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Autore: _kelly4tato_    27/10/2010    4 recensioni
Una passeggiata notturna fuori da Volterra, una finestra aperta, una vampira che canta.
Ecco, signore e signori, come Alec scoprì cos'è la Creuza de Mä.
Genere: Introspettivo, Romantico, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Volturi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun libro/film
- Questa storia fa parte della serie 'Ma Petite Ligurienne'
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_-Angolo di Kelly-_

Salve a tutti! Ok, sappiate che dovete avere pazienza perchè nonostante siano anni che leggo le FF su EFP, è la prima volta che trovo il coraggio di pubblicarne una, e non perchè mi soddisfi ma perchè non posso più rompere tanto le scatole alla mia adorata neechan-beta-compagnadibanco-miglioreamica-vittimapreferita, nonchè furetto (non) obeso fatto a maglia, ovvero Neko9! =)
Ciò significa, carissimi (immagino più che altro carissimE, dal momento che nella sezione Twilight gli autori maschi son pochini) lettori, che d'ora in poi le scatole le romperò a voi, dopo averle rotte a Neko, beninteso^^

Bene, credo che sia il momento di spiegarvi com'è nata questa FanFic.

Come immagino si capirà, io sono Ligure e sono Smisuratamente Fiera di Esserlo. La canzone che ho scelto, a dire la verità, non l'ho mai ascoltata, ma il testo l'ho trovato mentre cercavo un'altra cosa (ecco cosa succede quando Google va per i cavoli suoi -.-) e mi è piaciuta così tanto che l'ho usata per scriverci su questa One-Shot totalmente campata per aria.

Ah, un'altra cosa. La canzone è Creuza de Mä, di Fabrizio de Andrè. Se qualcuno mi garantisce che è bella anche la musica e non solo le parole, prometto che l'ascolterò anche io^^

Hope You Like It! =)

 

 

_-Creuza de Mä-_

Noia.

Semplicemente noia, terribile, tremenda, insopportabile.

Si insinuava nelle sue vene vuote come nebbia, come la nebbia che lui instillava nella mente di coloro che voleva distruggere.

Era prigioniero della notte, e camminava lentamente, per i suoi standard. Un umano avrebbe pensato che aveva fretta di arrivare da qualche parte, poi si sarebbe chiesto cosa ci faceva un quindicenne in giro per Savona alle tre di notte.

A nessuno sarebbe venuto in mente che il quindicenne era nato nel 1621 e non era più morto.

Alec Volturi era immortale. Come sua sorella Jane, come i suoi signori Aro, Caius e Marcus, come tutti i membri del clan dei Volturi, come tutti i Vampiri.

Come tutti i vampiri Alec era mortalmente affascinante, smisuratamente forte, veloce come la luce, invulnerabile e immortale.

E perennemente annoiato, ma questa era una sua prerogativa.

Non passava giorno senza che nei pensieri di Alec ricorressero due parole: che noia.

Era per noia che aveva lasciato Volterra, per andare a fare un giretto nella regione vicina, in una città che di giorno non avrebbe potuto visitare.

Il sole della riviera ligure gli avrebbe fatto male, anche d’inverno. O meglio, l’avrebbe fatto scintillare.

A lui piaceva la sua pelle quando scintillava, ma avrebbe esposto la sua razza al rischio di venire scoperta. Quindi, meglio girare di notte in certi posti.

Percorse una via a caso –via Montenotte, recitava il cartello- fino all’incrocio con un’altra via.

Dal semaforo che ignorò iniziò a sentire una voce cantare. Ma non una voce qualsiasi.

Era una voce dolce come un nastro di seta e argentina come una campanella d’oro, gentile ed eterea, sognante, pura e sensuale insieme.

Soltanto i vampiri potevano cantare così.

La vampira cantante era in una di quelle case. Lo stupì: nessun vampiro, che lui sapesse, viveva a Savona. Non in pianta stabile, almeno.

Curioso, si avvicinò ad uno dei grandi palazzi più vicini al mare, da dove la voce era più forte e meravigliosa.

Era una canzone che era stata famosa qualche anno prima, di Fabrizio de Andrè, se non sbagliava. Alec non si intendeva di dialetto ligure, ma gli sembrava parlasse di mare, marinai, o qualcosa del genere.

Rimase ad ascoltare, fermo sotto quella finestra, quella voce così dolce che cantava quella canzone dal sapore antico.

 

Umbre de muri, muri de mainé
dunde ne vegnì duve l’è ch’ané
da ‘n scitu duve a l’ûn-a a se mustra nûa
e a neutte a n’à puntou u cutellu ä gua
e a muntä l’àse gh’é restou Diu
u Diàu l’é in çë e u s’è gh’è faetu u nìu

 

[Ombre di facce, facce di marinai,
da dove venite, dov'è che andate
da un posto dove la luna si mostra nuda
e la notte ci ha puntato il coltello alla gola
e a montare l'asino c'è rimasto Dio
il Diavolo è in cielo e ci si è fatto il nido]

 

-Ancora un pezzetto-

Una voce di bambina piccola, quattro o cinque anni appena, di sicuro.

-Sono le tre e mezza. Non hai ancora sonno?-

E una voce di vampira, dolce e bellissima, quella che stava cantando la canzone dal sapore antico.

-Solo un pezzetto-

-Devo andare, Violetta-

-Allora mentre esci, come gli angeli che cantano mentre si alzano in cielo-

Il lieve suono di un bacio, dato su una pelle morbida. E una bellissima vampira che si era appena seduta sul davanzale della finestra.

Guardò Alec, e si porta l’indice alle labbra per indicargli di far silenzio. Poi riprese a cantare.

 

E ‘nt’a barca du vin ghe naveghiemu ‘nsc’i scheuggi
emigranti du rìe cu’i cioi ‘nt’i euggi
finché u matin crescià da puéilu rechéugge
frè di ganeuffeni e dè figge
bacan d’a corda marsa d’aegua e de sä
che a ne liga e a ne porta ‘nte ‘na creuza de mä
 

 

[E nella barca del vino ci navigheremo, sugli scogli
emigranti della risata con i chiodi negli occhi,
finché il mattino crescerà da poterlo raccogliere,
fratello dei garofani e delle ragazze
padrone della corda marcia d'acqua e di sale,
che ci lega e ci porta in una mulattiera di mare]

 

E durante le ultime parole della canzone era saltata giù, atterrando con precisione ad un passo da lui.

Lo guardò con i grandi occhi rossi, stranamente dolci, ma pieni di paura.

-Io ti conosco. Sei Alec dei Volturi- mormorò scrutandolo in viso. –Non cacciare qui, ti prego. È mia sorella- lo supplicò guardando preoccupata la finestra che era rimasta ingenuamente aperta.

-Non volevo cacciare- la rassicurò lui. –Mi annoiavo-

Sembrò tranquillizzarsi istantaneamente.

-Come le resisti?-

-Le voglio bene- disse a mò di spiegazione. I grandi occhi ingenui sembravano ridere della sua domanda. Alec ignorò quello sguardo irridente.

-Come ti chiami?-

Lei sorrise. –Rachele-

-Sei nomade?-

Annuì. –Ma torno ogni notte per lei. Mi manca tanto la mia famiglia-

-Rischi di rivelare il nostro segreto-

Rise. –Dubito! Violetta mi scambia per un angelo. E mia madre dorme troppo profondamente. Poverina, è da poco che tengo buona Violetta la notte. La capisco- Poi sorrise. –Vuoi vedere una cosa bella?-

-Cos’è?-

-Te lo dico se vieni- Sembrava una bambina, più piccola dei quindici anni che dimostrava, mentre lo afferrava per la mano e lo tirava su per la via, verso la spiaggia.

-Cosa mi fai vedere?-

-La creuza de mä- fu la risposta enigmatica.

-E che cos’è la creuza de mä?- Ancora una volta lei sorrise come se fosse stata una domanda stupida.

-In ligure, creuza vuol dire sentierino, strada sconnessa, mulattiera. La creuza de mä è il sentiero che da sul mare- spiegò continuando a tirarlo.

Corsero per dieci, quindici minuti, fino a giungere su un sentiero stretto che ad Alec parve di riconoscere.

-Mi hai portato alle Cinque Terre- constatò. –Ma non ricordo questa strada-

-La chiamano la Via dell’Amore- rispose lei –ma noi liguri non ci crediamo. È una leggenda per i turisti. Per noi è solo la creuza de mä dove l’alba brilla al mattino e fa scintillare il mare come un gioiello-

La percorsero tutta, lentamente, costeggiando il mare. A velocità umana, ci misero un’oretta buona.

Arrivarono su alcuni scogli, a picco sul mare, mentre l’alba iniziava a nascere.

Non c’era nessuno, lo spettacolo magnifico era tutto per loro. Il sole sorgente tingeva il cielo di rosa, arancione, giallo e infine di azzurro. La luce dell’alba risplendeva sulle loro pelli adamantine facendoli scintillare come statue di cristallo.

E in quella magia, Rachele aprì la bocca e ricominciò a cantare il suo ritornello.

 

E ‘nt’a barca du vin ghe naveghiemu ‘nsc’i scheuggi
emigranti du rìe cu’i cioi ‘nt’i euggi
finché u matin crescià da puéilu rechéugge
frè di ganeuffeni e dè figge
bacan d’a corda marsa d’aegua e de sä
che a ne liga e a ne porta ‘nte ‘na creuza de mä
 

 

Alec la guardò. Nella luce dell’alba, era irreale. Era bellissima, la creatura più bella che avesse mai visto.

La desiderò. Le prese la mano, tornando a guardare il cielo colorato. Lo consolò il fatto che lei non avesse spostato la mano.

-Come vivi?- osò chiederle. Lei sospirò.

-Vivo triste- rispose. –Scappo dalla mia famiglia e dai miei amici per andare a caccia in Francia, o giù di lì. Vivo da sola, senza mai vedere nessuno dei nostri simili. E mi sento malinconica, sempre malinconica. Così, ogni tanto, vengo qui e passo tutta la notte sulla creuza de mä aspettando l’alba che sorge-

-Vieni con me- Le parole gli uscirono dalle labbra come un fiume in piena. –Vieni a Volterra con me!- Le prese anche l’altra mano e si girò a guardarla. –Vivrai con noi, con i tuoi simili, non sarai più da sola e non avrai più bisogno di scappare. E quando vorrai, verremo a guardare insieme l’alba sulla creuza-

Rachele si morse il labbro. Si voltò a guardare la luce dell’alba, con un lieve sospiro. –Non lo so-

-Non ti mancherebbe niente! Siamo felici- bugia. Non era felice. Lo sarebbe stato se lei fosse andata con lui, se avesse riempito le sue giornate di canzoni lievi come quella che cantava a sua sorella, di melodie dal sapore antico e risate cristalline, che si portavano dietro mare e sole e l’ombra di aggraziate figure sui muri. Era una risata che sapeva d’estate, di quella pace allegra e di quella vita serena, ma un po’ guerriera, che segna i liguri nell’anima. Gente fiera abituata a lottare con la sua ricchezza, perché tutto ciò che hanno è compresso tra mare e monti. C’è tutto, ma tutto è da cercare e da stanare. Gente astuta, perché l’astuzia è la forza dei marinai. Gente dolce e allegra, che per ogni cosa trova da cantare. Gente fatta per portare ovunque la luce dell’alba sulla creuza de mä.

Alec voleva quella luce. La voleva con sé, per sé, voleva amare quella luce ed esserne riamato.

Rachele sorrise. L’alba stava cedendo il posto al giorno.

-Torneremo sulla creuza?-

-Quando vorrai-

Si alzò, spolverandosi il vestito. I riccioli, alla lieve brezza calda, ondeggiavano sulle spalle e sul viso luccicante.

Gli tese la mano per rialzarlo e quando lo tirò su, con il viso accanto al suo, gli sfiorò le labbra con un dolce bacio che sapeva della sua allegra luce.

-Andiamo-

E mentre correvano verso Volterra, lei lanciava il suo richiamo d’addio alla terra da cui doveva fuggire, a cui non poteva resistere.

 

E ‘nt’a barca du vin ghe naveghiemu ‘nsc’i scheuggi
emigranti du rìe cu’i cioi ‘nt’i euggi
finché u matin crescià da puéilu rechéugge
frè di ganeuffeni e dè figge
bacan d’a corda marsa d’aegua e de sä
che a ne liga e a ne porta ‘nte ‘na creuza de mä

 

che a ne liga e a ne porta ‘nte ‘na creuza de mä…

  
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