>> Las Palabras
que nunca te dije
-The words that I
never told you-
-Vaffanculo!
Muori!-
Sbraitò l’italiano mentre stringeva nervosamente I pugni contro lo spagnolo che
tentava di farlo ragionare ma tutto sembrava assolutamente inutile con la
mentalità testarda di Romano. Antonio a volte si chiedeva con che pazienza potesse stare con lui, anche per le litigate a cui erano
soggetti a volte. Si morse il labbro inferiore mentre
lo guardava prendere la sua roba ed avvicinarsi alla porta, da cui si potevano
scorgere le gocce di pioggia che si schiantavano pesantemente contro il vetro
della porta finestra che avevano come ingresso nelle loro casa a Roma. Poteva
esserci un modo per risolvere quel semplice disguido dovuto ad una ragazza
belga, dai lisci capelli biondi, un taglio corto ed un nastro rosso tra i
capelli. Ma subito Antonio appena vide l’italiano che
si avvicinava alla porta ebbe l’istinto di afferrarlo dai fianchi, portarlo
nella loro stanza da letto ed ovviamente fare pace alla maniera spagnola.
-Andiamo Romano! Possiamo ragionarci sopr- -
Ma prima che potesse dire qualsiasi cosa Romano era
già uscito dalla porta, lasciando che il rumore di essa che si abbatteva
violentemente riecheggiasse per tutta la casa e soprattutto nel cuore di
Antonio. Che pensare? Antonio non lo sapeva.
Quella pioggia era aumentata ancora di più sentendosi le gocce abbattersi
contro il cuore dell’italiano che sostava sotto una pensilina degli autobus,
senza una meta. Avrebbe aspettato il primo autobus per allontanarsi da lì ed
evitare di spaccare qualche palo della luce a suon di cazzotti. Quell’idiota!
Non aveva ancora capito cosa comportasse stare con lui? A quanta gelosia
avrebbe dovuto assistere? Ma non demordeva quel
bastardo! Continuava insistentemente a stare con lui, continuamente come se
volesse dargli fastidio, ma in realtà si ficcava nei guai da solo stando con
una persona come lui. Romano era piccioso, orgoglioso
e completamente pieno di sé, maschera di cristallo che portava dalla tenera età
di dieci anni per pura convenienza e che però non aveva imparato a togliere nel
momento giusto, e alla fine, sapeva benissimo anche il giovane Vargas, che si sarebbe rotta in mille pezzi in un pianto
amaro come quello che stava consumando in silenzio sperando che quella
fottutissima pioggia potesse essergli almeno parzialmente amica, nascondere
quel suo dolore così vergognoso e colmo di pena che trasudava. Che assoluta
vergogna per uno come Romano. La sua valanga di pensieri comunque,
venne interrotta dallo squillare insistente del telefono che trillava nella sua
tracolla. Sospirò prendendo il cellulare notando che era il numero di Antonio.
Quel bastardo! Lo sapeva che sarebbe tornato strisciando. Sospirò guardando
fuori guardando la pioggia cadere. Ma in fondo Romano
non aspettava altro che quella telefonata da parte dello spagnolo, e quindi per
ché non rispondere? Perché farsi tutti quei problemi
per una semplice chiamata, Romano aveva avuto quello che voleva, e cioè sottomettere totalmente lo straniero ai suoi capricci.
-Pronto?-
Il tono era scassato, completamente nervoso, sicuro che fosse lo spagnolo e che
potesse prendersela tranquillamente lui, ma subito la voce sconosciuta lo fece avvampare
completamente paonazzo ed imbarazzato.
-Sì … Salve. Lei è Romano Vargas? –
-Sì. -
La voce dall’altra parte esitò un momento completamente senza parole dato che
era comunque una pessima notizia da dare ad un persona
che sembrava evidentemente molto vicina a lui.
-Salve sono il dottor Rossini, primario del reparto rianimazione dell’Ospedale
Gemelli di Roma.-
Romano si morse le labbra rabbrividendo completamente terrorizzato dal fatto
che un medico avesse chiamato col telefono di Antonio. Che gli fosse successo
qualcosa? Oddio! Romano in quel momento si sentì responsabile di qualsiasi cosa
gli fosse accaduta. Perché comunque gli aveva pregato
la morte prima di uscire di casa … E che la litigata lo avesse distrutto? No!
Non era tipo per abbattersi per una cazzata del genere. Terrorizzato Romano si morse il labbro sempre più forte respirando lentamente.
-Mi dica … Ha bisogno di qualcosa?-
-No, non ho bisogno di nulla. Piuttosto vorrei informarla che il signor Antonio
Carriedo è ricoverato presso di noi … Per una
commozione cerebrale dovuta ad un incidente stradale …-
Romano si sentì morire in quel momento mentre era in
piedi nell’autobus, e si manteneva a quelle sbarre blu che servivano a chi non
aveva un posto a sedere. Spalancò gli occhi sentendo le lacrime salire agli occhi e scendere lentamente. Scosse la testa sentendo il
medico dire qualcos’altro ma non ci badò molto, badò
soprattutto al fatto che stava piangendo come un idiota per un altro idiota
come Antonio! Quel coglione! Non aveva imparato a guidare!?
Strinse i denti nervoso dando un cazzotto al vetro e
rompendolo dalla rabbia, non guardando le schegge che si erano conficcate nella
carne e ora lo stavano facendo sanguinare. No… No! Era inconcepibile che
Antonio fosse morto! Era morto! Sotto un cipresso! In una cassa di mogano! E
Romano non avrebbe mai permesso che morisse SUL SERIO prima
che l’italiano non gli avesse detto quanto ci tenesse a lui… Diciamolo, quanto
amasse Antonio, si quanto gli fosse grato di averlo salvato dall’oscurità che
gli stava opprimendo il cuore rendendolo quasi malvagio. Si portò le mani al
viso, lasciando il telefono accanto a lui, ripensando a tutti i momenti che
avevano passato insieme, tutte le volte in cui avevano fatto l’amore, e tutte
le volte che aveva mancato a dirgli “Ti amo”. Chiamò la fermata con l’apposito tastino e appena ne ebbe la possibilità, scappò giù
dall’autobus e corse verso l’ospedale che si trovava ad un paio di isolati da
lì. -No … Non è vero! Non ci credo! CAZZO!-
La frustrazione di Romano era decisamente deprimente.
Sentire un essere forte e orgoglioso come lui, voleva dire
che la cosa era grave che non c’era da scherzarci sopra, e soprattutto se si
parlava di Antonio, l’unico essere umano che Romano avesse mai amato con tutto
il suo cuore. Non si era mai aperto così tanto con
altra gente. Non aveva mai confidato certe cose a persone per lo spagnolo,
sempre solari e gentili, ma proprio per quel suo lato caratteriale, così caldo
e che ti travolge, come le terre da cui Antonio proveniva, probabilmente lo
avevano trascinato in un mondo che a Romano era totalmente sconosciuto. Un
momento forse migliore di quello che avesse mai immaginato. Corse sino
all’entrata del policlinico dove vi erano parcheggiate moltissime ambulanze.
Non smise di correre, finchè non arrivò dove
un’infermiera, che sembrava divertirsi molto a limarsi le unghie, alzò i suoi
penetranti occhi blu e storse le labbra avvicinandosi al vetro che la separava
da un affannato Romano con le lacrime che si mischiavano alle gocce di pioggia
che gli colavano dal viso rendendolo ancora più bello di quanto già non fosse.
-Posso aiutarti carino?-
Fece lei con un tono un po’ da ochetta, e lo era, disgustando Romano che
deglutì per trattenere un conato di vomito. Ecco perché gli piacevano gli
uomini, per evitare certi tipi di ragazze come quella lì.
-Senta … Sto cercando la stanza di Antonio Carriedo…-
Il tono dell’italiano faceva presagire qualcosa di cattivo, un tono di chi
aveva completamente perso la speranza. Infatti era lì
solamente per dirgli addio, ed anche sul letto di morte, di dirgli per la prima
volta quanto lo amasse, quando lo avrebbe amato per tutto quello che aveva
fatto per lui. Sospirò notando la ragazza sfogliare tra i registri delle stanze
occupate e sorrise mentre trovava la stanza giusta.
-Oh quindi sei venuto per quel gran figo che hanno ricoverat-
-
-Ehi, stronza! Non ti permettere di dare del figo ad Antonio! Lui è mio! Ora
dammi il numero di quella cazzo di stanza e non
rompere i coglioni!-
A volte Romano sapeva essere veramente cattivo e soprattutto in quel caso in
cui Antonio era il primo ad essere coinvolto. Il fatto che fosse in fin di vita
ed una piccola pezza di merda come quella, super viziata e scansafatiche faceva
certi apprezzamenti sul SUO ragazzo, lo mandavano
letteralmente il bestia. Incrociò le braccia attendendo una risposta con viso scazzatissimo
mentre osservava il volto della giovane che si contraeva in una smorfia
indignata pensando che certi ragazzi fossero veramente maleducati, e come se
non bastasse era anche gay e stava con quel tizio con la pelle mulatta su cui
lei aveva messo gli occhi sopra. Strinse i denti lasciando che la gomma da
masticare che aveva in bocca s’incastrasse tra i
denti, con rabbia.
-Stanza 567…-
E non vi fu altro fiato da parte dell’infermiera. La cosa
non fece altro che far sentire Romano ancora più vittorioso di
prima, e anche decisamente soddisfatto. Ma non era
propriamente il momento di prendersi il merito per aver umiliato una stronza
come quella, ovviamente, doveva pensare prima alle condizioni in cui versava il
ragazzo, e a quanto dicevano sembravano veramente molto gravi. La stanza
indicata dalla ragazza si trovava al quinto piano del palazzo, e ovviamente non
aveva né la forza fisica né la forza mentale di salire
le scale, così preferì prendere l’ascensore che era completamente vuoto, e uno
specchio si trovava al lato dell’entrata, accanto alla pulsantiera con i numeri
dei piani. Spinse il numero cinque, guardando con che lentezza procedeva
l’aggeggio e, tanto disperato, si lasciò scivolare per terra, lasciando che
torturasse con i denti un piccolo crocifisso di oro
bianco che Antonio gli aveva regalato per il suo compleanno. Ricordava il viso
spensierato di un bambino che gioiva per il viso felice di Romano per il
regalo, o meglio era pressoché imbarazzato, ma Antonio
aveva imparato a riconoscere tutti i segnali del corpo del’italiano. E fu lì
che una lacrima scese sulle guance di romano cadendo lentamente sulla collanina
preziosa che portava gelosamente al collo. Come poteva essere successo ad
Antonio … Dopo tutte le volte che gli aveva augurato la morte doveva essere morto
e rinato almeno un quindicina di volte, ed era proprio
di quello la cosa di cui non si capacitava, che un tipo coriaceo come Antonio
ci avesse lasciato le penne per un incidente stradale. Guardò il tabellone dove
erano segnati i piani e si trovava ancora al terzo, beh tanto meglio. Aveva più
tempo per meditare su cosa digli una volta arrivato al suo capezzale. Diede un colpo con la testa al’ascensore, sentendo il dolore
che perpetrava dentro di lui, logorandogli l’anima. Socchiuse gli occhi
portandosi lentamente le mani al viso mentre si incurvava
su se stesso, rendendosi ancora più piccino di prima. Alzò gli occhi ambrati
sullo specchio non riconoscendosi più. Non era più Romano Vargas
quello, era un povero ragazzo provato da dolore e dalla disperazione che gli
stavano lentamente divorando l’anima. Sospirò pianissimo guardando poi in alto
e notando che era arrivato al piano, e subito, appena le porte si aprirono,
corse fuori andando di corridoio in corridoio, evitando certo le infermiere,
per trovare la stanza. Ma ci fu una cosa che lo fece
rabbrividire. Vedere il corpo di un ragazzo dai capelli castani che veniva portato su di un barella all’obitorio. Romano
spalancò gli occhi correndo in contro alla barella. NO! Era morto davvero!
-Antonio!-
La disperazione che si era proiettata dentro di lui era letteralmente
frustrante, un tono che riecheggiò arrivando sino ai medici che, vedendo il
moro, si guardarono tutti con una nota di tristezza. Romano riprese la sua
folle corsa verso la barella e abbracciandola letteralmente, mentre sentiva non
più il profumo caldo e amorevole di Antonio, bensì il profumo ferroso del
sangue, un odore che Romano non aveva mai potuto sopportare. Scuoteva la testa
piangendo disperatamente, non volendo neanche guardare il suo viso sicuramente
provato dall’incidente stradale, non voleva scoprirlo per rivelare ciò che era
del suo corpo, voleva avere un meraviglioso ricordo dell’altrettanto
meraviglioso corpo di Antonio, muscoloso certo, ma al
punto giusto, la pelle mulatta, di un color caffèlatte molto chiaro. Si era
sempre chiesto se fosse commestibile qualche volta, perché aveva avuto il
desiderio di mangiarlo completamente da capo a piedi e tentare d’incorporarlo
dentro di sé per evitare che gli succedesse qualcosa di brutto. Lo amava troppo.
-Brutto bastardo! Avevi promesso che mi saresti stato accanto per sempre! Sei
uno stronzo perché mi sono innamorato di te! E ora mi lasci così solo eh!? RISPONDI!-
-Veramente non ti lascerei per nulla al mondo … -
Spalancò gli occhi sentendo la voce soave e vellutata di Antonio
che gli risuonava dolcemente nelle orecchie come miele che cadeva dai nidi di
api, quello stesso miele che lo deliziava ogni giorno, e lo deliziava con
squisiti “Te amo”. Trattenne un momento il respiro girandosi pianissimo verso
la fonte della voce sperando che non fosse già diventato pazzo. Perché quello
sotto il lenzuolo era Antonio, sì. Era quel bastardo che prima combinava il
casino nel farlo innamorare e poi lo lasciava dopo uno stupido incidente
stradale. Notò però che la pelle abbronzata era la sua, il petto perfetto era
fasciato e un braccio ingessato, tenuto su da un fazzoletto bianco, al collo.
Appena Romano posò gli occhi su di lui, lo vide sorridere mentre si avvicinava.
-Non sai neanche riconoscermi? Che tristezza.-
Commentò lui lentamente avvicinandosi a Romano ed accarezzandogli pianissimo il
viso sentendo la pelle bollente delle guance che erano state rigate da lacrime
salatissime ma che contenevano qualcosa di fottutamente amaro, e quel qualcosa
era completamente distrutto davanti ai suoi occhi … Antonio era vivo, ma … Chi
c’era sotto il lenzuolo. Si girò completamente scoprendo il cadavere e
trovandoci quello di un pallido ragazzo dai capelli castani che giaceva morto
sul lettino, il viso sfaldato. Romano si portò una mano al viso completamente
disgustato dalla scena e Antonio subito dovette provvedere coprendogli piano
gli occhi con la sua mano calda e profumata della loro casa. E quando sentì il
vero odore di Antonio, lascò cadere ancora più
dolcemente le lacrime, lacrime che fecero capire allo spagnolo che c’era stato
un disguido bello e buono.
-Cos’è che stavi dicendo?-
Lo incitò lo spagnolo. Voleva sentire quelle parole di nuovo dalla gradevole
bocca di Romano, una bocca che amava baciare, e
leccare, fare completamente sua. Romano arrossì premendosi la sua mano sugli
occhi, facendo sentire le lacrime che scorrevano lentamente sul suo viso.
-Non ho detto niente, bastardo.-
Lui rise sentendo che era sempre lo stesso e la cosa non fece che rasserenarlo
ovviamente. Perché sapere non cambiata la persona che si ama, era una gioia che
faceva esplodere il cuore dello spagnolo.
-Invece sì … -
-No vaffanculo! Vuoi sentirti dire che ti amo!? Bene!
TI AMO IDIOTA!-
Rimase col fiato a metà mentre il viso completamente
compiaciuto di Antonio, si illuminava con un raggiante sorriso. Poggiò le
labbra sul suo orecchio baciandole dolcemente sentendo come con un sospiro
smorzato Romano trattenne un gemito perché sapeva perfettamente che le orecchie
erano il suo punto debole, il punto principe che gli
permetteva di avere completa padronanza dell’italiano.
-Te amo, niño.-
Il suo spagnolo era un qualcosa di fottutamente perfetto, che lo faceva
rabbrividire da capo a piedi. Che dire in quel momento? Non poteva certo negare
di aver detto quello che aveva detto. Ma non gliel’avrebbe ripetuto, doveva assolutamente
accontentarsi di quello che aveva sputato con rabbia e frustrazione.
-Taci … -
-Sei bellissimo niño.-
Si girò verso di lui scostandogli violentemente la mano dal viso. Lo stava per
prendere violentemente a ceffoni a quello stronzo. Doveva tacere perché
altrimenti sapeva che dicendo così sarebbe caduto tra le sue braccia e … Oh
troppo tardi ora lo stava abbracciando ripetendogli
quando lo amasse e quanto fosse carino.
-Smettila bastardo … È colpa tua se ti amo.-
-È la miglior colpa che tu possa attribuirmi.-
~
E per finire i crediti:
Vorrei ringraziare la mia zia puzzona per avermi prestato il pc per scrivere questa storia in pomeriggio in un impeto di ispirazione potente. Come sotto fondo avevo Rewind dei Pillar e devo ringraziare la mia piccola beta per avermela passata e per aver corretto i miei errori di grammatica da spavento ._.
Ed infine vorrei dedicare questa storia a Yumi, quella grandissima bastardona che mi ha fatto appassionare a loro, ovviamente non è solo per ricambiare alla dedica ma soprattutto perché una storia gliel’avevo promessa… Tutta tua, yaro!
~Fue.