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Autore: Little Fanny    25/10/2010    3 recensioni
"Fuoco, fiamme e distruzione.
Attorno a sé non vedeva altro che terrore, paura e morte.
Gallifrey stava risorgendo e con essa i Signori del Tempo."
Genere: Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Doctor - 10 (human), Rose Tyler
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Beta: Slayer87, MaddyTheDoctor.
Personaggi: Tenth Doctor (The Duplicate), Rose Tyler, nuovo personaggio, Eight Doctor
Rating: PG
Genere: angst, malinconico
Avvertimenti: one-shot, Pete's World, spoiler! “The End of Time”
Conteggio parole: 2414
Note: Seconda classificata alla 1° Fanfiction Challenge indetta dal Torchwho Forum.
Scritta per la mia tabella 10DisneyFic, con il prompt 07. Guerra.
Disclaimer: La storia è basata su fatti e personaggi creati e appartenenti alla BBC e a chiunque ne detenga i diritti. La storia non è scritta a scopo di lucro, ma solo per mio puro diletto.



Nightmare of a war



Il Dottore si svegliò di soprassalto portandosi una mano al cuore, che batteva furioso nel petto.
Si mise seduto contro la testata del letto, respirando profondamente per cercare di calmarsi.
L’oscurità avvolgeva ogni cosa nella stanza, ma i suoi occhi erano invasi dalla luce; intorno a lui sentiva solo il respiro profondo di Rose che dormiva al suo fianco, ma una voce dentro la sua testa urlava.
Si portò le dita alle tempie.
Non poteva essere vero.
Gemette quando un’altra fitta dolorosa lo scosse. Sentiva come se la sua testa si stesse squarciando, il suo cuore venire invaso dal dolore. Boccheggiò alla ricerca di ossigeno, scostandosi le ciocche di capelli che si erano appiccicate alla fronte imperlata di sudore.
Rose si mosse nel sonno alla ricerca del suo corpo e lui sorrise dolcemente, carezzandole la testa.
“Dormi tesoro,” sussurrò posandole un bacio leggero sul capo. Le rimboccò con cura le coperte, regalandole un’altra carezza, prima di sgusciare via il più silenziosamente possibile, attento a non svegliarla.
Si mosse nel buio della stanza con la sicurezza dettata dall’esperienza, zigzagando tra i vestiti sparsi al suolo, frutto della loro bramosia di sentire pelle nuda contro pelle nuda. Rabbrividì al ricordo dell’intensità del loro ultimo rapporto. Era stato coinvolgente, appassionante, ma al tempo stesso disperato, come se cercassero di stringere una realtà effimera che stava sfuggendo loro dalle mani.
Si accasciò sul pavimento, sconvolto da una fitta lancinante che lo lasciò senza fiato, le gambe tremanti come fossero gelatina.
Strisciò fino al corridoio, richiudendosi la porta della camera da letto dietro le spalle.
Quella era la sua sofferenza e doveva farsene carico.
Espirò e inspirò più volte, prima di provare a rimettersi in piedi. Anche tenere gli occhi aperti era uno sforzo immane, ma doveva resistere, doveva farlo per lui.
La fine del suo tempo era giunta.

Barcollò fino alla nursery, buttandosi come un peso morto sulla poltrona di fianco alla culla.
Sua figlia dormiva pacifica avvolta nelle coperte, sembrava un angelo sceso dal cielo per regalargli quella famiglia che aveva perduto tanto tempo fa. Accarezzò i suoi radi capelli biondi, posando la sua grande mano su quel piccolo corpicino addormentato. Aveva la pelle vellutata ed era bellissima.
Sentì un’ondata di amore avvolgerlo e sospirò, posando la guancia contro le sbarre del letto, beandosi dell’immagine della bambina che riposava tranquilla.
Rimase ad osservarla a lungo, in completo silenzio, concentrandosi sul suo piccolo respiro che sembrava placare, almeno per il momento, quel dolore sordo che sentiva al centro del petto.

Una fitta più intensa lo lasciò completamente senza fiato e dovette sostenersi al lettino per non crollare al suolo. Il suo respiro era ora affannato come avesse corso una maratona contro il tempo stesso, le sue mani tremavano incontrollate. Sentiva freddo e caldo, un senso vertigine come se stesse per precipitare da un momento all’altro.
Risollevò il volto, trovando dei piccoli occhietti svegli e vispi che lo scrutavano attentamente.
“Oh, piccolina.” Mormorò issandosi a fatica per regalarle una carezza. “Ti ho svegliata. Scusa.”
La bimba gli sorrise, un sorriso sdentato ma luminoso. Gli afferrò un dito della mano, stringendolo nel suo piccolo pugno e il Dottore non poté fare altro che sorridere a sua volta, colmo di affetto per quella fragile creatura.

Si portò una mano al petto di scatto, stringendo la stoffa del suo pigiama in una presa spasmodica, cercando di placare il sordo dolore al cuore.
“Non ora, non ancora.” Sussurrò a se stesso, provando a tenere gli occhi aperti sulla figura di sua figlia che lo fissava incuriosita.
Gli somigliava, pensò sentendo quel tormento acquietarsi appena. Era una bambina sveglia, curiosa e instancabile. Ma aveva anche tanto della sua Rose: era dolce e caparbia.
Le diede un buffetto sulla guancia e fu ripagato da un gorgoglio felice.
“Dormi piccina. Il tuo papà è accanto a te.” Le sussurrò dandole il suo peluche preferito e sistemandole la coperta a coprirle le spalle. La bambina si rannicchiò abbracciando l’orso di pezza, ricadendo nel mondo dei sogni.
Chiuse le palpebre, lasciando che Morfeo prendesse possesso del suo corpo esausto e sofferente. Nella sua mente aveva ancora nitida l’immagine della sua bimba addormentata, ma questa fu ben presto dimenticata quando sentì il freddo invaderlo, squarciare la sua carne come mille schegge di vetro. Si inarcò sulla poltrona, gli occhi serrati e la bocca spalancata in un muto grido di sofferenza e rabbia.
Fuoco, fiamme e distruzione.
Attorno a sé non vedeva altro che terrore, paura e morte.
Non potevano tornare.

Gallifrey stava risorgendo e con essa i Signori del Tempo.
La pazzia li aveva condotti alla loro stessa fine e adesso un’altra pazzia li stava riportando in vita.

Il Dottore si mosse inquieto, cercando disperatamente di tornare nel suo mondo prima che fosse troppo tardi.
Aveva già combattuto la battaglia del Tempo. Aveva già sofferto a lungo e non voleva tormentarsi ancora. Poteva sembrare una scelta egoistica, la sua, ma, se fosse caduto in quel vortice di distruzione un’altra volta, temeva di non riuscire ad uscire indenne.
La sua cassa toracica si alzò ed abbassò frenetica, i ricordi lo invasero come un rabbioso fiume in piena, distruttivo e letale.


* * *


Era tornato alla sua vecchia terra natia nel suo giorno più cupo e fiammeggiante. Attorno a lui si stava combattendo quella che sarebbe passata alla storia come una delle più epiche battaglie. Il cielo aranciato di Gallifrey era oscurato da flotte di astronavi delle razze più potenti.

Quel giorno si sarebbe decretato il vincitore, i vinti avrebbero bruciato all’inferno.

I Signori del Tempo, la sua pacifica razza, avevano imbracciato le armi contro i loro più temibili avversari: era stata una guerra giusta al principio, i cui combattenti erano mossi dai più alti ideali. I Dalek erano una razza sanguinaria, il cui unico scopo era quello di prendere possesso dell’intero Creato. Muovere loro battaglia era stata l’unica soluzione possibile per mettere a freno le loro mire espansionistiche e per impedire che riuscissero ad acquisire la conoscenza necessaria per i viaggi nel tempo e nello spazio, grazie al quale avrebbero facilmente dominato l’intero Creato. Per la salvezza di antiche civiltà, di popolazioni all’inizio del loro lungo cammino, i Signori del Tempo avevano deciso di mettersi direttamente in gioco. Avevano abbandonato la loro vita indolente di osservatori dell’intero Universo per interferire nelle linee del tempo e impedire così il protrarsi di quella pazzia.

Davros, il creatore dei Dalek, era stato il primo a soccombere sotto la potenza del loro attacco, e a lui erano seguiti molti altri, di entrambe le fazioni.
La Guerra del Tempo era stata combattuta per i migliori ideali, ma una volta che le mani si sporcavano di sangue e il senso di colpa prendeva possesso delle membra, solo la ferocia e infine la pazzia poteva salvare i Signori del Tempo dalla distruzione.

Negli ultimi giorni di quella guerra maledetta, dove tanti erano stati sconfitti e dove lui aveva già perso tutto, si era consumata l’ultima follia da parte della sua potente razza.
Lassù, protetti nella loro cittadella, l’Alto Consiglio riunito aveva raggiunto la Sentenza Definitiva: avrebbero distrutto l’intero Creato, anzi, questo non sarebbe mai esistito. Loro soli sarebbero rimasti come unica razza vivente, la popolazione più antica e saggia. Sarebbero diventati creature di pura conoscenza, liberi dal peso dei loro corpi, sciolti dalla casualità degli eventi.
Avrebbero governato sul tempo e sullo spazio, il niente a circondarli.

La sua decisione era stata presa: avrebbe posto la parola fine a quella pazzia prima ancora che si compisse.
Inspirò a pieni polmoni l’aria fresca, stringendo con mano nostalgica ciuffi di erba rossa e alzando il volto verso la cupola di vetro che racchiudeva la sua città. Accarezzò con la nostalgia nello sguardo la sua cittadina: si ergeva ancora maestosa sulle montagne del Sollievo e della Solitudine, nonostante la distruzione che imperversava tra le sue vie.
Alle sue spalle sentiva la ferocia del campo di battaglia: il rumore delle astronavi che precipitavano al suolo, il clangore delle armi e le urla di guerra.

La risoluzione di quel conflitto, ormai insensato, giaceva stretto nel suo pugno. Non avrebbe voluto arrivare a tanto, ma sapeva che lui era l’unico che poteva porre fine a quella carneficina.
Aveva alzato una mano tremante verso il cielo, brulicante di navi nemiche e amiche, avversari e fratelli. Era bastato un attimo, un singolo momento e tutto ciò che aveva conosciuto e amato, tutto ciò che aveva temuto era stato distrutto.
Sotto il suo comando le navi Dalek erano cadute al suolo, infrangendosi una dopo l’altra su quel pianeta che tanto avrebbero voluto sottomettere al loro volere. Ogni singolo Dalek era stato distrutto per sua mano e con essi anche i Mutanti di Skaro, le Orde dei Simulacri, il Figlio dell'Incubo, Colui-che-poteva-essere-Re, con il suo esercito di Altrove e Mai-Stati.
Tutti morti. Secondo la sua volontà.

Era sceso un silenzio innaturale, mentre camminava attonito lungo quelle strade deserte, un tempo popolate dalla sua gente. Ora non rimaneva altro che morte e devastazione. Solo rovine e cadaveri.
La sua famiglia, i suoi amici, i Signori del Tempo.
Tutti morti.
E con loro anche altre razze. Popolazioni antiche e potenti, grandi civiltà.
Tutto era andato distrutto e la colpa gravava unicamente sulle sue spalle.
Lui era stata l’ultima possibilità di salvezza dell’intero Creato. E per salvarlo aveva dovuto sacrificare ciò che gli era più caro, diventando un genocida, uno spietato assassino. Un uomo che si era macchiato le vesti di sangue: il suo più grande incubo.

Il rumore della battaglia si era spento di colpo, non rimanevano altro che desolazione e macerie a rammentare quegli infiniti giorni di terrore.
Non vi era rimasto nulla.
Vi era solo lui, in piedi, da solo, in mezzo a una landa desolata.
Nelle sue orecchie sentiva il battito ritmato dei suoi due cuori che gli rammentavano ad ogni palpito la sua più grande colpa. Il peccato di essere rimasto in vita, lui unico fra tutti e, come ricompensa, avrebbe ottenuto la solitudine come unica compagna per l’avvenire.

Era crollato al suolo in ginocchio, tra le mani stringeva per l’ultima volta quella terra che l’aveva visto nascere, crescere, fuggire e ritornare.
Le disse addio con le lacrime agli occhi, un macigno sul cuore e una ferita che forse il tempo sarebbe riuscito a rimarginare.
Tempo… un sorriso sghembo fece capolino sul suo volto, rigato dalle lacrime.
Tempo… una condanna per l’ultimo Signore del Tempo.
L’ultimo della sua specie, colui che ne aveva decretato la fine.
Si rialzò in piedi e si chiuse nel suo TARDIS. Guardò per l’ultima volta il suo mondo, lo osservò cadere nello spazio e bruciare al centro del tempo, prima di sigillarlo per sempre, facendo entrare la Guerra del Tempo nella leggenda.
Era bastato un attimo, un lungo e inesorabile momento e la guerra aveva avuto fine.

* * *


Un ringhio di rabbia e dolore scaturì dalla sua gola, mentre le dita arpionavano i braccioli della poltrona. Fu investito da un’ultima fitta lancinante, prima di accasciarsi inerte sui cuscini.
Il suo tempo era giunto. La decisione era stata nuovamente presa e il collegamento era stato spezzato.
Per molti minuti nella casa si udì solo il ticchettio ritmico dei secondi, la pioggia che batteva sul tetto, fino a che un sussulto improvviso squarciò quel silenzio.
Il Dottore aprì stancamente gli occhi, sentendo uno strano calore diffondersi dalla sua mano in tutto il suo corpo. Scosse la testa abbassando lo sguardo fino a specchiarsi in due occhi in tempesta.
Erano screziati d’oro e lo guardavano supplicanti.
“Piccina…” sussurrò roco, mentre una lacrima solcava il suo viso. “Mi dispiace. Mi dispiace così tanto.” Le disse prendendola in braccio e stringendola forte a sé, lasciando che le lacrime scorressero libere lungo le sue guance fino a morire nella stoffa soffice della tutina rosa.
La bambina si mosse nel suo abbraccio, districandosi dalla stretta ferrea delle sue braccia fino ad issarsi a fatica sui piedini posando le mani paffutelle sulle guance del padre.
“Pa…” gorgogliò, battendo i palmi contro il suo volto.
“Pa,” ripeté orgogliosa, fissandolo attenta e solenne.
L’uomo si sciolse a quella vista, poggiando la fronte contro quella della figlia, chiudendo gli occhi rinfrancato.
“Grazie,” sussurrò baciandola delicatamente su entrambe le guance, depositando poi un altro bacio sulla fronte e uno sul naso. Sospirò felice, stringendola a sé, lasciando che un sorriso facesse capolino sul suo volto.

Grazie, grazie di tutto, ripeté silenziosamente, prendendo una coperta e avvolgendo la figlia tra le sue braccia. La bimba gli si raggomitolò contro, afferrando la stoffa del pigiama e addormentandosi poco dopo, cullata dalla dolce ninnananna che il padre aveva preso a intonare.
Nella stanza si poteva udire solo il suono di quella nenia che raccontava di un mondo lontano, al di fuori del tempo e dello spazio. Narrava di un grande popolo, antico e potente, delle sue gesta millenarie, dei suoi eroi senza tempo.


Un raggio luminoso fece capolino nella camera da letto. Si inerpicò silenzioso tra quelle coltri di tenebra, fino a posarsi birichino sul volto di una giovane donna. Rose si mosse infastidita tra le lenzuola, ricercando il calore del corpo del Dottore. Sporse un braccio dalla sua parte del letto e si svegliò di soprassalto quando lo sentì rimbalzare sul materasso vuoto e freddo.
Venne avvolta dal panico e un brivido di terrore si fece strada nelle sue ossa, rammentandole il senso di inquietudine che l’aveva tormentata durante la notte. Si scostò i capelli dal volto, guardandosi attorno spaesata. Deglutì un paio di volte, prima di alzarsi dal letto e infilarsi con mani tremanti la vestaglia.
Il senso di paura e sgomento che le attanagliava il cuore non sembrava volerla abbandonare, come se qualcosa di tremendo fosse accaduto, ma non riuscisse ad afferrare cosa fosse successo di preciso.
Barcollò fino alla nursery, bloccandosi sulla porta alla vista della scena che si era presentata davanti ai suoi occhi. Si portò una mano alla bocca, impedendo che qualsiasi suono potesse uscire dalle sue labbra e rompere quel magico momento.
Il Dottore e la sua bambina erano lì, addormentati sulla poltrona, avvolti da una calda luce dorata. Sui loro volti era dipinto un sorriso di pace e Rose poteva ancora udire un antico canto sprigionarsi nell’aria, un suono di gioia e speranza che scaldava il cuore.
Si avvicinò in punta di piedi, lasciando che quella nenia la avvolgesse dolcemente, mentre si raggomitolava in braccio al Dottore. Questi la strinse leggermente a sé, tutto il suo mondo era ora racchiuso tra le sue braccia e la solitudine che l’aveva accompagnato per tutti quei lunghi anni era stata finalmente scacciata.


FINE


Note finali: Finalmente arriva anche l'ultima delle mie bimbe. Mi sono divertita tantissimo a partecipare alla challenge che mi ha portato a confrontarmi con tantissimi personaggi diversi e ad usare stili differenti. Inoltre il tema era davvero affascinante e anche difficile da gestire, visto la scarsità di informazione che si hanno sulla Guerra del Tempo. Quindi un doveroso ringraziamento va a tutto il gruppo del Torchwho Forum.

Un grazie a LaTuM per i suoi meravigliosi commenti a Here comes the drums, il Master ha sempre il suo fascino - se non si è capito lo amo in tutte le sue forme! Anche se Simm!Master rimane il mio Master! - inoltre mi è piaciuto osservare la differenza tra la sua forma umana e quella da Signore del Tempo; e Feeling you, Ten e la sua lingua sono qualcosa di fenomenale assieme, che lo rendono un Dottore unico su tutti i livelli. Inoltre dire che questa caratteristica scatena in me idee non proprio innocenti di cui solo la fortunata Rose può beneficiare!
Grazie mille anche a KillerQueen86 per il caloro ben-ritorno nell'universo het! Beh, c'era giusto bisogno di un po' di intimità tra Ten e Rose e visto che RTD è stato molto crudele censurandolo ho dovuto provvedere io! E figliola? Tranquilla, babbo qui ha in mente tantissime Ten/Rose, ho una tabella con altri 99 prompt da completare!


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