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Autore: Silene Nocturna    31/10/2010    2 recensioni
In questo bel giorno di Halloween la mia ispirazione crescente mi ha portata alla stesura di due brevi storie incentrate su due figure portanti del genere horror... che prediligo!
Vampiri e Licantropi.
Non dico altro, buona lettura e spaventoso Halloween!
Genere: Mistero, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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In onore della celebrazione di Halloween, mi accingo a presentarvi queste due brevissime storie che tratteranno delle due figure più belle del cinema horror a mio parere!

Buona lettura.

 

 

Assenzio

 

 

I venti deleteri spiravano fortemente sull’intera cittadina da tempo addormentata.

Il meriggio passato aveva portato con sé un candido manto, ove i passanti camminavano macchiandolo, annerendolo.

Poche grida di giubilo ancora si potevano udire tra le fronde di quei rami spogli, secchi e scheletrici come artigli pronti ad imbrigliarvi, e invece, nella tempestosa bufera, nel freddo sferzante e impugnabile, il loro sbocco era la quiete del villaggio.

Gli uomini ove al limitare del bosco si stanziarono, erano racchiusi dal caldo, fuoco del caminetto scoppiettante. Tra fumi, liquori d’annata e cibo, consumavano ciò che rimaneva della nottata senza luna.

Il lento camminare dell’oscura figura incideva decise impronte su ciò che si tramutava in ghiaccio al solo passaggio; una bestia nera al suo fianco andava a passo, scuotendo la lunga e intricata criniera, confondendosi con l’abbigliamento del proprio padrone.

Il losco figuro attraversò la porta massiccia dai cardini cigolanti, mentre l’odore stantio del legno esposto alle intemperie gli permeava tra le sviluppate doti olfattive; i tavoli si snodavano in due ali composte, lasciando al pellegrino l’opportunità di incedere senza ostacoli.

Gli occhi vermigli vagarono tra quella misera quantità di uomini dalle guance rubiconde, per poi infrangersi verso colui che probabilmente ne era l’artefice.

“Oh, Transilvania, sei un magnifico paese, potente e ricco, cinto dai Carpazi, e di verdi campagne, con l’oro del grano e il regno delle tue vigne.

Oh, Transilvania, sei una verde culla per ogni dei tuoi figli, Tu accontentarci tutte le Tue nazioni, con una corona di eterna gloria sull'altare della Patria.

Oh, Transilvania, sei un gioiello di lingue, differenti nei canti e nei loro versi, ma tutti sono uniti nella stessa preghiera davanti al Trono divino.”

Intonavano tutti tra grida di gaudio.

L’oste trattenne il respiro al suon di calzature chiodate, alla vista del volto occultato in parte dal copricapo, all’udire del silenzioso marasma venutosi a creare nella bolgia. I piccoli e malevoli occhi tornarono a fissare ciò che tra le mani scintillava alla luce delle candele, incurante dell’inquietudine che la figura sull’uscio aveva trascinato con sé.

-        Cosa posso fare per voi, straniero?-

Un caldo tepore permeava l’ambiente, mentre il chiacchiericcio sommesso aveva ripreso il suo corso… Dato origine da quell’uomo la cui fronte calva, al cospetto del ramingo, si scioglieva in consunte gocce fredde.

-        Una camera.-

Sibilò l’uomo poggiando, con movimento felino, il braccio sulla superficie lignea del bancone.

Osservandolo con sguardo bieco, il corpulento oste si soffermò sull’aspetto di quello che all’apparenza pareva un giovane straniero, vestito d’abiti scuri, e fasciato dal cappotto nero che pesantemente gli ricadeva alle spalle. Un luccichio pervenne a quegl’occhi abituati alla vista di tali figuri, mai troppo inattenti per sfuggir un particolare: ecco la lucente lama spiccare accanto alla vita di quel corpo teso e glaciale ancor più della neve che inesorabilmente cadeva poggiandosi sulle imposte.

Lama fine e tagliente, quasi come i denti racchiusi tra quelle fenditure piegate in un riso sinistro.

-        Sono 3 pezzi d’argento.-

Proruppe l’omone poggiando malamente il boccale ormai pulito sul bancone.

In un fugace gesto, i palmi guantati dell’uomo si strinsero sull’apertura situata all’altezza del petto, chiudendosi poi attorno a quelle che erano le monete richieste dal nerboruto essere.

Il nuovo arrivato portò l’arto all’altezza del volto dell’oste, divertito di fronte a cotanta sorpresa, dopodiché lasciò scaturire i pezzi d’argento che ad uno ad uno si infransero con un tintinnio sulla superficie sottostante.

Arraffato il denaro richiesto, l’omaccione si decise finalmente a tirare un sospiro, stupito però dalla presenza dello straniero.

-        Dell’assenzio.- Pronunciò poi, guardandosi attorno.

-        Sono altri due pezzi…-

-        Credo che il denaro di prima sia più che sufficiente per la bettola in cui mi trovo.-

L’oste deglutì sonoramente, mentre fulmineo e non poco risentito si apprestava a riempire fino all’orlo quel bicchierino con del liquido verde.

L’acuto osservatore ne bevve la piccola quantità in un unico colpo, non lasciando che scivolasse sulla lingua, ma spingendo il distillato puro direttamente giù per l’esofago, avvertendo la consueta e alquanto piacevole sensazione di bruciore.

Dopodiché, accompagnato dal biascicare malfermo dell’oste ancora sospettoso, si apprestò a percorrere la scalinata lignea che l’avrebbe condotto al piano superiore, luogo in cui erano situate le anguste camere pei viandanti.

Lo scricchiolare tetro si univa al contesto poco rassicurante che vi permeava in quei piani soprelevati; tutto taceva, fin quando l’ambiguo lasciò infrangere i suoi passi sicuri su quelle che erano travi grezze e malferme.

Ciò che cercava forse era più vicino di quanto pensasse.

Acuì i sensi per meglio dire, poiché l’istinto lo portava irrimediabilmente a compiere ciò, e in quel totale buio riuscì a distinguere anche ciò che bramava.

Le imposte dinnanzi lasciavano intravedere la luna che flebilmente brillava di un bagliore tetro, nascosta dietro ombre notturne che voraci la divoravano. La luce che all’interno splendeva perpetua s’infrangeva tenue anche sul volto pallido di una fanciulla, esile e sottile come un giunco, il cui lavoro probabilmente era servire il bastione ove aveva trovato rifugio.

Il ramingo le si avvicinò lento e fugace, come un abile predatore, mentre ella richiudeva quello che probabilmente sarebbe stato il suo rifugio per la notte gelida.

-        La camera richiesta. Desidera altro forse, Signore?- Pronunziò senza indugio alcuno quella giovane dalle umili origini.

L’uomo dinnanzi sorrise di fronte a tanta schiettezza, ma come si aspettava di concludere quella nottata, accolse la concessione davvero volentieri.

- Chi brama cosa?-

Accompagnata da movimenti fluidi e lascivi, la fanciulla colmò la distanza che la separava dal nuovo avventuriero e senza ritegno appoggiò le sue esili mani al corpo pronunciato dell’uomo, che inevitabilmente s’inebriò di quell’invitante profumo. Ella fece lo stesso, e accompagnata dall’attrazione fugace che l’aveva colta dal primo momento in cui aveva osservato sull’uscio la sua figura, lasciò che egli s’impossessasse delle sue rosee labbra.

Con freddezza e ripudio, l’uomo si cibò della sua carne giovane, assaporando pochi centimetri di pelle esposta e la calda apertura oltre quei lembi scarni. Attese ch’ella ultimasse il suo perverso gioco, che decretasse la fine di ciò che stava avendo luogo all’ombra di quelle misere fiamme.

I capelli dello straniero ricaddero scomposti sugli occhi scuri e vigili, mentre quelli della giovane, dapprima raccolti, le occultavano il viso oramai chino tra le vesti che ancora proteggevano le sue arterie pulsanti di vita.

Istintivamente, l’uomo afferrò saldamente i polsi gelidi della giovane serva dinnanzi, allontanando da esso l’anelito bramoso fuoriuscito da quelle labbra esangui.

-        Non stanotte.- Pronunciò il pellegrino inchiodandole malamente gli arti all’umido legno delle pareti.

I canini puntiti risplendettero accompagnati da una smorfia di dolore che la creatura dinnanzi lasciò scaturire nel frangente del gesto compiuto. Tentò più e più volte di liberarsi da quella morsa, ma inutili furono i tentativi, prima che lo straniero estraesse dal lungo mantello l’arma che avrebbe messo fine alla sua esistenza.

- Maledetto… Come diavolo…-

La presa salda e la mira precisa decretarono la parola fine per quell’attesa rivelazione, consumando così il freddo corpo destinato all’eterna giovinezza, reso per ciò che era nel momento della definitiva morte.

Il volto pallido si sgretolò come creta, accompagnato dagli spasmi convulsi in cui la creatura si contorceva urlante. Dopodiché, la salma si accartocciò su se stessa, inchiodata alla freccia accolta in pieno petto.

L’uomo assistette finché il vampiro non ebbe emesso l’ultimo grido straziante, ma niente osava mutare la sua espressione di gelida maschera.

- Requiescat in pace.-

Così, nel buio della notte, ancora una volta volse lo sguardo alla luna, ammirandola per il suo tetro pallore, che l’accompagnava assieme all’anelito di morte.

 

 

 

Ispirato a Van Helsing

 

 

 

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Mentre spirava la bora più gelida, due figure avanzavano nella neve, alzandola in scomposti pezzi ghiacciati al loro tumultuoso passaggio; confondendola tra i loro sospiri che agitati permeavano la fitta boscaglia, due creature correvano sospinte da un insaziabile bisogno.

Rami, spezzati da quel mostruoso passaggio, zolle scavalcate dalla folle bramosia della bestia i cui occhi, vermigli e intrisi di sangue, brillavano funesti al chiaro pallore della luna.

La giovane preda, per quanto fosse agile nei suoi abiti succinti, comprese che quello non era nient’altro che un gioco.

Perverso e labile per la sua giovane mente, nel quale la bestia si stava trastullando, in attesa di trionfare al traguardo.

Non si udì grido in quella tormenta, quando selvaggiamente, con un potente balzo, l’animale dal pelo ispido e nero più della pece racchiuse nella sua morsa mortale la giovane donna.

Gli occhi vitrei e confusi accompagnarono la sua caduta, e adesso puntavano avviliti su quel corpo disumano; il capo racchiuso tra lunghi capelli fradici rivolse attenzione alla bestia, che dell’uomo da ella conosciuto non aveva più nulla.

Il muscoloso petto si alzava ed abbassava ritmicamente, mentre l’essere sulle zampe posteriori si ergeva al cospetto di quella giovane impaurita; alle sua spalle la luna piena troneggiava silente nel cielo privato di stelle.

Un ultimo bagliore di lucidità permeò quel corpo stravolto dagli spasmi di terrore, e così, le immagini di vita vissuta si impadronirono della sua mente che già presagiva l’immagine di quell’arto possente, costernato d’artigli, afferrarla violentemente.

 

La calda atmosfera riempiva quella casa ormai vuota.

L’ambiente ricco e ricercato rispecchiava l’altero padrone di tutti quei beni, lasciando le giovani donne estasiate.

Mentre quasi tutti avevano abbandonato le grandi sale adibite per una ricorrente celebrazione, una figura femminile, regale d’aspetto, prese posto insieme al borghese, accanto all’ampia finestra che lasciava intravedere il calar del sole.

-        Giunge la notte.- Affermò ella contemplando l’orizzonte malinconicamente, incuriosita da una risposta dell’uomo che tardava ad arrivare.

-        Ebbene sì. Colgo preoccupazione nella tua voce, mia cara.- Le disse serio.

-        Sapete bene a cosa è dovuta.-

-        Non temente, successo una volta non ripeterò lo stesso errore.- Esplicitò la sua sicurezza il giovane.

La donna, dal volto contratto in una smorfia d’astio, girò istintivamente il proprio capo verso il suo misterioso interlocutore furente.

-        Non avete idea di cosa vi siete macchiato.- Sibilò poi tra i denti.

-       « Essi sgozzano li cani e li bambini e li divoran con eccellente appetito; camminano a quattro zampe; ululano come veraci lupi; hanno ampia bocca, occhi di fuoco e zanne acuminate »

Conosco ciò che mi alberga dentro, ciò che ruggisce scalpitante, che graffia il mio petto alla ricerca di corpi da dilaniare.

Ma lo posso soffocare.-

-        A quest’ora dovreste già essere nel vostro apposito ricovero. Buon Dio… Esplicitate cose immonde senza il minimo riguardo.- Continuò imperterrita la giovane, mentre crucciata scrutava le spalle dell’uomo che lambiva la solitudine. Ma sotto quello scenario tetro, l’uomo le circondò i fianchi sinuosi, e con una mano premuta tra quei morbidi fili di rame, poggiò bruscamente le proprie labbra tra quelle della fanciulla, assaporando avidamente il nettare celato.

-        Dormite bene, Helena.- Lo sentì sorridere la giovane, per poi vederlo posare sul tavolino adiacente un bicchiere ormai vuoto, e infine far sparire la propria sagoma nel buio delle sale adiacenti.

-        Vi prego, Edward! Datemi ascolto…- Le parole morirono ancora una volta su quella bocca, ora serrata dal timore.

Trascorsi lunghi attimi al cospetto di un antico dipinto, la donna si diresse anch’ella al di fuori di quel luogo, dirigendosi precipitosa verso le sue stanze.

Il pesante candelabro retto dalle proprie mani, le concedeva una lieve luce ad illuminarle il cammino, mentre con mestizia attraversava i lunghi corridoi arricchiti da sfarzosi arazzi dalle figure che al buio della sera apparivano come mutevoli spettri.

Richiuse la porta alle proprie spalle con un lieve cigolio, e poi si distese tra le morbide coperte in attesa di un sonno agitato.

Poco dopo, il suo risveglio fu accompagnato dal clangore di un ululato.

 

Trafisse l’immonda bestia con occhi vitrei e rancorosi.

E intanto quest’ultima era pronta a mietere l’ennesima vittima della sua folle notte.

Le fauci si spalancarono con un verso gutturale, e l’essere, in parte uomo, in parte animale, si apprestò a discendere su quel niveo collo per dilaniarlo.

Helena estrasse in un disperato gesto quell’unica speranza di salvezza, che brillava sottoforma di un crocifisso argenteo tra le sue vesti strappate. L’animale gridò cupo spezzando quell’innaturale silenzio che li circondava, mentre ella disperata tentava ancora di salvare quell’uomo da sé stesso.

-       Edward!- Gridò nella tormenta.

L’uomo lupo indietreggiò di poche falcate, per poi piegarsi nel suo dolore, tormentato dalla sua stessa indole.

In un passeggero sprazzo aveva riconosciuto quegli occhi, dolci ma allo stesso tempo burrascosi, eppure l’istinto fremeva. La bestia scalpitava di portare a termine ciò che la sua indole gli aveva prefissato.

La donna, ancora frastornata dall’assalto ricevuto, tentò di issarsi sulle proprie gambe continuando a puntare quel sacro oggetto verso l’animale, che adesso la guardava ancora una volta folle.

-       Ti prego.- Riuscì ad articolar ella, sovrastata da un acuto ruggito e da artigli mortali che le racchiusero il braccio.

Il liquido scarlatto cominciò goccia a goccia ad infrangersi sulla distesa innevata, mentre la vita in quel giovane corpo si affievoliva, appassendo come un fiore.

Con lo sguardo rivolto al cerchio lunare, Helena racchiuse la sua ultima forza vitale in una calda lacrima riversatasi nel ghiaccio.

Il pelo lucente dell’animale veniva smosso da un vento gelido, mentre il silenzio tornava a regnare.

Contemplò quel corpo esanime con occhi taglienti, penetrandone anche l’anima, e accompagnato dai sommessi e impercettibili spiri di quella giovane, capì che la sua anima era dannata per l’eternità, marchiata a fuoco per ciò che aveva commesso.

Nemmeno Helena si sarebbe salvata da quel veleno.

 

 

 

The End?

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

·        Quello che avete trovato nella prima storia è proprio l’inno della Transilvania, ovviamente tradotto. Mi sembrava bello introdurlo nel contesto per dare al lettore un altro punto per collocare le vicende.

 

 

·        La seconda nota riguarda la frase pronunciata da Sir Edward sui Lupi Mannari. Ho voluto citare un demonologo francese del 1600, tale Pierre Delancre, che definisce proprio così i licantropi.

 

 

 

 

Grazie a coloro che leggeranno il mio racconto. Spaventoso Halloween a tutti!

 

 

Nihila

   
 
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