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Autore: suni    01/11/2010    6 recensioni
Girò l’angolo cominciando a battere i denti, e gettò l’occhio alle vetrine spente dei negozi e alle finestre con le inferriate. Non c’era nulla che potesse servire da rifugio, e rallentò un po’ il passo per lo sconforto.
Accanto alla porta sbarrata di una lavanderia ce n’era una a vetri da cui proveniva una fioca luce. Il ragazzo gettò l’occhio tra le griglie della finestra adiacente, parzialmente oscurata da una tenda colorata: all’interno, incongruo, c’era quel che, più che una sala di bar, sembrava un salotto scalcagnato, pieno di roba. Sul tavolino di fronte al divano era accesa una piccola abat-jour, ma non si muoveva niente e non si udiva nessun rumore.
Il ragazzo restò lì per qualche minuto, tremando dalla testa ai piedi e respirandosi nei palmi delle mani intirizzite. Poi, con lo sguardo ancora fisso e senza nemmeno saper bene perché, né nutrendo la minima speranza, allungò il braccio e spinse leggermente la porta.
Ed era aperta.
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Allora.
Questa è una storia un po' particolare, non perché sia speciale o troppo bbbella né niente del genere, ma perché quando ho iniziato a scriverla non doveva essere un'originale, ma doveva vedere come protagonisti due personaggi di cui scrivo spesso. Poi il racconto ha preso vita propria e la caratterizzazione si è resa autonoma.
Sostanzialmente I protagonisti somigliano a personaggi di Naruto, ma non sono loro.
Per il resto, segnalo una leggera coloritura di linguaggio e tematicha, ma nulla di trascendentale, dunque non mi è sembrato affatto necessario inserirlo tra gli avvertimenti.
Ed è quanto.
Buona lettura
 
 
 
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Faceva freddo.
Il marciapiedi era spruzzato di neve e su, sopra i lampioni, si riconosceva il grigio plumbeo del cielo colmo di nubi, ma da un paio d’ore aveva smesso di nevicare e una brezza gelida spazzava le strade. L’aria sembrava formata dall’incontro tra miriadi di spilli ghiacciati che si conficcavano nella pelle del viso, nelle gambe e le braccia sotto i vestiti.
Il ragazzo aveva una vecchia giacca frusta, troppo leggera, e guanti slargati a cui mancavano le punte di quasi tutte le dita. Camminava un po’ di sbieco, barcollando leggermente, ma tutto il rhum schifoso che aveva bevuto non bastava a mandar via quel freddo, e si sfregava le mani tra loro e intorno al corpo per cercare di scaldarsi. Costeggiando un cesto della spazzatura gli tirò un calcio, per la rabbia. Le sue chiavi della casa erano andate al diavolo chissà dove e non sapeva di nuovo dove dormire. Aveva provato a bussare, aveva anche preso a spallate la porta e urlato – non sapeva cosa – ma nessuno gli aveva aperto.
Poteva provare a chiedere ospitalità a qualche stronzo dei soliti, ma la storia rischiava di girar male: come quando il vecchio Oliver aveva cercato di mettergli le mani addosso, ed era finita a bottigliate. Per le stazioni della metropolitana era troppo tardi, erano già tutte chiuse. E in quella ferroviaria rischiava troppe rogne per il poco calore che vi si poteva trovare.
Quel che restava da fare era trovarsi un portone aperto in cui infilarsi per ripararsi un po’ dall’aria fredda, o un portico, una tettoia. C’era da congelare e la temperatura continuava a scendere; erano quasi le quattro del mattino.
Schifo di vita schifa!” masticò il ragazzo tra i denti, tirando un pugno al vuoto.
Aveva sonno, e tremava di freddo. I suoi piedi, nelle scarpe da ginnastica, sembravano pezzi di ghiaccio e bruciavano ad ogni passo, e il suo stomaco cominciava ad accusare il massiccio quantitativo di alcool ingurgitato durante tutta la giornata: con un altro bicchiere sarebbe andata meglio, ma non aveva più il becco d’un centesimo.
I portoni nella via sembravano tutti ben chiusi: per scrupolo ne spinse qualcuno, passando, ma nemmeno uno si mosse d’un millimetro. Non c’era l’ombra di un’anima nei paraggi, ma comunque era troppo malmesso per sperare nella compassione di qualche povero idiota generoso. Le ultime persone che aveva incontrato, un ragazzo e un ragazza che dovevano essere all’incirca suoi coetanei, avevano attraversato la strada e cambiato marciapiede alla sua vista.
Girò l’angolo cominciando a battere i denti, e gettò l’occhio alle vetrine spente dei negozi e alle finestre con le inferriate. Non c’era nulla che potesse servire da rifugio, e rallentò un po’ il passo per lo sconforto.
Accanto alla porta sbarrata di una lavanderia ce n’era una a vetri da cui proveniva una fioca luce. Il ragazzo gettò l’occhio tra le griglie della finestra adiacente, parzialmente oscurata da una tenda colorata: all’interno, incongruo, c’era quel che, più che una sala di bar, sembrava un salotto scalcagnato, pieno di roba. Sul tavolino di fronte al divano era accesa una piccola abat-jour, ma non si muoveva niente e non si udiva nessun rumore.
Il ragazzo restò lì per qualche minuto, tremando dalla testa ai piedi e respirandosi nei palmi delle mani intirizzite. Poi, con lo sguardo ancora fisso e senza nemmeno saper bene perché, né nutrendo la minima speranza, allungò il braccio e spinse leggermente la porta.
Ed era aperta.
Rimase fermo, interdetto, osservando quello spazio di pochi centimetri appena liberato. Poi la sua mente intorpidita si rimise in moto: poteva entrare, e se fosse comparso qualcuno avrebbe raccontato una balla, ad esempio che pensava si trattasse di un locale associativo, uno squatt o qualche stronzata di quel genere. Altrimenti avrebbe arraffato quel che trovava e si sarebbe fatto qualche soldo.
Spinse ulteriormente la porta senza fare rumore e scivolò all’interno, cauto. L’impressione che non ci fosse nessuno fu confermata dall’evidenza, così come quella che si trattasse d’una casa privata: c’era uno stereo – troppo scassato per guadagnarci davvero, ma comunque – una brocca dell’acqua, qualche libro sparso qua e là e tutto quel genere di oggetti tipici della vita quotidiana. I muri erano tappezzati di locandine cinematografiche, fotografie e ritagli di giornale. Da una porta socchiusa s’intravedeva il bagno, sul fondo della stanza si apriva la zona cucina e sulla destra s’inerpicava una scala a pioli verso il piano superiore.
I termosifoni erano accesi.
Il ragazzo fece qualche passo all’interno e si guardò attorno alla ricerca del miglior bottino, assaporando il calore. Esausto e annebbiato, si mosse attentamente e si sedette sull’estremità del divano, riposando per un secondo le gambe stanche.
Poteva prendere lo stereo, e probabilmente frugando in giro avrebbe trovato un po’ di soldi o qualche oggetto di valore: c’era una cassettiera che prometteva buone sorprese.
Si stava bene, lì dentro.
 
 
 
PORTA APERTA
 
 
Lo infastidì uno sciabordio di acqua corrente. Subito dopo, suoni secchi di oggetti spostati e uno scalpiccio di passi.
Scattò a sedere con un tuffo al cuore e spalancò gli occhi, improvvisamente sveglio e reso lucido dall’ansia. Si era addormentato sul divano e la luce del giorno filtrava ora dalla finestra, illuminando il vano spazioso e la figura umana che trafficava intorno al tavolo: un ragazzo giovane, biondastro e in pigiama, che si voltò verso di lui con un sorriso sonnolento.
Scusa, speravo di non svegliarti facendo colazione ma sono un po’ rumoroso,” ridacchiò l’estraneo amichevole, mentre lui correva con lo sguardo alla porta meditando una ragionevole fuga precipitosa. A quelle parole inaspettate tornò ad osservarlo, sorpreso.
Potevi prendere una coperta, comunque. Gli altri non te ne hanno date?” continuò il tizio, pacifico.
Lui aggrottò la fronte, cercando di incamerare le informazioni. Decise che evidentemente c’era un equivoco e che forse quell’individuo pensava che lui fosse ospite di qualcun altro che viveva nell’appartamento, sempre che di appartamento si trattasse e la sua impressione non fosse stata erronea.
No,” bofonchiò, cauto. “Ma fa niente, ora vado,” aggiunse, tirandosi in piedi bruscamente. La testa gli girò lievemente ma si avvicinò alla porta, deciso a svignarsela prima che la realtà venisse alla luce.
Ehi, non c’è fretta. Vuoi un caffè?” lo riprese l’altro, sedendosi a tavola e indicando la caffettiera. “Comunque quella è chiusa, devi passare dalla porta interna,” precisò, prima di scrollare la testa con un sorriso. “Ieri l’avete dimenticata aperta, sempre che non sia stato io.” Quanto parlava, quel ragazzo, e con una voce sonora e squillante. Lui se ne sentì intontito, ancora avvolto dai postumi del giorno precedente. “A proposito, io mi chiamo Noel,” concluse il biondo.
Lui sbatté gli occhi, incerto. Con uno sguardo alla porta blindata, che dava sicuramente sulla hall del palazzo, si strinse nelle spalle.
Simon,” ribatté, troppo stralunato per inventarsi un finto nome.
L’altro annuì, per chissà quale ragione.
Di chi sei amico?” aggiunse, ciarliero.
Era esattamente la domanda che lui non voleva sentire ed esitò, lo sguardo di nuovo alla porta. Era troppo sperare di azzeccare un nome a caso e socchiuse le labbra per sparare fuori qualcosa sul fatto di essere di fretta, ma quel Noel aveva già posato la tazza da cui stava sorseggiando il caffè e lo osservava ora con la fronte lievemente corrugata e una sfumatura di sospetto negli occhi. Sembrava aver registrato solo in quel momento le pietose condizioni dei suoi vestiti e della sua persona.
Aspetta un momento… Tu sei amico di qualcuno, qui?”
La mano di Simon si posò sulla maniglia mentre l’altro già si alzava in piedi. Sbuffò stizzito, storcendo il naso.
E’ come hai detto tu, la porta era aperta,” affermò quasi con sfida. Fanculo a tutto, alla fine. Che chiamasse pure la polizia, non gliene poteva importare di meno. Ne aveva già passate, di notti in guardiola. “Pensavo che fosse un posto pubblico e che sarebbe arrivato qualcuno.”
Noel era fermo, adesso, sembrava indeciso se saltargli addosso per stenderlo o optare per una prudente distanza.
Hai rubato qualcosa?” chiese freddo.
Se anche fosse?” ribatté lui d’impulso. Poi raddrizzò la testa. “Mi sono solo addormentato. Fuori faceva un fottuto freddo, se non l’hai notato,” aggiunse brusco. La testa gli faceva male da scoppiare.
Noel lo osservò assottigliando appena le palpebre, forse meditando sul credergli o meno e sicuramente infastidito dal suo tono. Poi decise forse di lasciar correre e scrollò la testa.
In fondo non è colpa tua se siamo tanto stupidi da lasciare aperto. Sei un po’ stronzo, comunque,” borbottò indispettito, prima di tirare un sospiro. “Beh, lo vuoi o no questo caffè? Hai l’aria di averne bisogno. E anche di una doccia, se è per questo,” aggiunse.
E si rimise a sedere.
Aveva un perfetto estraneo dall’aspetto più che losco che si era introdotto in casa sua, e si rimise a sedere per fare colazione. Simon lo squadrò allibito, diviso tra la pena per la stupidità e l’ingenuità di quel tipo e il desiderio di buttare qualcosa di caldo nello stomaco. Quel secondo impulso umano ebbe la meglio, sicché dopo una lieve esitazione si sedette, annuendo, all’altro capo della tavola. Noel allungò un braccio per aprire l’armadio a muro accanto al proprio posto, ne estrasse una tazza che riempì facendola poi scorrere verso di lui e infine lo osservò penetrante. Aveva gli occhi azzurri.
Potrei avere armi,” osservò Simon con sprezzo.
Le avresti già usate, e per il resto ti avverto che sono un boxeur,” ribatté l’altro, sornione. “Zucchero?” aggiunse, con un cenno verso il pacchetto.
Simon scosse il capo con una smorfia di ribrezzo.
Lo bevo amaro,” bofonchiò, prima d’immergersi nel silenzio. “Magari corretto…”
Noel sgranò gli occhi azzurri con una smorfia sconcertata.
Alle dieci del mattino?” chiese perplesso.
Simon si limitò a stringersi nelle spalle, contegnoso, e l’altro scrollò la testa e bofonchiò qualcosa di incomprensibile con tono seccato, chinandosi ad aprire l’anta inferiore dell’armadio.
Sei fortunato, abbiamo un fondo di whisky,” affermò, poggiando sul tavolo una bottiglia quasi vuota.
Perfetto,” commentò Simon asciutto, allungandosi ad afferrarla. Si versò un dito di liquore nella tazza e poi la portò alle labbra, appagato. Per una domenica mattina non era male: whisky e caffè, senza contare che quel Noel sembrava proprio un buon pollo da spennare e magari ci avrebbe cavato qualche soldo.
In quel momento, però, si udì una porta che si apriva al piano di sopra e poi dei passi giù per le scale. Simon osservò rigido un altro ragazzo, castano e decisamente scombussolato dal sonno, fare la sua comparsa nel salotto registrando distrattamente la sua presenza.
Ah, si è svegliato,” strascicò roco.
Noel si voltò con un sorriso.
Ciao, Sean, dormito bene?” salutò gioviale. “Lui è Simon, un…mio amico,” aggiunse, indicandolo. L’altro, quello Sean, annuì vago con uno sbadiglio.
L’avevo immaginato, quando sono arrivato a casa e l’ho trovato steso. Dovevi aver sonno,” commentò, tendendogli distrattamente la mano.
Simon la scrutò senza entusiasmo prima di allungare brevemente la propria, ancora avvolta in quello schifo di guanto.
Abbastanza,” commentò sostenuto.
Che hai fatto ieri sera?” chiese Noel, mentre anche Sean si sedeva e si versava un caffè.
Birre e via dicendo, giù al pub, poi siamo andati a finire la serata da Shannon,” rispose l’altro, e sbadigliò di nuovo. “E voi?”
Più o meno uguale,” fece Noel, vago. “Sim, se vuoi farti una doccia lì c’è un bagno,” continuò con fare naturale, indicandogli la porta già notata la sera prima.
Di fatto, Simon aspettava solo l’occasione per alzarsi e svignarsela, magari portandosi via la bottiglia e accessoriamente qualche altra cosa. Scosse automaticamente la testa, oltremodo infastidito da quel nomignolo.
Non ne ho bisogno,” rispose.
Ma in effetti continuava a non sapere come entrare nella casa e poteva anche essere che sarebbe rimasto chiuso fuori per giorni. A meno di spaccare la finestra per poi farsi stressare da qualche coglione di ritorno, non sapeva quando sarebbe riuscito a riavere un tetto. E poi nella casa l’acqua calda c’era di rado. Tanto valeva approfittarne.
Anzi, sì,” si corresse, posando la tazza vuota.
Si chiuse la porta del bagno alle spalle mentre i due coinquilini continuavano le chiacchiere mattutine e rimase sotto il getto dell’acqua calda per più di dieci minuti, sciogliendo i muscoli stanchi e levandosi di dosso la sporcizia e il freddo di giorni. Quando ebbe chiuso il getto, uscendo dal box e posando i piedi sul tappetino, individuò un accappatoio giallo e arancione e se lo infilò senza porsi il problema che non fosse suo.
Non si sentivano più voci, ma una lontana musica rock. Simon infilò la testa fuori dal bagno e non trovò più nessuno, c’era solo la canzone che proveniva dal piano di sopra. Però, appoggiati sulla sedia che qualcuno aveva messo proprio lì davanti, c’erano dei vestiti puliti. Li osservò come se fossero stati una truppa di piccoli alieni.
Quel Noel era così cretino da risultare sconcertante, decise.
Allungò la mano per afferrarli e si richiuse dentro, cominciando a vestirsi. Gli abiti erano appena un filo larghi per lui, ma complessivamente andavano più che bene e non erano strappati né consunti.
Quando uscì finalmente dal bagno, meditando di sparire con lo stereo, trovò invece Noel stravaccato sul divano, intento a leggere il giornale sbocconcellando una brioche.
Hei, ma allora sei un umano!” commentò il suo ospite, squadrandolo soddisfatto. Simon storse il naso, superiore, ma Noel non vi fece caso. “Vuoi?” proseguì, indicando un sacchetto di carta dalla cui apertura s’intravedevano altri croissant. Simon realizzò in quel momento di avere una fame fottuta e si avventò sulle cibarie.
Si direbbe di sì…” brontolò Noel sarcastico. Lui fece ancora spallucce, masticando voracemente: non gli piacevano i dolci, ma in quel momento avrebbe mangiato qualunque cosa, anche una gamba del tavolo.
Beh, io vado,” annunciò dopo aver ingoiato la brioche. Infilò la sua giacca logora e si passò una mano tra i capelli. “Prendo la bottiglia, magari,” aggiunse, con sfacciata arroganza.
Ehi! Comodo, eh!” protestò Noel, esasperato. “Certo che sei proprio un bel tipo, tu!”
Simon soffiò il fiato tra le labbra con fare indifferente, e tese la mano per afferrare il whisky. Fece per dirigersi alla porta, ma all’ultimo cambiò idea e si voltò di nuovo indietro.
Senti, hai qualche sacco da prestarmi?” chiese, senza nemmeno fingersi imbarazzato.
Noel spalancò occhi e bocca a dismisura, raddrizzandosi sul divano di soprassalto.
Eeeh? Ma dico per chi ti sei preso?” sbraitò irato. “Sei davvero uno stronzo! Non hai un minimo di decenza, razza di sbruffone e arraffone e… Teh!” concluse, cavandosi fuori dalla tasca un portafogli un po’ logoro, da cui estrasse una banconota. “Fatti esplodere il fegato e sparisci, sanguisuga!” aggiunse bizzoso, mentre lui incamerava il malloppo. Venti sacchi, mica male.
Ehi, almeno non ho rubato niente,” osservò lui, secco. “Potevo svuotarti la casa mentre dormivi,” precisò, altero.
Noel sogghignò, poco convinto.
Come no… E pensavi di farlo russando?” ridacchiò, ironico. “Tu non sei un ladro,” aggiunse, con fare paziente.
Le labbra di Simon si schiusero nel primo sorriso della sua giornata, e probabilmente l’unico.
Ah, no?” replicò, caustico.
Poi gli voltò le spalle ed imboccò la porta.
 
 
 
Noel sbadigliò rumorosamente, insonnolito, e gettò lo sguardo fuori dalla finestra contro cui rimbalzavano fitte le gocce di pioggia.
Era solo mercoledì sera e ne aveva già le tasche piene della sua settimana universitaria. Ma l’esame della settimana successiva andava assolutamente passato, se voleva conservare intatta l’esosa borsa di studio che gli passava la Comunità Europea.
Sean, Norman e Irene erano usciti a far cena con gli altri amici, e lui se ne stava da solo a studiare all’una meno un quarto. Era assolutamente ingiusto che una laurea costringesse un povero ragazzo ventiquattrenne a rinunciare al meritato divertimento.
Le sue tetre elucubrazioni furono interrotte da una serie di colpi provenienti dal piano inferiore. Drizzò le orecchie, attento, e sentì i colpi ripetersi: sembrava che qualcuno stesse bussando ai vetri. Speranzoso, Noel sorrise: forse Shannon o qualunque altro amico era venuto a strapparlo alla monotonia del suo tomo di quattrocento e sessanta pagine.
Impugnò le chiavi poggiate sullo scaffale dei libri e caracollò al piano di sotto con entusiasmo. Sorrise di getto alla porta a vetri, prima di bloccarsi interdetto: la persona che stava lì fuori, fradicia dalla testa ai piedi, era il ragazzo bruno e pallido che aveva scroccato il suo divano qualche sera prima e che aveva detto di chiamarsi Simon.
Aggrottò la fronte e si avvicinò più lentamente, prima di infilare la chiave nella porta e socchiuderla.
Che ci fai tu qui?” chiese perplesso, scorgendo immediatamente i segni di una solenne sbronza sul viso dell’altro e nella sua postura un po’ traballante.
Fammi entrare, invece di fare domande idiote,” biascicò Simon prima di starnutirgli praticamente in faccia. Aveva i capelli neri appiccicati alla fronte e una fiatata alcolica da stendere Gesù bambino nel presepe.
Noel s’irrigidì, infastidito. Decisamente, quel tizio non aveva senso della misura.
Ma vai a cagare!” commentò aggressivo. “Trovati un hotel, amico.”
Fece per richiudere la porta, ma Simon la spinse di scatto.
Ho chiesto…” iniziò in un ringhio, e Noel si limitò a spingerlo automaticamente indietro. In equilibrio già precario sulle gambe, senza troppa lucidità, il ragazzo si limitò ad ondeggiare e finire chiappe a terra sul marciapiede, gli occhi scuri accesi di uno stupore quasi infantile.
No, tu non hai chiesto!” sbottò Noel rabbioso, prima d’interrompersi ad osservarlo. Era lì per terra, completamente marcio, smunto e magro. Non sembrava in grado di fare nemmeno altri dieci metri e faceva di nuovo un freddo orrendo. Sospirò. “Va bene. Va bene, entra,” sbuffò, scuotendo la testa in un rimprovero a se stesso. Gli tese una mano che Simon spinse via oltraggiato, cercando di alzarsi da solo. Dopo qualche secondo di inutili tentativo Noel si limitò ad afferrare il suo avambraccio e tirarlo su di peso, strattonandolo dentro.
Tu hai bisogno di bicarbonato e di un bagno caldo,” sentenziò spazientito. Simon, barcollando, si diresse automaticamente verso il bagno ma lui lo trattenne. “C’è un falso contatto, è saltata la luce. Abbiamo la vasca, al piano di sopra,” illustrò stoico.
Cinque minuti dopo, Simon sedeva sul bordo della vasca in mutande, lo sguardo vacuo, un asciugamano sulle spalle, e parlottava tra sé tirando su di naso, tremando ancora di freddo. Noel controllò la temperatura dell’acqua un’ultima volta prima di chiudere il getto, poi si raddrizzò e guadagnò la porta.
Ti lascio fare, cerca di non annegarti,” si congedò. Simon annuì meccanicamente liberandosi dell’asciugamano, e lui poté vedere il segno delle sue costole troppo marcato e la vita esageratamente sottile, prima di chiudere la porta. Denutrizione, poco ma sicuro.
Rientrò in camera e riprese il libro, scorrendolo senza prestarvi la minima attenzione. Per la verità, non smetteva di chiedersi da dove fosse saltato fuori quel ragazzo assurdo.
Sembrava avere seri problemi di dipendenza dall’alcol e, dalla stato dei suoi vestiti, si sarebbe potuto supporre che non ne possedesse altri. Probabilmente non aveva una casa, né soldi per mantenersi. Qualunque persona sana di mente non l’avrebbe mai e poi mai fatto entrare in casa propria spontaneamente, aveva tutta l’aria di uno sbandato di prima categoria. Forse era anche pericoloso.
Aspettò in quel modo più di un quarto d’ora, prima di avvicinarsi e poggiare l’orecchio contro la porta del bagno: non si udiva il minimo suono.
Simon?” azzardò incerto.
Un improvviso sciabordio risuonò all’interno.
Sì, un attimo.”
Noel ritornò in camera con uno sbuffo, ma dovette attendere appena due minuti prima che l’altro comparisse, infagottato in diversi asciugamani: come suo solito, s’era servito senza farsi problemi. Sembrava un po’ più presente.
Va meglio?” chiese Noel accennando un sorriso.
Meglio di che?” ribatté Simon, sulla difensiva.
Lui scrollò le spalle senza rispondere, storcendo le labbra.
Vado a pisciare,” annunciò ignorandolo.
Fece ritorno nel bagno: come previsto Simon non si era disturbato a svuotare la vasca e per giunta aveva allagato tutto. I vestiti che lui gli aveva prestato la domenica, ormai lerci, erano ancora appallottolati a terra. Noel li imbracciò e li ficcò nel cesto della biancheria sporca, prima di dare un’asciugata in terra.
Quando tornò in camera Simon gli dava le spalle, in piedi davanti alla sua scrivania.
Adesso ho capito,” annunciò, con un freddo tono sprezzante, indicando il suo libro ancora aperto. “Sei un assistente fottuto sociale o qualcosa del genere.”
Noel scrollò la testa.
Non ancora,” rispose semplicemente. “E, prima che lo dica, il fatto che tu apprezzi o meno il mio futuro lavoro mi è totalmente indifferente,” aggiunse baldanzoso. Decise di abbandonare immediatamente l’argomento. “Hai fame?”
Simon non rispose, e lui lo prese come un sì.
Voltò i tacchi e scese giù in cucina, spalancò il frigo e cercò di che preparare un panino. Trovò formaggio e prosciutto e si affrettò a farcire il pane. Quando però tornò in camera di nuovo, col piatto in mano, trovò Simon accartocciato sul suo letto, con tutti i suoi asciugamani drappeggiati addosso e appallottolati, che dormiva il sonno dei giusti. Sbuffò tra sé e trattenne un sorriso.
Sei un po’ narcolettico, tu,” mormorò ilare, posando il panino sul comodino. Poi issò le sue gambe sul materasso, cercando di sistemarlo in una posizione umanamente naturale, e gli srotolò il piumone addosso. Quindi prese il libro, la coperta di lana in cima all’armadio e il suo pacchetto di sigarette, rassegnandosi a trascorrere la notte sul divano a piano terra.
Lo svegliò, un indefinibile lasso di tempo dopo, la voce perplessa di Sean.
Noel? Che ci fai qui?”
Sussultò, aprendo gli occhi di scatto. Si era addormentato con la faccia sul libro, mezzo seduto.
Ah…ciao. Simon si è addormentato in camera mia,” spiegò con un fare innocente.
Sean lo squadrò di sottecchi senza fare commenti, ma Noel lo sapeva troppo intelligente per non nutrire sospetti.
Si può sapere da dov’è sbucato, questo amico?” chiese infatti, con tono dimesso. “Sembra un bel po’ strano.”
Oh, beh,” ciarlò Noel, “l’ho conosciuto qualche tempo fa in birreria. È un po’…incasinato,” buttò lì, vago. Non gli piaceva mentire e da un certo punto di vista sapeva di commettere un errore a non dire la verità – dopotutto Simon poteva essere pericoloso, e loro vivevano insieme – ma non era sicuro di come avrebbe reagito Sean, né tantomeno Norman.
Il suo coinquilino ed amico comunque non sembrò troppo convinto, ma annuì brevemente.
Così fai pratica per il futuro,” commentò, vagamente scherzoso. “Io vado a dormire,” concluse, prima di imboccare le scale.
A domani!” salutò Noel, mettendosi sdraiato. Si rannicchiò sotto la coperta e aspettò il sonno per qualche minuto.
La prima cosa che vide aprendo gli occhi fu un biglietto in bella mostra sul tavolino davanti a lui. Presi guanti arancioni, jeans scuri e felpa blu, e dieci sacchi nel cassetto della scrivania. Mettici più formaggio in quel panino, la prossima volta. S.
Razza di figlio di…!” sbraitò Noel scattando a sedere, infuriato.
   
 
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