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Autore: Hanairoh    25/10/2010    2 recensioni
[Terza classificata al contest The Graveyard di Forgotten Stories]
Sogno e realtà. Un confine sottilissimo che Bryanne, una giovanissima prostituta del Queens newyorkese, attraverserà nella fredda notte della vigilia di Ognissanti.
Genere: Dark, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Alla mia Sister, per tutte le notti prima degli esami da 30 e lode che mi hai fatto passare in bianco.

Ti auguro di prendere 18 la prossima volta.  

 

Bryanne s’addormenta a mezzanotte  

 

Le aveva dato poco più di cento dollari, il bastardo. Centodieci miseri dollari con cui non poteva comprarsi praticamente nulla di quello che le serviva, ma Bryanne non osò lamentarsi. Le faceva schifo il pensiero di farsi toccare ancora solo per qualche bigliettone in più. Aveva raccolto i propri vestiti in fretta e furia e aveva intascato i soldi senza neanche ringraziare.

“Non me lo dai un bacino, tesoro?”, chiese suo padre con la voce ancora roca mentre si riallacciava la cintura. Prima di chiudere la porta con veemenza lo sentì sghignazzare come un maiale. Paragone piuttosto azzeccato, le venne da pensare e cominciò a ridere. Non smise neanche una volta scesa in strada. Che la fissassero pure, che la prendessero per pazza. Le risate si fecero più acute quando vide un’anziana donna coprire gli occhi di un nipotino incuriosito. Nella sua innocenza infantile, doveva averla trovata buffa. Era così che le appariva? Una fata vestita di nero o una strega di Halloween particolarmente bella, non vecchia e con le verruche come facevano vedere in televisione? Sorrise e il bambino arrossì. Sua nonna –o forse era sua madre?- le rivolse un’occhiata scandalizzata e lo trascinò via.

Bryanne era abituata a ricevere sguardi di quel tipo: compassionevoli, accusatori, a volte perfino disgustati. Perché stai qui?, sembravano chiederle ogni volta. Non ti vogliamo, vattene a lavorare.

Lo avrebbe anche fatto, se avesse avuto competenza e soprattutto una fedina penale pulita: aveva perso il conto dei dollari sborsati da Isabel per farla uscire su cauzione tutte le volte in cui finiva dentro. Inoltre, anche se avesse avuto un curriculum immacolato ed uno straccio di titolo di studi, scopare era l’unica cosa che le riusciva bene, a giudicare dagli squallidi apprezzamenti dei suoi clienti.

Si fermò davanti alle tende rosse del Joe’s. Se Isabel non era lì, allora doveva trovarsi dentro. Aprì la porta, che si richiuse con un dolce tonfo, e sospirò per il cambio di temperatura: fuori faceva un freddo bestiale e il cielo coperto minacciava pioggia, il degno scenario per la vigilia di Ognissanti. Non erano ancora le nove, eppure un nutrito gruppo di clienti già affollava i tavolini. Sapeva dove trovare Isabel; senza curarsi degli sguardi famelici degli uomini che sembravano spogliarla con gli occhi, s’infilò nell’attiguo bagno di servizio. Era abbastanza pulito, e soprattutto vuoto. Qualcuno tirò lo sciacquone e fece scorrere l’acqua dal lavandino, sospirando pesantemente.

“Ne hai ancora per molto?”, chiese Bryanne con voce fintamente scocciata. La porta si aprì subito e lei venne travolta da un uragano con i capelli biondi.

“Scusa il ritardo”, rise la sua migliore amica stritolandola con le braccia esili. La allontanò per studiarla bene, poi fece un sorriso.

“Da quando ci si veste di verde ad Halloween?”, le domandò con un sorriso che andava da un orecchio all’altro mostrando una fila di denti bianchi e perfetti.

Bryanne scrollò le spalle; a dire la verità non si era curata molto del proprio aspetto, a suo padre non importava con quali abiti si presentasse da lui –a patto che fossero facili da togliere, s’intende. Vedendo il suo riflesso nello specchio, però, capì di essere impresentabile. “Dai che ti do una mano”, le disse Isabel e la fece voltare posizionandosi alle sue spalle. Trafficò un momento con la chiusura di una borsetta e la svuotò sul marmo alla ricerca del pettine. Difficile immaginare di poter trovare qualcosa in mezzo a tutto quel caos di sigarette, accendini, tamponi e scatoline di farmacia –preservativi, indispensabili quando facevi quel mestiere.

Mentre si faceva pettinare i riccioli castani, Bryanne osservò meglio la sua amica: era bellissima come sempre, con quel viso perfetto e i capelli biondi da cherubino. Non la classica prostituta che ti aspetti, con le tette grandi e la sigaretta tra le labbra.

“Devi fare colpo su qualcuno?”, la provocò intuendo la risposta. Isabel era arrossita. Non rispose, ma uno strattone appena più forte ai capelli fece gemere Bryanne di dolore. Finì di pettinarla e le prese il viso tra le mani, chiedendole di stare ferma. Ripassò l’ombretto scuro e la matita sotto gli occhi, in contrasto con la carnagione bianchissima, ed infine le applicò una buona dose di stick sulla bocca piena.

“Sei ufficialmente perfetta”, le annunciò riponendo tutto quanto nella borsetta. Mentre Bryanne ammirava l’opera, l’amica venne distratta dallo squillo del telefono. Un messaggio, al quale rispose con poche parole.

“Chi era?”, chiese sistemando un ricciolo ribelle dietro l’orecchio.

Anche Isabel aveva finito di prepararsi. S’infilò nella giacca di pelle nera ed aprì la porta del bagno. “Chad. Dice di portare dieci verdoni con noi per l’ingresso”, annunciò con irritazione.

L’altra spalancò la bocca. “E da quando si paga per entrare?”.

“Da quando a spacciare la roba è Ben Harley”.

Merda. Tutti a Middle Village conoscevano Ben; si diceva che andasse in giro armato, sempre accompagnato dalla sua Crystal, fidanzata-barra-puttana ufficiale. Era un tipo pericoloso e per niente affabile, una schifosa sanguisuga che, purtroppo, vendeva la migliore roba del Queens.

Mentre uscivano dal bar, Bryanne notò una busta che la bionda reggeva con cautela e da cui provenivano suoni argentini. Sembrava piena.

Spalancò la bocca. “Dove hai trovato tutto quel ben di Dio?”.

Isabel scrollò le spalle. “Nel quartiere cinese. Figurati se ci sono allarmi o telecamere”. Non disse il valore della refurtiva, tuttavia Bryanne pensò che si trattasse di una cifra a due zeri.

Camminavano già da qualche decina di minuti, rallentate appena dai tacchi. Si trovavano in una strada di periferia buia e sudicia ma non deserta: all’angolo, davanti al cancelletto sbarrato di quello che era stato il cimitero del quartiere, intravidero delle figure, alcune familiari. Nonostante la poca illuminazione riuscivano a distinguere i capelli ossigenati di Chad –Isabel accelerò automaticamente il passo, aveva sempre avuto un debole per quel ragazzo- e vicino a lui, appoggiata al muro, c’era Shelly. La si riconosceva dall’altissima coda di cavallo scura.

La prima cosa che uscì dalla bocca ben fatta di Chad fu: “Avete portato i soldi?”. Annuirono e lui sospirò leggermente incazzato. “Giuro che è l’ultima volta che chiedo un favore ad Harley”, mormorò stancamente. “Si crede il padrone del Queens!”. E continuò a borbottare per un altro po’. Sia Bryanne che Isabel evitarono di ricordargli che Ben Harley era effettivamente il padrone del Queens, almeno dalle parti di Maspeth.

Arrivò altra gente. Salutarono Sam ed Ian, sempre appiccicati come francobolli, ma né Isabel e né Bryanne conoscevano gli altri. Dall’aspetto, però, dedussero che non fossero poi così diversi da loro. Barboni, spacciatori, prostitute, ragazze madri e figli di papà scappati da casa…Bryanne era troppo abituata a vivere per strada per non riconoscere i segni.

***

 

Come si addice alle vere star, Ben e Crystal arrivarono per ultimi. Lei gli stava aggrappato al braccio con aria compiaciuta, superiore, come se scoparsi il boss di Middle Village la rendesse la First Lady. D’altro canto, con tutti quei muscoli Ben incuteva terrore a prima vista. Nel buio Bryanne intravide qualcosa scintillare all’altezza della cintura.

Parlò con voce profonda ed autoritaria che trasudava minacciosità.

“Ora mettetevi in fila. Chase, perquisiscili. Le regole le sapete: niente armi e niente grane. Se qualcuno spiffera qualcosa ai piedipiatti…”.

E chi lo farebbe, pensò Bryanne mentre Chase, la copia bionda e più smilza di Ben, controllava la sua borsa e intascava i soldi. Si trattenne dall’esprimersi davanti ad Isabel ed entrarono.

Si trovarono a camminare lungo un sentiero di terra battuta, rischiando seriamente di spezzare i tacchi sottili. Tutt’attorno la sterpaglia cresceva alta ed irregolare, soffocata dalla spazzatura e dalla roccia; non c’era niente su cui sedersi a parte qualche vecchio tronco d’albero caduto. Era tutto buio e da nord soffiava un vento freddo che portava alle loro narici un buon odore di terra umida. Più si addentravano nel cimitero, meno riuscivano a vedere.

“Wow, hanno fatto le cose in grande”, ridacchiò Isabel indicando alla sua sinistra. Bryanne si accorse che da lì proveniva una luce più o meno forte. Solo allora vide che erano circondati da lapidi rovinate e sbiadite tanto che si faticava a leggere le iscrizioni. Tutto era ricoperto dalla polvere e di sicuro i ragni che zampettavano irrequieti non erano finti. Contro il cielo scuro si stagliavano le figure di una cappella in rovina e, più lontano, di una costruzione bassa, probabilmente una camera mortuaria.

 “Sembra di essere in un film di Wes Craven”, disse qualcuno.

“Ho bisogno di farmi una spada”.

“Cazzo, sei proprio un drogato di merda!”, lo sbeffeggiò un altro.

In uno spiazzo più o meno circolare, tra erba incolta ed alberi spogli, erano state sistemate tantissime lanterne a forma di zucca (erano quelle a fare luce) che proiettavano sul muro di cinta la classica smorfia della vigilia di Ognissanti, in quello che ricordava vagamente un inquietante gioco di ombre cinesi. Dei ragazzi stavano collegando un paio di HPR, ovviamente rubate, ad un generatore elettrico portatile.

La musica esplose senza preavviso. In parecchi sobbalzarono, altri lanciarono urla d’entusiasmo e cominciarono a dimenarsi a ritmo. Bryanne vide Chad avanzare verso di loro con una birra in mano.

“Vale quasi i dieci dollari”, gli disse Isabel accavallando le gambe con fare accattivante. La minigonna lasciava scoperta buona parte della coscia ben tornita. Chad deglutì vistosamente e la bionda sorrise con malizia.

“Hai quasi ragione”, disse con voce leggermente roca. Allungò la mano e prese quella di Isabel che lo guardava emozionata. “Posso farti vedere come intenderei migliorarla?”. La bionda fece appena in tempo a lasciar cadere la busta degli alcolici tra le braccia di Bryanne che Chad l’aveva già trascinata via tra la massa di corpi che affollavano lo spiazzo. Per qualche minuto Bryanne rimase a contemplare il cielo carico di nuvole sopra di lei, poi si fece spazio tra la folla alla ricerca di qualche volto familiare. Riconobbe con la coda dell’occhio Richard –una delle scopate migliori della sua vita- e la sua nerissima sorella Thelma con cui viveva ad Harlem; vide Ian e Sam che, seguendo l’esempio di Isabel e Chad, stavano sgattaiolando via alla ricerca di un posto tranquillo dove amoreggiare. Shelly rispose a malapena al suo saluto, evidentemente troppo fatta per emettere suoni di senso compiuto. Tutti gli altri erano per lei degli sconosciuti. Sentendosi una perfetta cretina a girovagare da sola per quello schifo di cimitero, Bryanne pensò che Isabel non se la sarebbe presa troppo se avesse attinto dalle sue scorte.

“Porca…”, le scappò sorridendo alla bottiglia di vodka liscia a cui si attaccò come un neonato al seno materno. Le prime sorsate le bruciarono la gola e lo stomaco, ma poco dopo il fastidio fu rimpiazzato dalla più fantastica delle sensazioni: un’overdose di beatitudine, un orgasmo di pace.

“Scusami. Ehi tu, riccia!”.

Una mano le toccò la spalla per farla voltare e rischiò di far cadere la bottiglia. Si ritrovò a fissare il più bel paio d’occhi che avesse mai visto: grigio chiaro, quasi argentato in corrispondenza della pupilla, circondati da folte ciglia scure. La cosa che notò subito dopo fu che lo sconosciuto non era molto alto, ma la perfezione dei suoi tratti compensava quei pochi centimetri in meno. Era già ubriaca? Provò l’improvviso desiderio di baciare quelle labbra carnose fatte apposta per essere morse e leccate, di passare una mano sull’ampio torace che, almeno attraverso la maglietta scura, sembrava essere stato scolpito nel marmo. Avrebbe voluto essere quel ciuffo di capelli neri come l’inchiostro solo per poter accarezzare il viso cesellato ed essere toccato dalle sue mani affusolate.

Lei era quel che era, ma non avrebbe esitato a farselo lì in quel momento e gratis. Forse aveva sniffato della roba senza accorgersene e quello era una specie di miraggio. Si diede della stupida, riacquistò un po’ di contegno e pigolò un timido “Sì?”.

Lo sconosciuto lasciò la presa sulla sua spalla, con grande disappunto di Bryanne. “Ti ho vista prima. Sei con Isabel”.

Bryanne cercò di non mostrarsi delusa. Ovvio che avesse notato Isabel prima di lei, chi non lo avrebbe fatto? Probabilmente l’aveva avvicinata solo per chiedere la sua tariffa.

“Si, ma adesso è impegnata. Riprova tra qualche ora”, gli rispose un po’ acida.

Alzò un sopracciglio. “E chi ha detto niente? Io cercavo te”.

Beh, questa che era una sorpresa. Cercò di non mostrarsi troppo compiaciuta e portò una mano alla testa in quello che sperava sembrasse un gesto casuale per controllare che i capelli fossero a posto. Sempre con nonchalance, si aggiustò la magliettina e la fece calare un po’ per lasciare in mostra ciò che solitamente interessava ai clienti. Notò con soddisfazione che il ragazzo la fissava ad occhi sbarrati.

Cercò di trascinare la conversazione solo per risentire la sua voce. “Come conosci Isabel?”. Domanda poco originale e soprattutto stupida: per Isabel c’era un solo modo di conoscere i bei maschioni del Queens, e Bryanne sapeva che non si sarebbe mai lasciata scappare un esemplare del genere.

Ma la risposta la sorprese: “L’ho incontrata un paio di volte a Juniper Valley. Le ho offerto una granita e abbiamo parlato un po’. Pensavi che fossi un suo cliente, vero? Logico, non si può essere amici di una prostituta senza che tutti pensino male”.

Bryanne si sentiva un po’ imbarazzata; era vero, la sua prima impressione era stata quella. Ma non voleva che lui lo pensasse. “E chi ha detto niente?”, lo citò con un gran sorriso che lui ricambiò. Aveva una dentatura bianca e perfetta, ma cosa in lui non lo era?

“Non mi sono neanche presentato”, disse tendendo la mano. “Tristan”.

Lei la strinse e cercò di prolungare quanto più possibile il contatto. “Bryanne”.

 ***

 

Bryanne scoprì molte cose sul suo nuovo amico: cosa più importante da ricordare, detestava il suo nome ed insisteva che lo chiamasse solo Stan. Viveva a Fort Hill con la madre, era figlio unico e dopo il diploma si era iscritto al Queens College nonostante le proteste materne.

“Avevo un cane, un pinscher, ma qualcuno lo ha avvelenato quando facevo la prima media e da allora non ho più avuto animali. Sarebbe stato come rimpiazzarlo”. Mentre parlava e gesticolava, Bryanne non poteva fare a meno di notare la dolcezza della sua voce e l’eleganza con cui si portava la bottiglia alle labbra. Si ritrovò a fissare il suo pomo d’Adamo che andava su e giù, ed ogni volta si sentiva attraversare da scariche di desiderio come mai le era successo prima.

“Scusami, ti ho annoiato”, disse dopo un po’ forse fraintendendo le occhiate che la ragazza gli lanciava. Sembrava deluso. “Ora vado, i miei amici mi staranno cercando”. Prima che lei potesse dire qualcosa, si sporse per darle un bacetto sulla guancia –il cuore di Bryanne era a mille- e sparì di nuovo tra la folla.

“Mio Dio”, sussurrò portandosi una mano sul cuore. Com’erano nuove e potenti quelle emozioni! Si sentiva frastornata, confusa, ma anche euforica come una dodicenne alla sua prima cotta. Era decisamente alticcia. Le venne un’improvvisa voglia di ridere che soffocò con una generosa sorsata di vodka. Infine, si alzò dal muretto diroccato dove lei e Tristan –pardon, Stan- si erano appartati e decise di andare a recuperare Isabel; non osava immaginare lo stato in cui l’avrebbe trovata.

In quel momento si rese conto di quanta gente ci fosse davvero: dovevano essere più di cento le persone che affollavano quel cimitero e quella massa di corpi sudati la soffocava. Si tolse la giacchetta e rimase con le spalle nude.

“Vuoi qualcosa?”. Senza accorgersene era arrivata al tavolo delle bibite dietro cui stava un tipo bizzarro che Bryanne non conosceva, tutto creste e piercing. Cercò di non ridere alla vista del crestone blu elettrico che faceva bella mostra di sé sul cranio pelato. Non aveva sete: si sentiva piuttosto abbattuta e giù di tono. Solamente una cosa avrebbe potuto risollevarla.

“Quanto vuoi per uno speedball?”, chiese tirando fuori i soldi rimasti. Si accorse che lo sguardo del barista improvvisato era diverso da prima: assomigliava tanto a quello del suo patrigno mentre la spogliava e la palpeggiava. Lo sguardo di un maiale, insomma.

Venti  minuti dopo (Mr. Cresta aveva preteso un trattamento completo più quindici dollari) si trovava sullo stesso muretto di prima, sola e china sulle quelle maledette pillole ormai polvere. La sniffò tutta, senza lasciarne alcun granello, e più le bruciava il naso più si sentiva meglio. Si accasciò per terra e buttò la testa all’indietro, sorridendo mentre la musica rimbombava accelerandole le pulsazioni del cuore. Rimase lì ad occhi chiusi per un tempo che le parve lunghissimo, finché non la sentì fare capolino…eccola lì, la beatitudine che cercava, la pace che le serviva. Tutto si spense –le luci, i colori, le ombre, le stelle, la luna, la musica, il battito del suo stesso cuore- per poi esplodere davanti ai suoi occhi. Un vulcano di emozioni e sensazioni le eruttò dentro, e quando il mondo si riaccese tutto quello che prima era stato –musica, colori, figure e cielo scintillante- ora era diverso: era più bello, più colorato e splendente che mai… Dio, il mondo non le era mai parso così bello… tutto sembrava aver preso vita, i suoni non erano più semplici musiche artificiali, ma il battere di migliaia di cuori che pulsavano all’unisono, ed i colori sembravano una tavolozza indistinta… il nero, il rosso, il giallo, era un tripudio di felicità e vita… Bryanne avrebbe dato qualunque cosa per far si che quel paradiso fosse per sempre, qualsiasi cosa purché quella immaginaria delizia da cui dipendeva da più di due anni rimanesse in eterno…

Quando sentì che tutto stava tornando alla normalità, che la musica si ritrasformava nell’anonimo ritmo house di sempre, che il nero tornava ad essere il solito nero ed il giallo il solito giallo, si sentì spezzare il cuore. Riaprendo gli occhi, si accorse di aver iniziato a piangere ed ogni lacrima le appannava la vista come tanti diamanti liquidi. Ma c’era qualcosa che non andava. I singhiozzi smisero di squassarle il petto e tirò su la testa.

Qualcosa di strano c’era eccome. Dettaglio insignificante: la notte si era fatta scurissima e le stelle erano sparite mentre un vento gelido si era alzato. Cosa più importante: le lanterne, la musica, e i ragazzi erano spariti. Era stato quell’innaturale silenzio a farla rinvenire dal proprio torpore. Si rimise in piedi a fatica, ancora provata dalle anfetamine, e si appoggiò al muretto scrutando il paesaggio intorno a lei.

“Ma che cazzo…?”, sussurrò incredula.

Era sola. Al buio, in un cimitero abbandonato nella più squallida delle strade del Central Queens, al freddo e strafatta. Il silenzio era opprimente; non si sentiva niente a parte il fruscio inquietante dell’erba in balia del vento. A fare luce c’era solo la luna oscurata dalle nuvole. La mezzanotte doveva essere passata da poco.

Accennò qualche passo, troppo spaventata e debole per mettersi a correre o ad urlare come avrebbe fatto in circostanze normali. Perché quella situazione di normale non aveva proprio niente. Batteva i denti. S’infilò la giacchetta e sfregò le mani contro le braccia per darsi sollievo.

Cos’era successo? Tutto e tutti erano spariti, anche i tavoli delle bottiglie e le casse. Si accorse di stare stringendo una busta bianca tra le mani: era di Isabel…Ma la sua amica dov’era finita? E gli altri? Chad, Shelly, Thelma, Richard, Stan…

“Stan”, le sfuggì dalle labbra tremanti di freddo e paura. “Aiutami”.

Il rumore improvviso di un ramoscello che si spezzava la fece voltare di scatto, spaventata e con il cuore in gola. Le ci volle un po’ per capire che era stata lei stessa a calpestarlo. Voleva ridere, darsi della cretina, qualunque cosa che la facesse distrarre da quella situazione, ma la paura non diminuì. Anzi, se possibile la sentì con maggiore angoscia. Iniziò a farfugliare qualcosa di incomprensibile alle sue stesse orecchie e si accoccolò per terra con la testa tra le ginocchia e le mani tra i capelli.

Per la prima volta in vita sua, si ritrovò a pregare. Aveva sempre pensato alla fede come ad una cazzata, una invenzione degli uomini per affrontare gli orrori della vita con coraggio, eppure in quel momento supplicava una non ben precisa divinità affinché la tirasse fuori da quell’incubo. Che fosse Dio, Brahma o Allah, sperò con tutto il cuore che qualcuno lassù la stesse proteggendo.

Irrazionalmente Bryanne diede la colpa di tutto ad Isabel: era stata lei a coinvolgerla in quell’assurda trovata del rave di Halloween nel vecchio camposanto del quartiere più fetido di New York, lei l’aveva lasciata sola per aprire le gambe a quell’idiota di Chad che neanche sapeva della sua esistenza e poi non era più tornata…

Nel terrore che la immobilizzava, iniziò ad urlare e ad imprecare.

“Merda! Vaffanculo! Cazzo”. Dopo qualche minuto si sentì meglio, ma quel breve scatto di vitalità le aveva sottratto le poche energie che le erano rimaste. Con un piede nell’incoscienza e la mente annebbiata, neanche si accorse che il vento aveva improvvisamente cessato di soffiare e che da qualche parte alle sue spalle altri piccoli ramoscelli venivano calpestati da piedi che non erano i suoi.

Confusa e con le gambe che tremavano, a malapena avvertì il gelo di un respiro umano sul suo collo seguito da uno più pesante.

Prima che potesse voltarsi, prima che il suo cuore potesse riprendere il battito perduto, tutto quello contro cui aveva lottato ed aveva ricacciato in fondo allo stomaco –ansia, terrore, rabbia, confusione e smarrimento- proruppe nell’urlo più stridulo ed agghiacciante che Bryanne avesse mai sentito, talmente forte da fare male alle sue stesse orecchie. Cercò di correre via ma inciampò sulle gambe malferme e cadde con la faccia nell’erba. Per un momento il dolore ed il profumo della terra la stordirono come se avesse ricevuto un violento schiaffo, poi si puntellò sui gomiti e si alzò a quattro zampe. Pochi secondi dopo un paio di Harley Davidson e dei jeans strappati ad arte entrarono nella sua visuale. Fece un salto all’indietro e finì con il sedere per terra mentre cercava di indietreggiare terrorizzata.

“C-che vuoi?!”, strillò con le lacrime agli occhi. Sentì una fitta alla mano; un sassolino le aveva ferito il palmo che ora bruciava. Ma la prospettiva di beccarsi il tetano o qualunque altra malattia del mondo le sembrava meravigliosa rispetto a quello che temeva potesse succederle.

Lui –non aveva idea di come chiamarlo altrimenti- non sembrava volerle fare del male. Aveva le mani affondate nelle tasche dei pantaloni e nel buio Bryanne distinse solo il colore dei capelli: neri come la notte scura che li avvolgeva. All’improvviso, talmente rapido da strapparle un singulto spaventato, tese un braccio in un chiaro invito a rialzarsi. Ormai non sentiva più neanche il battito del proprio cuore che le faceva scorrere velocissimo il sangue nelle vene. C’era spazio solo per il terrore, ma anche una strana sensazione di…familiarità? Che lo avesse già incontrato?

Parlò prima ancora che Bryanne potesse darsi una risposta.

“Stai bene?”, chiese. Non si sbagliava, quella voce l’aveva già sentita anche se non se l’aspettava così roca e profonda.

Non accettò l’aiuto che le offriva e si tirò su da sola. Non lasciò con lo sguardo il volto dello sconosciuto neanche per un secondo. Si scrollò di dosso la polvere e, sentendosi ancora instabile sulle gambe, piegò le ginocchia e ci si appoggiò con le mani, il battito quasi tornato normale.

“Che cosa è successo?”, chiese con voce meno tremante di prima. Azzardò uno sguardo nella direzione del tipo che le stava di fronte a braccia conserte sul petto: niente, proprio non si ricordava di lui.

Se non altro sembrava carino. Anche senza luce, Bryanne vide che il suo viso era gentile anche se un po’ palliduccio. Non riuscì invece a vedergli gli occhi; da quella distanza sembravano chiari. Era costì intenta nella sua radiografia facciale che sobbalzò un pochino quando parlò.

“Davvero non ricordi niente?”, chiese e Bryanne scosse la testa sentendosi più tranquilla. A parte il contesto, sembrava che stessero intrattenendo una civile conversazione come due vecchi amici. Ma lui chi accidenti era? “Scommetto che sei strafatta”.

Effettivamente, ora che ci pensava bene Bryanne cominciava a sentirsi spossata. Un velo di sudore le ricopriva la fronte e il battito non era lento come le era sembrato; la paura aveva cancellato momentaneamente tutti i segni del post-dose facendola sentire più viva e scattante che mai.

“Normale amministrazione”, borbottò passandosi una mano per cancellare l’acqua sul viso. “Immagino che non sia un bello spettacolo”.

“Oh, non è solo l’aspetto”, replicò lui forse sorridendo –era difficile dirlo, ma dal tono sembrava proprio divertito. “Hai un odore diverso da prima. Ma non pensare male”, aggiunse in risposta alla faccia stralunata di Bryanne. “In un certo senso lo preferisco così. È più eccitante”.

In un'altra situazione, forse Bryanne sarebbe rabbrividita dal disgusto a quelle parole che troppe volte si era sentita dire da estranei che in passato avevano pagato poche decine di dollari per una notte (a volte anche meno) con lei, Bryanne Roberts, una delle tante prostitute di Middle Village. Pronunciate dalla voce di quell’estraneo, invece, ebbero su di lei l’effetto opposto: voleva che la toccasse, che le prendesse la mano, qualunque cosa. Senza neanche accorgersene, si portò più vicina a lui fino a trovarsi a pochi centimetri dal suo petto. Non si spaventò quando lui le mise una mano dietro la schiena per attirarla a sé, anzi, per un riflesso involontario (o forse no) gli si accoccolò addosso sul punto in cui avrebbe dovuto esserci il cuore. Si aspettava di sentirlo correre veloce, impazzito come le stava accadendo da quando l’aveva toccata…Intanto lui le accarezzava il mento con la punta del naso e continuava a scendere…

Un secondo dopo si scostò, sconcertata.

Doveva aver sentito male. O meglio, doveva esserselo perso.

Ma lui adesso sorrideva, non più gentile come prima. Quel ghigno aveva un che di cattivo che subito indusse Bryanne ad arretrare di diversi passi.

“Te ne sei accorta”. Non era una domanda. Ma non fu questo a spaventarla; abbassando la mano che si era portata alla bocca per la sorpresa, vide la sua espressione cambiare di botto. Adesso appariva più concentrata, affamata. Fissava Bryanne dritto sul viso ma non erano gli occhi ad attrarlo: la sua attenzione era focalizzata più in basso, sulle labbra semiaperte su cui –se ne accorse solo in quel momento- delle piccola macchie di sangue facevano bella mostra di sé.

Cristo santo, si ritrovò a pensare quando sentì un bruciore alla mano che prima si era passata sul volto. Quando era caduta tra le lapidi si era procurata quel graffio e troppo tardi si era accorta del sangue che scorreva.

Prima che potesse capirci qualcosa, lui le fu addosso. Premette le sue labbra con forza su quelle di Bryanne fino quasi a strapparle un mugolo di dolore. Non sapeva con precisione cosa stesse provando mentre lui la baciava con ingordigia: intimorita, confusa, elettrizzata? Era possibile provare sensazioni così diverse nello stesso istante? Nel frattempo lui aveva iniziato a strusciare la lingua sul labbro inferiore, gesto che inizialmente Bryanne attribuì alla passione del momento.

Capì che qualcosa non andava quando sentì la mascella andare in fiamme.

Non c’era più una bocca sul suo viso: senza indugio lo sconosciuto aveva affondato i denti sul labbro che fino a poco prima aveva vezzeggiato con baci e tocchi umidi ma dannatamente piacevoli, recidendo la carne e facendo uscire abbondante sangue. Con gli occhi lacrimanti per il dolore, Bryanne cercò di scrollarselo di dosso, ma sarebbe stato più facile sollevare un blocco di cemento; lui non sembrava essersi accorto dell’eccessiva forza esercitata sulle braccia della ragazza, o forse non gliene importava. Portò le mani al suo viso e finalmente si staccò.

“Stai ferma”, le ordinò gelido. Se prima Bryanne aveva avuto dubbi sulla fonte delle sue emozioni ora ne era certa: il cuore che sbatteva impazzito contro la cassa toracica era una prova evidente del suo terrore. Il suo istinto le diceva di liberarsi e correre più veloce di quanto avesse mai fatto in tutta la sua vita, ma non poté fare a meno di cedere e reclinare la testa all’indietro quando due mani le tirarono i capelli. Si ritrovò a fissare il cielo nuvoloso sopra di sé, la luna appena visibile a fare luce.

Intanto lui aveva preso a sussurrarle qualcosa all’orecchio che non capì ma che assomigliava terribilmente ad un “Finirà presto”. Qualcosa di piccolo e morbido le sfiorò il collo all’altezza della giugulare.

Poi fu solo dolore. Lo stesso che aveva provato pochi minuti prima quando quello sconosciuto l’aveva morsa… moltiplicato per cento. Cento spilli arroventati le trapassavano la gola senza farla respirare, il dolore così forte da impedirle persino di provare qualunque altra cosa, persino la paura.

Dopo chissà quanto –forse pochi minuti oppure un’ora- sentì la bocca di lui che finalmente mollava la presa sulla testa mentre un’altra più delicata la accompagnava mentre si accasciava a terra: non sentiva più nulla. Paura, dolore, battito, respiro, tutto sembrava averla abbandonata. C’era spazio solo per una cosa: una irrefrenabile voglia di chiudere gli occhi e dormire ed una brutta sensazione di gelo. La notte appariva più scura che mai senza la luna…

Un momento, ma la luna era lì, sopra la sua testa, più splendente che mai. Dopo pochi secondi però venne oscurata da una sagoma che si faceva sempre più vicina… si stava abbassando verso di lei… così terribile eppure così bella circondata dalla luce bianca. Voleva forse torturarla ancora? Se era così, meglio farla finita subito. Chiuse gli occhi e la luna si spense. Un piacevole torpore si diffondeva piano dai muscoli alle ossa e cuore e polmoni ormai erano solo un inutile ingombro nel suo corpo martoriato… Uno dei suoi ultimi pensieri era rivolto ad Isabel. Avrebbe voluto salutarla e dirle quanto l’avesse amata, ringraziarla per tutto quello che aveva fatto per lei quando era scappata di casa tanti anni prima finendo per vendersi per pochi dollari. E invece sarebbe morta in quel maledetto cimitero, uccisa da non sapeva neanche lei cosa, con il rimorso per aver pensato male della propria migliore amica.

Prima di addormentarsi sognò; vide il suo aguzzino chino su di lei, un’espressione triste sul volto perfetto. Le chiedeva scusa, diceva di aver provato a trattenersi, ma di non esserci riuscito e promise che non l’avrebbe mai dimenticata.

“Se non altro”, disse dolcemente accarezzandole la guancia, “il tuo sangue è meglio di quello di un vecchio pinscher”.

E tutto finì.

***

Quello che la chiamava doveva essere un angelo. Vedeva una cascata di capelli bianchi sopra di sé e una voce femminile lontana la chiamava. Ma Bryanne non riusciva a rispondere, era troppo stanca.

“Svegliati…Cristo, apri…occhi…sveglia…Bryanne…andarcene…”.

Si sentiva senza peso come se la gravità non esistesse e non la trascinasse in basso, ma verso l’alto. Le sembrava di vivere in uno di quei videoclip che si vedono sui canali musicali tipo MTV, e in quello che ricordava lei c’erano degli astronauti che svolazzavano sulla luna… Come si chiamava?

Tutti stiamo vivendo in America”, canticchiò piano, sorprendendosi della sua voce così impastata. Era quella di un ammalato grave di bronchite o di un ultras ubriaco dopo una finale allo stadio.  

L’angelo che la sosteneva ridacchiò acutamente, come in preda all’isteria. Piangeva?

“Deficiente”, la sentì dire. Ora Bryanne riusciva a distinguere una strana nebbiolina nel suo campo visivo che sfocava la faccia dell’angelo biondo.

“Come sei bella”, provò a dire prima che un’ondata di dolore le si propagasse per il cervello e per il petto. Cuore e polmoni avevano ripreso a funzionare. Ma quel piccolo slancio vitale le costò caro: la vista peggiorò di nuovo e si addormentò quasi subito.

“Credevo fossi in overdose”. La sentì parlare, ma la sua voce ormai iniziava a sfumare come da una radio a cui pian piano si abbassa il volume. “Non farmi stare mai più così, capito?”.

Ma Bryanne dormiva già. Sognò ancora: c’era una massa di colori a circondarla ed una cascata di suoni e sensazioni l’assordava. C’era il sole e lei era stesa sull’erba fresca di Juniper Valley Park con le mani intrecciate sul grembo. Vicino a lei sedeva qualcuno, ma non sapeva dargli un nome; a malapena riconobbe la forma del volto e degli  stupendi occhi grigi che la guardavano. Cosa ci fosse nel suo sguardo, non lo sapeva né lo seppe mai perché fece appena in tempo a chiudere gli occhi che Stan era già sparito. Al suo posto c’era un cagnolino dal pelo corto e scuro che scodinzolava agitando la piccola coda.

Più o meno in quel momento iniziò a piovere.

 

 

****NOTE****

 

The Graveyard è stata un’esperienza straordinaria. Mi ha spinto a pubblicare per la prima volta un racconto tutto mio, senza altre ispirazioni. Questo è stato il giudizio di Eruannë e Raf:

 

Terza classificata: Bryanne s'addormenta a mezzanotte di Hanairoh
» Grammatica e sintassi: 19
» Stile: 14
» Originalità della trama: 15
» IC e caratterizzazione: 15
» Attinenza col tema: 10
» Parere personale: 5
Totale: 78/80

Finalmente dei vampiri che sono veramente dei vampiri, che non sbrilluccicano al sole e altre amenità simili. Molto bene.
L’idea che, la notte di Halloween, vadano ad una festa con altre “creature della notte” è assolutamente da apprezzare. Per questo originalità, attinenza al tema e caratterizzazione pienissimi, non può essere altrimenti. Il personaggio di Bryanne è centrale rispetto alla trama, ma hai saputo fornire un’ottima panoramica su tutto quello che la circonda, andando oltre una semplice descrizione dell’ambiente. Anche i personaggi secondari e di contorno sono molto ben caratterizzati, si vede che nulla è lasciato al caso: tutti hanno un ruolo più o meno preciso, definito e importante ai fini della trama.
Il tuo stile è davvero buono, peccato per le virgole mancate, errori di distrazione, un paio di verbi coniugati nel modo sbagliato (per questo il voto è di 19 in grammatica e sintassi) e un paio di cose per le quali ti consigliamo di chiedere le nostre correzioni, poi sei liberissima di mantenere come hai scritto^^
Comunque i nostri complimenti per aver ideato e sviluppato una trama così ricca e originale, è stato un vero piacere leggere questa storia.

 

Beh, sono stati fin troppo buoni con me xD ero un po’ indecisa se inserire questa storia nella categoria “vampiri”, perché potete vedere come qui i vampiri c’entrino poco e niente. Ho cercato di fare in modo che il finale potesse rimanere aperto: è successo veramente o è stata solo un’allucinazione da anfetamine? A voi l'ardua sentenza. Ah, un’altra cosa: vedrete che tutti i luoghi menzionati esistono davvero. Non esiste, invece, il cimitero della storia; a New York c’è davvero un St. John’s Cemetery, ma mi piace pensare che vicino ce ne sia uno più vecchio e abbandonato.

Spero abbiate apprezzato la storia,perché ci ho messo cuore e tempo –un’estate intera!

Un bacio a tutti,

Oriana

  
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