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Autore: Illunis    25/10/2010    2 recensioni
"C’era qualcosa di strano. Sì, di strano; è questo il termine esatto, l’unico in grado di descrivere nella sua totale interezza ciò che io vidi.
Vi era una calda e purissima luce accecante, ma allo stesso modo lieve ed avvolgente come un delicato abbraccio così intriso d’amore da far quasi male, quasi piangere…"
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altro Personaggio, Castiel, Dean Winchester
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Quinta stagione
- Questa storia fa parte della serie 'Destiel: Al mondo esiste solamente l'inevitabile u.u'
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Conteggio Parole: 1027
Note: Dedicata alla mia piccola cioci Skadi [che mi ucciderà per aver usato la parola cioci (se si può considerarla come taleXD)] e alla mia beta supervelocissima e superdisponobile, harinezumi! <3 Ambientata durante l'anno che Dean passa da Lisa dopo la morte di Sam.

 

 

 

La pioggia sono le lacrime degli angeli

C’era una strana presenza in casa. Una costante che irradiava pace e serenità come una fievole luce nella penombra: quasi impercettibile all’occhio, enormemente rassicurante per il cuore. Non riuscivo ad esternare a nessuno questa mia sensazione - Dean mi aveva rassicurata che nessun demone poteva entrare in casa - e certamente non volevo mettergli la pulce nell’orecchio ora che finalmente ogni minuto della giornata trascorreva serenamente. Giorno per giorno, mattone su mattone, eravamo riusciti ad edificare un nostro piccolo angolo d’armonia, un’incantata raduna nel centro d’una profonda foresta brulicante d’angosce e ricordi, trasformando ogni più piccolo gesto ed abitudine, che per lui corrispondeva all’anormale, nel consueto, nella monotona ed ordinaria routine. Ma nei recessi della mia anima sapevo - lo sentivo dentro di me... come un ago s’insinuava nel mio cuore, lento e velenoso -, di non poter divenire il suo baluardo contro la sua “vocazione”; nulla poteva ostacolare i fantasmi del passato, ostinatamente sarebbero ritornati a prendere l’uomo che cercavo di strappare da un lungo e tormentato incubo. Forse era quella strana presenza che m’induceva a ragionare in tal senso.
Odiavo quell’essere, a volte. L’attimo seguente la mia coscienza malignamente mi ricordava che qualunque cosa fosse, quella sensazione era una delle maggiori cause della ripresa di Dean. Lo capivo, lo distinguevo perfettamente, ero certa - come del fatto che il sole sarebbe sorto anche il dì seguente - che senza quella morbida e calda sensazione mai e poi mai sarei riuscita a colmare, almeno in parte ed in un così breve lasso di tempo, la voragine nell’anima del salvatore del mondo.

Una notte lo vidi. La mia logica m’imponeva di catalogare l’avvenimento sotto la voce “sogno”, estremamente reale, quasi fisico, ma pur sempre un parto della mia mente; antiteticamente il mio intuito sosteneva la veracità di ciò che le mie iridi avevano scorto. Contrariamente agli ultimi tempi, quella sera Dean era prigioniero nella ragnatela d’un incubo: subdolamente lo tormentava costringendolo a dimenarsi fra i sottili fili, il respiro breve e caotico, il corpo imperlato di sudore attraversato da radi ma bruschi spasmi. Annaspava, annaspava da ore ed io nel dormiveglia tentavo di acquietarlo accarezzandolo, intonando una dolce ed allegra ninna nanna, ma ogni volta che invano procedevo con questa prassi ero io la prima a calmarmi ed a lasciarmi circondare dalle calde braccia di Morfeo. Accadde fra un tentativo e l’altro: erano le tre e trentatré, lo rammento con estrema certezza (da una fugace occhiata alla sveglia), quando mi girai per l’ennesima volta a controllare Dean.
C’era qualcosa di strano. Sì, di strano... è questo il termine esatto, l’unico in grado di descrivere nella sua totale interezza ciò che io vidi.
Vi era una calda e purissima luce accecante, ma allo stesso modo lieve ed avvolgente come un delicato abbraccio così intriso d’amore da far quasi male, piangere.
E fu quello che feci. Brillanti lacrime scesero a solcare le mie gote, a sfuocare i miei stanchi occhi, rigando la mia anima così colma di quell’amore emanato dalla presenza da lasciarne un segno indelebile. Era così meravigliosamente sublime... le mie iridi erano intrappolate in quel luminoso groviglio di sensazioni e luci, non sazie di quella visione mai permisero alla palpebre di scendere o ai muscoli di muoverle; così fui indotta a chiedermi perché quella luce non s’avvicinava a me, per quale motivo il suo amore non era rivolto a me ma all’uomo che mi dormiva affianco?
Oh, ed era tutto così surreale - senza tener conto dell’esistenza di.. qualunque cosa fosse quella, teoricamente sarei dovuta essere terrorizzata dalla essa! Ma nulla turbava il mio cuore.
Solo per un istante ne ebbi terrore: quando s’accorse della mia vigile presenza per un breve attimo, lungo come un battito di ciglia, ma che alla mia sovreccitata mente parve un’eternità, percepii un infuocante ondata di gelosia, d’odio quasi. Un istante che forse fu solo frutto della mia immaginazione. Me ne convinsi l’attimo seguente: ‘aere s’era appesantita del angosciante sentimento qual’è il rammarico, densa e soffocante mi ostruiva i polmoni soffocandomi, una morsa d’acciaio mi ghermiva il cuore, stringendolo, dilatando il mio muscolo e la mia stessa anima, straziandomi in ogni mia parte. Morii d’angoscia.
E poi giunse nuovamente l’alba. Mi cinse, la luce, in un meraviglioso ed intenso abbraccio mi strappò ogni costrizione, m’accarezzò sussurrandomi - oh, che soave voce udirono i miei timpani! - d’acquietarmi, chiedendomi di perdonarlo per non essersi controllato e per avermi fatto provare ogni singola goccia del suo dolore. Mi chiesi come lui lo poteva sopportare, lasciandomi sfuggire delle lacrime. Come poteva un essere così sublime contenere cotanta tristezza senza sgretolarsi?
Flemmaticamente si distaccò quel tanto per potermi deliziare con i suo meravigliosi occhi ceruli - da quando quel caotico insieme di luce aveva dei lineamenti? - m’accarezzò una guancia con la sua calda mano, così grande e triste.
M’incantai perdendomi in quei penetranti cieli cullata dal delicato movimento del suo arto e dalle sue lievi parole che mi pregarono d’amare Dean anima e corpo, d’accarezzarlo durante i suoi incubi peggiori, di baciarlo ogni qualvolta entrasse o uscisse dalla nostra dimora, d’abbracciarlo quando si sarebbe sentito sopraffatto dalle responsabilità, di donargli mille sorrisi per sciogliere la sua tristezza e curare il suo cuore; perché lui creatura del cielo, non poteva farlo, perché lui anima dimenticata da colui che l’ha ghermita non è amato. Portai lentamente le mie fredde dita sulla linea della sua mascella, dolcemente lo sfiorai domandandomi come era possibile non amare una simile creatura, così immensamente devota alla persona amata a tal punto d’arrivare ad anteporre la sua felicità alla propria.
S’allontanò in un meraviglioso groviglio di luce lasciandomi nella fredda aria della notte, provocandomi un lungo ed intenso brivido.
« Chi sei? » mi sfuggì dalle mie labbra dischiuse.
Si piegarono le labbra ma nessun suono uscì: la sua risposta s’incise nella mia mente insieme ai suoi luminosi occhi e al suo immenso tepore - desideravo così tanto poter essere di nuovo fra le sue braccia, ed essere io la destinataria della sua passione - mentre abbandonava questa valle di lacrime - ma ora sapevo che la pioggia sono le lacrime degli angeli - lasciando il posto al nero mantello della notte illuminato dalla fievole luce del pallido viso di Selene.

   
 
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