercando invece di comprenderla e basta.
Inoue in un certo senso si
odiava per aver fatto quello che aveva fatto. Per essere
andata
via di casa con una sola valigia piena di vestiti e con il bambino,
lasciandogli solo un bigliettino sul tavolo per spiegargli i suoi
motivi.
Ma suo fratello Sora, per
quanto fosse stato gentile a ri-ospitarla in casa, mica poteva
provvedere da solo a sfamare due bocche. Ecco perchè lei si
trovava
li da pochi mesi.
Sosuke Aizen si era
rivelato essere un uomo apparentemente comprensivo. Lei dubitava
fortemente di ottenere quel posto di lavoro piuttosto appetitoso,
tuttavia quasi le venne un colpo quando il suo futuro datore di
lavoro le strinse la mano con decisione e calore.
Si, era calda la sua mano
– di quel calore di cui non puoi dubitare – ma era
quel suo
sguardo così... Così... Penetrante,
che ci si imbarazzava
facilmente, o peggio, si dubitava con un briciolo di paura delle sue
azioni, ad averla fatta preoccupare per un momento.
In bilico tra questo e
quello, aveva dovuto accettare la sua proposta di fargli da damigella
per quella serata di festa. Un evento prestigioso quello, a cui lei e
l'intera plebaglia non avevano mai assistito ma che, tuttavia, Inoue
si sarebbe distinta per lo strappo alla regola.
“Uff...
Facciamoci
coraggio...”
Era nervosa. E forse il
costume che aveva messo non era dei migliori.
Per carità divina, non si
era vestita da carota gigante come faceva ogni anno
da quando
andava alle superiori e poi alle feste organizzate dalla scuola di
suo figlio. Si trattava di una festa di classe e non di una buffonata
tra amici. Per tale motivo si era costruita un abito da madre
natura che poi alla fine erano solo vecchie lenzuola cucite
tra
loro e decorate da fiori finti.
Un qualcosa di carino
insomma, che come chicca aveva una coroncina fatta di spighe di grano
– quelle si vere e pure fastidiose – con fiori di
plastica.
Ci aveva impiegato poco ad
indossarlo, stando attenta a cambiarsi in infermeria durante l'orario
di chiusura, tralasciando qualche fiore da riaggiustare con ago e
filo aveva fatto un lavoro (si sperava) sufficientemente buono.
“Signora
Inoue, è
permesso?”
la voce tranquilla e
attutita di Sosuke Aizen la colse quasi con terrore, portandole un
tuffo al cuore e un'alzata di scatto dalla sedia che le
rischiò la
rovina del costume causa mani di pasta frolla e aranciata frizzante
(anche se ormai del tutto sgasata).
“Oh... Ah! Signore,
prego ven... Venga!”
cacciò l'aranciata nel
lavandino vicino al lettino ospedaliero con un suono sordo –
la
cannuccia volò sul pavimento ma non ci badò
– dandosi una veloce
sistemata al vestito prima di vedere la porta aprirsi lentamente. E
con essa, la visione di un Aizen coperto da una pesante penombra.
“Ah... Mi scusi per il
disturbo, ma stavo sistemando il mio costu...
– le parole le
morirono definitivamente in bocca quando il suo capo entrò
del tutto
e si accorse che quello che l'avvolgeva non era l'ombra della notte
–
… me...”
A lenti passi, con uno
sguardo placido e accattivante, Sosuke Aizen entrò
nell'infermeria
con sorprendente eleganza nonostante quel vestito fosse fatto di
pelle e si notava lontano un miglio che stringeva il suo proprietario
in più punti. Piccoli rumori si generavano quando gli arti
si
muovevano, portando un insolito – e maggiore – disgusto
in
Orihime nell'osservare quella creatura così... Così...
Oscena, ecco!
Per quanto si maledì
immediatamente nel pensare simili giudizi verso un suo superiore, fu
quella la prima parola che le saltò in testa appena lo vide.
Ma fu proprio quel suo
sguardo distaccato dalla realtà, quasi severo per il suo
sorprendersi e impallidire, che si ritrovò pentita a chinare
la
testa.
“Avete un costume
meraviglioso, mia cara Inoue. Chi rappresenta?” aveva una
espressione curiosa per quel complicato arazzo di spighe e di fiori.
“M-madre natu...” dal
suo canto lei non riusciva a fare altro che balbettare e tenere uno
sguardo basso come una bambina sgridata.
Ma fu in quel momento di
già totale imbarazzo, che per Orihime poco ci
mancò di avere uno
svenimento in piena regola.
“Ehi...
Non fare
così...”
la mano inguantata di
pelle nera e ambigua, le sfiorò la guancia destra prima di
finire la
sua corsa sotto il mento per alzarglielo dolcemente. Quel gesto le
impedì si ascoltare le sue parole che dal
“lei” passarono
all'immediato “tu”.
“Sorridi mia cara, quel
broncio decisamente non ti si addice. Andiamo ad una festa... Bisogna
essere allegri alle feste. Non credi?!”
avrebbe preferito che quel
volto costretto in una armatura nera così vicino al suo
fosse solo
una mera illusione, purtroppo per lei così non era. Ed era
facile
lasciarsi ammaliare da cotante belle parole, se a dirle era un uomo
come Aizen.
Orihime, dopo
interminabili secondi di respiro interrotto, riuscì ad avere
il
coraggio di rispondergli con un timido cenno della testa, decidendosi
finalmente a seppellire il disagio e lo stupore di vedere un uomo
conciato come il peggiore tra i sadomasochisti.
Non solo perchè lui era
il suo capo ma, soprattutto, perchè lui
aveva infondo
ragione. Aveva ragione nel dirle che per un breve momento bisognava
essere felici, lasciando perdere tutte le preoccupazioni che la
circondavano.
Doveva essere
quello il messaggio che le lanciava. Sicuramente era così.
“Bene, allora direi che
siamo pronti tutti e due. Mi permette l'onore, mia cara
Inoue?”
Dopo quel breve scambio di
battute, Sosuke Aizen tornò a rivolgerle la parola in modo
meno
personale e porgendole pure il braccio sinistro.
Un altro dettaglio che
istintivamente la portò a sussultare con quell'odioso
disgusto che
l'aveva travolta in precedenza ma che tuttavia riuscì ben a
domare.
Deglutì a forza e
facendosi coraggio strinse le mani sul suo forte braccio prima di
lasciare del tutto l'infermeria.
“Sarà una serata
indimenticabile per entrambi, mia cara”
[…]
A che serviva truccarsi?
Onestamente, ora che si
guardava nello specchio del bagno con in mano una matita nera, non
serviva proprio a nulla.
Sicuramente, Kuchiki Rukia
in anni più sereni si sarebbe disegnata i baffi e il naso
nero della
maschera da coniglio gigante che fin dalle superiori portava, facendo
poi una accoppiata vincente con Inoue conciata da carota gigante e si
sarebbe sicuramente divertita. Però in quel caso proprio non
aveva
senso.
Seccata per quell'inutile
indugiare, ripose la matita nera nel suo astuccio dei cosmetici
–
senza non poca fatica causa i guanti pelosi del costume – e
si
apprestò ad uscire dal bagno abbassando le orecchie rosa del
suo
copricapo.
Vivere così, in una
piccola villetta a schiera con altri cinque coinquilini tutti maschi,
era assai arduo. Ma questa era la vita del laureando, ed ogni volta
che lo rimembrava, si prometteva costantemente che finito con lo
stage e dato la tesi, se ne sarebbe andata lontano mille miglia da
quel luogo.
Quindi sospirando scese le
scale senza incontrare anima viva – a quanto pare Renji e
Yumichika
erano andati in discoteca, Chad a trovare la famiglia fuori in
città
e Ishida... Boh, non lo sapeva – fino a raggiungere il
salotto
praticamente deserto.
Eccezion fatta per la
televisione accesa, sembrava che l'unico inquilino rimasto se ne
fosse andato pure lui.
“Tu guarda che
seccatura...”
borbottando innervosita,
spense con stizza il televisore – puntato su un canale
culinario –
prima di girarsi in tondo ed esclamare un “Io
esco!” con tono
deciso, senza però ricevere risposta. Non un grugnito, non
il suo
solito “cià” pronunciato con
disinteresse e con la bocca piena
di cibo.
Ichigo Kurosaki sembrava
pure lui essersi dileguato nel nulla.
Decisamente per lei non
era serata.
Per quanto in anni passati
la festa di Halloween era sempre stata occasione di buffonate tra
amici, in quel caso si era trasformato nei peggiori dei supplizi
nell'esatto momento in cui i suoi datori di lavoro l'avevano invitata
alla convention annuale. Quella robaccia stratosferica e piena di
gente altolocata che si teneva poco lontano da dove lavorava lei.
Rukia e tutti i suoi
colleghi di lavoro si intende. Anche se era una semplice stagista
–
e questo lo aveva ampiamente spiegato quando
ricevette
l'invito – dovette per forza di cose parteciparvi.
“Mai
deludere Aizen
sama, piccola Rukia” le aveva detto un sornione Gin
Ichimaru al
momento della consegna dell'invito. Sicuramente doveva averci goduto
come un porco nel vederla nera in volto. Per di più, sarebbe
stata
una festa senza i suoi amici e pieno di gente che lei detestava.
A cominciare dal suo capo
ufficio Nnoitra Jilga, che apprese la notizia senza battere ciglio...
Perchè ancora preda della sbornia mattutina.
Già perchè da ormai due
mesi – quasi tre – si era fatta una cultura
a stare
accanto a quell'uomo. Che non le aveva insegnato praticamente nulla
in quel fin troppo lungo stage (c'era da scommetterci che la stavano
sfruttando) se non quello che “chi fa per se, fa per
tutti”.
Seccata a quel pensiero
molesto, prese dalla borsetta sul tavolino del salotto le chiavi di
casa e il cellulare, oltre che qualche spicciolo per l'autobus,
infilandoseli poi all'interno dell'ingombrante costume ed infine
avviandosi verso la porta di ingresso.
Una volta fuori le fu
chiaro del perchè Ichigo non aveva risposto alle sue
chiamate.
Proprio ai piedi della
piccola scaletta di legno che dava alla veranda, un ragazzo dai
vistosi capelli ramati – con indosso un competo scuro da
agente
federale – guardava cupo in volto un branco di disadattati in
pannolone rosso e scopa in testa.
Incuriosita da quel
piccolo spettacolo, prima di andarsene via del tutto ignorando
totalmente un presumibile pestaggio, volle ben vedere che cosa stava
succedendo per aver scomodato Kurosaki dai suoi importanti
impegni serali.
“Ehilà Kurosaki! Ma
come siamo vestiti bene stasera... – risatina
dall'interlocutore
principale seguito a ruota dai suoi sgherri – devi andare ad
un
battesimo oppure hai un appuntamento con... – altra risatina
sottile ed ebete – … una ragazza?!”
“Ciao, Grimmjow...”
l'interpellato di tutta
risposta, si limitò a salutare quasi apatico il soldato in
mutande –
armato di picca e scudo – a cui non piacque essere ignorato a
quel
modo.
Digrignando i denti,
mostrò una espressione offesa davanti al ragazzo impassibile.
“Cazzo Kurosaki...
Davvero, ma da cosa cavolo ti sei vestito? È la notte di
Halloween!
Dobbiamo darci da fare! Non è vero uomini??!”
al suo ruggito, gli uomini
dietro di lui emisero un ululato ben coordinato e compiaciuto,
battendo poi le loro picche contro gli scudi di latta facendo ancor
più rumore.
Sia Rukia che Ichigo,
smorzarono delle smorfie infastidite a quella pagliacciata.
“Sono vestito da Mr.
Orange per tua informazione... E per...”
“Da CHI?!”
“...
Che cavolo vuoi
per avermi chiamato??!”
Urlò
così Ichigo. Con una voce parzialmente stridula dovuta al
nervosismo
di non sapere il motivo dell'improvvisa convocazione –
distratto
dalla sua serata “Tarantino no-stop” ora Rukia
stava iniziando a
capire – prima di ricevere un botta e risposta tutt'altro che
soddisfacente.
“Sei
vestito da cul...”
“Sempre
meglio di te e dei tuoi uomini che ve ne andate in giro con indosso
solo un pannolone rosso e una scopa consunta come elmo! Per tanto,
suppongo che oltre quello tu non possiedi altro addosso!! E ora...
Dimmi che cazzo vuoi o levati di torno... Per piacere!”
Parlò
decisamente in fretta come una mitragliatrice con il grilletto
bloccato. A raffica e interrompendo il poliziotto – loro
vicino di
casa tra l'altro, abitava nel condominio a fianco – dal
fargli dire
altre ingiurie verso l'amico.
Parole
piene di irritazione le sue, che tuttavia si stemperarono alla fine
con un “per piacere” dovuto al fatto che era sia un
poliziotto,
sia che era in compagnia di altri poliziotti.
Rukia
li guardò bene piuttosto incuriosita.
Da
quel che ricordava in una qualche discussione con Ichigo, Grimmjow
doveva avere un team di uomini che lo aiutavano nelle sue indagini.
Vi era
uno spilungone dall'aria altezzosa quasi incurante di essere semi
nudo; uno basso dalla corporatura tarchiata; poi un ragazzino pallido
e dal sorriso poco rassicurante; per finire con un gigante dalla
folta capigliatura rossa e da un belloccio biondo.
Biondino
di cui era sicura di averlo già visto da qualche parte,
anche se non
rimembrava bene, doveva però affermare a se stessa che
quello li
in mezzo era l'unico che si salvava.
Poi
finalmente, dopo un mezzo minuto di teso silenzio, Grimmjow
Jaggerjack rispose sputando con stizza sul selciato.
“Io
e i miei uomini stasera abbiamo una missione
importante,
quindi voglio che tu badi a mio figlio per questa
notte!”
Dal
drappello di uomini trotterellò fuori un bambino con indosso
un
costume da gattino grigio e con una busta di carta tra le manine
inguantate di grigia pelliccia, pronto a fare la scorta di dolcetti.
“Sono
una pantera!
Miaooo!!”
Adorabile.
Senza
ombra di dubbio, quel bambino era l'unica cosa normale in mezzo a
quei bifolchi semi nudi. Sempre tralasciando il tizio biondo che era
interessante.
Un
piccolo particolare – quello del bambino non del soldato
mezzo nudo
– che portò Rukia a sorridere e abbandonare
così il broncio di
prima.
Sicuramente,
gli avrebbe volentieri scattato qualche foto con il cellulare. Ma
era in ritardo e l'autobus non l'aspettava. Aveva appuntamento con il
suo capo (e altri colleghi di lavoro) giù al centro
commerciale. Se
quel disadattato si fosse messo a fare casino lei non sarebbe
riuscita a fermarlo in tempo. E addio laurea e disonore eterno per la
sua famiglia.
Quindi,
sospirando sconsolata, decise di scendere le scalette per avviarsi
verso quel supplizio.
“C-che
cosa?! Grimmjow ma sei impazzito? Non ho nessunissima
intenzione di...”
nel
mentre che Ichigo si lamentava, Rukia lo sorpassò senza
guardarlo.
“Ohi
Ichigo, io esco eh! Comunque grazie per esserti accorto
di me prima”
Lo
superò agilmente e si avviò verso il vialetto.
Non lo guardò
neppure in faccia benchè fosse conscia della sua espressione
ebete e
sconvolta allo stesso tempo.
“Che
cos... Ma esci conciata così? Ma non... Ehi!
Piantala
di tirarmi i pantaloni!”
sconvolto,
il giovane indirizzava con nevrosi lo sguardo dall'amica che se ne
stava andando, al gruppo di uomini che se la stava bellamente
ridendo, fino al bambino che lo strattonava per i pantaloni e che
supplicava quasi con rabbia di essere preso in braccio.
Richiesta
quella che Ichigo acconsentì, sbuffando seccato e
prendendoselo in
braccio.
Aveva
progetti ben diversi che stare dietro ad un Grimmjow in miniatura.
Anzi no, forse quel bambino era peggio di suo padre, perchè
a
differenza del poliziotto la creaturina possedeva un cervello.
Di
tutt'altro sentimento seccato era invece la Kuchiki che, sorpassando
l'ultimo soldato spartano, gli indirizzò
un sorrisetto
complice.
Sorriso
quello ben visto dal giovane, che ricambiò mormorando parole
complici.
“Vuole
una mano a sistemarsi il costume, signorina?”
per
quanto le parole furono basse, Rukia le sentì forte e chiaro
e volle
rispondergli un'ultima volta prima di allontanarsi del tutto.
“Magari
più tardi
per togliermelo...”
“Rukia,
dannazione! Non dare confidenze a queste persone!”
Per
quanto ormai fosse già distante di qualche metro da Kurosaki
e dalla
casa, pareva che quel ragazzo al posto delle orecchie avesse un paio
di antenne mobili.
Un
ammonimento quello del giovane, che portò ilarità
verso il gruppo
di soldati in mutande – più di tutti a Grimmjow
che si divertì
ancora una volta a sfotterlo – e portò a sbuffare
annoiata una
Rukia che per istinto allungò impercettibilmente il passo.
[…]
“Ehi...
Ma dove sono tutti quanti?!”
L'appunto
con buona parte dei dipendenti del suo stesso piano aziendale era
alle porte del centro commerciale – ancora aperto per la
serata di
festa – ma ad attenderla non vi era nessuno se non lui.
Nnoitra
Jilga con indosso un costume alquanto... Improbabile.
Se lei
sull'autobus si era presa qualche occhiata curiosa più per
simpatia
che per altro, lui si stava prendendo più di una occhiata
perplessa
e/o disgustata dai tanti passanti presenti a fare acquisti
dell'ultima ora.
Annoiato,
di tutta risposta l'alto – in senso fisico –
capoufficio tirò su
di mezzo centimetro la sigaretta ben stretta tra le labbra prima di
darle una risposta secca e svogliata.
“Se
ne sono andati”
“Cosa...?
M-ma da quant...”
“Da
circa quindici minuti. Gin ha mandato un messaggio a tutti quanti
–
estrasse dal corsetto il cellulare –
dicendo chiaramente...
uhm – lesse sul display senza troppa emozione –
… venite
subito oppure domani statevene a casa... Faccina felice
inclusa”
Presa
in un primo momento dalla sorpresa, sentendo quella notizia Rukia
chiuse gli occhi per un breve istante e sospirò per smorzare
un moto
di puro nervosismo.
“Quello
stronzo a me non me lo ha mandato – bisbigliò
incazzata – ma
poi, perchè lei non è corso via assieme agli
altri?!”
La
faccenda era strana e la curiosità di sapere, la distolse
per un
attimo dalla rabbia primigenia. Di tutta risposta, l'uomo strinse tra
due dita inguantate di pizzo bianco la sigaretta
per espirare
via il fumo dalla bocca.
“Uff...
Per aspettarti no?!”
“Cosa?!
Lei mi ha aspettato, perchè??!”
sbigottita,
la giovane donna volle avvicinarsi maggiormente a quel tizio vestito
da... Sposa poco credibile – si, si era
proprio conciato
malissimo – per capire se la stesse pigliando per il culo o
meno.
“Senti
ficcanaso – ora il suo tono da piatto divenne improvvisamente
aspro
e indisponente – ma deve esserci per forza un motivo del
perchè ti
sto aspettando? NO! Quindi se hai finito col chiedere stronzate,
direi che è ora di andare!”
Un
caratteraccio il suo, che spense nell'immediato una vaga speranza in
Rukia che quell'uomo stesse diventando un po' più gentile,
facendole
in tal modo alzare un sopracciglio con sarcasmo e pregiudizio.
“Mi
dica una cosa allora... Perchè si è vestito da
sposa?!”
No,
con le stronzate la nana non aveva finito. E ciò
portò Nnoitra a
piegare l'eterno ghigno in uno pieno di risentimento e di pazienza
ormai andata a puttane.
Tirò
su con la sigaretta un centimetro esatto sul candido filtro
stropicciato, prima di darle l'ennesima risposta seccata di quella
serata senza fine.
“Mi
sono vestito da Beatrix per tua informazione!
C'è una qualche
legge che mi vieta di vestirmi da mio personaggio preferito forse?!
Direi di no, quindi diamoci una mossa! E pensa per il tuo
di
vestito!”
l'abito
di mister Jilga era un piccolo capolavoro di sartoria. Possedeva
ricami in pizzo finemente elaborato per tutto il corsetto –
roba da
maestri – e l'ampia sottana era fatta di seta e nastri. Poi
pure il
velo bianco si era messo quell'imbecille. E osava criticare il
suo
vestito da coniglio... Che pezzente.
Ma che
fosse solo per quello il motivo delle tante occhiate dai passanti era
un po' strano. Ok, era un uomo che si era vestito da donna –
qualunque fosse il motivo del gesto – ma non poteva essere
solo
quello.
E il
vero motivo di cotante occhiate preoccupate, venne svelato quando
l'uomo stufo di quella sigaretta, la gettò alle proprie
spalle
colpendo un marciapiede che misteriosamente emise un gemito carico di
dolore.
“Ma
cosa... Cosa c'è dietro di lei?!”
“Niente!”
Incuriosita
e un poco preoccupata, Rukia ignorò quella risposta seccata
e si
sporse per guardare oltre l'ampia sottana bianca, per intravedere
quello che era un piede con indosso un mocassino nero.
Impallidì,
sporgendosi del tutto e vedendo una cosa che aveva dell'assurdo.
“Oh
mio Dio...”
Quello
che era un semplice piede con indosso un mocassino, si
trasformò in
un paio di gambe con pantaloni neri, un torso con una camicia di
pizzi bianchi e mantello nero, ed infine una faccia pesta di botte
fresche.
Il
finto impianto di canini da vampiro fuoriusciva per metà da
una
bocca che borbottava dolorante, pronunciando gemiti e frasi deliranti
per il troppo dolore.
“Ahh...
Bella...
Signoraa...”
“Ma
è Keigo!!”
Keigo
Asano, un suo ex compagno di classe delle superiori, era steso a
terra con indosso un costume da vampiro pesto di botte e in stato di
semi-incoscienza.
Sconcertata,
Rukia aggirò velocemente la sottana da sposa per piegarsi su
di lui
e tentare di tirarlo su.
Da
dopo le superiori non lo aveva praticamente più sentito
– come
buona parte di tutti gli altri compagni di classe – ma lo
incontrava giusto una volta l'anno per le riunioni tra amici o feste
di questo tipo. Ma che ad essere pestato da Nnoitra Jilga proprio la
notte di Halloween fosse proprio lui... Il mondo doveva essere
veramente piccolo.
“Keigo...
Accidenti! Ma che ti è sucess... No!
Lei! – puntò lo
sguardo verso Nnoitra che osservava i due con una certa noia
– è
stato lei a ridurlo così, vero?!”
Intanto,
tra le braccia di Rukia il malcapitato stava rischiando di soffocare
per il pelo della maschera da coniglio che gli si stava infilando in
bocca.
“Che
hai da fare quella faccia truce? Questo stronzetto ha ben pensato di
molestarmi mentre aspettavo i tuoi
comodi!”
“Cosa?
Ma per favore... Lei è un..”
“Bella
signoraaa...”
Keigo
gemette ancora tra le braccia dell'ex compagna di classe, liberando
la bocca dalla pelliccia rosa e osservando Nnoitra con occhi sognanti
e fatti di botte.
Rukia
iniziava a capire, nutrendo sempre meno compassione per il ragazzo e
sempre più “disgusto” per questi uomini
costantemente affamati
di una sola cosa. Anche se trattasi in realtà di un uomo
conciato da
donna, Keigo era così citrullo da averlo presumibilmente
scambiato
per una femmina e averci attaccato bottone. Finendo quindi pesto di
botte.
Se l'era andata a
cercare alla fine...
“Beh
senti, smollalo li e andiamocene via.
Sennò qui ci ritroviamo
licenziati in tronco, Dio...”
Rukia
lo interruppe prima che potesse bestemmiare ferocemente e senza
senso, anche perchè la situazione rimaneva comunque grave.
Aveva
combinato un casino e lei non era stata li ad impedire che accadesse,
doveva per questo rimediare.
“Cosa?
Non possiamo lasciarlo qui... Sarebbe omissione di soccorso!”
E
di grazia che nessuno ha chiamato la polizia, avrebbe
volentieri
aggiunto lei. Ma se ne rimase zitta mentre aiutava il ragazzo ad
alzarsi.
“Ah
si, crocerossina? E dove pensi di buttarlo?!”
“Da
nessuna parte... – si portò un braccio del vampiro
attorno alle
spalle mentre con il braccio libero andò a cingergli la vita
– lo
porteremo con noi alla festa a mo di scuse”
“Stai
scherzando spero! Io quello tra i piedi non ce lo voglio! Eh,
ehe...”
Ridacchiò
istericamente lui. Iniziando già ad incamminarsi verso la
fermata
dell'autobus più vicina senza aspettarla. Dovette alzarsi un
po' la
gonna per poter sgambettare meglio. E Rukia notò quelle che
sembravano scarpe coi tacchi ai suoi piedi. Pure le scarpe da
donna si era messo!
“Non
sto affatto scherzando – Rukia iniziò ad
accelerare il passo
seppur a fatica a causa di un ragazzo ancora malfermo sulle gambe e
delirante – di imbucati alla festa ce ne saranno fin troppi,
non
faranno caso a lui e... Uff... Quanto pesi
Asano!”
A
quella lamentela il giovane vampiro borbottò un
“scusami” mentre
lentamente riprendeva lucidità, cercando finalmente di stare
più
stabile sulle gambe e darsi un contegno.
Intanto,
in fondo al viale trafficato e pieno di gente un autobus stava
facendo la sua comparsa.
“E
va bene, seccatura! – Jilga ringhiò senza voltarsi
alla sua
stagista per la decisione presa – portatelo pure dietro. Ma
se
combina dei casini io ne sto fuori!”
[…]
Il
palazzo dove si sarebbe svolta la festa con tanto di congresso era
piuttosto avveniristico.
Di
aspetto moderno ma non squallido, era avvolto dal verde e da
fontanelle dal gusto estetico ricercato.
Orihime
non aveva mai avuto modo di vederlo dall'interno, così come
non
aveva mai viaggiato dentro un'auto lussuosa e con all'interno un uomo
vestito da... Era meglio non pensarci.
Comunque,
una volta arrivata all'entrata ad accoglierla c'era persino il
tappeto rosso – manco fosse stata una regina – e
una parte dello
staff di Sosuke Aizen.
Ecco,
era di nuovo il momento di sentirsi profondamente a disagio per
essere a stretto contatto con i suoi due collaboratori più
stretti.
Anche se...
Anche
se doveva ammettere che il forte disagio iniziale venne stemperato
una volta che lei e Aizen – sempre e comunque a braccetto con
riluttanza soppressa – furono vicini ai due uomini.
Kaname
Tousen e Gin Ichimaru lei li aveva visti poche volte dal giorno della
sua assunzione. Ma se il primo rimaneva in un impeccabile completo
nero, l'altro era vestito da...
“Gin,
da cosa ti sei vestito con esattezza...?!”
“Da
carota gigante Aizen sama!”
un
particolare questo, che portò Inoue a ridacchiare piano
sinceramente
divertita. Tuttavia, per quanto fu discreta, la sua risata
attirò
l'attenzione dell'uomo insolitamente – davvero, date le occhiate
degli altri due – vestito da carota, sorridendole sornione.
“Ah...
Sembra che almeno a te piaccia il mio costume! Non sei come questo
musone di Tousen troppo occupato all'apparenza
dell'immagine...!”
indirizzò
un breve sguardo verso l'interpellato – con un po' di fatica
data
l'ingombrante presenza del costume indossato – che lievemente
stizzito volse lo sguardo altrove.
Inoue
dal canto suo rise ancora e questa volta più apertamente
rispetto a
prima, a ricordo dei tempi passati e delle sue buffonate tra amici.
“Ehm...
Si. Lo trovo molto bello come costume!”
“Ed
è pure profumato sai? Prova a darci un morso, sono delizioso!”
Ichimaru,
decisamente, si stava prendendo un po' troppe libertà per
quella
serata, poteva avere tutte le motivazioni del mondo – anche
valide
– per conciarsi a quel modo... Ma stava importunando la donna
sbagliata.
“Gin...
Ricorda che la signora Inoue ha già un cavaliere per questa
sera”
benchè
stretto in un costume di pelle nera, dalle tante cinghie che gli
stringevano il petto e il collo, Aizen riusciva a mantenere una
classe tutta sua nonostante in quel momento persino respirare gli era
quasi difficile.
“Mi
scusi, Aizen sama – si inchinò lievemente
smuovendo il ciuffo
verde in cima al costume – divertiti alla festa,
Orihime!”
dopo
un silenzio che parve quasi interminabile, per non dire teso
ai sensi di Inoue, il giovane conciato da carota porse le sue scuse e
li lasciò passare. Beccandosi pure un sibilato “te
l'avevo detto”
dal silenzioso Kaname.
Orihime
li salutò entrambi tra il mortificato e il divertito, prima
di
avviarsi all'interno e prepararsi irrimediabilmente al peggio.
Tralasciando
le occhiate misteriosamente tese che i due si dettero all'entrata
della struttura, volle ringraziare almeno mentalmente Gin per essersi
camuffato così rendendole quasi tributo.
Quello
non sapeva era il motivo di quell'assurda mascherata. La giovane
infatti, non sapeva che Kuchiki Rukia avrebbe partecipato alla festa,
facendolo addirittura vestita da coniglio.
Ma lo sapeva bene Gin.
Lo
sapeva, perchè si era fatto una cultura
scavando nel passato
della Kuchiki, giusto per farci meglio amicizia con lei fino al
limite dell'esasperazione.
E
quale occasione migliore per mostrarle il suo nuovo costume mentre
stava sopraggiungendo dal vialetto alberato?
“Gin
– borbottò un Tousen un po' adirato –
potevi risparmiartela
questa pagliacciata...”
“Oh
andiamo! Siamo ad Halloween! Poi dentro nel salone c'è chi
è
vestito peggio di me”
Non
gli era chiaro se si stesse riferendo o meno ad Aizen sama ma
l'avvocato decise comunque di lasciare cadere li la discussione,
confidando che non ci andasse troppo pesante con la giovane Kuchiki.
“E
va bene – disse infine, notando i passi sul selciato e
intuendo a
chi appartenessero – ma vedi di andarci leggero. Ci vediamo
al
discorso, Gin...”
I due
si salutarono – per buona pace di Tousen che si
risparmiò una
scenetta patetica entrando dentro la struttura – e nel mentre
che
Rukia sopraggiungeva, Gin si gustò appieno la sua faccia
sconvolta.
“Cosa...
Cosa significa questo?!”
Il
dondolio delle grandi orecchie della maschera da coniglio della
ragazza, si interruppe non appena la distanza minima tra lei e il suo
superiore non raggiunse i consueti due metri istintivi.
Il
volto di Rukia si deformò per l'ennesima volta in quella
notte, in
uno stupore disgustato misto a rabbia repressa. Come se lui si fosse
conciato così volutamente per sfotterla.
Accanto
a lei intanto, un Asano ormai quasi del tutto cosciente –
rimanevano i segni del pestaggio sul volto – si stava
guardando in
giro con sguardo sognante/impressionato, mentre Nnoitra accanto a lui
pareva non aver notato l'ingombrante presenza di Gin e del suo
orribile costume, continuando a fumarsi l'ennesima sigaretta della
serata.
“Cosa
significa? Non lo vedi forse piccola Rukia?! Sono vestito da carota
gigante!”
Allargò
le braccia felice come ad una recita scolastica, senza però
attirare
le attenzioni dovute. Tutti lo guardarono piuttosto perplessi,
eccetto poi Keigo che, come ad aver capito una barzelletta a scoppio
ritardato, si mise a ridere come un beota a ricordo dei bei tempi
passati.
“Kuchiki,
quest'uomo è geniale davvero!!”
“Vero,
vero?! Qualcuno che apprezza i miei sforzi all'incontrario di voi due
musoni!”
a
quelle parole Rukia sospirò di rabbia repressa e Nnoitra si
grattò
il fondo-schiena con indifferenza. La donna stava iniziando a capire
il motivo di quella sua pagliacciata. Era strano, ma pareva che a
tutti per quella notte, fosse successo qualcosa di inaspettato.
“Ad
essere onesti, mi sembri uno stronzo gigante,
anziché una
carota...”
stavolta
fu il turno di Nnoitra a ridacchiare basso per quella battutina
volgare fuoriuscita dalle labbra della sua assistente, mentre Keigo
spense il tasto delle risate e la guardò perplesso. Non se
la
ricordava così sboccata l'adorabile
Rukia. Purtroppo lui non
conosceva bene chi era quell'uomo vestito da carota, altrimenti
l'avrebbe ben compresa.
“Ma
dai... Davvero? E si che a tuo fratello cara la mia
Rukia, è
piaciuto tanto il mio camuffamento!”
Se la
giovane sperava di aver colpito Ichimaru nel profondo, si sbagliava
di grosso. Anzi, a quelle ingiuriose parole, il volto dell'uomo
incassato in quegli strati di gommapiuma sorrise maggiormente e con
fare quasi malevolo.
Un
particolare – questo e soprattutto le parole dette
– che
portarono il coniglio a gelare il sangue nelle vene.
“Mio
fratello... Byakuya nii-sama, è qui?!”
Le
venne quasi da balbettare, mentre a Gin venne da sorridere
maggiormente per la vittoria di averle fatto fare quella faccia.
“Oh
si mia cara! Ed era curioso di vedere il nostro avvincente
duo
dopo che gli ho raccontato che lo facevi anche tra amici... Oh! Dalla
faccia che fai sembra che tu non glie l'abbia mai detto! Troppo
umiliante per dirglielo? Naah! Vedrai che ce la
spasseremo
assieme!”
Se
esisteva un Dio da qualche parte sopra le loro teste, allora quel dio
doveva volerle un gran male per averle fatto un simile dispetto.
[…]
Quello
che notava alla fine, non si discostava troppo da quello che si
vedeva in certi film alla televisione.
Inoue
doveva ammetterlo, il posto era bello e l'organizzazione impeccabile.
Alzando
la testa poteva ammirare le stelle grazie al tetto a cupola fatto di
pannelli in vetro, mentre il pavimento sotto i suoi piedi era
pressoché immacolato. Di solito alle feste si tramutava
velocemente
in un mantello pezzato fatto di macchie di cibo e di bevande
analcoliche. Ma li, anche se le persone erano costrette dentro
costumi a dir poco assurdi, avevano la classe di un maestro di spada
a maneggiare calici di cristallo sottilissimi e tartine
microscopiche.
E
Aizen?
Dopo
un breve stupore iniziale – chiamarlo stupore quello, con i
consiglieri comunali sbigottiti e gli altri commensali divertiti
–
Sosuke Aizen aveva ancora una volta ammaliato tutti con la sua
parlantina sciolta e affabile.
L'aveva
pure presentata al pubblico altolocato che si era avvicinato in
massa, prendendosi sguardi curiosi e affamati da
tutti quei
politici e gente da bene, da rimanerne ben presto nauseata.
La
stretta di mano di Aizen sama durante quei momenti concitati fu
alquanto confortevole – calda e rassicurante come
lo era la sua
voce – ma poi sentì l'istinto di dover
mettersi da parte
nell'esatto momento in cui il suo direttore dovette salire sul palco
per fare il suo solito discorso annuale.
Si
rifugiò accanto ad una pianta dalle folte fronde
verdeggianti, come
a voler cercare protezione da tutto quel mondo a lei sconosciuto. E
che onestamente le faceva paura.
Stava
iniziando a sentire la mancanza di suo figlio e delle feste
tutt'altro che piene di etichetta che si facevano all'asilo. Per di
più, sperava che Grimmjow non facesse nulla di...
Spropositato e
pericoloso per lui e per il piccolo.
Ma che vado a pensare?
Scosse
la testa frastornata e un poco malevola a pensare simili cose,
tentando quindi di prestare orecchio al discorso che si stava tenendo
sul palco.
Aizen,
sempre e comunque, riusciva ad uscirne immacolato pure in situazioni
come quella.
Appena
salito sul palco e messo piede sul banchetto per leggere le poche
righe di un discorso noioso, volle metterci un po' di suo per rompere
il ghiaccio.
Tutti
quegli occhi puntati... Inoue sarebbe fuggita subito e senza dare
spiegazioni. Invece lui sorrise.
Sorrise
sottilmente e con grande fascino ad un pubblico composto da anziane
signore divertite, da giovani sbigottiti e confusi, fino al gruppo di
politici che lo guardavano con la puzza sotto il naso.
“...
Dalle vostre facce posso ben capire che il mio costume vi possa
apparire alquanto insolito – borbottio della folla e qualche
lieve
risata – ... In effetti, sono alla festa giusta
vero?!”
le
risate dal folto pubblico aumentano così come i consensi.
Orihime
doveva ammetterlo, stava risultando divertente pure per lei. Anche se
continuava a rimanere nascosta.
“Qualcuno
di voi ha
visto la mia frusta, per caso?!”
A quel
punto la folla entrò quasi in delirio, ridendo di gusto e
applaudendo con forza a quelle parole a dir poco irriverenti.
Ce
l'aveva fatta alla fine. Sosuke Aizen era riuscito ad accaparrarsi i
consensi del pubblico un poco alla volta, con azioni che sembravano
ben mirate.
Per
lui quel pubblico era formato da gruppi differenti, quindi in teoria
bastava semplicemente far presa sulle loro mentalità
– fin troppo
semplici e apparentemente aperte – per poter avere
un'immagine più
che cristallina anche per quell'anno.
Per i
giovani bastava avere un parlantina sciolta ma affabile, con le
signore la giusta dose di fascino, mentre con i loro potenti
mariti... Solo lievi occhiate di sfida.
Poi
per gli ultimi cinque minuti di discussione, Sosuke si
limitò a fare
le solite raccomandazioni di buon auspicio ai suoi dipendenti e per
quelli della compagnia rivale. Per quanto quel vestito stesse
diventando ormai insopportabile, con le cinghie così strette
da
andargli quasi a lacerare la pelle, non una sola goccia di sudore
intaccò la sua fronte.
Solo
le parole e i gesti erano un po' più lenti del solito. Ma
ciò
poteva anche essere riconducibile nella volontà di
enfatizzare le
proprie parole, che difficoltà vera e propria.
Fu
però Orihime ad accorgersi che qualcosa in lui non andava.
Sicuramente
li in mezzo vi erano dei dottori ben più esperti di lei che
era una
semplice infermiera, uomini di scienza che ad una sola occhiata e
pure di sfuggita avrebbero intuito che quell'uomo non stava affatto
bene. Ma a quanto pare, o a nessuno interessava perchè non
era
orario di lavoro – ed era quindi li solo per divertirsi
– oppure
non si erano accorti delle sue condizioni fisiche.
Esattamente,
sembrava che solo lei se ne fosse accorta. E per principio non poteva
lasciare che un uomo collassasse dinnanzi ad una folla di avvoltoi in
maschera come quella.
Quindi,
mordendosi il labbro inferiore, represse i propri timori e decise di
agire di conseguenza. Appena il suo direttore ebbe finito con il
discorso, prossimo a scendere sotto una pioggia scrosciante di
applausi per sommo dispiacere dei consiglieri, Inoue si fece strada
tra la folla in maschera per raggiungerlo il prima possibile.
Fece
fatica – un signore vestito da fragola gigante era quasi un
muro da
dover superare – ma alla fine lo raggiunse nell'esatto
momento in
cui i suoi piedi toccarono il pavimento di marmo della sala.
Era
pallido e si stava sforzando di deglutire. Ma era altre sì
vero, che
non poteva permettersi di svenire. Ne lei poteva permettersi di
fargli fare brutta figura strillando “lei sta
male!! Ora
l'aiuto!!”.
No,
non era da lei essere così indiscreta.
Per
questo deglutendo si fece coraggio, avvicinandosi a lui con
tranquillità mista a timidezza.
“Ah...
Inoue vedo che siete qui...?”
La
sorpresa nelle sue parole si spense quando la donna lo abbracciò
quasi con cautela.
Gli
cinse le braccia avvolte in quella stretta pelle, andando infine a
toccare con le mani la schiena piena di cinghie. Il tutto, con
estrema delicatezza lasciandolo per un momento curiosamente
perplesso.
Tralasciando
la calca di gente che quasi ignorò il gesto della giovane
–
chiedendogli a gran voce domande e complimentandosi con lui per il
discorso fatto – affrettandosi magari a scattare qualche foto
per
immortalare la scena.
“La
prego... Mi segua... Basta così...”
la
giovane sussurrò tali parole al suo orecchio sinistro
(l'unico
lasciato libero dalla sua maschera) con una dolce preoccupazione
mista all'ansia di vederselo crollare da un momento all'altro, che
non poteva ignorarla deliberatamente.
Per
istinto quindi, ricambiò quel delicato abbraccio e
acconsentì con
un lieve cenno della testa. Quella ragazza decisamente, non era una
stupida.
“Aizen...
Signore, va tutto bene?!”
a
raggiungerli quasi di soppiatto – ma facendosi pure lui la
sua
faticosa strada tra la folla – fu Kaname Tousen che volle
immediatamente informarsi sulla situazione. L'intuito e i sensi di
quell'uomo, Orihime doveva constatarlo sorprendentemente, erano
affinati come quelli di un felino.
“A
dire il vero no, mio caro Tousen... Questo vestito inizia a starmi
stretto – fu incredibilmente discreto a sussurrare
all'orecchio
dell'avvocato, per poi aggiungere – credo che sia giunto il
momento
per me di ritirarmi...”
Parlava
quasi a fatica mentre ancora “stretto”
nell'abbraccio della
donna, lentamente stavano iniziando ad allontanarsi verso una uscita
di servizio.
Il
moro annuì nel sentire quella voce solo lievemente
sofferente,
prendendo quindi in mano la situazione.
“Raggiungete
pure la limousine signore, al resto penso io”
Il suo
fu quasi un sacrificio di darsi in pasto a dei
leoni affamati,
mentre Orihime prese per mano il proprio datore di lavoro per
accompagnarlo fuori sotto un mare di flash compiaciuti e di
chiacchiere deliranti.
Ma per
Inoue poco importavano le chiacchiere che si sarebbero fatte sui
giornali di gossip l'indomani. Lei voleva unicamente che quell'uomo
stesse bene. Altrimenti non se lo sarebbe mai perdonato.
Una
volta fuori infine – ci impiegarono al massimo un paio di
minuti –
ebbe la fortuna di trovarsi la macchina a due passi appena
parcheggiata. Evidentemente, Tousen doveva aver telefonato
all'autista che deve aver corso come un folle dal parcheggio fino a
quella zona.
“Coraggio”
fece lei, aiutandolo a salire in macchina mentre l'autista –
pure
lui stretto nella sua rigida divisa – teneva aperta la
portiera per
fare accomodare entrambi. Lo sguardo del giovane era teso nella paura
di aver commesso errori madornali ad aver messo la macchina altrove e
non li.
Tuttavia
Inoue lo ringraziò sottilmente imbarazzata, prima di
chiudersi
dentro l'ampia cabina posteriore e prestare aiuto.
“Uuhh...”
mormorò lui appena il capo toccò il poggiatesta
in pelle nera.
Chiuse persino gli occhi e tentò di prendere fiato ma quasi
inutilmente.
“Aspetti...
Uhm... Devo toglierle questa roba, signore. Posso...?”
Titubante,
la giovane si avvicinò al suo fianco quasi in imbarazzo,
prima di
iniziare ad ormeggiare con le cinghie appena notato il suo accenno
con la testa.
Non
c'era tempo per imbarazzarsi nello spogliare un uomo che era pure il
suo datore di lavoro. L'importante era di farlo respirare, di farlo
rivivere prima che quella crisalide lo stritolasse del tutto.
Stressata
per la situazione e per le mani che le tremavano, Inoue decise di
togliersi via la coroncina di spighe – che le dava davvero un
gran
fastidio alla testa – buttandola lontano e prestando
unicamente
attenzione all'uomo che aveva dinnanzi.
Con le
mani prese a sciogliere le cinghie di metallo una alla volta.
Velocemente, ma stando attenta a non fargli troppo male,
slacciò via
quelle corde nere notando immediatamente un miglioramento.
“Ohh...
Cielo”
Improvvisamente
il petto riprese ad alzarsi e abbassarsi con più
velocità, mentre
l'aria iniziava a ritornare ai polmoni dentro quel corpo pallido e
ora finalmente pregno di freddo sudore.
Restava
la zip da tirare giù, anche se già sapeva
l'infermiera, che ciò
non sarebbe bastato. Quel vestito ripugnante lo stava stringendo
ovunque.
“Mi
dispiace – si morse il labbro inferiore per darsi coraggio
– ma
credo che dovrò toglierglielo del tutto...”
“Qualsiasi
cosa Orihime... Purché questa tortura cinese finisca al
più presto.
Ti do il mio consenso di spogliarmi...”
La
donna non se lo fece ripetere due volte, abbassando repentina quella
zip che stringeva dal collo fino alle ginocchia, con un gesto preciso
e fluido. Immediatamente, oltre al sospiro discreto e liberatorio di
Sosuke Aizen, il petto e le carni si allargarono maggiormente alla
loro forma originaria. Gli addominali pieni di strisce rosse
– i
segni delle cinghie sulle carni – tornarono ad alzarsi e
abbassarsi
con regolarità per quella normalità ritrovata,
così come il petto
dove una fibbia di metallo aveva lasciato una lieve escoriazione.
Non
bastava però, gli arti rimanevano ancora schiacciati dentro
quello
schifo. Ma come poteva una persona indossare quella roba?
A
ripensarci, mentre erano in viaggio Aizen le aveva detto di essersi
vestito da Tron – film che lei non aveva mai visto
– ma a quanto
pare si trattava di una “imitazione scadente”,
anche se pure lui
sembrava non crederci troppo.
Nessuno
dei due sapeva infatti che il vero vestito di Tron in quel momento si
trovava da tutt'altra parte. Addosso ad un ultra ottantenne
in
un locale “particolare” e dall'altra parte della
città.
L'unico
ad essere sinceri, a non avere un abito in pelle nera munito di
borchie e frustini ma con in compenso tanti led luminosi. E questo a
quel vecchietto stavano costando un mare di occhiate perplesse e
snob.
Si,
era più probabile che la ditta di spedizione si era
sbagliata lei a
imballare quegli oggetti, tuttavia ora non aveva più
importanza.
Inoue
finalmente decise di liberargli anche gli arti.
In
principio, provò a strattonare via quelle componenti con la
sola
forza bruta. Ma il risultato era scarso e Sosuke ghignava lievemente
di dolore. Mortificata, andò a cercare in giro per la cabina
del
lubrificante che la facesse scivolare via.
Nella
limousine era presente uno scomparto con dei liquori dentro a
raffinati contenitori in cristallo, ma quelli non andavano affatto
bene. L'acqua non avrebbe fatto altro che aumentare l'attrito e il
liquore... Non avrebbe fatto altro che impregnare di alcool il suo
superiore e basta.
“Accidenti...”
mormorò in preda all'ansia.
Muoveva
la testa ovunque quasi preoccupata di fallire – su cosa non
lo
sapeva era un momento concitato – che solo dopo un mezzo
minuto di
pensiero nervoso le venne una idea.
Un po'
malsana forse... Ma era l'unica che poteva
funzionare.
Dentro
la borsetta che aveva lasciato in macchina precedentemente, aveva
conservato delle bustine di olio di oliva quando una settimana fa era
andata ad un fast food italiano con alcune sue amiche.
Come
lubrificante poteva essere ottimo, anche se era poco. Doveva quindi
dosarlo bene.
Forse
come soluzione era alquanto squallida e imbarazzante, però
era
l'unica cosa sensata che poteva fare.
Si
girò a guardarlo e si dette forza. Si stava riposando e
aveva gli
occhi chiusi, tuttavia doveva sempre e comunque chiedergli il
permesso...
“Signore,
come va adesso?!”
“Ahh...
Decisamente meglio ora. Anche se i miei arti superiori non me li
sento...”
sospirò
quelle ultime parole, tenendo sempre e comunque gli occhi chiusi. La
donna deglutì per sopprimere l'imbarazzo.
“Dovrò
toglierle anche i pezzi superiori, però dovrò
usare dell'olio per
farlo sciv...”
“Tutto
quello che
vuoi, Orihime”
Le sue
parole, per quanto calme e quasi seducenti alle sue orecchie, avevano
il sentore di un obbligo. Seppur non diretto.
Era il
suo potere di condizionamento della mente umana. Era il farti sentire
in dovere sempre e comunque, anche se in quel preciso momento aveva
davvero bisogno di un aiuto sincero.
Mordendosi
nuovamente il labbro inferiore ormai del tutto arrossato, Orihime
Inoue si apprestò a strappare le bustine di olio alimentare.
Per
spalmarlo immediatamente sulla pelle rosea e bagnata di sudore di
Aizen, con gesti lenti e curati.
Finalmente
con calma riuscì a sfilare via quella robaccia, accompagnata
dai
suoi mugolii stanchi e di sollievo per quella sensazione di
liberazione che provava ad ogni centimetro di carne liberata.
Fu un
lavoro delicato e difficile, però alla fine Orihime
riuscì a
spogliarlo quasi del tutto. Oltre a quell'indumento di pelle aveva
soli i boxer addosso – grazie al cielo – e da
togliere mancava
solo la bendatura alla testa.
“Un
ultimo sforzo signore...” anche se la cosa valeva pure per
lei.
Si
avvicinò a lui ancor di più – quel
tanto che bastava per
studiarsi la maschera e capire come toglierla – e prima
ancora di
potergliela sfilare, il paziente rinvenuto le bloccò ambo le
mani.
La sua
era una presa decisa ma non dolorosa sia ben chiaro. Ma fu il suo
gesto nell'insieme a far trasalire Inoue.
“Basta
così... Mia
cara...”
Sussurrò
con il solito garbo quella parole di comando, ad una ragazza che
aveva letteralmente fermato il battito cardiaco per un paio di
secondi. In quel preciso istante aprì gli occhi –
quegli occhi
dannazione – scrutandola con così tanta
intensità da farla
sentire piccola, piccola.
“Questa
posso toglierla io, non ti preoccupare...”
Convincente
ancora una volta, la giovane gli dette nuovamente – per
istinto –
ragione. Aveva fatto del suo meglio e ne era consapevole, Sosuke ne
sarebbe stato riconoscente e l'avrebbe ricompensata. Questo dicevano
i suoi occhi castani.
Allora perchè aveva
paura?
Era
l'istinto primordiale a farle accelerare il battito cardiaco. Era il
sesto senso a farle tremare le ginocchia appoggiate sul sedile,
mentre quelle pallide mani scivolavano via dai suoi
polsi,
percorrendo tutta la lunghezza delle sue braccia fino a giungere alla
base del collo.
Brividi,
ancora brividi.
Avvertiva
la pelle incresparsi quando quei polpastrelli leggermente ammorbiditi
dall'olio di oliva passavano su di essa, fino a giungere a sfiorarle
le labbra quasi come ad una vergine sacra.
Gesto
che la spaventò dal profondo seppur stuzzicandola
controvoglia, era
in realtà frutto di uno spiacevole malinteso.
“Gradirei...
Dell'acqua... Ho le labbra un po' secche mia cara”
“Oh...
Ah si! Cer-to, faccio subito... Mi scusi...”
Quella
lieve sensazione, quel tocco leggere che l'aveva per un attimo
confusa in bilico tra piacere e disgusto, mista nella confusione dei
sensi e della mente, la ridestò di colpo quasi in imbarazzo
per
essere rimasta imbambolata troppo a lungo.
Maledettamente
confusa, frastornata per eventi che di certo non le appartenevano, si
aggirò nervosa per quella cabina tastando con mani tremanti
qualunque oggetto per trovare dell'acqua.
Consapevole,
che mentre si stava togliendo quella bardatura alla testa, Aizen
Sosuke sorrideva compiaciuto per quelle emozioni che era riuscito a
estrapolare.
Solo
quando la donna riuscì a trovare una bottiglietta piena
d'acqua, la
neutralità tornò a farsi strada sul suo volto
perfetto.
“Questa
è stata decisamente una serata spiacevole per lei, signora
Orihime.
Me ne scuso... E la ringrazio dal profondo del cuore
per
avermi aiutato”
Era
incredibile come si rivolgesse a lei in prima persona solo in
determinati casi, tornando in terza persona solo quando aveva
ottenuto ciò che desiderava. Una forma di
complicità fine a
se stessa, che purtroppo aveva fatto parecchie vittime e ancora
continuava a farle.
Accidenti
a lei.
“Oh
non si preoccupi. Lei non poteva sapere che...”
“Vuole
che la riaccompagni a casa?”
Diretto
e inflessibile, seppur esausto e mezzo nudo Sosuke manteneva una
delicata autorità sempre e comunque.
Non
riuscì a guardarlo in faccia. Non dopo tutti gli errori
– o
presunti tali – che aveva commesso nel prestargli aiuto.
Inoue si
limitò a deglutire guardandolo di scorcio, pregando (invano)
che lui
non notasse il suo vistoso rossore, limitandosi ad annuire con la
testa.
Per il prossimo anno sarebbe tornata a vestirsi da carota gigante.
Desclaimer
prima di tutto!
Come è
giusto che sia – e se avete letto sino a qui –
credo che debba
dare delle spiegazioni sui costumi che i nostri eroi indossano.
Per
Aizen (come dico prima del titolo) è un
“abito” che si è
visto in uno degli ultimi capitoli del manga, mentre per gli altri
è
diverso. Ad ogni modo, il film Tron è del 1982 ed il regista
è
Steven Lisberger. Il film, prodotto dalla Disney, vantava per l'epoca
una animazione all'avanguardia e futuristica. Si tratta del primo
film della casa di Topolino a fare un uso pesante della
computer-grafica.
Ichigo:
Se non sapete chi è Mr. Orange andatevi a vedere
“Le Iene” del
regista Tarantino. Nel profilo creato da Tite Kubo, c'era scritto che
Ichigo rispettava (se non erro) il regista/attore Al Pacino. Tale
attore ha lavorato anche con Tarantino, quindi magari ho pensato che
a Ichigo potesse piacere pure lui come regista (lo so, è uno
schifosissimo azzardo XD ma ce lo vedo a guardarsi “Kill
Bill”
spaparazzato in poltrona, scusatemi XD)
Nnoitra:
Sempre e comunque cito la sposa di “Kill Bill” di
Tarantino. Il
nome del personaggio interpretato da Uma Thurman era, appunto,
Beatrix.
Grimmjow
e i suoi uomini: andiamo... Questa era facile XD. Il film
“300”
di Zack Snyder non vi dice proprio nulla?
Una menzione speciale infine, al vecchietto sadomaso ispiratomi al film demenziale “Palle al Balzo”.
Ok, se avete letto questo mio raccontino di Halloween sono molto felice, e spero in un vostro commento. Ovviamente, scriverò ancora su questa festa poiché ho altre situazioni da mostrare e il contest su Fanworld lo richiede.