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Autore: beesp    26/10/2010    0 recensioni
Fanfiction partecipante al 2010: a year together, indetta dal Fanfiction Contest ~ { Collection of Starlight }
Un uomo rientra in casa alla fine di una giornata d'Agosto.
Slash o meno, è una storia d'amore. Stop.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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[Colonna sonora: “I’m still breathing” – Kary Perry].

Ebbene, per una volta non è una storia deprimente. I personaggi – rigorosamente senza nome – mi appartengono, probabilmente può essere vista come una storia slash. In realtà non sono sicura che lo sia. È una storia d’amore e basta. Questo è ciò che conta.

{Storia partecipante al “2010: a year together” del “« Collection of starlight », said Mr Fanfiction Contest, « since 01.06.08 »”}

{Dedicata a tutte le persone che, arrivate alla sera, credono che il mondo dovrebbe proprio smettere di girare, ma che, allo stesso modo, trovano la forza di spogliarsi, infilarsi sotto le lenzuola e prepararsi a una nuova giornata. Tutta per voi, siete l’ingranaggio che ci fa sperare <3}











Still Here

[Prompt #237: “Settimo anno di matrimonio”]





Che ci crediamo o meno, è finito un nuovo giorno d’Agosto.

Tra il sudore in metropolitana, l’intenso odore di ferro del sangue, gli aromi esalati dalle cucine tra le strade di cibi che portano indietro ad attimi felici o tristi che siano.


Da giovane cercavi di toglierti la vita lasciando il gas accesso, dormendo con candele fiammeggianti sul comodino*, e qualcosa, forse la predisposizione a me, ti ha salvato.

Lasciarti andare allora, probabilmente, sarebbe stato troppo magnanimo e semplice.

Hai attraversato oceani di dolore e difficoltà, eppure sei arrivato fin qui. Non sappiamo bene come.


Rientro in casa con la mia ventiquattro ore al fianco, assaporando il tipico clima del nostro appartamento pregno. In salotto ci sono ancora gli scatoloni vecchi di sette anni, quelli del nostro trasloco, impolverati, alcuni aperti in cui cerchi di tanto in tanto qualche pezzo del passato quando proprio non riesci ad alzarti dal pavimento freddo e camminare sulla strada a senso unico della tua vita. Non capisco come abbiano potuto loro. Ti osservo, quando sei accanto a quei pezzi di ciò che eri e sei rimasto, mi domando come ci siano riusciti. Le tue spalle incurvate, il modo assurdo in cui fingi di non star piangendo ogni volta, la conseguente reclusione nella camera da letto. Fin quando, poi, arrivo io; non mi chiami mai, apro le porte che ci separano, dilaniato dal dolore empatico, e sei disteso sul letto senza fiato, con gli occhi gonfi, le palpebre spalancate, preghiere che affiorano sulle labbra.


Oggi sei intento a pasticciare con dei fogli di carta pieni di scritte. Nel caos, la nostra bolla è rimasta quella di una volta. Ti conosco da quando abbiamo compiuto lo stesso giorno dello stesso mese i nostri primi cinque anni in un locale con la musica a tutto volume e dei compagni di classe. Non ci separammo mai, non so se ricordi. Neanche per le vacanze estive. Mi commuovo sempre a pensarci, a sfiorare con la mente i giorni che ci portiamo sulle spalle, e il numero infinito di ore che abbiamo trascorso l’uno con l’altro, a tenderci le dita e salvarci e spingerci giù per cercare quello che avevamo perso – e, una volta andato, non abbiamo mai più ritrovato.


Ti bacio il collo e mi siedo al tuo fianco, sorridendo.

Il dolore ci scalfisce, lascia i suoi segni, ma sappiamo ancora ritrovare le espressioni della gioia e della felicità che custodiamo gelosamente: siamo insieme.

Ed è tutto quel che conta.

Il resto del mondo può soffermarsi su tutto ciò che non riesce a esprimere, a parole né con altro, può crucciarsi sulle menzogne e la falsità di quello che lo circonda. Noi ci accontentiamo di quello che possediamo – è già così tanto da sembrare sfuggente all’inverosimile –: sette anni che condividiamo l’appartamento più disordinato dell’intera città, e la mia esistenza la conosci meglio tu perfino di me.

Mi hai visto crescere, apprendere come arginare ogni sentimento per darti tutto lo spazio di cui dispongo – ché il tuo non ti basta mai – le mie lacrime sulla stoffa dei tuoi pantaloni, le carezze sui capelli, il sangue delle persone che amiamo, gli abbandoni, le partite perse.

E, ancora, spalanco la porta di casa, ti cerco e ti trovo. Non è forse una magia questa? Nonostante tutto, nonostante la “crisi del settimo anno”, l’unica persona che potrò dire d’aver amato – ma amato davvero, in un modo completo e senza “se” o “ma” – impegnata al tavolo della nostra cucina, incapace di cucinare, il volto corrucciato, le labbra imbronciate.

Amore, cucini tu, vero?”. Sbatte le ciglia alla mia direzione, poi, illuminato da chissà quale pensiero, si slancia di scatto verso di me, stringendomi: “Buon anniversario!”.


























* Questa frase è tratta dalla canzone “I’m still breathing” di Katy Perry – colonna sonora della storia.

   
 
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