Harry James Potter, conosciuto a volte come il Prescelto, o il Bambino-Che-È-Sopravvissuto
o ancora come il Salvatore del mondo magico, era alle prese con una delle cose
più difficili che avesse mai affrontato in tutta la sua vita. Neanche durante
la sua carriera di Auror si era trovato così in
difficoltà. Che fare dunque?
Be’, chi lo conosceva bene, sapeva che Harry Potter non si era mai arreso,
affrontando le avversità a testa alta, come un perdetto
Grifondoro.
Con molta calma, ma soprattutto sangue freddo, fece quello che doveva essere
fatto. Senza indugi e timori, prese un nuovo pannolino e lo mise al suo
primogenito. James Sirius Potter, conosciuto anche
come Colui-Che Faceva-Tanta-Pupù, sorrise al padre e agitò le sue gambine.
“Bravissimo, vieni da papà ora.” Con un’ultima occhiata lo implorò di
risparmiarlo per qualche ora. “Ti prego cerca di fare il bis più tardi, magari
quando viene lo zio Ron a trovarci.”
James Sirius Potter batté le manine, come se volesse
dire: “Papà, conta pure su di me.”
Gli ultimi giorni erano stati massacranti, ma pieni di soddisfazione. Aveva
deciso di prendersi una pausa da lavoro, dopotutto se lo meritava, dopo una
vita passata a combattere maghi oscuri. In più Ron
aveva accettato con piacere di sostituirlo a lavoro come Vicecapo al
Dipartimento Auror. Quando gliel’aveva accennato era
saltato su dalla sedia come una molla e l’aveva abbracciato. Forse, era stato
avventato nella sua decisione e certo lui non era conosciuto come la persona
più riflessiva al mondo, però qualche giorno prima era scattato qualcosa nella
sua testa.
Era rientrato tardi da lavoro e, dato che Ginny si
trovava in ritiro con la sua squadra di Quidditch,
aveva lasciato James alle cure della nonna Molly. Varcata la soglia della Tana,
il suo piccolino gli aveva rivolto un sorriso con tutti suoi tre dentini e detto
qualcosa di somigliante alla parola ‘papà’.
Il fatto che lui non avesse avuto una famiglia e che i suoi fossero
morti proprio quando aveva un anno come suo figlio, era stata la goccia che
aveva fatto traboccare il vaso. Come poteva perdersi gli anni più importanti di
suo figlio? Forse a Ginny non importava così tanto e
poteva anche capirla, visto che finalmente era riuscita a sfondare e a
recuperare la forma dopo il parto, ma lui era diverso e, sinceramente, era
stanco di prendere maledizioni senza perdono da squilibrati.
Fu così che Harry James Potter si trasformò in un perfetto casalingo. Stava
tutto il giorno con suo figlio e teneva in ordine la casa, proprio un bel
cambiamento radicale che lo rendeva fiero.
Un trillo alla porta lo svegliò dal torpore in cui era caduto. Convinto di
trovarsi di fronte Ron, si trovò, invece, a fissare
la sua migliore amica.
“Hermione, cosa ci fai qui?” chiese, baciandola sulle
guance.
“Oh, non sai quanto sono felice di vederti. Come ti senti a fare il papà a
tempo pieno?”
“È una faticaccia, sai? Poi, se hai un figlio sadico come il mio, credo che
abbia preso il caratterino di suo nonno!” Amava suo figlio e lo sapevano tutti.
“Certo, perché suo padre invece è sempre dolce e tranquillo,” disse con
un mezzo sorrisino.
“In effetti, non hai tutti i torti. Ma dimmi, cosa ti ha portato da me. Aspettavo
Ron, mi aveva chiesto di leggere alcuni fascicoli…”
“Sì, gli ho chiesto di portarti io i
documenti da firmare e dato che, grazie a te, ha parecchio lavoro da fare non
ha mosso alcuna obiezione.” La sua voce era piena di sarcasmo e Harry non
faticò a capirne le ragioni.
“Potrai mai perdonarmi?” chiese con tono afflitto.
“Ma cosa dici Harry!” disse, accompagnando le sue parole con uno scappellotto.
“È così facile prenderti in giro. Sono venuta perché avevo voglia di vederti,
solo per questo. Non posso sgridarti, anche perché non ho mai visto Ron così felice. Gli piace avere più responsabilità.”
“Be', allora dovrebbe fare il papà, ti dà più soddisfazioni te lo assicuro…e
comunque signorina, smettila di prendermi in giro, non è affatto carino.”
Quella sera passarono il tempo a parlare di loro, di lavoro e di tutto ciò che
passava per la loro testa. Era passato troppo tempo dall’ultima volta ed
entrambi avevano sentito nostalgia di quei tempi in cui erano semplici allievi
di Hogwarts e trascorrevano le loro giornate insieme.
“Harry, devo andare. Ron dovrebbe rientrare a casa tra
poco e devo ancora cucinare. Ti va se passo a trovarti anche domani? Potrei
portarmi il lavoro qui da te e aiutarti con James! Se non vuoi ti capisco,
quindi non…”
“Certo che mi fa piacere, sciocchina,” disse interrompendo la sua
migliore amica. “A domani.”
“Grazie, Harry. A domani.”
Da quel giorno Hermione fece visita regolarmente al
suo amico passando con lui molti pomeriggi a discutere dei suoi casi o
semplicemente per chiacchierare del più e del meno. C’erano giorni in cui
l’assillava con mille domande e chiedeva il suo aiuto. Aveva scoperto, infatti,
che Harry era proprio bravo nel darle consigli. Altre volte stavano in silenzio
o meglio Hermione lavorava e guardava di sfuggita
Harry che giocava con suo figlio. Era proprio un brava papà e James stravedeva
per lui, potevano giocare per ore e Hermione non si
stancava mai di guardarli.
“Secondo te, sarei una cattiva madre?” chiese un giorno, rivelandogli una delle
sue più grandi paure.
Harry l’aveva guardata stralunato per qualche secondo, pensando a uno scherzo,
ma ormai aveva imparato a conoscerla così bene da poter intuire quando era
maledettamente seria. “Hermione, tu saresti un’ottima
madre, lo sai.”
“No, che non lo so! Sono figlia unica e non saprei neanche cambiare un
pannolino.”
“Se vuoi puoi esercitarti con James! Grazie a lui sono diventato un maestro nel
cambiarli,” ci scherzò su.
“A volte, vorrei chiedere a Ron di avere un figlio,
insomma guardo te e Ginny e poi penso che con mio
marito non avrò mai quello che avete voi, anche perché Ron
non pensa nemmeno ad avere figli in questo momento. Vuole fare solo carriera e
non gli interessa avere una famiglia con me.”
Se prima Harry era convinto che la sua amica lo stesse prendendo in giro, alla
vista delle sue lacrime capì quanto fosse realmente spaventata e demoralizzata.
Si avvicinò a lei e con il pollice le asciugò le lacrime e aspettò che si
calmasse.
“Forse, non saprai cambiare un pannolino, ma ti assicuro che saresti una madre
straordinaria. Ti sei presa cura di me e di Ron che,
anche se grandicelli, avevamo l’età mentale di James. E non lo dico perché per
me sei importante, ma se io fossi Ron vorrei fare
tanti figli con te. Passerei le mie giornate accanto a te, baciandoti in ogni
momento e senza mai smettere di fare l’amore con te. Vorrei iniziare e finire
le mie giornate con te abbracciata a me. Sei una strega e una donna speciale e
nessun uomo può resistere al tuo incantesimo.”
“Quale incantesimo?” Era riuscita finalmente a trovare un po’ di voce e non era
stato facile. Aveva ascoltato Harry e assaporato ogni sua parola e non riusciva
a capire perché ogni fibra del suo essere stesse tremando. Lo guardava e non
vedeva più il suo migliore amico, bensì un uomo, l’unico uomo che la conoscesse
e la comprendesse con un semplice sguardo. I suoi occhi verdi erano pieni di
calore e Hermione riusciva a capire che non stava
mentendo. Lui credeva veramente in quello che diceva. Lui credeva in lei.
“Tu sei l’incantesimo, il più bell’incantesimo che un mago possa avere e
sognare,” continuò, senza mai smettere di guardarla.
Hermione si perse in quei due smeraldi e spinta da
una presenza invisibile lo baciò.
Durò un battito di ali o forse un’intera partita di Quidditch,
chi lo sa? Nessun rumore osò disturbare i due amanti, lo stesso James, che
aveva fatto i capricci per tutto il giorno, ora stava dormendo placidamente.
Non esisteva nulla all’in fuori di Harry e di Hermione.
Quando finalmente si staccarono, nessuno dei due fiatò. Era impossibile trovare
le parole adatte per esprimere quello che stavano provando.
Sempre in completo silenzio, Harry si avvicinò e baciò le lacrime di Hermione. Una ad una, non sopportava di vederla soffrire.
“Ma l’amore è
cieco
e gli amanti non vedono
le follie cui s’abbandonano.”
Hermione era in balia dei suoi sentimenti. Vedeva
solo lui e soffriva ogni qualvolta le lasciava le labbra per baciarle il viso. Voleva
incatenarlo a sé, ma sapeva che non era necessario, bastava che lui la
guardasse per capire di cosa avesse bisogno.
“Ma tu chi sei
che avanzando
nel buio della notte inciampi
nei miei più segreti pensieri?”
Era come se l’avessero sempre aspettato, un sogno che entrambi stavano vivendo.
Avevano paura di aprire gli occhi e di scoprire che era stato tutto un sogno.
Un bellissimo sogno ad occhi aperti.
Lui era il suo amico, il suo migliore amico, ma allora perché sapeva così bene
quali erano i suoi più segreti desideri? Perché non riusciva a smettere di
baciarlo e di toccarlo?
Amicizia. Amore. Desiderio.
Come poteva desiderare di unirsi al suo migliore amico?
“Nessuna barriera
può resistere all’amore.
L’amore osa tutto quello che può.”
“Hermione,” sussurrò, prima di spogliarla.
L’abbracciò e la cullò al suo petto come una bambina indifesa che era rimasta
sola in una stanza al buio.
Fu così che oltrepassarono quella linea sottile che li aveva tenuti insieme per
così tanto tempo. Erano arrivati a conoscersi come nessun altro senza mai
cedere alle loro debolezze.
Si amarono come sempre avevano desiderato, lasciando da parte le loro paure.
Erano solo loro due. Harry Potter ed Hermione Granger.
Un uomo e una donna che finalmente potevano amarsi in libertà.
Sapevano benissimo che erano entrambi sposati, ma avevano smesso di pensare
quando si erano scambiati il loro primo bacio.
Erano ancora abbracciati quando tutti finì, come se temessero di perdersi.
All’improvviso un suono li riportò bruscamente alla realtà, James stava
piangendo e chiamava il suo papà. Bastò quello a far tornare lucida Hermione che, rivestitasi, lasciò un Harry ancora più
confuso.
“così il sole un mattino raggiò
in trionfo di luce a me gli sguardi
ma ahimè fu soltanto per un attimo:
nubi mondane me l’hanno rubato.”
Passò un giorno, poi una notte e infine parecchie settimane senza che Harry
trovasse la sua amata tra le sue braccia. Lo stava evitando e quando veniva a
trovarlo portava con sé Ron. L’unica volta che le aveva
sfiorato la mano, la ragazza aveva rovesciato una tazza di tè.
Non poteva donargli il suo cuore per poi spezzarglielo senza dirgli almeno il
perché.
Le sue notti erano diventate un tormento, ogni volta che chiudeva gli occhi
rivedeva la sua Hermione, il suo abbandono e le sue
carezze, ma al risveglio trovava un’altra donna accanto a sé.
“Come tornare
allora ai dì felici
se m’è negato del riposo il bene,
se opprime il giorno e la notte nemica
non reca pace,anzi l’un
l’altra preme
e, sebbene avversari, in patto aperto
si stringono la mano per sfinirmi
con le fatiche l’uno, nel lamento l’altra.”
Finché un giorno lasciò James con Ginny e, trovata
una scusa, si diresse a casa di Hermione, sapendo di
non trovare l’amico. Si Materializzò direttamente in casa sua. Era l’unico modo
per affrontarla senza che lei scappasse.
“Harry!” disse spaventata, “Mi hai fatto venire un colpo, che ci fai qui?”
“Lo sai bene il perché, non fingere con me, Hermione.”
Era arrabbiato, come poteva lavorare sapendo quello che era successo?
“Harry, non possiamo. Io ho Ron e tu Ginny,” disse, posando alcuni fascicoli sul tavolo.
“Dimmi che non hai provato nulla e io me ne andrò e dimenticherò tutto.” le
urlò.
Con uno sguardo carico di odio, Hermione lo schiaffeggiò.
“Non ci siamo solo noi, stiamo parlando dei nostri migliori amici. Io amo mio
marito, come so che tu ami Ginny. Diamine, non pensi
minimamente a James? Come puoi essere così egoista?”
“Io… ecco,” farfugliò, per poi scoppiare in lacrime tra le sue braccia.
“Perdonami.”
“Per quel che
hai fatto non piangere più:
spini han le rose e il puro fonte fango,
macchiano nubi e eclissi e sole e luna
e il verme vive nel boccio più caro.”
“Non devi chiedere a me il perdono, abbiamo peccato entrambi e ci sarà qualcosa
che mi rammenterà sempre il nostro amore,” disse, accarezzandogli la chioma
ribelle.
“Che vuoi dire?”
“Sono incinta Harry.”
“Non puoi chiedermi di dimenticare e di continuare ad amare Ginny
per poi dirmi che aspetti mio figlio!” Si alzò barcollando cercando di
allontanarsi da lei.
“Non te lo sto chiedendo, ho già deciso. Ron sarà il
padre di mio figlio.”
Quelle parole lo trafissero come una pugnalata in pieno petto. Si alzò e se ne
andò, proprio come voleva lei.
“Se perdo te, ti guadagna chi amo;
perdo lei, e al mio amico si ritrova:
entrambi vi trovate, io perdo entrambi
voi che in ben mio m’addossate la croce.”
Quando tornò a casa fu accolto dal suo ometto che lo abbracciò e lui si rifugiò
in quella stretta, continuando a piangere.
“Harry, perché piangi?” chiese Ginny, che era rimasta
sconvolta dal comportamento di suo marito.
“Ciao amore, scusami, non volevo. È che…” cercò di dire Harry prima ricevere un
bacio inaspettato.
“Tesoro, non succederà nulla a James. Voldemort
è morto e nostro figlio è al sicuro.”
“Grazie, Ginny” disse, abbracciandola.
Qualche mese dopo a casa Weasley
“Oh, Hermione ho saputo!” disse una Ginny al settimo cielo. “E indovina un po’? Anche io
aspetto un bambino.”
“Una bambina” fu l’unica cosa che Hermione riuscì a
dire.
Harry la stava guardando e avvicinandosi la baciò sulle guance.
“Congratulazioni amica mia.”
“Ti rendi conto che partoriremo quasi nello stesso periodo? I nostri figli
avranno la stessa età, certo tua figlia sarà più grande di qualche mese…mamma
mia, che bello!” Ginny era al settimo cielo.
“Calmati, non travolgerla come al tuo solito.” disse Harry, stringendo sua moglie a sé.
“Hai ragione. Oh Dio, scusami!”
“Non ti preoccupare e congratulazioni anche a voi”, disse Hermione,
per poi abbracciare i suoi amici.
“Hai già deciso come chiamarla?” chiese il giovane.
“Rose.” sussurrò Hermione.
“Ottima scelta cara. Ma dov’è quello scemo di mio fratello?” aveva chiesto la
rossa, prima di andare in cucina dove sicuramente si trovava Ron.
“Rose.” ripeté lentamente Harry. “È un bellissimo nome, Hermione.”
“Grazie, così quando la vedrai penserai al nostro amore.”
“Bello come una rosa ma pieno di spine? Non ti credevo così banale!”
“Stupido che non sei altro.” Aveva alzato la mano, pronto a schiaffeggiarlo, ma
si ritrovò schiacciata contro il petto di Harry.
“Sarai un’ottima madre, Hermione” soffiò a un
millimetro da suo viso.
“Ragazzi, andiamo a sederci a tavola! Io non ci vedo più dalla fame.” disse Ron, riportandoli bruscamente alla realtà. Si staccarono
lentamente ed Harry andò verso l’amico per dargli una sonora pacca sulla spalla.
“Sei un uomo fortunato, Ron.”
Hermione era rimasta immobile, in mezzo alla stanza
finché suo marito non l’aveva raggiunta dandole un leggero bacio sulle labbra.
“Cos’hai Hermione?”
“Nulla Ronald. Mi sento solo un po’ strana, saranno i famosi sbalzi d’umore
tipici della gravidanza,” commentò con una risatina non troppo convincente.
“Vivrò credendo
che tu sia fedele,
come sposo in inganno, ancora il volto
dell’amore m’apparirà qual era
pur se gli occhi hai con me, lontano il cuore.”
“Certo. Dai, vai da Ginny, sicuramente avrai un sacco
di domande da farle.”
“Hai ragione, magari ha qualche libro sull’argomento,” disse con nuovo
entusiasmo. “Grazie Ron. Ti amo.”
“Anche io,” rispose, accarezzandole il viso e guardandola negli occhi con
infinito affetto.
“Miseriaccia, andiamo, prima che quello scemo di
Harry si mangi la mia parte di cena!” disse a voce alta in modo da farsi
sentire.
“Troppo tardi, Ron.” dissero Ginny
e Harry ridendo.