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Autore: Helena Velena    02/11/2010    1 recensioni
Severus Snape vaga per Hogwarts in cerca di ingredienti per le sue pozioni e si imbatte nello Specchio delle Brame.
Storia vincitrice della seconda Sadi-sfida "Anima riflessa" del Magie Sinister Forum.
Genere: Comico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Severus Piton
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
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“Zenzero, Rapicordo e Viscula…” cantilenava Severus Snape, rapito nella sua ricetta, mentre girava per il sotterraneo di Hogwarts senza fare troppo caso a quel buio mondo intorno.
Ricordava un magazzino sprangato dove tempo prima, accompagnando Silente, aveva intravisto una scorta abbondante di Rapicordo, così dannatamente raro…
Snape aveva già superato ogni possibile riserva morale: ficcanasare tra le cose del Preside di Hogwarts senza il suo consenso non era nulla rispetto alla consapevolezza di quel suo braccio nero, che marciva con preoccupante regolarità quotidiana.
“Dica quel che vuole, quel braccio nero è proprio affar mio, così come le cose necessarie per curarlo… accessibili o meno…” pensava il Pozionista, ormai Insegnante di Difesa Contro le Arti Oscure, ma ancora ben lungi dal sentirsi realizzato.
La pesante porta di quercia con le sue protezioni magiche cedette quasi subito alla superiore volontà che la violava, e Snape fece un ingresso risoluto nella stanza, emanando intorno fastidio seccato e contrarietà.
Tutti i suoi lineamenti si affilarono per assecondare gli occhi che si stringevano a fessura, districandosi nell’ombra fitta.
“Hmpf, Lumos!” disse fra sé e la bacchetta, facendo qualche passo verso il centro della stanza.
La prima cosa che poté distinguere fu una scritta ad arco, che scintillava su di una specie di cornice dorata e lo dominava dall’alto: Erouc li am otlov li ottelfir non.
La sua mente investigativa, da spia, colse subito la sciarada e la corresse al volo.
“Ah, già, il dannato Specchio delle Brame,” pensò prontamente Snape. “Evidentemente... Albus se ne è stufato, ed è finito qui…”
Nella scala dei valori di Snape, la mania di Silente di circondarsi di ogni genere di ciarpame magico era uno dei peggiori difetti del vecchio mago, per altri versi autorevole ed esemplare.
“Purché sia inutile e faccia perdere tempo, Albus non può fare a meno di raccattare tutto quello che trova… e di provarlo…”
Pensò con una fitta dolorosa all’anello dei Gaunt, che aveva procurato a Silente la terribile maledizione che lo consumava.
Distolse gli occhi dalle sue profondità preoccupate, e ritornò a fuoco sulla scritta Non rifletto il volto ma il cuore che ora sembrava proporgli una domanda esistenziale:
“Hai ancora un cuore?”
Aveva sempre evitato di guardare in quello specchio diabolico, che Silente negli anni si era divertito a spostare per il castello, e che gli era apparso, volta a volta, da dietro a un angolo, al fondo di un corridoio cieco, o su di uno sconosciuto pianerottolo là dove lo depositavano le Scale capricciose, insomma dove meno se lo aspettava.
Anima riflessa, significava quel confronto.
“Anima che non ho più da tempo,” era riuscito a tagliar corto Snape ogni volta, liquidando lo specchio con indifferenza insistita.
Nella migliore delle ipotesi quell’oggetto ingombrante rappresentava solo una distrazione, anche per tutte le anime semplici ancora capaci di contemplare da lontano i loro desideri nascosti.
Eppure…
“Zenzero, Rapicordo e Viscula… di seconda spremitura!”
Snape si rifugiò nella ricetta, girando le spalle allo specchio con fastidio simulato.
Ricordava con precisione il bauletto di rovere che doveva contenere il Rapicordo.
Orientò la bacchetta e la sua flebile luce un po’ qua e un po’ la, verso gli angoli della stanza di pietra, avendo cura di mantenere, con la precisione dei passi e dei gesti, lo specchio malefico sempre dietro la sua schiena.
Intanto, aumentava la consapevolezza precisa che il bauletto si trovasse proprio ai piedi dello specchio, dalla parte davanti.
Quasi per sbaglio, quasi per caso, non aveva guardato in basso, prima, ma una parte di lui sapeva: il bauletto era proprio lì.
“Curioso, quanto mi sia venuto naturale… non cedere mai, nemmeno una volta, alla tentazione di guardare nello specchio… come tutti i mediocri mortali…” pensò sarcastico Snape, tentando di fare l’analitico. Ma il cuore su cui non contava più accelerò distintamente il battito.
Il cuore sapeva che in quel giorno, infine, Snape ci avrebbe provato.
“Che effetto potrebbe mai farmi, vedermi vestito da Quidditch mentre sollevo la Coppa Delle Case? Figuriamoci…” si disse con voce bassa e annoiata, che non convinse nemmeno lui.
Mentre Snape aggirava lo specchio per affrontarlo, la sua espressione beffarda si faceva grave, i muscoli si irrigidivano e veniva sopraffatto dalla sensazione di dovere combattere il suo nemico più spietato.
Abbassò la luce, si portò davanti allo specchio.
Meglio così, iniziare nel buio cieco.
La sua parte beffarda ora non lo sfotteva più, l’aveva lasciato solo a sfidare il primo gelido silenzio.
Se lo specchio fosse stato normale, se la luce l’avesse illuminato, Snape avrebbe potuto osservare il proprio sguardo grave e leggermente strabico, convergente per via della concentrazione dei sensi, proiettarsi con intenzione nell’oscurità.
Aveva inclinato la testa in avanti, in attesa del confronto.
Le labbra tese e serrate riflettevano la sua determinazione, il suo non cederò.
Lentamente sollevò la bacchetta. Nella mente cominciò a risuonare quella domanda pericolosa:
“Hai ancora un cuore?”
Snape fu vinto così, in quel giorno comune.
Si confessò di sì, e vide.

Nel centro della luce dorata che si irraggiava dallo specchio iniziò una specie di panoramica di Spinner’s End, il villaggio natale babbano di Snape.
La visione risalì il fiume scuro e puzzolente che attraversava il paese, e infine inquadrò una specie di campo grigio ai margini di un prato brullo, rischiarato in parte da un sole incerto.
Lungo la strada che portava fin là arrancava Vernon Fogar, il becchino di Spinner’s End, che spingeva una carriola.
Fogar scaricò il contenuto in una fossa ai margini del cimitero (solo ora Snape aveva riconosciuto il campo per quel che era) e la buca venne inquadrata dall’alto.
Snape si indispettì; dentro c’era il suo cadavere, con la solita veste nera, nemmeno la migliore: il corpo scomposto atterrato sul fianco, il viso rigirato verso l’alto.
Nessuno si era preso la briga di chiudergli gli occhi, evidentemente: Snape fu costretto a fissare il proprio sguardo penetrante, che il cadavere nello specchio ripeteva così bene.
Il morto aveva quell’aria concentrata e profonda che gli apparteneva in pieno nei suoi momenti migliori.
Neanche nella morte, comunque, Snape sembrava sollevato o felice.
“Mi buttano là come una vecchia carcassa?” pensò pieno di sconcerto. Poi si ricordò che quello doveva essere il suo più profondo desiderio.
“Uhm, sì, lo dico sempre… che vorrei essere morto…” continuò con crescente senso di gelo nel sangue. “Tuttavia… sicuramente…”
Ma non riusciva a trovare un senso in quello che vedeva, o ad articolare una conclusione compiuta, mentre continuava a strisciargli addosso un fremito di smarrimento che non credeva di poter provare.
Nei lunghi anni durante i quali Snape aveva accuratamente evitato lo Specchio Delle Brame, aveva creduto di volersi semplicemente risparmiare il proprio scherno e la propria autocommiserazione.
Là ci sarebbero stati riflessi quei desideri puerili capaci di accomunarlo a tutti i sempliciotti triviali che lo circondavano, la cui banalità non sopportava… Avrebbe visto un anziano Severus coi nipotini in grembo, o a spasso con un cane miope e bavoso di nome James…
Ma questo?
Fogar intanto aveva iniziato a coprire la salma, gettava con la pala dei cumuli di terra sul cadavere inerme di Snape.
La prima sui capelli sparsi e scomposti.
“Me lo merito, certo… Ma… desiderarlo?”
Con la seconda coprì la mano destra, adagiata sul petto all’altezza del fegato, per via del gomito ripiegato nello spazio angusto.
La terza finì sul colletto della camicia, sul piccolo bordo bianco quasi del tutto celato dal margine della veste che sopravanzava lo sparato.
Snape, quello vivo, si allentò di riflesso i primi bottoni. Suo malgrado si sentiva soffocare.
“E’… ridicolo! E questi sarebbero i miei più profondi desideri? Ma se la terra nel colletto non la sopporto!” sbottò, e fu costretto di rimando a ricordare le palle di fango che James Potter e i suoi amici Malandrini gli tiravano con maligna precisione proprio nel coppino e nel colletto.
La quarta sulla bocca abbandonata e socchiusa.
Snape deglutì amaro, cominciando a confessare a sé stesso di aver paura.
Con la quinta Fogar andò troppo lungo, gettando la terra oltre il bordo della fossa.
“Circondato di incapaci fino all’ultimo, ecco il mio destino!” pensò Snape con una punta di isteria, mentre realizzava che, a quel supposto funerale, oltre al becchino non c’era nessuno.
Ecco, sepolto in fretta e dimenticato, o più probabilmente evitato da tutti.
Sì, vero, evitare i contatti, i legami, lui lo aveva sempre desiderato. O era quello che voleva fare credere?
Nel suo intimo, di fronte a sé stesso morto, giunse con dolore a dichiararsi, come sapeva da sempre, che non era proprio del tutto vero.
Cercò in fretta di distrarsi, ritirandosi in tempo dalla marea montante della sofferenza interiore.
Ma chi lo voleva, in fondo, un codazzo di gente a dare l’estremo saluto alle proprie spoglie mortali dopo una vita come la sua, da dimenticare non appena fosse finita?
Per fortuna la visione lo aiutava, si faceva intrigante: con l’ultima palata Fogar aveva raccolto una pietra notevole, che piombò dritta sul cranio del cadavere, spaccandogli la faccia e piegandogli in dentro le cartilagini, prima di rotolare di lato.
“Certo! Un naso più piccolo lo preferirei senz’altro a quello che mi ritrovo. E’ questo il recondito significato, ovviamente…” commentò Snape con gelida ironia.
Ma in fondo quello era sempre il suo naso, e nonostante la reazione distaccata non sopportò affatto di vederselo maciullato.
La visione gli stava penetrando nelle ossa, lo dilaniava dall’interno con una brutalità estrema, concretamente fisica. Si sentiva smembrare e dissolvere pezzo dopo pezzo, come una bambola di plastica nelle mani di un bambino malvagio, che si potesse divertire solo con quel gran strappare di membra e parti anatomiche, le sue.
Il controllo serrato della mente non riusciva a compensare il crescente, cupo sgomento misto a panico.
Lui che era capace di sostenere la sua impossibile vita di inganni e privazioni, che accoglieva le torture fisiche e morali dell’Oscuro Signore come giusto castigo, e che resisteva ancora alla consapevolezza di avere ucciso tra gli amici e tra i nemici, ora non riusciva ad arginare quell’orrore senza nome, senza un senso e senza una direzione.
Il sarcasmo e l’ironia irridente lo abbandonavano, ora.
Rimase rapito e impietrito con solo domande, senza parole per esprimerle.
Guardava.
La terra coprì lo sguardo del cadavere.
Avanzi di pasti, a suo tempo dati ai cani, finirono nella fossa, col pietrisco.
Fogar fece una pausa bevendo da una piccola bottiglia, probabilmente qualcosa di alcolico.
Ritornò a coprire con lavoro regolare: flop, flop, flop.

Ho sentito il silenzio della coscienza.
Ma non era il nulla, ma un rumore come tanti.
Ora il campo è attraversato da un rintocco, però è solamente un caso. C’è una funzione da qualche parte, e non è per me.


Il bagliore dorato si richiuse sulla grigia superficie di terra, smossa di fresco.
“Meglio così” tentò di ironizzare Snape. “In ogni caso non sarei stato credibile… vestito da Quidditch!”
Sollevò lo sguardo e la bacchetta, quasi per fatalità, sulla cornice dello specchio che, di nuovo, gli chiedeva: “Hai ancora un cuore?”
Snape abbassò la testa considerando lo stato dei fatti con gravità imbarazzata.
“Il mio desiderio più profondo… essere morto… dimenticato…”
Una fitta di dolore, un accenno di conato di vomito.
Desiderare così decisamente di essere morti fin nella più intima illusione poteva solo significare di essere davvero morti dentro, e senza più un cuore.
Definitivamente.
“Be’, lo sapevo… già! Non c’era bisogno di scomodare Specchio delle Brame, per ricordarmelo…” pensò Snape, simulando superiorità davanti a sé stesso.
“E questo specchio è inutile, l’ho sempre detto. Ah, Silente e la sua mania di raccattare questa ingombrante robaccia…”
Silente.
Un tuffo al cuore, e l’anima che non avrebbe più dovuto avere gli fece male.
“Ma sto solo perdendo tempo. Zenzero, Rapicordo e Viscula… dicevo.”
Trovò il bauletto del Rapicordo con sollievo.
“Quel braccio ha bisogno di me, è inutile che Albus si schermisca, che faccia finta che non sia così…”
“Nox.”



Disclaimer: I personaggi ed i luoghi presenti in questa storia non appartengono a me bensì, prevalentemente, a J.K. Rowling e a chi ne detiene i diritti. Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro, ma per puro divertimento, nessuna violazione del copyright è pertanto intesa.

   
 
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