Un
panorama di verde foglia si lascia coprire di luce davanti ai miei
occhi. Il sole è alto nel cielo, quasi bianco per il
chiarore
estivo.
Porto
una mano sulla fronte, permettendomi di vedere meglio la valle che,
dal ciglio del burrone su cui mi trovo, si estende in tutta la sua
primitiva bellezza. Qua e là, tra i campi arati e i prati
incolti,
dei puntini bianchi fanno capolino nel verde giallognolo: marmi di
templi, colonne, piccoli teatri. E su di essi si riflettono i raggi
solari, come se la loro magnificenza non bastasse a renderli una
gioia per gli occhi.
Acuisco
lo sguardo. Mi porto più lontano, verso la costa. Intravedo
un'insolita figura umana in lontananza, ma di evidenti dimensioni
gigantesche.
Atena Parthenos.
Impossibile pensare che un uomo potesse scolpire qualcosa di divino. Eppure gli ateniesi, in quell'occasione, vi erano andati pericolosamente vicini. Bella. Immensa. Incute davvero timore, a vederla dal mare. Come un avvertimento, un altolà. “Questa città è sotto la protezione di Atena”. Il grido della statua sembra risuonare a gran voce in ogni angolo dell'Attica.
Se
solo gli dèi fossero sempre protettori. Sempre benevoli.
Sempre
amorevoli. E invece. Invece sono molto più umani di noi.
Gelosi,
traditori, iracondi, violenti, vendicativi...
Mi
bruciano gli occhi. Passo il braccio destro ad asciugare quelle poche
lacrime sul viso.
È senza dubbio la terra alzata dal vento.
E
di vento non ve n'è neanche un soffio. Mi volto a sinistra,
inizio a
camminare in quella direzione. Sull'orlo del baratro. Tra la vita e
la morte. Tra l'essere e il non essere. Eppure ormai la differenza
non è più così netta. Ed io sono
fortunato. So che un giorno
morirò, ma quel giorno inizierà la mia
eternità nell'Ade. Sarà
una fine definitiva. Un punto fermo, un valico, una porta da
oltrepassare.
E
se anche io non avessi questa fine definitiva? Se anch'io mi trovassi
costretto per sempre ad una misera esistenza immortale eppure non
vivente sulla terra? Se anch'io fossi colpito dall'ira di una
divinità e dovessi scontare sulla terra la mia pena?
Mi
asciugo di nuovo le lacrime.
Maledetto vento.
Lentamente, mi fermo. Eccola, davanti a me. La rupe. La mia rupe. Coperta di alberi di pesco in cima. Un incanto di rosa e verde. Ed è straziante vederla così rigogliosa, ogni giorno di più. Straziante pensare che questa rupe continuerà ad esistere quando io me ne sarò andato. Straziante sentirmi imprigionato e non poter fare nulla per cambiare questa situazione.
«Sei meravigliosa!»
«Stai soffrendo?»
«Sappi che ancor ti amo!»
Sono
passati mesi. Anni. Decadi.
Molti
peschi hanno perso i loro ultimi fiori. I tuoi continuano a
trasmettermi la vita che c'è in te.
Eri
splendida come oggi. Correvi, saltavi, ridevi, scherzavi. Eri la
ninfa più vitale che gli dèi stessi avessero mai
avuto con loro
sull'Olimpo. E se gli dei non fossero state creature d'odio e
inganno, oggi saresti ancora lì. In riva agli specchi
d'acqua, o
nascosta nei boschi.
Per
guardarlo arrivare. Per guardarlo cacciare la selvaggina con l'arco
teso e l'occhio acuto. Per guardare il fisico scultoreo contratto
nell'uccidere un cervo, o la fronte bianca imperlata di sudore sotto
i lunghi capelli corvini.
Ti
sentivi una predatrice. Lo seguivi, lo osservavi nell'ombra,
assimilando ogni suo singolo movimento. Come nutrendoti di quegli
attimi, non lasciandotene sfuggire nessuno. Sembrava che ti
aspettassi il destino che ti è sopraggiunto.
Oh,
aspro fato! Se tu non fossi così impassibile ai sentimenti
dell'uomo! Se tu potessi evitare il dolore agli uomini!
Tu
che sai il nostro nome ancor prima che veniamo fecondati, avresti
potuto placare l'ira della dea! Avresti potuto fermarla, calmarla,
portarla altrove con un soffio di zefiro!
Invece
la sua maledizione è giunta. E da quelle labbra rosse, non
fiorì
più alcuna parola se non quelle degli altri. Ogni parola a
te
rivolta, oh amore, tornava indietro pronunciata dalla tua bocca mai
sfiorata.
Rimanesti
un fiore non colto, il tuoi capelli rosei come petali avvolti su se
stessi, i tuoi occhi verde foglia come boccioli destinati a non
schiudersi.
E
tu ancora lo amavi. Ancora amavi celarti nell'erba alta a guardarlo
torcersi nello sforzo della lotta con i compagni. Ancora amavi
sussultare a spiarlo durante i bagni nei freschi e aulenti fiumi
all'alba. Senza poter proferir parola, senza potergli dire quanto
morivi per lui.
Lui
che non ti pensava minimamente. Lui che rifiutava chiunque gli si
avvicinasse. Lui che desiderava solo appagare il proprio desiderio
con sentimenti che nessuno era in grado di fargli provare. Lui che
aveva un ideale nella mente, e nella sua folle corsa per inseguirlo
si dimenticava di non potersi compiere da solo. Lui che ti
causò
tutto il tuo dolore.
Poggiasti
un piede veloce su un ramoscello secco. Lui sollevò lo
sguardo
dall'arco che stava tendendo. Si guardò intorno, in cerca
della
fonte di quel rumore. Si alzò in piedi.
«C'è nessuno?»
«Fatti vedere!»
«Esci allo scoperto, villano!»
Lui
si sentì offeso. Tu avevi gli occhi pieni di lacrime.
Uscisti
dall'ombra, e lui ti vide per la prima volta. Il tuo viso deformato
dal dolore di non poter esprimere il proprio amore. Il tuo corpo
molle nel terrore di trovarsi, infine, di fronte a lui a volto
scoperto. Le vesti lacerate dai rovi nei quali ti eri nascosta. Tutto
ciò colpì il tuo amato a tal punto da farlo
sobbalzare
all'indietro.
«Lungi da me, fauno! Non toccarmi. Non voglio avere alcun contatto con te e le tue luride membra!»
Corresti
via, senza un lamento. Avresti voluto urlare, piangere, gridare agli
dei la rabbia che covavi dentro. Ma proprio a causa loro non potevi.
E
piangesti, piangesti, piangesti fino a deperire. Sempre più
lontana
dalla vita e vicina all'Ade, gli dèi cercarono di
ricompensarti per
il tuo sacrificio.
E
ti punirono ancor più di quanto non avessero fatto in
precedenza.
Ed
eccoti. Mutata in una magnifica rupe. Che guarda l'Attica con sguardo
assorto, dall'alto, estranea agli eventi che imperversano
nell'acropoli. E non te ne importa, perché nell'eterna
esistenza non
viva che ti attende sai che ti troverai di fronte a periodi di
guerra, di pace, di odio, di amore, di anarchia, di dittatura. Tu non
ti curerai mai più dei mortali, né ti esporrai
più, per evitarti
altre sofferenze. Ti limiterai a ripetere le parole che gli uomini ti
lanceranno. La tua voce sarà l'Eco di questa ed ogni altra
valle.
Fino alla fine dei tempi.
Le
mie guance sono ormai solcate da scie brucianti di lacrime salate. Il
sole mi batte contro, scaldandomi, confortandomi. Unendo i suoi aurei
raggi all'oro dei miei capelli.
Mi
accovaccio, colgo un fiore, te lo lancio. Non posso fare altro.
«Sakura, ti amerò sempre!»
E come ogni giorno, ti saluto con l'unico atto di dolcezza che puoi porgere tu nei miei confronti.
«Naruto!»
È
più dolce pronunciato da te.
---
IV Classificata al contest "SasuSaku nella storia:" di Amaranth93
Correttezza
grammaticale; 10 benissimo
la scelta di far narrare a Naruto la storia, ma tenendo conto del poco
SasuSaku il NaruSaku (anche se non corrisposto) risulta eccessivo. --- Sono
orgogliosa di questo risultato, perchè, sinceramente,
è la prima fic nel fandom di Naruto che non sia Naruhina :P Quindi
il fatto di aver svolto un buon lavoro mi fa molto piacere! Certo
è che il fatto di non amare il SasuSaku non mi ha aiutata,
anzi: l'IC era completamente invalutabile! Quindi, Amaranth troppo
generosa... Io troppo fortunata!
Non ho trovato errori.
Stile e lessico; 10
Hai usato un lessico appropriato, hai scritto in maniera corretta
articolando bene le frasi. Mi è piaciuto il tuo stile,
vagamente classicheggiante.
Originalità; 10
L’originalità in una storia è una delle
prime cose che mi colpiscono insieme alla grammatica e allo stile. Hai
avuto davvero una bella idea a utilizzare il mito di Narciso. Direi che
Sakura nei panni di Eco è perfetta, così come
Sasuke in quelli di Narciso. Interessante inoltre il fatto che per
raccontare la storia tu abbia fatto entrare in gioco un osservatore,
una specie di testimone. Naruto è perfettamente azzeccato
per il ruolo che gli hai dato.
IC; 5
Purtroppo però non posso darti di più
nell’IC perché non traspare molto del carattere
dei due protagonisti. Noi lo conosciamo a priori, ma una persona che
non segue il manga non credo riesca a capire come sono Sakura e Sasuke.
Sei stata un po’ superficiale nella descrizione delle loro
caratteristiche e questo è davvero un peccato.
Attinenza al tema; 5Altra pecca della storia è
l’attinenza al tema. Il SasuSaku non è stato molto
trattato. Va
Destrezza nel descrivere
l’epoca storica; 3
Hai descritto bene l’epoca storica. Sono subito riuscita a
calarmi nel contesto: vedevo i campi e i prati, i tetri e i templi. Mi
sentivo lì, sulla rupe e vedevo la maestosa statua di Atena.
Davvero brava, non ti sei limitata solo a questo aspetto, hai anche
approfondito la mentalità dell’epoca. Gli dei
dell’Olimpo, che Omero, o chi per lui, ha a suo tempo
descritto, sono esseri volubili, dalla passioni umani. Amavano,
odiavano, più raramente perdonavano, si vendicavano.
Giudizio personale. 3
Nonostante il poco SasuSaku, la storia mi è piaciuta. Hai
scritto bene, hai usato belle frasi, hai saputo rendere reale
l’epoca storica.