Ciao a tutti/e! come al solito, quando non ho
idee per “Gold in the Blue” mi accingo a scrivere one-shot senza senso, che
spero sempre abbiano qualche effetto sul pubblico leggente. In questa fic,
troviamo un Ed in prima persona che si trova nella sua nuova casetta a
Resembool (e sottolineo nuova, non è quella di Pinako xD). Tutto si
svolge dopo la fine del manga, come ben si capirà. Bene, non ricomincio con la
mia solita tiritera, che tanto non interessa a nessuno. Detto questo, a voi la
mia fanfiction!
La porta del passato
Come sono semplici queste serate
d’inizio luglio. Mi ero completamente dimenticato di quanto questo morbido
calore e il profumo dell’erba alta dei campi fosse dolce e inebriante. Il canto
dei grilli si fonde quasi alla perfezione con i battiti calmi del mio cuore.
Sono un tutt’uno, un suono così ormai familiare per me. La notte estiva a
Resembool è straordinaria. Avevo rimosso questo ricordo, forse perché a Central
City è tutto così diverso.
La porta è aperta e vedo lontano le
buie campagne del mio paese. I campi, illuminati dall’argentea luce della luna,
hanno un non so che di magico. Sorrido, accorgendomi solo ora della beata pace
che da sempre anima questo luogo.
Volgo lo sguardo verso la cucina,
dove un lucido pentolino di rame è posato sulla stufa accesa. L’impercettibile
scricchiolio del fuoco penetra nelle mie orecchie, ormai purtroppo abituate al
crepitare secco di una combustione. Il mio cuore aumenta di battiti, ansioso,
teso. Maledetta abitudine. Dannato colonnello piromane.
Mi alzo con molta noncuranza dal
divanetto e la stoffa ruvida color giallo spento striscia contro il mio
polpaccio destro. Anche contro il sinistro, a dire il vero, ma non riesco a percepirlo.
Mi avvicino lentamente alla stufa, trascinando ogni passo sul pavimento di
legno. Il piccolo calore generato dalla fiammella si unisce all’afa appiccicosa
di questa notte, investendomi in pieno viso.
Un odore disgustoso che riconosco
fin troppo bene mi invade le narici, prendendone fieramente possesso. Storgo il
naso, mentre spengo il fuoco e prendo tra le mani il manico del pentolino,
appena in tempo prima che quel repellente liquido biancastro cominci a bollire.
Poso il piccolo tegame sul bancone qui accanto, allontanandomi infastidito da
quell’odore per me insopportabile. Poso una mano sul muro, e la striscio mentre
cammino, passo dopo passo, riconoscendo lo strato ruvido e talvolta pungente
del legno.
Mi avvicino alla porta, che nessuno
ha ancora osato chiudere. Rimango immobile sulla soglia, in piedi, appoggiato
con la schiena allo stipite di legno chiaro. Inspiro profondamente quel tanto
caro odore di resina e di natura, chiudendo gli occhi per un istante. Li
riapro, battendo le palpebre un paio di volte e noto che da questa posizione
riesco a scorgere i tratti del paesaggio che prima erano sfuggiti ai miei
occhi.
Seguo il debole contorno argenteo
delle colline, individuo un tenue lume in lontananza. Il silenzio regna sovrano
in questo paradiso così tangibile. Sorrido, consapevole di una realtà così
ovvia che stupisce anche me stesso. Sono a casa. Finalmente a casa.
Il mio sguardo si concentra su una
figura candida, una stoffa svolazzante e leggera, bianca ancor più della neve,
che spicca luminosa tra i folti prati gremiti d’erba umida. Un leggero alito di
vento, e dei capelli biondi si mischiano soavi a quel vestito così dannatamente
semplice ma allo stesso tempo ammaliante. La pelle candida si staglia lucente
al bagliore lunare, distinguo un braccio che si perde tra le foglie. Seguo ogni
suo minimo movimento, gustando con gli occhi le delicate movenze di quel corpo
perfetto.
In un fruscio sordo, lei è di nuovo
qui. Una margherita tra i capelli, alcuni fiori di campo tra le dita lunghe e
affusolate, la pelle marmorea. La scollatura del vestito crea un gioco di
volumi sinuosi, mentre le pieghe della stoffa lattea si snodano sui suoi
fianchi rotondi. Gli occhi celesti brillano più che mai, velati come sono da un
alone incantato, donato forse da quest’atmosfera così speciale. Le sue labbra
rosee si schiudono in un piccolo sorriso, che mi spedisce direttamente nel
meraviglioso regno di quel Dio in cui nemmeno credo.
Basta un minimo movimento e lei mi è
accanto. I suoi capelli color miele sfiorano il mio petto, contro la leggera
canottiera nera che si è attaccata per il caldo alla mia pelle. Volta il viso
verso di me e inclina la testa, come per salutarmi. Le rispondo con un sorriso,
mentre la accolgo tra le mie braccia e la stringo forte al mio cuore, come se
avessi paura di vederla scomparire, così, da un momento all’altro.
Rientriamo in casa – la nostra casa
– e in un attimo lei è in cucina, intenta ad allungarsi sullo scaffale più alto
alla ricerca della sua tazza preferita. Con uno scatto fin troppo veloce anche
per me, la precedo, posando tra le sue mani delicate l’oggetto di porcellana
che desiderava. Mi ringrazia con un sorriso ambiguo e le sue guance
s’imporporano leggermente. Mi passo una mano tra i capelli, soddisfatto. È in
questi momenti che davvero ringrazio il fatto di essere cresciuto parecchio in
altezza, in questi ultimi anni.
Mi volto, guardandomi intorno. È
sparita. Faccio qualche passo per la stanza e la scorgo seduta sul nostro
divano, con la sua amata tazza tra le mani, e le labbra posate sulla ceramica
ormai calda. Il pentolino sul bancone è ormai vuoto. Mi avvicino a lei,
accingendomi a sederle accanto. Osservo la perfezione delle sue mani, la
naturalezza delle sue unghie, la forma di ogni dito. Da quando mi concentro su
elementi tanto insignificanti?
Porta nuovamente la tazza alle
labbra e beve un lungo sorso. Senza accorgermene, indietreggio lievemente al
pensiero del sapore disgustoso di quella bevanda che tanto le piace. Allunga un
braccio e posa silenziosamente la tazza sul tavolino accanto al divano, per poi
passarsi dolcemente una mano tra i meravigliosi capelli biondi. Vedo qualcosa
scintillare sul suo anulare sinistro. Sorrido, arrossendo. So perfettamente di
ciò che si tratta, dato che ne possiedo uno identico.
Wow. È così difficile pensare a me,
Edward Elric, sposato. Eppure, mi sembra così naturale, così vero. Winry mi
sorride, di nuovo, come se da qualche tempo non riuscisse a fare altro. Posa
una mano sul suo ventre rigonfio, sussultando debolmente a un movimento che deve
aver sentito dentro di lei. Non posso resistere, è talmente bella. Raggiungo la
sua mano, posando la mia accanto alla sua sul pancione. Che cosa sta
succedendo? Un vortice di pensieri, ricordi, sensazioni.
E un calcetto.
Ritraggo di scatto la mano, stupito,
spaventato, imbarazzato. La vedo arrossire sotto il mio sguardo incuriosito. Si
nasconde le labbra con le dita della mano destra, nel vago tentativo di
soffocare una risata. Non ce la fa. La sua risata cristallina spezza quel
silenzio per me innaturale, riscaldando se possibile ancora di più l’aria mite
di questa notte. Guardo altrove, sento le mie guance scottare. Probabilmente
sono arrossito.
Con una delicatezza che fatico a
riconoscere in lei, afferra la mia mano per riportarla nel suo giusto luogo,
accanto alla sua. Uno strano senso di felicità mi pervade il corpo, e per un
istante mi pare di non sentire altro che quei movimenti delicati, impauriti.
Stento a identificarmi. Non è da me provare simili sentimenti.
Eppure, è inevitabile. In un
momento, capisco tutto. Perché sto cercando di scappare da questi pensieri? Non
è più solo un’illusione, è tutto reale. Non ho più niente sulla mia coscienza,
tutto è perfetto. Ho ritrovato il corpo di mio fratello, ho riacquistato parte
del mio, ho salvato il mondo, il che è tutto dire. Forse ancora non riesco a
capacitarmi di quello che sta succedendo. Guardo nuovamente la fede che brilla
sul mio anulare, mentre intreccio le mie dita con quelle della ragazza – ormai
donna – che amo da sempre.
Con un ultimo sguardo torno alle mie
campagne, al mio cielo notturno, al canto dei grilli. Comprendo che questo è
davvero il mio mondo, la vita che ho sempre desiderato. Mi avvicino lentamente
al pancione e poso le mie labbra sulla pelle tirata. Stampo un piccolo bacio
sul ventre di Winry, che sento sussultare per la sorpresa e l’emozione. I suoi
occhi incontrano i miei, in una chiara richiesta muta. Sorrido, rosso in volto,
stupito dei miei stessi gesti, mentre lei dischiude le labbra permettendomi di
appropriarmene. La bacio lentamente, mentre le mie mani tornano a sfiorarle la
pancia e a percepire quei piccoli movimenti che mi riempiono il cuore.
Sento il sapore del latte sulla mia
lingua, e mi meraviglio di quanto delizioso possa sembrare dopo essere passato
sulle sue labbra morbide. Mi allontano da lei, controvoglia, e mi rialzo dal
divano. Faccio qualche passo verso la porta e afferro la maniglia con la mano
destra. La tiro a me, chiudendo all’esterno il mio vero mondo.
Torno verso di lei, tendendole una
mano, lei l’afferra, stringendola, e non la lascia più. Ci avviciniamo insieme
alle scale e saliamo verso la nostra camera. Si distende sul letto, reggendosi
il pesante pancione con le mani.
La guardo da lontano, sulla porta.
La debolissima luce che filtra dalla finestra illumina il suo profilo,
sottolineando il gonfiore del suo ventre. Riconosco finalmente in lei quella
famiglia che non ho mai avuto e mi decido a chiudermi la porta alle spalle.
E con quella porta, sigillo dietro
di me ogni traccia del passato, mentre mi avvicino a piccoli passi al mio
nuovo, splendido futuro.
Vi ringrazio tantissimo per averla letta! Se
potete, lasciate una recensione! Ho cercato di far entrare Ed nel suo
personaggio, dato che nella scorsa fanfiction “Rain” non ero riuscita granché
bene. Non ne sono sicura nemmeno questa volta, però... non so. Lascio a voi la
scelta!
Grazie per la vostra lettura!
Baci.
MeggyElric___