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Autore: ElderClaud    22/10/2010    3 recensioni
"Basta così... Mia cara..."
Sussurrò con il solito garbo quella parole di comando, ad una ragazza che aveva letteralmente fermato il battito cardiaco per un paio di secondi. In quel preciso istante aprì gli occhi – quegli occhi dannazione – scrutandola con così tanta intensità da farla sentire piccola, piccola.
"Questa posso toglierla io, non ti preoccupare..."

[Spoiler cap 423!] Aizen-Orihime
Genere: Comico, Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri, Inoue Orihime, Kuchiki Rukia, Nnoitra Jilga, Sosuke Aizen
Note: AU | Avvertimenti: Spoiler!
- Questa storia fa parte della serie 'Raining Stones'
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Attenzione a voi che leggete!
Questa storia contiene uno spoiler (capitolo 423) su un abito indossato da Aizen, quindi magari se non volete rovinarvi la “sorpresa” non leggete.
Per il resto aggiungo questo, questa lunga oneshot partecipa ad una mini sfida “Halloween Party” indetta da Fanworld e il prompt da me scelto è “qualcosa di inaspettato”. E bene o male è la base per il racconto che vi apprestate a leggere.
La storia è legata al ciclo di oneshot “Raining Stones” ma è ambientata prima di “Malizia” (per ovvi motivi se avete letto).
In più, aggiungo un piccolo particolare.
Qualcuno privatamente mi ha chiesto se questa mia serie AU era per caso ambientata in Giappone, perchè in un primo momento sembrava così. Onestamente, io non ho mai specificato che la storia di “Raining Stones” si svolgesse proprio in Giappone. Non cito mai i nomi delle città, ne le vie e manco il nome della città stessa in cui sono ambientate tutte le vicende da me narrate.
Idem per la moneta che circola, non ho mai specificato se trattasi di yen o dollari.
Ho volutamente lasciato il tutto a interpretazione personale. È vero, ci sono dei personaggi che si danno del “sensei”, “sama” o “nii-sama”. Ma se ci fate caso lo dicono solo i personaggi di – presumibilmente – nazionalità nipponica.
Ad ogni modo, buona lettura a voi!


trick or treat (Did you see my whip?)


“C'è qualcosa che non va...”

Non era una novità che mezzo mondo cercasse di apparire perfetto dinnanzi al prossimo.
Se poi si parlava di Sosuke Aizen, allora quell'aspetto della perfezione assumeva una forma quasi ironica.
A meno di cinque giorni da quella festa pagana che i comuni mortali chiamavano “Halloween”, c'era chi ancora non aveva dato il suo consenso nel partecipare alla consueta festa organizzata dalla sua casa farmaceutica – in collaborazione con gli eterni rivali – a cui per ovvie ragioni pure l'intero consiglio comunale partecipava. Non si poteva dire di no a due ditte che davano da lavorare a mezza città.
Sosuke era fatto così, un uomo che godeva nel farsi desiderare oltre che odiare. Pertanto, prima di affermare che sarebbe andato a quella penosa festa per dire: “Che andava tutto bene e non c'erano attriti di nessun tipo”, aveva lasciato correre un mese intero.
Mettendo a dura prova i nervi degli organizzatori e facendo ridere fino alle lacrime un compiaciuto Gin Ichimaru, dando a quei bifolchi risposte tutt'altro che soddisfacenti per telefono.
Però alla festa ci sarebbe andato. Oh si.
E lo avrebbe fatto al suo solito, stupendo tutti sia in positivo che in negativo. Poiché solo in quel modo poteva essere sicuro di essere costantemente sulla bocca di tutti.

Eppure, amaro scherzo del destino, il vestito che gli era arrivato neanche due ore fa giusto in tempo per andare a quella fiera dell'ipocrisia umana e far parlare ancora una volta di se, appariva insolito sotto il suo sguardo velatamente perplesso.
Forse la causa era dovuta al penoso servizio di spedizioni che aveva scelto, oppure al fatto che aveva messo loro una grandissima fretta mista ad ansia per il fatto che lui era Sosuke Aizen ma...
Forse avevano sbagliato a mandargli costume.
“Giusto per chiedere... Ma a quale film con esatta precisione ha deciso di attingere, eh?!”
Accanto a lui, dentro quel grande ufficio spartano ed elegante situato a metà strada dell'edificio più alto di tutta la sua avveniristica industria, Gin Ichimaru guardava curioso e allegro quello stranissimo costume.
Avvolto in uno yukata nero, il suo fidato braccio destro non si limitava a stupire nel modo antiquato di vestire ma nel suo pensiero a dir poco singolare.
In poche parole, era uno stronzo nato con la cravatta. Per questo motivo, uomo perfetto per lavorare a suo fianco.
“Il film? Oh... Si tratta di Tron. Hai presente quel film degli anni ottanta? Da ragazzino ci andavo matto”
“Ed esattamente, da quanto tempo è che non vede... Tron?!”
“Da quasi venti anni ormai. Ahh... Quanti ricordi!”
Per un breve momento Aizen lasciò perdere il contenuto della scatola, per assaporare quei ricordi di infanzia nostalgicamente lontani.
A pochi passi dai due uomini invece, seduto con flemmatica eleganza su di un divanetto di pelle nera, un uomo di ovvie origini afroamericane scrutava impassibile quello che i due uomini confabulavano.
Non era di grandi parole Kaname Tousen, decisamente più propenso ai fatti seppur in modo piuttosto silenzioso. Era il braccio sinistro di Sosuke Aizen. Nientemeno colui che si preoccupava dell'aspetto legale dell'azienda.
E anche se era cieco fin dalla nascita – un particolare che non lo aveva fatto desistere dal fare carriera – non era uno stupido.
Ciò che i due uomini toccavano tra il curioso e il perplesso, non poteva essere una tuta fatta di fibra sintetica. Il suo udito funzionava alla perfezione così come il suo intuito.
“Tron...?!” mormorò quasi impassibile lui.
“Non dirmi che non lo hai mai vist... – si morse il labbro Gin, prima di correggersi - ...mai sentito parlare! Era una cosa eccezionale per l'epoca”
Sia Aizen che Ichimaru, si erano quasi scordati della presenza silenziosa di Tousen presente neanche a pochi passi da loro due. Si voltarono giusto di scorcio per aver conferma della sua presenza, magari pensando di sfruttare il suo intuito per capire che cos'era quella cosa tra le mani di entrambi.
“Quello non mi sembra il rumore di stoffa sintetica, ma di pelle signori miei...”
“E questo costume non ha manco i led luminosi! Aizen sama, credo che vi abbiano spedito una imitazione scadente”
Se le parole di Kaname sembrarono sibilline, quelle dell'albino Gin suonarono un po' a presa per i fondelli. Tuttavia, la situazione non la si poteva descrivere.
Il sommo Aizen si passò una mano tra i capelli sbuffando con noia, lasciando ricadere nella scatola l'indumento precedentemente esaminato.
“Imitazione scadente sicuramente lo è... E questo è un vero peccato dato che i soldi che ho dato non erano pochi”
Essere fregati – o comunque lasciati con l'amaro in bocca – a meno di poche ore dall'inizio della festa che lo avrebbe visto come uno tra i protagonisti più assoluti, era una cosa a dir poco snervante anche per l'uomo dalla pazienza più storica.
“Quindi che intenzioni ha? Vuole disdire tutto? Vuole che dica alla signorina... Cioè... Signora Inoue Orihime che non potrà farle da cavaliere?”
L'unico che ancora si dilettava a toccare quelle nere maschere controverse, provocando così un rumore specifico di pelle e borchie, era Ichimaru che ben pensò di punzecchiare a quel modo il suo superiore.
Messaggio ben colto da Aizen, che non era affatto in vena di fare la figura del perdente.
“E fare così un dispiacere alla signora Inoue e un piacere ai magnifici quarantasei? – in riferimento ai consiglieri comunali – via, che padrone di casa sarei se mancassi alla festa?!”
“Quindi lei è davvero sicuro di volerci andare? Quei dannati venduti potrebb...”
“Va bene così, mio buon Tousen. Siamo ad Halloween dopotutto, quindi anche se questo costume è una autentica delusione – adocchiò senza reale sentimento il contenuto di una scatola abbandonata sulla sua scrivania – io sarò sulla loro bocca ancora una volta. E ora per piacere miei cari signori, gradirei essere lasciato solo mentre mi cambio”
Fu di semplici e fin troppe chiare parole. Avrebbe continuato con il suo spettacolo delle illusioni ancora una volta, giocando sempre e costantemente sui pregiudizi di gente piatta e banale.
I suoi uomini non ebbero altro da dire se non di darsi reciprocamente delle brevi occhiate, quindi di uscire silenziosamente dall'ufficio, colmi di sentimenti contrastanti tra loro.
Le brevi occhiate alla scatola incriminata ci furono eccome, tuttavia se quel contenuto – qualunque esso sia – andava bene ad Aizen, allora loro in teoria non avevano nulla di cui preoccuparsi.
Tuttavia fu solo quando i due si chiusero le porte alle spalle, che Gin Ichimaru – per sommo disgusto di un Tousen che aveva compreso la situazione – emise una risata che ben somigliava al sibilo di una teiera in ebollizione a causa dell'ancora troppa vicinanza agli uffici di Aizen sama.
Un suono sgradevole per le orecchie dell'avvocato, che con grande maestria sapeva destreggiarsi per i corridoi aziendali senza l'ausilio di un bastone o di una guida.
Fu solo quando i due raggiunsero l'ascensore personale di Sosuke Aizen e del suo staff che il giovane si lasciò andare ad una fragorosa – quanto sfacciata – risata.
Una risata stridula, accompagnata da colpi di pugni chiusi contro la parete in cedro scuro della cabina, portando così nuovo disgusto a Tousen. Ma non poteva starsene semplicemente zitto? Non c'era proprio nulla da ridere.
“C'è per forza bisogno di ridere in modo così volgare? La situazione è grave! Rischiamo la faccia!”
A quelle parole, invece di darsi una calmata, Ichimaru rise ancor più forte dando addirittura pacche sulle spalle di Kaname. Che rimase pietrificato e indifferente al gesto, in attesa di una sua risposta concreta.
“Aahh... Oh Madre! È spettacolare Tousen! È la cosa più incredibile vista in vita mia! – aveva le lacrime agli occhi e ora si era pure messo a dargli pacche sul petto – quell'uomo è un genio da rispettare!!”
“Un genio che rischia grosso, questo lo devi ammettere... E gradirei che ti scrollassi di dosso, per piacere”
Nell'esatto momento in cui il moro pronunciò quelle parole, le porte scorrevoli dell'ascensore si aprirono al piano desiderato. E Gin dovette per forza di cose spegnere l'interruttore delle risate dato l'alto tasso di personale presente.
Si scostò veloce da Kaname, per continuare assieme a lui la pacifica camminata per corridoio pieni di caos dell'ultima ora, cogliendo impreparati i dipendenti che ben si adoperarono a salutarli a modo.
Tuttavia, nonostante il caos di uffici perennemente in fiamme, Tousen sentì alla perfezione le parole del pericoloso collega.
“Non ti preoccupare troppo per Aizen sama, mio buon Tousen... Sono certo che riuscirà a trarne profitto anche in una situazione tragica come questa”
La sua voce fu poco più di un sibilo compiaciuto per una situazione piuttosto compromettente. Anche se rimaneva della pubblicità, quella negativa non faceva bene a lui. Non con l'amministrazione comunale che si ritrovavano.
“Di questo non ne dubito. Ma è quel vestito che è totalmente sbagliato”
“Ah, beh – trotterellò più vicino a Kaname per potergli sussurrare meglio e con complicità – ma tu eri a conoscenza di quel suo piccolo vizietto? ... Ahhh.... No! Dalla faccia che fai mi sa che non lo sapevi manco tu! Siamo in due allora, ehe!”
L'avvocato sospirò terribilmente sconsolato a quelle considerazioni incredibilmente stupide.
Ichimaru pareva alle volte davvero infantile con i suoi modi di fare e battute, purtroppo ben sapeva che bisognava andarci cauti con lui, dato che tutto quel sfottere era solo una maschera ben collaudata.
“Mi sa che manco lui sapeva di avercelo, Gin...”

[…]

Era una seccatura quando i piani non coincidevano mai.

Che fosse colpa di un personale inefficiente, o di materiale scadente come in quel caso (era sicurissimo che non potevano aver sbagliato la consegna, i dati sulla bolla parlavano chiaro), bisognava sempre fare buon viso a cattiva sorte anche in situazioni al limite.
Per questo Sosuke Aizen smise di pensare a quanto fosse brutto quel costume di Tron, infilandoselo pezzo dopo pezzo con calma e pure un briciolo di fatica.
Era incredibilmente stretto sia al livello del petto che del cavallo. Con un ampio impermeabile che faceva da unico indumento superiore, arrivando a coprire le gambe sino all'altezza delle ginocchia. Le mani poi... Che razza di guanti erano?
Erano dei pezzi di pelle senza fori per le dita, tanto da sembrare degli spauracchi dei guanti usati dai bambini durante le fredde giornate invernali.
A completare il tutto infine, una vasta moltitudine di borchie e cinghie con cui tenere ben saldo il vestito, fino a togliere il respiro al loro padrone. Che tra l'altro ci vedeva pure poco perchè, sorpresa delle sorprese, il costume era provvisto pure di una scomodissima benda per l'occhio.
Non metteva in dubbio che un costume di Tron fosse più semplice da indossare, con tutti quei led luminosi forse era ancora più difficile, però non toglieva il fatto che risultare credibile era faticoso.

Pazienza, se si era accontentato lui di quell'affare, allora pure la sua dama per quella nottata di festa si sarebbe accontentata.
Intanto, mentre il signore di un impero industriale si vestiva a festa per la gioia dei suoi sudditi, la notte stava calando su di una città preda dell'aria frizzante di un inverno insolitamente freddo.
Anche se si trattava di qualcosa di inaspettato, avrebbe indossato quel costume e avrebbe fatto anche bella figura.

[…]

Sorseggiò pensierosa l'aranciata frizzante nel bicchiere di cartone, pensando che forse non era stata una buona idea quella di cedere così facilmente a pericolose lusinghe.
Pericolose era il termine esatto, se a farle era il direttore dove ora lavorava part-time.
Il suo lavoro come infermiera giù all'ospedale pubblico rischiava di vacillare, a causa dei tanti tagli al personale che stavano facendo. E per campare doveva per forza di cose trovarsi almeno un lavoro che coprisse le ore buche lasciate da quello fisso.
In pratica, non è che Orihime Inoue se la stesse spassando benissimo da un anno a quella parte.
Stava divorziando da suo marito – Grimmjow Jaggerjack di professione poliziotto – e le rate del mutuo da pagare per l'appartamento preso dopo il matrimonio erano salate. Per di più, avevano un figlio di quattro anni da mantenere.

Inoue strinse con più forza e senza accorgersene, il bicchiere di carta di medie dimensione dell'aranciata che stava ormai sorseggiando da più di un'ora.
I polpastrelli delle dita si bagnarono così delle gocce di umidità dovute alla condensa del freddo liquido, mentre i suoi denti masticavano la cannuccia insapore, tirando su la bevanda con noia e senza reale sete.
Come un riflesso condizionato, si riempiva le guance di aranciata frizzante e poi la lasciava nuovamente ricadere nel bicchiere senza inghiottirla.
Non era con la sete che era andata al bar aziendale a prenderla, semplicemente, aveva un disperato bisogno di riflettere.
Oh, sarebbe stato tutto più semplice si Grimmjow non fosse stato così maledettamente orgoglioso e avesse accettato le ramanzine senza farsi degradare. Se non avesse contestato qualunque cosa in un momento così fragile per lei, cercando invece di comprenderla e basta.
Inoue in un certo senso si odiava per aver fatto quello che aveva fatto. Per essere andata via di casa con una sola valigia piena di vestiti e con il bambino, lasciandogli solo un bigliettino sul tavolo per spiegargli i suoi motivi.
Ma suo fratello Sora, per quanto fosse stato gentile a ri-ospitarla in casa, mica poteva provvedere da solo a sfamare due bocche. Ecco perchè lei si trovava li da pochi mesi.
Sosuke Aizen si era rivelato essere un uomo apparentemente comprensivo. Lei dubitava fortemente di ottenere quel posto di lavoro piuttosto appetitoso, tuttavia quasi le venne un colpo quando il suo futuro datore di lavoro le strinse la mano con decisione e calore.
Si, era calda la sua mano – di quel calore di cui non puoi dubitare – ma era quel suo sguardo così... Così... Penetrante, che ci si imbarazzava facilmente, o peggio, si dubitava con un briciolo di paura delle sue azioni, ad averla fatta preoccupare per un momento.
In bilico tra questo e quello, aveva dovuto accettare la sua proposta di fargli da damigella per quella serata di festa. Un evento prestigioso quello, a cui lei e l'intera plebaglia non avevano mai assistito ma che, tuttavia, Inoue si sarebbe distinta per lo strappo alla regola.

Uff... Facciamoci coraggio...”
Era nervosa. E forse il costume che aveva messo non era dei migliori.
Per carità divina, non si era vestita da carota gigante come faceva ogni anno da quando andava alle superiori e poi alle feste organizzate dalla scuola di suo figlio. Si trattava di una festa di classe e non di una buffonata tra amici. Per tale motivo si era costruita un abito da madre natura che poi alla fine erano solo vecchie lenzuola cucite tra loro e decorate da fiori finti.
Un qualcosa di carino insomma, che come chicca aveva una coroncina fatta di spighe di grano – quelle si vere e pure fastidiose – con fiori di plastica.
Ci aveva impiegato poco ad indossarlo, stando attenta a cambiarsi in infermeria durante l'orario di chiusura, tralasciando qualche fiore da riaggiustare con ago e filo aveva fatto un lavoro (si sperava) sufficientemente buono.
Signora Inoue, è permesso?”
la voce tranquilla e attutita di Sosuke Aizen la colse quasi con terrore, portandole un tuffo al cuore e un'alzata di scatto dalla sedia che le rischiò la rovina del costume causa mani di pasta frolla e aranciata frizzante (anche se ormai del tutto sgasata).
“Oh... Ah! Signore, prego ven... Venga!”
cacciò l'aranciata nel lavandino vicino al lettino ospedaliero con un suono sordo – la cannuccia volò sul pavimento ma non ci badò – dandosi una veloce sistemata al vestito prima di vedere la porta aprirsi lentamente. E con essa, la visione di un Aizen coperto da una pesante penombra.
“Ah... Mi scusi per il disturbo, ma stavo sistemando il mio costu... – le parole le morirono definitivamente in bocca quando il suo capo entrò del tutto e si accorse che quello che l'avvolgeva non era l'ombra della notte – … me...”
A lenti passi, con uno sguardo placido e accattivante, Sosuke Aizen entrò nell'infermeria con sorprendente eleganza nonostante quel vestito fosse fatto di pelle e si notava lontano un miglio che stringeva il suo proprietario in più punti. Piccoli rumori si generavano quando gli arti si muovevano, portando un insolito – e maggiore – disgusto in Orihime nell'osservare quella creatura così... Così... Oscena, ecco!
Per quanto si maledì immediatamente nel pensare simili giudizi verso un suo superiore, fu quella la prima parola che le saltò in testa appena lo vide.
Ma fu proprio quel suo sguardo distaccato dalla realtà, quasi severo per il suo sorprendersi e impallidire, che si ritrovò pentita a chinare la testa.
“Avete un costume meraviglioso, mia cara Inoue. Chi rappresenta?” aveva una espressione curiosa per quel complicato arazzo di spighe e di fiori.
“M-madre natu...” dal suo canto lei non riusciva a fare altro che balbettare e tenere uno sguardo basso come una bambina sgridata.
Ma fu in quel momento di già totale imbarazzo, che per Orihime poco ci mancò di avere uno svenimento in piena regola.
Ehi... Non fare così...”
la mano inguantata di pelle nera e ambigua, le sfiorò la guancia destra prima di finire la sua corsa sotto il mento per alzarglielo dolcemente. Quel gesto le impedì si ascoltare le sue parole che dal “lei” passarono all'immediato “tu”.
“Sorridi mia cara, quel broncio decisamente non ti si addice. Andiamo ad una festa... Bisogna essere allegri alle feste. Non credi?!”
avrebbe preferito che quel volto costretto in una armatura nera così vicino al suo fosse solo una mera illusione, purtroppo per lei così non era. Ed era facile lasciarsi ammaliare da cotante belle parole, se a dirle era un uomo come Aizen.
Orihime, dopo interminabili secondi di respiro interrotto, riuscì ad avere il coraggio di rispondergli con un timido cenno della testa, decidendosi finalmente a seppellire il disagio e lo stupore di vedere un uomo conciato come il peggiore tra i sadomasochisti.
Non solo perchè lui era il suo capo ma, soprattutto, perchè lui aveva infondo ragione. Aveva ragione nel dirle che per un breve momento bisognava essere felici, lasciando perdere tutte le preoccupazioni che la circondavano.
Doveva essere quello il messaggio che le lanciava. Sicuramente era così.
“Bene, allora direi che siamo pronti tutti e due. Mi permette l'onore, mia cara Inoue?”
Dopo quel breve scambio di battute, Sosuke Aizen tornò a rivolgerle la parola in modo meno personale e porgendole pure il braccio sinistro.
Un altro dettaglio che istintivamente la portò a sussultare con quell'odioso disgusto che l'aveva travolta in precedenza ma che tuttavia riuscì ben a domare.
Deglutì a forza e facendosi coraggio strinse le mani sul suo forte braccio prima di lasciare del tutto l'infermeria.
“Sarà una serata indimenticabile per entrambi, mia cara”

[…]

A che serviva truccarsi?
Onestamente, ora che si guardava nello specchio del bagno con in mano una matita nera, non serviva proprio a nulla.
Sicuramente, Kuchiki Rukia in anni più sereni si sarebbe disegnata i baffi e il naso nero della maschera da coniglio gigante che fin dalle superiori portava, facendo poi una accoppiata vincente con Inoue conciata da carota gigante e si sarebbe sicuramente divertita. Però in quel caso proprio non aveva senso.
Seccata per quell'inutile indugiare, ripose la matita nera nel suo astuccio dei cosmetici – senza non poca fatica causa i guanti pelosi del costume – e si apprestò ad uscire dal bagno abbassando le orecchie rosa del suo copricapo.
Vivere così, in una piccola villetta a schiera con altri cinque coinquilini tutti maschi, era assai arduo. Ma questa era la vita del laureando, ed ogni volta che lo rimembrava, si prometteva costantemente che finito con lo stage e dato la tesi, se ne sarebbe andata lontano mille miglia da quel luogo.
Quindi sospirando scese le scale senza incontrare anima viva – a quanto pare Renji e Yumichika erano andati in discoteca, Chad a trovare la famiglia fuori in città e Ishida... Boh, non lo sapeva – fino a raggiungere il salotto praticamente deserto.
Eccezion fatta per la televisione accesa, sembrava che l'unico inquilino rimasto se ne fosse andato pure lui.
“Tu guarda che seccatura...”
borbottando innervosita, spense con stizza il televisore – puntato su un canale culinario – prima di girarsi in tondo ed esclamare un “Io esco!” con tono deciso, senza però ricevere risposta. Non un grugnito, non il suo solito “cià” pronunciato con disinteresse e con la bocca piena di cibo.
Ichigo Kurosaki sembrava pure lui essersi dileguato nel nulla.
Decisamente per lei non era serata.
Per quanto in anni passati la festa di Halloween era sempre stata occasione di buffonate tra amici, in quel caso si era trasformato nei peggiori dei supplizi nell'esatto momento in cui i suoi datori di lavoro l'avevano invitata alla convention annuale. Quella robaccia stratosferica e piena di gente altolocata che si teneva poco lontano da dove lavorava lei.
Rukia e tutti i suoi colleghi di lavoro si intende. Anche se era una semplice stagista – e questo lo aveva ampiamente spiegato quando ricevette l'invito – dovette per forza di cose parteciparvi.
Mai deludere Aizen sama, piccola Rukia” le aveva detto un sornione Gin Ichimaru al momento della consegna dell'invito. Sicuramente doveva averci goduto come un porco nel vederla nera in volto. Per di più, sarebbe stata una festa senza i suoi amici e pieno di gente che lei detestava.
A cominciare dal suo capo ufficio Nnoitra Jilga, che apprese la notizia senza battere ciglio... Perchè ancora preda della sbornia mattutina.
Già perchè da ormai due mesi – quasi tre – si era fatta una cultura a stare accanto a quell'uomo. Che non le aveva insegnato praticamente nulla in quel fin troppo lungo stage (c'era da scommetterci che la stavano sfruttando) se non quello che “chi fa per se, fa per tutti”.
Seccata a quel pensiero molesto, prese dalla borsetta sul tavolino del salotto le chiavi di casa e il cellulare, oltre che qualche spicciolo per l'autobus, infilandoseli poi all'interno dell'ingombrante costume ed infine avviandosi verso la porta di ingresso.

Una volta fuori le fu chiaro del perchè Ichigo non aveva risposto alle sue chiamate.
Proprio ai piedi della piccola scaletta di legno che dava alla veranda, un ragazzo dai vistosi capelli ramati – con indosso un competo scuro da agente federale – guardava cupo in volto un branco di disadattati in pannolone rosso e scopa in testa.
Incuriosita da quel piccolo spettacolo, prima di andarsene via del tutto ignorando totalmente un presumibile pestaggio, volle ben vedere che cosa stava succedendo per aver scomodato Kurosaki dai suoi importanti impegni serali.
“Ehilà Kurosaki! Ma come siamo vestiti bene stasera... – risatina dall'interlocutore principale seguito a ruota dai suoi sgherri – devi andare ad un battesimo oppure hai un appuntamento con... – altra risatina sottile ed ebete – … una ragazza?!”
“Ciao, Grimmjow...”
l'interpellato di tutta risposta, si limitò a salutare quasi apatico il soldato in mutande – armato di picca e scudo – a cui non piacque essere ignorato a quel modo.
Digrignando i denti, mostrò una espressione offesa davanti al ragazzo impassibile.
“Cazzo Kurosaki... Davvero, ma da cosa cavolo ti sei vestito? È la notte di Halloween! Dobbiamo darci da fare! Non è vero uomini??!”
al suo ruggito, gli uomini dietro di lui emisero un ululato ben coordinato e compiaciuto, battendo poi le loro picche contro gli scudi di latta facendo ancor più rumore.
Sia Rukia che Ichigo, smorzarono delle smorfie infastidite a quella pagliacciata.
“Sono vestito da Mr. Orange per tua informazione... E per...”
“Da CHI?!”
... Che cavolo vuoi per avermi chiamato??!”
Urlò così Ichigo. Con una voce parzialmente stridula dovuta al nervosismo di non sapere il motivo dell'improvvisa convocazione – distratto dalla sua serata “Tarantino no-stop” ora Rukia stava iniziando a capire – prima di ricevere un botta e risposta tutt'altro che soddisfacente.
“Sei vestito da cul...”
“Sempre meglio di te e dei tuoi uomini che ve ne andate in giro con indosso solo un pannolone rosso e una scopa consunta come elmo! Per tanto, suppongo che oltre quello tu non possiedi altro addosso!! E ora... Dimmi che cazzo vuoi o levati di torno... Per piacere!”
Parlò decisamente in fretta come una mitragliatrice con il grilletto bloccato. A raffica e interrompendo il poliziotto – loro vicino di casa tra l'altro, abitava nel condominio a fianco – dal fargli dire altre ingiurie verso l'amico.
Parole piene di irritazione le sue, che tuttavia si stemperarono alla fine con un “per piacere” dovuto al fatto che era sia un poliziotto, sia che era in compagnia di altri poliziotti.
Rukia li guardò bene piuttosto incuriosita.
Da quel che ricordava in una qualche discussione con Ichigo, Grimmjow doveva avere un team di uomini che lo aiutavano nelle sue indagini.
Vi era uno spilungone dall'aria altezzosa quasi incurante di essere semi nudo; uno basso dalla corporatura tarchiata; poi un ragazzino pallido e dal sorriso poco rassicurante; per finire con un gigante dalla folta capigliatura rossa e da un belloccio biondo.
Biondino di cui era sicura di averlo già visto da qualche parte, anche se non rimembrava bene, doveva però affermare a se stessa che quello li in mezzo era l'unico che si salvava.
Poi finalmente, dopo un mezzo minuto di teso silenzio, Grimmjow Jaggerjack rispose sputando con stizza sul selciato.
“Io e i miei uomini stasera abbiamo una missione importante, quindi voglio che tu badi a mio figlio per questa notte!”
Dal drappello di uomini trotterellò fuori un bambino con indosso un costume da gattino grigio e con una busta di carta tra le manine inguantate di grigia pelliccia, pronto a fare la scorta di dolcetti.
Sono una pantera! Miaooo!!”
Adorabile.
Senza ombra di dubbio, quel bambino era l'unica cosa normale in mezzo a quei bifolchi semi nudi. Sempre tralasciando il tizio biondo che era interessante.
Un piccolo particolare – quello del bambino non del soldato mezzo nudo – che portò Rukia a sorridere e abbandonare così il broncio di prima.
Sicuramente, gli avrebbe volentieri scattato qualche foto con il cellulare. Ma era in ritardo e l'autobus non l'aspettava. Aveva appuntamento con il suo capo (e altri colleghi di lavoro) giù al centro commerciale. Se quel disadattato si fosse messo a fare casino lei non sarebbe riuscita a fermarlo in tempo. E addio laurea e disonore eterno per la sua famiglia.
Quindi, sospirando sconsolata, decise di scendere le scalette per avviarsi verso quel supplizio.
“C-che cosa?! Grimmjow ma sei impazzito? Non ho nessunissima intenzione di...”
nel mentre che Ichigo si lamentava, Rukia lo sorpassò senza guardarlo.
“Ohi Ichigo, io esco eh! Comunque grazie per esserti accorto di me prima”
Lo superò agilmente e si avviò verso il vialetto. Non lo guardò neppure in faccia benchè fosse conscia della sua espressione ebete e sconvolta allo stesso tempo.
“Che cos... Ma esci conciata così? Ma non... Ehi! Piantala di tirarmi i pantaloni!”
sconvolto, il giovane indirizzava con nevrosi lo sguardo dall'amica che se ne stava andando, al gruppo di uomini che se la stava bellamente ridendo, fino al bambino che lo strattonava per i pantaloni e che supplicava quasi con rabbia di essere preso in braccio.
Richiesta quella che Ichigo acconsentì, sbuffando seccato e prendendoselo in braccio.
Aveva progetti ben diversi che stare dietro ad un Grimmjow in miniatura. Anzi no, forse quel bambino era peggio di suo padre, perchè a differenza del poliziotto la creaturina possedeva un cervello.
Di tutt'altro sentimento seccato era invece la Kuchiki che, sorpassando l'ultimo soldato spartano, gli indirizzò un sorrisetto complice.
Sorriso quello ben visto dal giovane, che ricambiò mormorando parole complici.
“Vuole una mano a sistemarsi il costume, signorina?”
per quanto le parole furono basse, Rukia le sentì forte e chiaro e volle rispondergli un'ultima volta prima di allontanarsi del tutto.
Magari più tardi per togliermelo...”

“Rukia, dannazione! Non dare confidenze a queste persone!”
Per quanto ormai fosse già distante di qualche metro da Kurosaki e dalla casa, pareva che quel ragazzo al posto delle orecchie avesse un paio di antenne mobili.
Un ammonimento quello del giovane, che portò ilarità verso il gruppo di soldati in mutande – più di tutti a Grimmjow che si divertì ancora una volta a sfotterlo – e portò a sbuffare annoiata una Rukia che per istinto allungò impercettibilmente il passo.

[…]

“Ehi... Ma dove sono tutti quanti?!”
L'appunto con buona parte dei dipendenti del suo stesso piano aziendale era alle porte del centro commerciale – ancora aperto per la serata di festa – ma ad attenderla non vi era nessuno se non lui.
Nnoitra Jilga con indosso un costume alquanto... Improbabile.
Se lei sull'autobus si era presa qualche occhiata curiosa più per simpatia che per altro, lui si stava prendendo più di una occhiata perplessa e/o disgustata dai tanti passanti presenti a fare acquisti dell'ultima ora.
Annoiato, di tutta risposta l'alto – in senso fisico – capoufficio tirò su di mezzo centimetro la sigaretta ben stretta tra le labbra prima di darle una risposta secca e svogliata.
“Se ne sono andati”
“Cosa...? M-ma da quant...”
“Da circa quindici minuti. Gin ha mandato un messaggio a tutti quanti – estrasse dal corsetto il cellulare – dicendo chiaramente... uhm – lesse sul display senza troppa emozione – … venite subito oppure domani statevene a casa... Faccina felice inclusa”
Presa in un primo momento dalla sorpresa, sentendo quella notizia Rukia chiuse gli occhi per un breve istante e sospirò per smorzare un moto di puro nervosismo.
“Quello stronzo a me non me lo ha mandato – bisbigliò incazzata – ma poi, perchè lei non è corso via assieme agli altri?!”
La faccenda era strana e la curiosità di sapere, la distolse per un attimo dalla rabbia primigenia. Di tutta risposta, l'uomo strinse tra due dita inguantate di pizzo bianco la sigaretta per espirare via il fumo dalla bocca.
“Uff... Per aspettarti no?!”
“Cosa?! Lei mi ha aspettato, perchè??!”
sbigottita, la giovane donna volle avvicinarsi maggiormente a quel tizio vestito da... Sposa poco credibile – si, si era proprio conciato malissimo – per capire se la stesse pigliando per il culo o meno.
“Senti ficcanaso – ora il suo tono da piatto divenne improvvisamente aspro e indisponente – ma deve esserci per forza un motivo del perchè ti sto aspettando? NO! Quindi se hai finito col chiedere stronzate, direi che è ora di andare!”
Un caratteraccio il suo, che spense nell'immediato una vaga speranza in Rukia che quell'uomo stesse diventando un po' più gentile, facendole in tal modo alzare un sopracciglio con sarcasmo e pregiudizio.
“Mi dica una cosa allora... Perchè si è vestito da sposa?!”
No, con le stronzate la nana non aveva finito. E ciò portò Nnoitra a piegare l'eterno ghigno in uno pieno di risentimento e di pazienza ormai andata a puttane.
Tirò su con la sigaretta un centimetro esatto sul candido filtro stropicciato, prima di darle l'ennesima risposta seccata di quella serata senza fine.
“Mi sono vestito da Beatrix per tua informazione! C'è una qualche legge che mi vieta di vestirmi da mio personaggio preferito forse?! Direi di no, quindi diamoci una mossa! E pensa per il tuo di vestito!”
l'abito di mister Jilga era un piccolo capolavoro di sartoria. Possedeva ricami in pizzo finemente elaborato per tutto il corsetto – roba da maestri – e l'ampia sottana era fatta di seta e nastri. Poi pure il velo bianco si era messo quell'imbecille. E osava criticare il suo vestito da coniglio... Che pezzente.
Ma che fosse solo per quello il motivo delle tante occhiate dai passanti era un po' strano. Ok, era un uomo che si era vestito da donna – qualunque fosse il motivo del gesto – ma non poteva essere solo quello.
E il vero motivo di cotante occhiate preoccupate, venne svelato quando l'uomo stufo di quella sigaretta, la gettò alle proprie spalle colpendo un marciapiede che misteriosamente emise un gemito carico di dolore.
“Ma cosa... Cosa c'è dietro di lei?!”
“Niente!”
Incuriosita e un poco preoccupata, Rukia ignorò quella risposta seccata e si sporse per guardare oltre l'ampia sottana bianca, per intravedere quello che era un piede con indosso un mocassino nero.
Impallidì, sporgendosi del tutto e vedendo una cosa che aveva dell'assurdo.
Oh mio Dio...”
Quello che era un semplice piede con indosso un mocassino, si trasformò in un paio di gambe con pantaloni neri, un torso con una camicia di pizzi bianchi e mantello nero, ed infine una faccia pesta di botte fresche.
Il finto impianto di canini da vampiro fuoriusciva per metà da una bocca che borbottava dolorante, pronunciando gemiti e frasi deliranti per il troppo dolore.
Ahh... Bella... Signoraa...”
“Ma è Keigo!!”

Keigo Asano, un suo ex compagno di classe delle superiori, era steso a terra con indosso un costume da vampiro pesto di botte e in stato di semi-incoscienza.
Sconcertata, Rukia aggirò velocemente la sottana da sposa per piegarsi su di lui e tentare di tirarlo su.
Da dopo le superiori non lo aveva praticamente più sentito – come buona parte di tutti gli altri compagni di classe – ma lo incontrava giusto una volta l'anno per le riunioni tra amici o feste di questo tipo. Ma che ad essere pestato da Nnoitra Jilga proprio la notte di Halloween fosse proprio lui... Il mondo doveva essere veramente piccolo.
“Keigo... Accidenti! Ma che ti è sucess... No! Lei! – puntò lo sguardo verso Nnoitra che osservava i due con una certa noia – è stato lei a ridurlo così, vero?!”
Intanto, tra le braccia di Rukia il malcapitato stava rischiando di soffocare per il pelo della maschera da coniglio che gli si stava infilando in bocca.
“Che hai da fare quella faccia truce? Questo stronzetto ha ben pensato di molestarmi mentre aspettavo i tuoi comodi!”
“Cosa? Ma per favore... Lei è un..”
“Bella signoraaa...”
Keigo gemette ancora tra le braccia dell'ex compagna di classe, liberando la bocca dalla pelliccia rosa e osservando Nnoitra con occhi sognanti e fatti di botte.
Rukia iniziava a capire, nutrendo sempre meno compassione per il ragazzo e sempre più “disgusto” per questi uomini costantemente affamati di una sola cosa. Anche se trattasi in realtà di un uomo conciato da donna, Keigo era così citrullo da averlo presumibilmente scambiato per una femmina e averci attaccato bottone. Finendo quindi pesto di botte.
Se l'era andata a cercare alla fine...
“Beh senti, smollalo li e andiamocene via. Sennò qui ci ritroviamo licenziati in tronco, Dio...”
Rukia lo interruppe prima che potesse bestemmiare ferocemente e senza senso, anche perchè la situazione rimaneva comunque grave. Aveva combinato un casino e lei non era stata li ad impedire che accadesse, doveva per questo rimediare.
“Cosa? Non possiamo lasciarlo qui... Sarebbe omissione di soccorso!”
E di grazia che nessuno ha chiamato la polizia, avrebbe volentieri aggiunto lei. Ma se ne rimase zitta mentre aiutava il ragazzo ad alzarsi.
“Ah si, crocerossina? E dove pensi di buttarlo?!”
“Da nessuna parte... – si portò un braccio del vampiro attorno alle spalle mentre con il braccio libero andò a cingergli la vita – lo porteremo con noi alla festa a mo di scuse”
“Stai scherzando spero! Io quello tra i piedi non ce lo voglio! Eh, ehe...”
Ridacchiò istericamente lui. Iniziando già ad incamminarsi verso la fermata dell'autobus più vicina senza aspettarla. Dovette alzarsi un po' la gonna per poter sgambettare meglio. E Rukia notò quelle che sembravano scarpe coi tacchi ai suoi piedi. Pure le scarpe da donna si era messo!
“Non sto affatto scherzando – Rukia iniziò ad accelerare il passo seppur a fatica a causa di un ragazzo ancora malfermo sulle gambe e delirante – di imbucati alla festa ce ne saranno fin troppi, non faranno caso a lui e... Uff... Quanto pesi Asano!”
A quella lamentela il giovane vampiro borbottò un “scusami” mentre lentamente riprendeva lucidità, cercando finalmente di stare più stabile sulle gambe e darsi un contegno.
Intanto, in fondo al viale trafficato e pieno di gente un autobus stava facendo la sua comparsa.
“E va bene, seccatura! – Jilga ringhiò senza voltarsi alla sua stagista per la decisione presa – portatelo pure dietro. Ma se combina dei casini io ne sto fuori!”

[…]

Il palazzo dove si sarebbe svolta la festa con tanto di congresso era piuttosto avveniristico.
Di aspetto moderno ma non squallido, era avvolto dal verde e da fontanelle dal gusto estetico ricercato.
Orihime non aveva mai avuto modo di vederlo dall'interno, così come non aveva mai viaggiato dentro un'auto lussuosa e con all'interno un uomo vestito da... Era meglio non pensarci.
Comunque, una volta arrivata all'entrata ad accoglierla c'era persino il tappeto rosso – manco fosse stata una regina – e una parte dello staff di Sosuke Aizen.
Ecco, era di nuovo il momento di sentirsi profondamente a disagio per essere a stretto contatto con i suoi due collaboratori più stretti. Anche se...
Anche se doveva ammettere che il forte disagio iniziale venne stemperato una volta che lei e Aizen – sempre e comunque a braccetto con riluttanza soppressa – furono vicini ai due uomini.
Kaname Tousen e Gin Ichimaru lei li aveva visti poche volte dal giorno della sua assunzione. Ma se il primo rimaneva in un impeccabile completo nero, l'altro era vestito da...
“Gin, da cosa ti sei vestito con esattezza...?!”
“Da carota gigante Aizen sama!”
un particolare questo, che portò Inoue a ridacchiare piano sinceramente divertita. Tuttavia, per quanto fu discreta, la sua risata attirò l'attenzione dell'uomo insolitamente – davvero, date le occhiate degli altri due – vestito da carota, sorridendole sornione.
“Ah... Sembra che almeno a te piaccia il mio costume! Non sei come questo musone di Tousen troppo occupato all'apparenza dell'immagine...!”
indirizzò un breve sguardo verso l'interpellato – con un po' di fatica data l'ingombrante presenza del costume indossato – che lievemente stizzito volse lo sguardo altrove.
Inoue dal canto suo rise ancora e questa volta più apertamente rispetto a prima, a ricordo dei tempi passati e delle sue buffonate tra amici.
“Ehm... Si. Lo trovo molto bello come costume!”
“Ed è pure profumato sai? Prova a darci un morso, sono delizioso!”
Ichimaru, decisamente, si stava prendendo un po' troppe libertà per quella serata, poteva avere tutte le motivazioni del mondo – anche valide – per conciarsi a quel modo... Ma stava importunando la donna sbagliata.
“Gin... Ricorda che la signora Inoue ha già un cavaliere per questa sera”
benchè stretto in un costume di pelle nera, dalle tante cinghie che gli stringevano il petto e il collo, Aizen riusciva a mantenere una classe tutta sua nonostante in quel momento persino respirare gli era quasi difficile.
“Mi scusi, Aizen sama – si inchinò lievemente smuovendo il ciuffo verde in cima al costume – divertiti alla festa, Orihime!”
dopo un silenzio che parve quasi interminabile, per non dire teso ai sensi di Inoue, il giovane conciato da carota porse le sue scuse e li lasciò passare. Beccandosi pure un sibilato “te l'avevo detto” dal silenzioso Kaname.
Orihime li salutò entrambi tra il mortificato e il divertito, prima di avviarsi all'interno e prepararsi irrimediabilmente al peggio.
Tralasciando le occhiate misteriosamente tese che i due si dettero all'entrata della struttura, volle ringraziare almeno mentalmente Gin per essersi camuffato così rendendole quasi tributo.
Quello non sapeva era il motivo di quell'assurda mascherata. La giovane infatti, non sapeva che Kuchiki Rukia avrebbe partecipato alla festa, facendolo addirittura vestita da coniglio.

Ma lo sapeva bene Gin.

Lo sapeva, perchè si era fatto una cultura scavando nel passato della Kuchiki, giusto per farci meglio amicizia con lei fino al limite dell'esasperazione.
E quale occasione migliore per mostrarle il suo nuovo costume mentre stava sopraggiungendo dal vialetto alberato?
“Gin – borbottò un Tousen un po' adirato – potevi risparmiartela questa pagliacciata...”
“Oh andiamo! Siamo ad Halloween! Poi dentro nel salone c'è chi è vestito peggio di me”
Non gli era chiaro se si stesse riferendo o meno ad Aizen sama ma l'avvocato decise comunque di lasciare cadere li la discussione, confidando che non ci andasse troppo pesante con la giovane Kuchiki.
“E va bene – disse infine, notando i passi sul selciato e intuendo a chi appartenessero – ma vedi di andarci leggero. Ci vediamo al discorso, Gin...”
I due si salutarono – per buona pace di Tousen che si risparmiò una scenetta patetica entrando dentro la struttura – e nel mentre che Rukia sopraggiungeva, Gin si gustò appieno la sua faccia sconvolta.
“Cosa... Cosa significa questo?!”
Il dondolio delle grandi orecchie della maschera da coniglio della ragazza, si interruppe non appena la distanza minima tra lei e il suo superiore non raggiunse i consueti due metri istintivi.
Il volto di Rukia si deformò per l'ennesima volta in quella notte, in uno stupore disgustato misto a rabbia repressa. Come se lui si fosse conciato così volutamente per sfotterla.
Accanto a lei intanto, un Asano ormai quasi del tutto cosciente – rimanevano i segni del pestaggio sul volto – si stava guardando in giro con sguardo sognante/impressionato, mentre Nnoitra accanto a lui pareva non aver notato l'ingombrante presenza di Gin e del suo orribile costume, continuando a fumarsi l'ennesima sigaretta della serata.
“Cosa significa? Non lo vedi forse piccola Rukia?! Sono vestito da carota gigante!”
Allargò le braccia felice come ad una recita scolastica, senza però attirare le attenzioni dovute. Tutti lo guardarono piuttosto perplessi, eccetto poi Keigo che, come ad aver capito una barzelletta a scoppio ritardato, si mise a ridere come un beota a ricordo dei bei tempi passati.
“Kuchiki, quest'uomo è geniale davvero!!”
“Vero, vero?! Qualcuno che apprezza i miei sforzi all'incontrario di voi due musoni!”
a quelle parole Rukia sospirò di rabbia repressa e Nnoitra si grattò il fondo-schiena con indifferenza. La donna stava iniziando a capire il motivo di quella sua pagliacciata. Era strano, ma pareva che a tutti per quella notte, fosse successo qualcosa di inaspettato.
“Ad essere onesti, mi sembri uno stronzo gigante, anziché una carota...”
stavolta fu il turno di Nnoitra a ridacchiare basso per quella battutina volgare fuoriuscita dalle labbra della sua assistente, mentre Keigo spense il tasto delle risate e la guardò perplesso. Non se la ricordava così sboccata l'adorabile Rukia. Purtroppo lui non conosceva bene chi era quell'uomo vestito da carota, altrimenti l'avrebbe ben compresa.
“Ma dai... Davvero? E si che a tuo fratello cara la mia Rukia, è piaciuto tanto il mio camuffamento!”
Se la giovane sperava di aver colpito Ichimaru nel profondo, si sbagliava di grosso. Anzi, a quelle ingiuriose parole, il volto dell'uomo incassato in quegli strati di gommapiuma sorrise maggiormente e con fare quasi malevolo.
Un particolare – questo e soprattutto le parole dette – che portarono il coniglio a gelare il sangue nelle vene.
“Mio fratello... Byakuya nii-sama, è qui?!”
Le venne quasi da balbettare, mentre a Gin venne da sorridere maggiormente per la vittoria di averle fatto fare quella faccia.
“Oh si mia cara! Ed era curioso di vedere il nostro avvincente duo dopo che gli ho raccontato che lo facevi anche tra amici... Oh! Dalla faccia che fai sembra che tu non glie l'abbia mai detto! Troppo umiliante per dirglielo? Naah! Vedrai che ce la spasseremo assieme!”
Se esisteva un Dio da qualche parte sopra le loro teste, allora quel dio doveva volerle un gran male per averle fatto un simile dispetto.

[…]

Quello che notava alla fine, non si discostava troppo da quello che si vedeva in certi film alla televisione.
Inoue doveva ammetterlo, il posto era bello e l'organizzazione impeccabile.
Alzando la testa poteva ammirare le stelle grazie al tetto a cupola fatto di pannelli in vetro, mentre il pavimento sotto i suoi piedi era pressoché immacolato. Di solito alle feste si tramutava velocemente in un mantello pezzato fatto di macchie di cibo e di bevande analcoliche. Ma li, anche se le persone erano costrette dentro costumi a dir poco assurdi, avevano la classe di un maestro di spada a maneggiare calici di cristallo sottilissimi e tartine microscopiche.
E Aizen?
Dopo un breve stupore iniziale – chiamarlo stupore quello, con i consiglieri comunali sbigottiti e gli altri commensali divertiti – Sosuke Aizen aveva ancora una volta ammaliato tutti con la sua parlantina sciolta e affabile.
L'aveva pure presentata al pubblico altolocato che si era avvicinato in massa, prendendosi sguardi curiosi e affamati da tutti quei politici e gente da bene, da rimanerne ben presto nauseata.
La stretta di mano di Aizen sama durante quei momenti concitati fu alquanto confortevole – calda e rassicurante come lo era la sua voce – ma poi sentì l'istinto di dover mettersi da parte nell'esatto momento in cui il suo direttore dovette salire sul palco per fare il suo solito discorso annuale.
Si rifugiò accanto ad una pianta dalle folte fronde verdeggianti, come a voler cercare protezione da tutto quel mondo a lei sconosciuto. E che onestamente le faceva paura.
Stava iniziando a sentire la mancanza di suo figlio e delle feste tutt'altro che piene di etichetta che si facevano all'asilo. Per di più, sperava che Grimmjow non facesse nulla di... Spropositato e pericoloso per lui e per il piccolo.
Ma che vado a pensare?
Scosse la testa frastornata e un poco malevola a pensare simili cose, tentando quindi di prestare orecchio al discorso che si stava tenendo sul palco.
Aizen, sempre e comunque, riusciva ad uscirne immacolato pure in situazioni come quella.
Appena salito sul palco e messo piede sul banchetto per leggere le poche righe di un discorso noioso, volle metterci un po' di suo per rompere il ghiaccio.
Tutti quegli occhi puntati... Inoue sarebbe fuggita subito e senza dare spiegazioni. Invece lui sorrise.
Sorrise sottilmente e con grande fascino ad un pubblico composto da anziane signore divertite, da giovani sbigottiti e confusi, fino al gruppo di politici che lo guardavano con la puzza sotto il naso.
“... Dalle vostre facce posso ben capire che il mio costume vi possa apparire alquanto insolito – borbottio della folla e qualche lieve risata – ... In effetti, sono alla festa giusta vero?!”
le risate dal folto pubblico aumentano così come i consensi. Orihime doveva ammetterlo, stava risultando divertente pure per lei. Anche se continuava a rimanere nascosta.
Qualcuno di voi ha visto la mia frusta, per caso?!”
A quel punto la folla entrò quasi in delirio, ridendo di gusto e applaudendo con forza a quelle parole a dir poco irriverenti.
Ce l'aveva fatta alla fine. Sosuke Aizen era riuscito ad accaparrarsi i consensi del pubblico un poco alla volta, con azioni che sembravano ben mirate.
Per lui quel pubblico era formato da gruppi differenti, quindi in teoria bastava semplicemente far presa sulle loro mentalità – fin troppo semplici e apparentemente aperte – per poter avere un'immagine più che cristallina anche per quell'anno.
Per i giovani bastava avere un parlantina sciolta ma affabile, con le signore la giusta dose di fascino, mentre con i loro potenti mariti... Solo lievi occhiate di sfida.
Poi per gli ultimi cinque minuti di discussione, Sosuke si limitò a fare le solite raccomandazioni di buon auspicio ai suoi dipendenti e per quelli della compagnia rivale. Per quanto quel vestito stesse diventando ormai insopportabile, con le cinghie così strette da andargli quasi a lacerare la pelle, non una sola goccia di sudore intaccò la sua fronte.
Solo le parole e i gesti erano un po' più lenti del solito. Ma ciò poteva anche essere riconducibile nella volontà di enfatizzare le proprie parole, che difficoltà vera e propria.
Fu però Orihime ad accorgersi che qualcosa in lui non andava.
Sicuramente li in mezzo vi erano dei dottori ben più esperti di lei che era una semplice infermiera, uomini di scienza che ad una sola occhiata e pure di sfuggita avrebbero intuito che quell'uomo non stava affatto bene. Ma a quanto pare, o a nessuno interessava perchè non era orario di lavoro – ed era quindi li solo per divertirsi – oppure non si erano accorti delle sue condizioni fisiche.
Esattamente, sembrava che solo lei se ne fosse accorta. E per principio non poteva lasciare che un uomo collassasse dinnanzi ad una folla di avvoltoi in maschera come quella.
Quindi, mordendosi il labbro inferiore, represse i propri timori e decise di agire di conseguenza. Appena il suo direttore ebbe finito con il discorso, prossimo a scendere sotto una pioggia scrosciante di applausi per sommo dispiacere dei consiglieri, Inoue si fece strada tra la folla in maschera per raggiungerlo il prima possibile.
Fece fatica – un signore vestito da fragola gigante era quasi un muro da dover superare – ma alla fine lo raggiunse nell'esatto momento in cui i suoi piedi toccarono il pavimento di marmo della sala.
Era pallido e si stava sforzando di deglutire. Ma era altre sì vero, che non poteva permettersi di svenire. Ne lei poteva permettersi di fargli fare brutta figura strillando “lei sta male!! Ora l'aiuto!!”.
No, non era da lei essere così indiscreta.
Per questo deglutendo si fece coraggio, avvicinandosi a lui con tranquillità mista a timidezza.
“Ah... Inoue vedo che siete qui...?”
La sorpresa nelle sue parole si spense quando la donna lo abbracciò quasi con cautela.
Gli cinse le braccia avvolte in quella stretta pelle, andando infine a toccare con le mani la schiena piena di cinghie. Il tutto, con estrema delicatezza lasciandolo per un momento curiosamente perplesso.
Tralasciando la calca di gente che quasi ignorò il gesto della giovane – chiedendogli a gran voce domande e complimentandosi con lui per il discorso fatto – affrettandosi magari a scattare qualche foto per immortalare la scena.
“La prego... Mi segua... Basta così...”
la giovane sussurrò tali parole al suo orecchio sinistro (l'unico lasciato libero dalla sua maschera) con una dolce preoccupazione mista all'ansia di vederselo crollare da un momento all'altro, che non poteva ignorarla deliberatamente.
Per istinto quindi, ricambiò quel delicato abbraccio e acconsentì con un lieve cenno della testa. Quella ragazza decisamente, non era una stupida.
“Aizen... Signore, va tutto bene?!”
a raggiungerli quasi di soppiatto – ma facendosi pure lui la sua faticosa strada tra la folla – fu Kaname Tousen che volle immediatamente informarsi sulla situazione. L'intuito e i sensi di quell'uomo, Orihime doveva constatarlo sorprendentemente, erano affinati come quelli di un felino.
“A dire il vero no, mio caro Tousen... Questo vestito inizia a starmi stretto – fu incredibilmente discreto a sussurrare all'orecchio dell'avvocato, per poi aggiungere – credo che sia giunto il momento per me di ritirarmi...”
Parlava quasi a fatica mentre ancora “stretto” nell'abbraccio della donna, lentamente stavano iniziando ad allontanarsi verso una uscita di servizio.
Il moro annuì nel sentire quella voce solo lievemente sofferente, prendendo quindi in mano la situazione.
“Raggiungete pure la limousine signore, al resto penso io”
Il suo fu quasi un sacrificio di darsi in pasto a dei leoni affamati, mentre Orihime prese per mano il proprio datore di lavoro per accompagnarlo fuori sotto un mare di flash compiaciuti e di chiacchiere deliranti.

Ma per Inoue poco importavano le chiacchiere che si sarebbero fatte sui giornali di gossip l'indomani. Lei voleva unicamente che quell'uomo stesse bene. Altrimenti non se lo sarebbe mai perdonato.
Una volta fuori infine – ci impiegarono al massimo un paio di minuti – ebbe la fortuna di trovarsi la macchina a due passi appena parcheggiata. Evidentemente, Tousen doveva aver telefonato all'autista che deve aver corso come un folle dal parcheggio fino a quella zona.
“Coraggio” fece lei, aiutandolo a salire in macchina mentre l'autista – pure lui stretto nella sua rigida divisa – teneva aperta la portiera per fare accomodare entrambi. Lo sguardo del giovane era teso nella paura di aver commesso errori madornali ad aver messo la macchina altrove e non li.
Tuttavia Inoue lo ringraziò sottilmente imbarazzata, prima di chiudersi dentro l'ampia cabina posteriore e prestare aiuto.
“Uuhh...” mormorò lui appena il capo toccò il poggiatesta in pelle nera. Chiuse persino gli occhi e tentò di prendere fiato ma quasi inutilmente.
“Aspetti... Uhm... Devo toglierle questa roba, signore. Posso...?”
Titubante, la giovane si avvicinò al suo fianco quasi in imbarazzo, prima di iniziare ad ormeggiare con le cinghie appena notato il suo accenno con la testa.
Non c'era tempo per imbarazzarsi nello spogliare un uomo che era pure il suo datore di lavoro. L'importante era di farlo respirare, di farlo rivivere prima che quella crisalide lo stritolasse del tutto.
Stressata per la situazione e per le mani che le tremavano, Inoue decise di togliersi via la coroncina di spighe – che le dava davvero un gran fastidio alla testa – buttandola lontano e prestando unicamente attenzione all'uomo che aveva dinnanzi.
Con le mani prese a sciogliere le cinghie di metallo una alla volta. Velocemente, ma stando attenta a non fargli troppo male, slacciò via quelle corde nere notando immediatamente un miglioramento.
“Ohh... Cielo”
Improvvisamente il petto riprese ad alzarsi e abbassarsi con più velocità, mentre l'aria iniziava a ritornare ai polmoni dentro quel corpo pallido e ora finalmente pregno di freddo sudore.
Restava la zip da tirare giù, anche se già sapeva l'infermiera, che ciò non sarebbe bastato. Quel vestito ripugnante lo stava stringendo ovunque.
“Mi dispiace – si morse il labbro inferiore per darsi coraggio – ma credo che dovrò toglierglielo del tutto...”
“Qualsiasi cosa Orihime... Purché questa tortura cinese finisca al più presto. Ti do il mio consenso di spogliarmi...”
La donna non se lo fece ripetere due volte, abbassando repentina quella zip che stringeva dal collo fino alle ginocchia, con un gesto preciso e fluido. Immediatamente, oltre al sospiro discreto e liberatorio di Sosuke Aizen, il petto e le carni si allargarono maggiormente alla loro forma originaria. Gli addominali pieni di strisce rosse – i segni delle cinghie sulle carni – tornarono ad alzarsi e abbassarsi con regolarità per quella normalità ritrovata, così come il petto dove una fibbia di metallo aveva lasciato una lieve escoriazione.
Non bastava però, gli arti rimanevano ancora schiacciati dentro quello schifo. Ma come poteva una persona indossare quella roba?

A ripensarci, mentre erano in viaggio Aizen le aveva detto di essersi vestito da Tron – film che lei non aveva mai visto – ma a quanto pare si trattava di una “imitazione scadente”, anche se pure lui sembrava non crederci troppo.
Nessuno dei due sapeva infatti che il vero vestito di Tron in quel momento si trovava da tutt'altra parte. Addosso ad un ultra ottantenne in un locale “particolare” e dall'altra parte della città.
L'unico ad essere sinceri, a non avere un abito in pelle nera munito di borchie e frustini ma con in compenso tanti led luminosi. E questo a quel vecchietto stavano costando un mare di occhiate perplesse e snob.
Si, era più probabile che la ditta di spedizione si era sbagliata lei a imballare quegli oggetti, tuttavia ora non aveva più importanza.

Inoue finalmente decise di liberargli anche gli arti.
In principio, provò a strattonare via quelle componenti con la sola forza bruta. Ma il risultato era scarso e Sosuke ghignava lievemente di dolore. Mortificata, andò a cercare in giro per la cabina del lubrificante che la facesse scivolare via.
Nella limousine era presente uno scomparto con dei liquori dentro a raffinati contenitori in cristallo, ma quelli non andavano affatto bene. L'acqua non avrebbe fatto altro che aumentare l'attrito e il liquore... Non avrebbe fatto altro che impregnare di alcool il suo superiore e basta.
“Accidenti...” mormorò in preda all'ansia.
Muoveva la testa ovunque quasi preoccupata di fallire – su cosa non lo sapeva era un momento concitato – che solo dopo un mezzo minuto di pensiero nervoso le venne una idea.
Un po' malsana forse... Ma era l'unica che poteva funzionare.
Dentro la borsetta che aveva lasciato in macchina precedentemente, aveva conservato delle bustine di olio di oliva quando una settimana fa era andata ad un fast food italiano con alcune sue amiche.
Come lubrificante poteva essere ottimo, anche se era poco. Doveva quindi dosarlo bene.
Forse come soluzione era alquanto squallida e imbarazzante, però era l'unica cosa sensata che poteva fare.
Si girò a guardarlo e si dette forza. Si stava riposando e aveva gli occhi chiusi, tuttavia doveva sempre e comunque chiedergli il permesso...
“Signore, come va adesso?!”
“Ahh... Decisamente meglio ora. Anche se i miei arti superiori non me li sento...”
sospirò quelle ultime parole, tenendo sempre e comunque gli occhi chiusi. La donna deglutì per sopprimere l'imbarazzo.
“Dovrò toglierle anche i pezzi superiori, però dovrò usare dell'olio per farlo sciv...”
Tutto quello che vuoi, Orihime”
Le sue parole, per quanto calme e quasi seducenti alle sue orecchie, avevano il sentore di un obbligo. Seppur non diretto.
Era il suo potere di condizionamento della mente umana. Era il farti sentire in dovere sempre e comunque, anche se in quel preciso momento aveva davvero bisogno di un aiuto sincero.
Mordendosi nuovamente il labbro inferiore ormai del tutto arrossato, Orihime Inoue si apprestò a strappare le bustine di olio alimentare. Per spalmarlo immediatamente sulla pelle rosea e bagnata di sudore di Aizen, con gesti lenti e curati.
Finalmente con calma riuscì a sfilare via quella robaccia, accompagnata dai suoi mugolii stanchi e di sollievo per quella sensazione di liberazione che provava ad ogni centimetro di carne liberata.
Fu un lavoro delicato e difficile, però alla fine Orihime riuscì a spogliarlo quasi del tutto. Oltre a quell'indumento di pelle aveva soli i boxer addosso – grazie al cielo – e da togliere mancava solo la bendatura alla testa.
“Un ultimo sforzo signore...” anche se la cosa valeva pure per lei.
Si avvicinò a lui ancor di più – quel tanto che bastava per studiarsi la maschera e capire come toglierla – e prima ancora di potergliela sfilare, il paziente rinvenuto le bloccò ambo le mani.
La sua era una presa decisa ma non dolorosa sia ben chiaro. Ma fu il suo gesto nell'insieme a far trasalire Inoue.

Basta così... Mia cara...”
Sussurrò con il solito garbo quella parole di comando, ad una ragazza che aveva letteralmente fermato il battito cardiaco per un paio di secondi. In quel preciso istante aprì gli occhi – quegli occhi dannazione – scrutandola con così tanta intensità da farla sentire piccola, piccola.
“Questa posso toglierla io, non ti preoccupare...”
Convincente ancora una volta, la giovane gli dette nuovamente – per istinto – ragione. Aveva fatto del suo meglio e ne era consapevole, Sosuke ne sarebbe stato riconoscente e l'avrebbe ricompensata. Questo dicevano i suoi occhi castani.
Allora perchè aveva paura?
Era l'istinto primordiale a farle accelerare il battito cardiaco. Era il sesto senso a farle tremare le ginocchia appoggiate sul sedile, mentre quelle pallide mani scivolavano via dai suoi polsi, percorrendo tutta la lunghezza delle sue braccia fino a giungere alla base del collo.
Brividi, ancora brividi.
Avvertiva la pelle incresparsi quando quei polpastrelli leggermente ammorbiditi dall'olio di oliva passavano su di essa, fino a giungere a sfiorarle le labbra quasi come ad una vergine sacra.
Gesto che la spaventò dal profondo seppur stuzzicandola controvoglia, era in realtà frutto di uno spiacevole malinteso.
“Gradirei... Dell'acqua... Ho le labbra un po' secche mia cara”
“Oh... Ah si! Cer-to, faccio subito... Mi scusi...”
Quella lieve sensazione, quel tocco leggere che l'aveva per un attimo confusa in bilico tra piacere e disgusto, mista nella confusione dei sensi e della mente, la ridestò di colpo quasi in imbarazzo per essere rimasta imbambolata troppo a lungo.
Maledettamente confusa, frastornata per eventi che di certo non le appartenevano, si aggirò nervosa per quella cabina tastando con mani tremanti qualunque oggetto per trovare dell'acqua.
Consapevole, che mentre si stava togliendo quella bardatura alla testa, Aizen Sosuke sorrideva compiaciuto per quelle emozioni che era riuscito a estrapolare.
Solo quando la donna riuscì a trovare una bottiglietta piena d'acqua, la neutralità tornò a farsi strada sul suo volto perfetto.
“Questa è stata decisamente una serata spiacevole per lei, signora Orihime. Me ne scuso... E la ringrazio dal profondo del cuore per avermi aiutato”
Era incredibile come si rivolgesse a lei in prima persona solo in determinati casi, tornando in terza persona solo quando aveva ottenuto ciò che desiderava. Una forma di complicità fine a se stessa, che purtroppo aveva fatto parecchie vittime e ancora continuava a farle.
Accidenti a lei.
“Oh non si preoccupi. Lei non poteva sapere che...”
“Vuole che la riaccompagni a casa?”
Diretto e inflessibile, seppur esausto e mezzo nudo Sosuke manteneva una delicata autorità sempre e comunque.
Non riuscì a guardarlo in faccia. Non dopo tutti gli errori – o presunti tali – che aveva commesso nel prestargli aiuto. Inoue si limitò a deglutire guardandolo di scorcio, pregando (invano) che lui non notasse il suo vistoso rossore, limitandosi ad annuire con la testa.


Per il prossimo anno sarebbe tornata a vestirsi da carota gigante.



Desclaimer prima di tutto!
Come è giusto che sia – e se avete letto sino a qui – credo che debba dare delle spiegazioni sui costumi che i nostri eroi indossano.
Per Aizen (come dico prima del titolo) è un “abito” che si è visto in uno degli ultimi capitoli del manga, mentre per gli altri è diverso. Ad ogni modo, il film Tron è del 1982 ed il regista è Steven Lisberger. Il film, prodotto dalla Disney, vantava per l'epoca una animazione all'avanguardia e futuristica. Si tratta del primo film della casa di Topolino a fare un uso pesante della computer-grafica.
Ichigo: Se non sapete chi è Mr. Orange andatevi a vedere “Le Iene” del regista Tarantino. Nel profilo creato da Tite Kubo, c'era scritto che Ichigo rispettava (se non erro) il regista/attore Al Pacino. Tale attore ha lavorato anche con Tarantino, quindi magari ho pensato che a Ichigo potesse piacere pure lui come regista (lo so, è uno schifosissimo azzardo XD ma ce lo vedo a guardarsi “Kill Bill” spaparazzato in poltrona, scusatemi XD)
Nnoitra: Sempre e comunque cito la sposa di “Kill Bill” di Tarantino. Il nome del personaggio interpretato da Uma Thurman era, appunto, Beatrix.
Grimmjow e i suoi uomini: andiamo... Questa era facile XD. Il film “300” di Zack Snyder non vi dice proprio nulla?

Una menzione speciale infine, al vecchietto sadomaso ispiratomi al film demenziale “Palle al Balzo”.

Ok, se avete letto questo mio raccontino di Halloween sono molto felice, e spero in un vostro commento. Ovviamente, scriverò ancora su questa festa poiché ho altre situazioni da mostrare e il contest su Fanworld lo richiede.

   
 
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