Malato da farsi.
Arrivo, puntuale come al solito. Oltrepasso una donna e avido apro la porta; solo dopo mi rendo conto che colei che ho superato risiede tra le mie conoscenze.
"Oh scusa Shizune, ero proprio perso nei miei pensieri. Beh io entro, ciao". Le dispenso un sorriso ampio, poi entro, lasciandomi alle spalle la ragazza con chissà quale pensiero che gli frulla in testa.
Come al solito chiudo piano la porta, per paura di svegliare Sasuke. E nello stesso istante in cui ci penso mi sento anche male.
Sospiro e dimentico. Sospiro e tutto passa. Aria nuova che filtra nei miei polmoni e mi rinnova anche i pensieri, eliminando i cattivi.
Mi avvicino al letto dove sta. E inizio a parlare. Poi, solo poi arriva il pianto, silenzioso.
Come sempre.
Sentire
quella pelle chiara sotto le dita, sotto i miei polpastrelli
infreddoliti. Questo mi fa sentire vivo e solo allo stesso tempo.
Ascoltare il rantolo dei suoi polmoni martoriati, questo mi incatena al dolore e a una dolce accettazione, che mi culla nella malinconia di un desiderio inappagabile.
Ma è un malato da farsi il mio, gode di far godere un cervello che non reagisce. Che è fine a stesso; impulsi incarcerati in una bianca scatola.
Mi sveglio solo quando il mio corpo, sebbene sopito, percepisce che è arrivato il momento di andare a casa. È sempre notte fonda...
E un odore che rimane. Che Si attacca ai vestiti e ad ogni passo o movimento del corpo si rinnova. Non vuole lasciarmi perché sa che non lo sopporterei, che ridurrei la mia vita a impulsiva drasticità. A ingenua incompletezza.
Per questo vado ogni giorno a trovarlo nella stanza 143. Anche se puzza di sterile e inemozionale, anche se è una baia bianca da cui non si torna, anche se la mia psiche si va deteriorando sempre di più, io ci vado ogni giorno, da due anni.
E lo accarezzo come facevo una volta, immaginando che la sua pelle risponda ai miei stimoli, invece rimane inerte.
Immagino che alle mie parole improvvisamente riapra gli occhi e mi sorrida.
Giorno dopo giorno muoio la sera e rinasco la mattina, pieno di una nuova forza che mi porta da lui, con impresso in testa il numero di quella stanza d'ospedale, 143.
Si...È un malato da farsi il mio.