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Autore: Tsukichan    01/11/2010    5 recensioni
- “Avere un figlio nell’esercito porterà più onore alla nostra famiglia”. Queste sono state le parole di mio padre, mentre stringeva tra le mani il telegramma che stamattina è arrivato dall’esercito – si sedette accanto a Nami nel giardino sul retro
- Ma puoi sempre rifiutare … sbaglio o sei l’erede diretto della casata Roronoa, c’è la palestra di Kendo da mandare avanti, tuo padre …
- Per tutto questo c’è Ace … ormai ho deciso
- Tuo padre l’ha fatto per te … è una stupida guerra … non è quello che vuoi tu – si alzò in piedi lasciando Zoro da solo nel giardino
Genere: Malinconico, Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Coppie: Nami/Zoro
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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19 novembre 1940

 

-         “Avere un figlio nell’esercito porterà più onore alla nostra famiglia”. Queste sono state le parole di mio padre, mentre stringeva tra le mani il telegramma che stamattina è arrivato dall’esercito – si sedette accanto a Nami nel giardino sul retro

-         Ma puoi sempre rifiutare … sbaglio o sei l’erede diretto della casata Roronoa, c’è la palestra di Kendo da mandare avanti, tuo padre …

-         Per tutto questo c’è Ace … ormai ho deciso

-         Tuo padre l’ha fatto per te … è una stupida guerra … non è quello che vuoi tu – si alzò in piedi lasciando Zoro da solo nel giardino

 

-         Promettimi che mi scriverai – Nami si aggrappò alla manica della divisa per trattenerlo ancora qualche istante in quella piazzola di sosta

-         Ogni volta che potrò farlo – poggiò la fronte sulla sua

-         Non dimenticarmi – sussurrò mentre le lacrime scivolavano sul suo volto – prendi – gli passò una foto tra le mani – l’abbiamo fatta l’inverno scorso, alla festa giù in paese per il nuovo anno … così non dovresti dimenticarmi

-         Non sarà facile dimenticarti – fece scivolare la foto nel taschino della sua giacca – forse le mie orecchie mi ringrazieranno quando per un po’ non dovranno più sentire la tua stridula voce

Nami mise su il broncio indispettita e dandogli le spalle – se la pensi così

Zoro l’attirò a se, stringendola per la vita, affondando il volto nella chioma rossa. Nami si voltò per guardarlo negli occhi.

Si baciarono sotto lo sguardo accusatore e ammonitore di tutti colore che era presenti lì: baciarsi in quel modo, davanti a tutti e senza essere neanche sposati, era oltraggioso.

Ma i due non prestarono attenzione a nessuno di quei particolari.

Non sapevano quando si sarebbero o se si sarebbero rivisti.

Nami portò le mani sul collo di Zoro per attirarlo maggiormente a sé, approfondendo il bacio, un bacio che sapeva di rabbia per una guerra inutile che li stava dividendo; di speranza, quella stessa speranza che nutrivano nel rivedersi uno di quei giorni, il prima possibile, di amore, quell’amore che li univa da sempre che molto probabilmente sarebbe sopravvissuto anche a quella guerra.

Si distanziarono di qualche centimetro, mantenendo per qualche secondo gli occhi chiusi, assaporando i profumi che caratterizzavano entrambi, per un’ultima volta.

-         È arrivato il momento … devo andare – le diede le spalle sentendo la sua mano, scivolare sul suo braccio, mentre saliva gli scalini dell’autobus

Chissà quando si sarebbero rivisti…

 

7 dicembre 1941

 

-         L’attacco alla base americana di Pearl Harbor nelle Hawaii, ad opera dei nostri caccia, guidati da Mitsuo Fuchida e il capitano Minoro Gendo, ha avuto successo.

La tigre va lontano 2000 miglia e ritorna infallibilmente.

L’esercito giapponese potrà tronare presto a casa.

Il cuore di Nami smise di battere per diversi secondi.

Era ancora vivo?

Corse verso il telefono, si precipitò ad afferrarlo. Cercò freneticamente uno di quei maledetti numeri che Zoro le aveva dato più di un anno prima e che lei era riuscita a trovare durante le sue ricerche. Doveva necessariamente avere qualche informazione su Zoro.

La linea non è momentaneamente disponibile … riprovare più tardi.

Quella maledetta vocina si ripeteva all’infinito. Qualsiasi numero componesse quella inutile, quella stupida vocina continuava a rimbombarle nelle orecchie.

-         Fatemi parlare con qualcuno – urlò

La linea non è momentaneamente disponibile … riprovare più tardi.

Si lasciò scivolare a terra, stringendo spasmodicamente il telefono tra le mani. Cercò di tronare a respirare in modo normale, di far rientrare l’aria nei polmoni.

Passò una mano coperta dalla stoffa del kimono sul volto, per asciugarsi le lacrime.

Il suo sguardo si perse su una cornice che proteggeva una foto, la stessa foto che aveva dato a Zoro.

 

18 aprile 1942

 

Ad aprile è caduta la prima bomba … poi hanno ricominciato a bombardare nuovamente, seminando il cielo di tracce di fuoco. Scoppi di luce dappertutto nell’oscurità come alberi di Natale, quegli stessi alberi che vedevamo nella piazza centrale del paese.

Le fiamme si alzavano alte nel cielo della notte per poi precipitare di nuovo a terra in una tempesta di scintille, che precipitavano lungo i tetti come una rugiada in fiamme, appiccando il fuoco a tutto ciò che incontravano sul loro cammino.

Il fuoco frustato dal vento cominciò a far diventare quel paese di legno come un falò.

Crollarono, sotto l’impatto delle bombe, le fragili case fatte di legno e di carta, illuminate come lanterne colorate, le stesse che dondolavano in paese durante una qualsiasi festa.

 

Erano due mesi che non riceveva una lettera di Nami e non ne conosceva il motivo. In quell’ultima che gli era arrivata, lo rassicurava, gli diceva che stava bene, ma non ne aveva la certezza e poi era di aprile, mentre ormai erano quasi  luglio.

Non sapeva come mettersi in contatto con lei, il telefono poteva scordarselo o gli americani gli avrebbero certamente localizzati e non sapeva se le sue lettere fossero mai arrivate, non vi aveva mai fatto cenno e questo non faceva che preoccuparlo ancora di più.

-         Ai vostri posti … il nemico ci ha localizzati – il sergente fece ancora qualche passo all’interno dell’accampamento – soldato scelto Roronoa non è il momento di restare lì impalati … si muova

-         Sissignore – scattò in piedi, Zoro, imbracciando il fucile

Erano sotto attacco, non c’era posto sicuro dove rifugiarsi.

Corse verso un muro diroccato, dove i suoi fidati compagni si erano nascosti e si stavano organizzando per contrattaccare

-         Granata – urlò Sanji vedendola arrivare

Fu un attimo, poi tutto parve brillare, sembravano i fuochi d’artificio che venivano lanciati in cielo l’ultimo dell’anno, quelli che andava a vedere sempre con Nami in riva al lago.

Poi tutto fu buio …

 

1 gennaio 1943

 

Attacco nemico stop … granata stop … Zoro ferito gravemente stop … non so se ce la farà stop …

 

Poco più d una decina di parole che le fecero crollare, l’intero mondo addosso.

Non so se ce la farà … non so se ce la farà … NON SO SE CE LA FARA’

Era morto? Era vivo?

Il telegramma era di luglio, cos’era successo?

Voltò lo sguardo alla sua sinistra, dove spuntavano gli alberi nel giardino della palestra di Kendo del padre di Zoro.

A gradi falcate si diresse verso la palestra, ripercorrendo la strada che Zoro ogni volta percorreva per raggiungerla.

Spalancò la porta, irrompendo e spaventando Ace che rimetteva in ordine.

-         Dov’è? – urlò aggredendo il povero Ace che non riusciva a capire cosa volesse

-         Cosa c’è da urlare – disse pacatamente Mihawk facendo il suo ingresso nella palestra

-         Ma vuole scherzare? – mostrò il telegramma all’uomo – ecco cosa c’è da urlare

-         Si è salvato ragazzina … è vivo – affermò come se la cosa non lo riguardasse più di tanto

-         E cosa aspettava a darmi questa notizia? Vuole vedermi morire di crepacuore? Io non ce la faccio più … lo vuole capire?

-         Sei libera di fare ciò che vuoi … sei libera anche dalla promessa di matrimonio … cercati un altro uomo – le diede le spalle

-         Ma cosa sta dicendo? Io ho il diritto di sapere cosa sta succedendo a Zoro e voi siete l’unico che può darmi notizie … anche se è tutta colpa vostra – terminò la frase in un sussurro

-         Non ti permetto di rivolgerti a me in questo modo – le si avvicinò puntandola con l’indice

-         E con chi dovrei prendermela se non con lei? – scostò il braccio dell’uomo – non l’ho sbattuto di certo io in un mezzo ad una guerra – lo fissò in segno di sfida direttamente negli occhi

-         Non sono affari che ti riguardano ragazzina, ora tornatene a casa, che è la cosa migliore – le diede nuovamente le spalle lasciando questa volta la palestra

-         Non può fare così ogni volta – urlò con la voce strozzata dalle lacrime – se morirà sarà tutta colpa sua, lo tenga bene a mente

Dietro il fusuma, Mihawk si irrigidì a sentire quella frase, quasi la sua corazza di uomo duro fosse stata scalfita, poi il suo volto tornò ad essere impassibile e andò a chiudersi nelle sue stanze.

Nami si strinse ad Ace piangendo tra le sue braccia.

Ormai non faceva che questo.

 

 

Ciò che sto dimenticando è il calore del tuo corpo.

Ciò che me lo sta rammentando sono il rumore dei passi della tristezza.

Ciò che m incoraggia verso la porta è il frammento di un ricordo.

 

 

6 agosto 1945

 

 

9 agosto 1945

 

28 dicembre 1945

 

Mise i piedi a terra, la sua terra. Inspirò a pieni polmoni quell’aria carica di freschezza invernale. Mancava da cinque anni … cinque anni … sarebbe dovuto tornare una volta all’anno, ma la guerra non glielo aveva permesso, togliendogli alla fine anche la possibilità di comunicare con le lettere e di riceverle.

Niente era più come prima. E forse niente sarebbe più tornato come prima.

Tirò fuori qualcosa dal taschino della sua giacca: un pezzo di carta ingiallito e rovinato. La dispiegò, era una fotografia, quella fotografia.

Non aveva più sue notizie da anni, in cuor suo sperava di trovarla ancora, ma non sapeva dove cercare, a chi rivolgersi.

Si incamminò verso quella strada che anni prima, portava al suo villaggio, a casa sua, a casa di Nami, nei suoi posti preferiti.

Si guardò attorno e arrivo persino a chiedersi se non avesse sbagliato fermata.

Dov’erano finiti gli alberi che costeggiavano tutte le stradine, i negozi dove Nami era solito trascinarlo quando veniva colpita da uno dei suoi attacchi di compere, le case che ogni volta incontrava nelle sue passeggiate.

Aveva paura dannatamente paura di voltare l’angolo, non c’era più nulla ed era impossibile che lei ci fosse ancora. Prese un respiro profondo e svoltò: una distesa di macerie si estendeva a vista d’occhio, fino all’orizzonte. La sua casa, la sua palestra, la casa di Nami, le rive del lago erano scomparse.

Arrancò nelle macerie alla ricerca di qualcosa di familiare, di qualcuno a cui potesse chiedere spiegazioni.

Una vecchietta sedeva tra le macerie e decise di avvicinarla senza farla spaventare.

-         Mi scusi, sa dirmi cos’è successo?

La vecchietta sollevò stancamente lo sguardo e lo fissò con i occhi vacui, senza dire una sola parola. Era palese cosa fosse successo, erano stati bombardati, avevano perso tutto, case, ricordi, persone care.

Tentò ancora una volta di parlarle – conosce questa ragazza – chiese mostrandole la foto rovinata

Questa volta la donna sembrò prestargli maggiore attenzione, prese la fotografia dalle mani di Zoro e la osservò attentamente. In tati si fermavano da lei per conoscere cosa fosse capitato ai loro cari, era per quello che lei sedeva lì, voleva aiutarli.

-         Era alla palestra di Kendo quando le bombe hanno distrutto tutto, l’ho vista passare di qui, tutta sola, sembrava arrabbiata quel giorno … poi non l’ho più vista, non ho più visto nessuno – la donna iniziò a piangere e Zoro non sapendo che fare, si riprese la foto e lasciò sola la vecchietta nelle sue lacrime

Non aveva scoperto nulla, se non che quel giorno maledetto era a casa sua, senza conoscerne il motivo e cosa poi fosse successo.

Si mosse con difficoltà, per trovare qualcun altro che gli desse maggiori informazioni, era pronto a tutto, ma voleva sentirselo dire, altrimenti non avrebbe mai smesso di cercarla, finché le forze non l’avessero abbandonato.

Passò molto tempo, prima che incontrasse qualcuno sulla sua strada. Un uomo questa volta, non molto anziano, ma distrutto anche lui dalla guerra. Anche a lui fece le stesse domande e questa volta ebbe risposte più esaurienti. Quel giorno si era salvata e si era trasferita sulle montagne, per essere maggiormente al sicuro. Ma se fosse ancora viva adesso, non lo sapeva.

Non c’era niente e nessuno nel raggio di chilometri che l’avrebbe accompagnato sulle montagne. Si mise in marcia, l’avrebbe raggiunta costi quel che costi.

Il sentiero sterrato era ripido e disseminato di macerie, che rendevano ancora più difficile scalare la montagna, il tutto accompagnato da un discreto manto di neve che lo rendeva scivoloso ad ogni passo.

Incontrò diverse persone, che scendevano a valle alla ricerca di qualcosa tra le macerie che potesse ancora essere utile, o che come lui risalivano la montagna.

-         Giovanotto?! Vuole un passaggio, non incontrerà un villaggio prima di un paio di chilometri, non credo che ce la faccia prima che cali la notte

Zoro accettò e si ritrovò a viaggiare con un simpatico uomo, che sembrava non fosse stato colpito dalla guerra, qual suo sorriso diffondeva calma. Ancora una volta riuscì ad avere alcune notizie su Nami, l’uomo l’aveva vista qualche giorno prima nel suo villaggio, a fare compere. Abitava poco distante dal villaggio dell’uomo.

Giunti a destinazione, Zoro si congedò dall’uomo, declinando la sua offerta di rimanere lì per la notte. Era arrivato fin lì, non si sarebbe di certo lasciato fermare dal buio della notte e dal freddo.

La guerra era stata molto peggio, quelli erano gli ultimi dei suoi incubi, in quel periodo.

 

La luna debolmente illuminava il sentiero che conduceva la villaggio successivo. Non si era mia spinto così oltre sulla montagna, neanche quando abitava giù a valle, ora invece sarebbe arrivato in capo a qualsiasi montagna pur di saperla al sicuro e felice, anche se non al suo fianco.

In lontananza le luci delle lanterne a petrolio, danzavano sotto i colpi della brezza e dal cielo leggeri fiocchi di neve iniziarono a venir giù, rendendo l’aria leggera e gelida.

Non si sentiva più i piedi, li aveva tenuti troppo tempo nella neve, ma non poteva lasciarsi andare ora.

Il villaggio era deserto, solo qualche fiamma illuminava ancora qualche casa, forse le stesse che lo avevano condotto fin lì. Ora doveva solo trovarla.

Si avvicinò ad una casa dove qualcuno era ancora svegli. Bussò e attese.

Venne ad aprire una donna avvolta in un kimono.

-         Mi scusi non volevo disturbare, ma sto cercando una persona e m hanno detto che abita in questo villaggio … vede è la ragazza di questa foto

-         Ah Nami-san … vede quella casa laggiù? Quella tra le due case illuminate, è lì che abita

-         La ringrazio e mi scusi ancora per il disturbo – corse verso la casa indicatogli, lasciando interdetta la ragazza che rimase a fissarlo ancora per qualche stante, prima di rientrare in casa, richiamata da una voce maschile

 

Davanti a quella porta tutte le sue sicurezze vennero meno. Forse si era dimenticato di lui, si era sposata, aveva dei figli, cosa poteva saperne lui, in fin dei conti aveva perso di far parte della sua vita cinque anni prima, quando aveva deciso di partire per la guerra.

Sentì dei rumori e si appiattì contro la parete. La porta venne aperta e qualcuno uscì fuori, una donna con i capelli lunghi avvolta in una coperta. La vide sedersi sui gradini, stringersi e sorseggiare qualcosa. Non sapeva se fosse Nami, era buio e la poca luce che c’era non gli permetteva di distinguerne i tratti.

Una leggera brezza soffiò nella sua direzione, portando con sé un aroma familiare, mandarino. Le pupille si dilatarono, i pugni si strinsero sulla stoffa dei pantaloni. Non sapeva cosa fare.

Nonostante continuasse a nevicare, continuava a rimanere seduta lì fuori. La vide armeggiare con le mani, sotto la coperta per poi fermarsi e guardare qualcosa.

La porta dietro di lei si aprì e venne fuori un bambino, che si aggrappò sulle sue spalle.

Forse era meglio andare, non c’era più posto per lui.

Fece qualche passo, ma le travi marcie di legno lo tradirono.

Parandosi dinanzi al bambino, Nami scattò in piedi – chi c’è lì? – sussurrò a denti stretti avvicinandosi alla porta, spingendo il bambino all’interno

Un fascio di luce proveniente dall’interno rese più visibile l’esterno della casa.

Non riusciva a vedere bene chi fosse.

Ancora una volta provò a chiedere e ancora una volta non ricevette risposta.

Se non si era ancora mosso, forse non voleva farle del male.

Zoro si chiuse nel cappotto facendo qualche passo – non volevo spaventarti, volevo solo ripararmi dalla neve

-         Aspetta qui un attimo – sparì dentro casa e ricomparve con una tazza fumante – prendi potrai riscaldarti … non ho spazio per ospitarti, ma potresti dormire sul pavimento in cucina, è l’unico posto mi dispiace

-         Non devi preoccuparti, sono solo di passaggio – sorseggiò quello che era dell’ottimo the bollente – mi basta questo – sollevò la tazza per ringraziarla

-         Insito … non puoi passare la notte all’esterno, rischi di morire assiderato

-         Non è la migliore delle prospettive – disse ghignando, coperto dalla sciarpa – se insisti

Entrò in una spartana casa, arredata con mobili umili, fusuma rovinate. Si sedette su uno sgabello, seguendo con gli occhi i movimenti di Nami.

-         Nami?! – la chiamò piano

-         Come fa a sapere come mi chiamo? – disse voltandosi tremante reggendo a mal pena la tazza tra le mani

Scostò la sciarpa e si sfilò il cappello, mostrando i capelli verdi e il suo volto.

-         Sono Zoro, Nami!

La risposta che ricevette fu il rumore delle tazze che si frantumavano a terra in mille pezzi.

Nami si portò la mano alla bocca – Zo … Zoro – balbettò, riuscendo a dire solo quello

-         Ciao – disse sorridendo

Le lacrime scorrevano copiose sul volto di Nami. Si avvicinò, mettendo come distanza tra loro il tavolo. Zoro eliminò quella distanza, raggiungendola. Adesso solo pochi centimetri a distanziarli. La rossa sollevò una mano poggiandola sulla giacca, non credeva potesse essere tutto reale, non dopo tutti quegli anni,

-         Sei veramente tu? – disse a bassa voce

-         Si sono io, Nami

Affondò il volto sul suo petto, soffocando i singhiozzi nella stoffa – sei tornato … sei tornato  - lo strinse con tutte le forze che le erano rimaste. Sollevò le punte dei piedi per raggiungere la sua altezza, accarezzando la cicatrice sull’occhio

Zoro si scostò – una granata, tre anni fa … non puoi farlo … c’è tuo figlio, ci sarà tuo marito

Nami sollevò un sopracciglio e soppresse una risatina – non è mio figlio e non sono sposata … è il figlio di Nojiko e Ace

-         Si sono sposati? – chiese. Chi se lo sarebbe mai aspettato

-         Si … e sono morti un paio di anni fa – abbassò lo sguardo perdendo nuovamente il controllo delle due lacrime – Seto è rimasto con me da allora

-         Basta! – le prese il volto baciandola, come in tutti quei mesi aveva sognato di fare – basta … basta … non voglio che accada più una cosa del genere – ancora una volta la baciò con foga

-         Non andare più via … ti prego Zoro, non farlo mai più

-         Te lo prometto Nami … resterò con te e Seto e staremo bene, non ti lascerò mai più … tutto tornerà come prima … piano noi due insieme ricostruiremo qualcosa

 

21 marzo 1950

 

-         Seto vieni in casa è ora di cena – urlò Nami sulla soglia della porta – Zoro vale anche per te, avanti

-         Cosa hai preparato per cena zia? – Seto corse in casa come un fulmine

-         Lavati le mani prima di sederti a tavola … e tu da dove vieni? – chiese guardando Zoro da testa a piedi interamente coperto di fango

-         La casa dei vicini … argh – si grattò la testa nervosamente – tutto nella palestra …  non ne parliamo

-         Aspetta – gli prese la manica della maglia e si avvicinò per baciarlo, per quanto il pancione le permettesse di farlo

-         E questo per che cos’è? Non dovrei meritarmelo …

-         Quante storie … - ancora una volta lo baciò teneramente – grazie Zoro … tutto questo è merito tuo – Zoro le si avvicinò ancora – ehi non sono una dispensatrice di baci … avanti va a lavarti, la cena è quasi pronta – gli diede uno schiaffo sul fondoschiena

Nami si voltò verso l’orizzonte, posando una mano sul pancione. Erano passati diversi anni e tutto lentamente stava tornando alla normalità, Zoro stava mantenendo la promessa. Prese il ciondolo, che portava al collo e lo aprì, guardando la foto che nascondeva: la stessa che aveva dato a Zoro dieci anni prima.

-         Namiii – due voci dall’interno la chiamavano e reclamavano cibo

-         Arrivo – si voltò a guardare un’ultima volta il tramonto e il paese che lentamente riprendeva a vivere come lei

 

 

 

 

 

 

Angolo di Tsuki

Alloooora prima di tutto il merito di questa fic va a Rolo, perché se lei non mi avesse passato la canzone “She could be you” la suddetta fic non sarebbe mai nata e tutto per merito del telefilm Kyle xy, che da mesi non facciamo che guardare ogni mattina.

Mille e mille grazie Rolo XD

Fatta questa precisazione, spero che sia stata una buona lettura, altrimenti passate da casa che vi passo la cassa di pomodori da lanciarmi -.- Grazie mille anche a voi che avete letto ^^

   
 
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