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Autore: subaku no temari    25/10/2010    3 recensioni
Piccolissima introduzione alla storia:
La storia comincia con un litigio di Antonio e Romano dove l'italiano lascia la casa e viene ad apprendere una notizia dopo un po'. Una pessima giornata. Deve dire qualcosa ad Antonio, perchè è gli è successo qualcosa di molto grave. Un incidente. È in ospedale. ~ Piccola on-shot scritta di getto oggi pomeriggio. Non mi aspetto commentiate, non m'importa. La pubblico perchè vorrei mostrarvi cosa mi frutta in testa quando mi annoio. Dedicata a Yumi, che odio a morte e lei lo sa. Buona lettura. [Metto Raiting giallo perchè Romano spara parolacce come sempre .w.]
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Spagna/Antonio Fernandez Carriedo, Sud Italia/Lovino Vargas
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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>> Las Palabras que nunca te dije

>> Las Palabras que nunca te dije
-The words that I never told you-


-Vaffanculo! Muori!-
Sbraitò l’italiano mentre stringeva nervosamente I pugni contro lo spagnolo che tentava di farlo ragionare ma tutto sembrava assolutamente inutile con la mentalità testarda di Romano. Antonio a volte si chiedeva con che pazienza potesse stare con lui, anche per le litigate a cui erano soggetti a volte. Si morse il labbro inferiore mentre lo guardava prendere la sua roba ed avvicinarsi alla porta, da cui si potevano scorgere le gocce di pioggia che si schiantavano pesantemente contro il vetro della porta finestra che avevano come ingresso nelle loro casa a Roma. Poteva esserci un modo per risolvere quel semplice disguido dovuto ad una ragazza belga, dai lisci capelli biondi, un taglio corto ed un nastro rosso tra i capelli. Ma subito Antonio appena vide l’italiano che si avvicinava alla porta ebbe l’istinto di afferrarlo dai fianchi, portarlo nella loro stanza da letto ed ovviamente fare pace alla maniera spagnola.
-Andiamo Romano! Possiamo ragionarci sopr- -
Ma prima che potesse dire qualsiasi cosa Romano era già uscito dalla porta, lasciando che il rumore di essa che si abbatteva violentemente riecheggiasse per tutta la casa e soprattutto nel cuore di Antonio. Che pensare? Antonio non lo sapeva.


Quella pioggia era aumentata ancora di più sentendosi le gocce abbattersi contro il cuore dell’italiano che sostava sotto una pensilina degli autobus, senza una meta. Avrebbe aspettato il primo autobus per allontanarsi da lì ed evitare di spaccare qualche palo della luce a suon di cazzotti. Quell’idiota! Non aveva ancora capito cosa comportasse stare con lui? A quanta gelosia avrebbe dovuto assistere? Ma non demordeva quel bastardo! Continuava insistentemente a stare con lui, continuamente come se volesse dargli fastidio, ma in realtà si ficcava nei guai da solo stando con una persona come lui. Romano era piccioso, orgoglioso e completamente pieno di sé, maschera di cristallo che portava dalla tenera età di dieci anni per pura convenienza e che però non aveva imparato a togliere nel momento giusto, e alla fine, sapeva benissimo anche il giovane Vargas, che si sarebbe rotta in mille pezzi in un pianto amaro come quello che stava consumando in silenzio sperando che quella fottutissima pioggia potesse essergli almeno parzialmente amica, nascondere quel suo dolore così vergognoso e colmo di pena che trasudava. Che assoluta vergogna per uno come Romano. La sua valanga di pensieri comunque, venne interrotta dallo squillare insistente del telefono che trillava nella sua tracolla. Sospirò prendendo il cellulare notando che era il numero di Antonio. Quel bastardo! Lo sapeva che sarebbe tornato strisciando. Sospirò guardando fuori guardando la pioggia cadere. Ma in fondo Romano non aspettava altro che quella telefonata da parte dello spagnolo, e quindi per ché non rispondere? Perché farsi tutti quei problemi per una semplice chiamata, Romano aveva avuto quello che voleva, e cioè sottomettere totalmente lo straniero ai suoi capricci.
-Pronto?-
Il tono era scassato, completamente nervoso, sicuro che fosse lo spagnolo e che potesse prendersela tranquillamente lui, ma subito la voce sconosciuta lo fece avvampare completamente paonazzo ed imbarazzato.
-Sì … Salve. Lei è Romano Vargas? –
-Sì. -
La voce dall’altra parte esitò un momento completamente senza parole dato che era comunque una pessima notizia da dare ad un persona che sembrava evidentemente molto vicina a lui.
-Salve sono il dottor Rossini, primario del reparto rianimazione dell’Ospedale Gemelli di Roma.-
Romano si morse le labbra rabbrividendo completamente terrorizzato dal fatto che un medico avesse chiamato col telefono di Antonio. Che gli fosse successo qualcosa? Oddio! Romano in quel momento si sentì responsabile di qualsiasi cosa gli fosse accaduta. Perché comunque gli aveva pregato la morte prima di uscire di casa … E che la litigata lo avesse distrutto? No! Non era tipo per abbattersi per una cazzata del genere. Terrorizzato Romano si morse il labbro sempre più forte respirando lentamente.
-Mi dica
… Ha bisogno di qualcosa?-
-No, non ho bisogno di nulla. Piuttosto vorrei informarla che il signor Antonio Carriedo è ricoverato presso di noi … Per una commozione cerebrale dovuta ad un incidente stradale …-
Romano si sentì morire in quel momento mentre era in piedi nell’autobus, e si manteneva a quelle sbarre blu che servivano a chi non aveva un posto a sedere. Spalancò gli occhi sentendo le lacrime salire agli occhi e scendere lentamente. Scosse la testa sentendo il medico dire qualcos’altro ma non ci badò molto, badò soprattutto al fatto che stava piangendo come un idiota per un altro idiota come Antonio! Quel coglione! Non aveva imparato a guidare!? Strinse i denti nervoso dando un cazzotto al vetro e rompendolo dalla rabbia, non guardando le schegge che si erano conficcate nella carne e ora lo stavano facendo sanguinare. No… No! Era inconcepibile che Antonio fosse morto! Era morto! Sotto un cipresso! In una cassa di mogano! E Romano non avrebbe mai permesso che morisse SUL SERIO prima che l’italiano non gli avesse detto quanto ci tenesse a lui… Diciamolo, quanto amasse Antonio, si quanto gli fosse grato di averlo salvato dall’oscurità che gli stava opprimendo il cuore rendendolo quasi malvagio. Si portò le mani al viso, lasciando il telefono accanto a lui, ripensando a tutti i momenti che avevano passato insieme, tutte le volte in cui avevano fatto l’amore, e tutte le volte che aveva mancato a dirgli “Ti amo”. Chiamò la fermata con l’apposito tastino e appena ne ebbe la possibilità, scappò giù dall’autobus e corse verso l’ospedale che si trovava ad un paio di isolati da lì. -No … Non è vero! Non ci credo! CAZZO!-
La frustrazione di Romano era decisamente deprimente. Sentire un essere forte e orgoglioso come lui, voleva dire che la cosa era grave che non c’era da scherzarci sopra, e soprattutto se si parlava di Antonio, l’unico essere umano che Romano avesse mai amato con tutto il suo cuore. Non si era mai aperto così tanto con altra gente. Non aveva mai confidato certe cose a persone per lo spagnolo, sempre solari e gentili, ma proprio per quel suo lato caratteriale, così caldo e che ti travolge, come le terre da cui Antonio proveniva, probabilmente lo avevano trascinato in un mondo che a Romano era totalmente sconosciuto. Un momento forse migliore di quello che avesse mai immaginato. Corse sino all’entrata del policlinico dove vi erano parcheggiate moltissime ambulanze. Non smise di correre, finchè non arrivò dove un’infermiera, che sembrava divertirsi molto a limarsi le unghie, alzò i suoi penetranti occhi blu e storse le labbra avvicinandosi al vetro che la separava da un affannato Romano con le lacrime che si mischiavano alle gocce di pioggia che gli colavano dal viso rendendolo ancora più bello di quanto già non fosse.
-Posso aiutarti carino?-
Fece lei con un tono un po’ da ochetta, e lo era, disgustando Romano che deglutì per trattenere un conato di vomito. Ecco perché gli piacevano gli uomini, per evitare certi tipi di ragazze come quella lì.
-Senta … Sto cercando la stanza di Antonio Carriedo…-
Il tono dell’italiano faceva presagire qualcosa di cattivo, un tono di chi aveva completamente perso la speranza. Infatti era lì solamente per dirgli addio, ed anche sul letto di morte, di dirgli per la prima volta quanto lo amasse, quando lo avrebbe amato per tutto quello che aveva fatto per lui. Sospirò notando la ragazza sfogliare tra i registri delle stanze occupate e sorrise mentre trovava la stanza giusta.
-Oh quindi sei venuto per quel gran figo che hanno ricoverat- -
-Ehi, stronza! Non ti permettere di dare del figo ad Antonio! Lui è mio! Ora dammi il numero di quella cazzo di stanza e non rompere i coglioni!-
A volte Romano sapeva essere veramente cattivo e soprattutto in quel caso in cui Antonio era il primo ad essere coinvolto. Il fatto che fosse in fin di vita ed una piccola pezza di merda come quella, super viziata e scansafatiche faceva certi apprezzamenti sul SUO ragazzo, lo mandavano letteralmente il bestia. Incrociò le braccia attendendo una risposta con viso scazzatissimo mentre osservava il volto della giovane che si contraeva in una smorfia indignata pensando che certi ragazzi fossero veramente maleducati, e come se non bastasse era anche gay e stava con quel tizio con la pelle mulatta su cui lei aveva messo gli occhi sopra. Strinse i denti lasciando che la gomma da masticare che aveva in bocca s’incastrasse tra i denti, con rabbia.
-Stanza 567…-

E non vi fu altro fiato da parte dell’infermiera. La cosa non fece altro che far sentire Romano ancora più vittorioso di prima, e anche decisamente soddisfatto. Ma non era propriamente il momento di prendersi il merito per aver umiliato una stronza come quella, ovviamente, doveva pensare prima alle condizioni in cui versava il ragazzo, e a quanto dicevano sembravano veramente molto gravi. La stanza indicata dalla ragazza si trovava al quinto piano del palazzo, e ovviamente non aveva né la forza fisica né la forza mentale di salire le scale, così preferì prendere l’ascensore che era completamente vuoto, e uno specchio si trovava al lato dell’entrata, accanto alla pulsantiera con i numeri dei piani. Spinse il numero cinque, guardando con che lentezza procedeva l’aggeggio e, tanto disperato, si lasciò scivolare per terra, lasciando che torturasse con i denti un piccolo crocifisso di oro bianco che Antonio gli aveva regalato per il suo compleanno. Ricordava il viso spensierato di un bambino che gioiva per il viso felice di Romano per il regalo, o meglio era pressoché imbarazzato, ma Antonio aveva imparato a riconoscere tutti i segnali del corpo del’italiano. E fu lì che una lacrima scese sulle guance di romano cadendo lentamente sulla collanina preziosa che portava gelosamente al collo. Come poteva essere successo ad Antonio … Dopo tutte le volte che gli aveva augurato la morte doveva essere morto e rinato almeno un quindicina di volte, ed era proprio di quello la cosa di cui non si capacitava, che un tipo coriaceo come Antonio ci avesse lasciato le penne per un incidente stradale. Guardò il tabellone dove erano segnati i piani e si trovava ancora al terzo, beh tanto meglio. Aveva più tempo per meditare su cosa digli una volta arrivato al suo capezzale. Diede un colpo con la testa al’ascensore, sentendo il dolore che perpetrava dentro di lui, logorandogli l’anima. Socchiuse gli occhi portandosi lentamente le mani al viso mentre si incurvava su se stesso, rendendosi ancora più piccino di prima. Alzò gli occhi ambrati sullo specchio non riconoscendosi più. Non era più Romano Vargas quello, era un povero ragazzo provato da dolore e dalla disperazione che gli stavano lentamente divorando l’anima. Sospirò pianissimo guardando poi in alto e notando che era arrivato al piano, e subito, appena le porte si aprirono, corse fuori andando di corridoio in corridoio, evitando certo le infermiere, per trovare la stanza. Ma ci fu una cosa che lo fece rabbrividire. Vedere il corpo di un ragazzo dai capelli castani che veniva portato su di un barella all’obitorio. Romano spalancò gli occhi correndo in contro alla barella. NO! Era morto davvero!
-Antonio!-
La disperazione che si era proiettata dentro di lui era letteralmente frustrante, un tono che riecheggiò arrivando sino ai medici che, vedendo il moro, si guardarono tutti con una nota di tristezza. Romano riprese la sua folle corsa verso la barella e abbracciandola letteralmente, mentre sentiva non più il profumo caldo e amorevole di Antonio, bensì il profumo ferroso del sangue, un odore che Romano non aveva mai potuto sopportare. Scuoteva la testa piangendo disperatamente, non volendo neanche guardare il suo viso sicuramente provato dall’incidente stradale, non voleva scoprirlo per rivelare ciò che era del suo corpo, voleva avere un meraviglioso ricordo dell’altrettanto meraviglioso corpo di Antonio, muscoloso certo, ma al punto giusto, la pelle mulatta, di un color caffèlatte molto chiaro. Si era sempre chiesto se fosse commestibile qualche volta, perché aveva avuto il desiderio di mangiarlo completamente da capo a piedi e tentare d’incorporarlo dentro di sé per evitare che gli succedesse qualcosa di brutto. Lo amava troppo. -Brutto bastardo! Avevi promesso che mi saresti stato accanto per sempre! Sei uno stronzo perché mi sono innamorato di te! E ora mi lasci così solo eh!? RISPONDI!-
-Veramente non ti lascerei per nulla al mondo … -
Spalancò gli occhi sentendo la voce soave e vellutata di Antonio che gli risuonava dolcemente nelle orecchie come miele che cadeva dai nidi di api, quello stesso miele che lo deliziava ogni giorno, e lo deliziava con squisiti “Te amo”. Trattenne un momento il respiro girandosi pianissimo verso la fonte della voce sperando che non fosse già diventato pazzo. Perché quello sotto il lenzuolo era Antonio, sì. Era quel bastardo che prima combinava il casino nel farlo innamorare e poi lo lasciava dopo uno stupido incidente stradale. Notò però che la pelle abbronzata era la sua, il petto perfetto era fasciato e un braccio ingessato, tenuto su da un fazzoletto bianco, al collo. Appena Romano posò gli occhi su di lui, lo vide sorridere mentre si avvicinava.
-Non sai neanche riconoscermi? Che tristezza.-
Commentò lui lentamente avvicinandosi a Romano ed accarezzandogli pianissimo il viso sentendo la pelle bollente delle guance che erano state rigate da lacrime salatissime ma che contenevano qualcosa di fottutamente amaro, e quel qualcosa era completamente distrutto davanti ai suoi occhi … Antonio era vivo, ma … Chi c’era sotto il lenzuolo. Si girò completamente scoprendo il cadavere e trovandoci quello di un pallido ragazzo dai capelli castani che giaceva morto sul lettino, il viso sfaldato. Romano si portò una mano al viso completamente disgustato dalla scena e Antonio subito dovette provvedere coprendogli piano gli occhi con la sua mano calda e profumata della loro casa. E quando sentì il vero odore di Antonio, lascò cadere ancora più dolcemente le lacrime, lacrime che fecero capire allo spagnolo che c’era stato un disguido bello e buono.
-Cos’è che stavi dicendo?-
Lo incitò lo spagnolo. Voleva sentire quelle parole di nuovo dalla gradevole bocca di Romano, una bocca che amava baciare, e leccare, fare completamente sua. Romano arrossì premendosi la sua mano sugli occhi, facendo sentire le lacrime che scorrevano lentamente sul suo viso.
-Non ho detto niente, bastardo.-
Lui rise sentendo che era sempre lo stesso e la cosa non fece che rasserenarlo ovviamente. Perché sapere non cambiata la persona che si ama, era una gioia che faceva esplodere il cuore dello spagnolo.
-Invece sì … -
-No vaffanculo! Vuoi sentirti dire che ti amo!? Bene! TI AMO IDIOTA!-
Rimase col fiato a metà mentre il viso completamente compiaciuto di Antonio, si illuminava con un raggiante sorriso. Poggiò le labbra sul suo orecchio baciandole dolcemente sentendo come con un sospiro smorzato Romano trattenne un gemito perché sapeva perfettamente che le orecchie erano il suo punto debole, il punto principe che gli permetteva di avere completa padronanza dell’italiano.

-Te amo, niño.-
Il suo spagnolo era un qualcosa di fottutamente perfetto, che lo faceva rabbrividire da capo a piedi. Che dire in quel momento? Non poteva certo negare di aver detto quello che aveva detto. Ma non gliel’avrebbe ripetuto, doveva assolutamente accontentarsi di quello che aveva sputato con rabbia e frustrazione.
-Taci … -
-Sei bellissimo niño.-
Si girò verso di lui scostandogli violentemente la mano dal viso. Lo stava per prendere violentemente a ceffoni a quello stronzo. Doveva tacere perché altrimenti sapeva che dicendo così sarebbe caduto tra le sue braccia e … Oh troppo tardi ora lo stava abbracciando ripetendogli quando lo amasse e quanto fosse carino.
-Smettila bastardo … È colpa tua se ti amo.-
-È la miglior colpa che tu possa attribuirmi.-

 

~

E per finire i crediti:

Vorrei ringraziare la mia zia puzzona per avermi prestato il pc per scrivere questa storia in pomeriggio in un impeto di ispirazione potente. Come sotto fondo avevo Rewind dei Pillar e devo ringraziare la mia piccola beta per avermela passata e per aver corretto i miei errori di grammatica da spavento ._.

Ed infine vorrei dedicare questa storia a Yumi, quella grandissima bastardona che mi ha fatto appassionare a loro, ovviamente non è solo per ricambiare alla dedica ma soprattutto perché una storia gliel’avevo promessa… Tutta tua, yaro!

~Fue.

  
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