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Autore: Helena Velena    02/11/2010    0 recensioni
Severus fa conquiste al Ballo del Ceppo.
Scritta per il gioco creativo "Immagini e parole in musica" di Magie Sinister Forum, sulla traccia della canzone: Ojos Asì di Shakira.
Ispirato più al film che all'opera letteraria.
Genere: Comico, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Severus Piton
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Primi anni ad Hogwarts/Libri 1-4
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Disclaimer: I personaggi ed i luoghi presenti in questa storia non appartengono a me bensì, prevalentemente, a J.K. Rowling e a chi ne detiene i diritti. Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro, ma per puro divertimento, nessuna violazione del copyright è pertanto intesa.

Non aveva potuto rifiutarsi.
Silente era stato esplicito, anzi, sottilmente minaccioso.
Nonostante tutto il lavoro in sospeso, le ultime pozioni da perfezionare e Potter da tenere sempre d’occhio, Snape non era riuscito a chiamarsi fuori dalla repellente prospettiva del Ballo del Ceppo.
Tutti i professori dovevano essere presenti a quell’avvenimento mondano, seppure così ufficiale, e no: il Preside non poteva fare eccezioni nemmeno davanti alla faccia ostinata del Potion Master, percorsa dal disgusto, dall’astio e dallo sconforto.
Per doveri di rappresentanza era legato anche lui, come tutti.
Snape si era vestito meglio che poteva e aveva richiuso in fretta il suo guardaroba deprimente.
Pantaloni neri e giacca lunga nera, quasi a redingote, ma più dritta e austera.
L’aveva indossata al funerale di suo padre, l’ultima volta, e insieme alla giacca ricomparvero insistenti gli amari ricordi dei suoi rapporti familiari mai risolti, delle sepolture e delle morti che avevano messo fine a tutto.
Percorso da un brivido diaccio scese le scale diretto alla Sala Grande, fece ingresso alla festa con espressione da funerale.
Minerva McGranitt stava impartendo le ultime disposizioni alle coppie di studenti che avrebbero aperto il ballo. Dietro all’atteggiamento composto e ai doveri sicuramente faticosi dell’organizzazione, che le erano costati qualche ruga in più, sembrava eccitata come una ragazzina.
Appena notò Snape fece per andargli incontro, ma poi si bloccò subito, a metà dell’intenzione, e quel sorriso trasognato che la animava si spense in una smorfia sul
suo volto.
“Evidentemente il messaggio statemi-alla-larga che trasmetto normalmente, oggi è più efficace del solito…” pensò Snape, forse leggermente soddisfatto, rinfrancato.
Ma l’odore di naftalina della giacca, che veniva direttamente dal passato e dall’armadio della sua casa babbana di Spinner’s End, lo riprecipitò subito nei ricordi dolorosi.
La verità doveva essere che la sua aria da funerale si rivelava contagiosa, pensò infine, correggendo il tiro.
Si trovò presto circondato dal vuoto, perché tutti i professori che normalmente gli avrebbero rivolto la parola per formalità e cortesia lo evitavano palesemente, più o meno come aveva fatto la McGranitt.
Meglio così… Meglio che un motivo ci fosse…
Statemi-alla-larga.
E come era successo immancabilmente durante tutte le feste alle quali aveva partecipato, avrebbe finito per fare da tappezzeria, ignorato da tutti, aspettando impaziente la conclusione per potersene andare.
Il primo ballo iniziò tra i tanti gridolini sorpresi ed emozionati dei giovani studenti.
Attaccò un romantico valzer ed alcune, poche coppie aprirono titubanti le danze.
A Snape cadde subito l’occhio sul volto antipatico di Potter, che stringeva goffamente una ragazza minuta abbigliata di color vinaccia, pestandole i piedi ad ogni un-due-tre.
L’irritazione che sempre gli procurava la vista del giovane Potter si fece largo tra le emozioni malinconiche che lo saturavano.
Fastidio, poi altri ricordi.
A sua madre il valzer piaceva… Ma suo padre la costringeva a una vita da reclusa, nel silenzio carico di tensione dentro alle quattro mura impregnate di rancore di Spinner’s End.
Hmphf, il suo umore non era certo migliorato, cosa gli stava succedendo?
Si voltò scocciato verso l’orchestra, cercando per quanto possibile di ignorare la pista da ballo coi patetici danzatori adolescenti.
Ora la folla intera si riversava sulla scena, le coppie si formavano, raggiungevano lo spazio vuoto al centro del salone; ballavano Silente e la McGranitt, e persino Hagrid aveva trovato una compagna.
Snape si ripeté fino alla nausea che non gliene importava.
I pochi invitati che, come lui, erano rimasti senza nulla da fare, si stavano precipitando al buffet.
Maledizione… anche quello era fuori discussione. Il suo stomaco era stretto e praticamente rovesciato per via del suo strano malessere emotivo.
Così fuori luogo…
Si sistemò i polsini della camicia bianca dal taglio austero nel suo tipico gesto sprezzante, come se stesse per fare qualcosa di urgente e di pragmatico, qualcosa che
lo portasse all'azione.
Poi si considerò gelido, spassionatamente, e vide soltanto un individuo ingessato, una sorta di preda della gabbia mondana, mentre cercava di darsi un contegno; e in quel momento ricordò anche la provenienza della camicia.
Era stata acquistata per il funerale di suo padre e avrebbe dovuto indossarla proprio il cadavere, in quel lontano giorno, per mostrare almeno nella bara una tardiva parvenza di eleganza che in vita non gli era affatto appartenuta.
All’ultimo momento in effetti era stato deciso di seppellirlo con abiti più consueti, con un completo che, di tanto in tanto, aveva realmente indossato in vita, per un estremo saluto intimo più veritiero, forse più commovente, si pensava.
Snape imprecò di nuovo a denti stretti, articolando le parole con quella sua faccia da funerale che si faceva sempre più accentuata.
Il suo sguardo rabbuiato, più nero del solito, era diretto verso l’orchestra di archi, che proprio in quel momento si trasformò in un rumoroso e dissonante complesso rock.
Cantanti coi capelli lunghi e chitarre elettriche gracchiavano pestando i piedi una strofa eccessivamente ritmata ed esasperante:

Can you dance like a hippogriff?
ma ma ma ma ma ma ma ma ma
Flyin' off from a cliff
ma ma ma ma ma ma ma ma ma… 1

I giovani si misero a urlare dall’entusiasmo, scatenandosi a quel frastuono evidentemente a loro più congeniale.
Snape mal sopportava i balli da sala, figurarsi l’aborrita discoteca.
E cosa mai si era aspettato, valzer per tutta la sera? In fondo stava per finire il ventesimo secolo, persino nel Mondo Magico. Snape si sentiva intrappolato sempre di più.
La sua espressione da funerale peggiorò ulteriormente, divenne una faccia da sepoltura, sì, decisamente. Forse addirittura da riesumazione.
Sarebbe morto lì, pensò convinto, sfinito dalla sopportazione di quei divertimenti mediocri in mezzo alla folla entusiasta.
Il complesso rock si agitava sul palco, il pubblico sudava, e lui restava in piedi come impalato fissando il nulla a random davanti a sé.
Così avrebbero detto i giovani figli di babbani.
Là dove lui fissava si trovavano piazzati i musicisti, semplicemente perché poco prima Snape si era pietrificato a caso, guardando a random in quella direzione.
Da dietro il palco del complesso emerse una figura che Snape mise a fuoco soltanto all’ultimo momento, quando gli si parò davanti.
Una donna bellissima con l’espressione navigata si era fermata ad un metro da lui, come indecisa se proseguire ancora, annusando l’aria. Ma lo guardava invitante, non c’erano dubbi, spargendo intorno e soprattutto verso di lui una quasi palpabile atmosfera sensuale.
Snape non si scompose, faccia da funerale e tutto, anzi, incrociò le braccia e ricambiò quello sguardo invadente senza cedere minimamente terreno, come se fosse iniziato un qualche genere di gioco, forse una sfida a chi resisteva di meno.
Per un tempo lunghissimo fu costretto a fissare al fondo di quegli occhi grandi ed
enigmatici, scuri come i suoi, che sapevano di paesi lontani e di misteri senza nome. Il bel viso contornato da una pettinatura a grosse trecce castano scuro era incorniciato sulla fronte da uno strano tatuaggio rosso; il segno percorreva una linea decisa lungo l’attaccatura dei capelli, con una losanga verticale che formava una specie di croce pagana e rimontava indietro, perdendosi nella scriminatura dei capelli.
C’era qualcosa di orientaleggiante in quei lineamenti delicati che Snape non poteva non notare, bloccato così, in quell’eloquio muto e tutto sommato inutile.
Hmphf, infatti, che sfida poteva mai essere? Evidentemente quella donna era una svitata, e chissà perché non aveva trovato di meglio da fare che importunare proprio
lui.
Stava quasi per voltarsi, quando lei gli parlò:
“Ho viaggiato da Bahrein fino a Beirut… dal nord al sud…”2
Si fece più vicina, sempre sostenendo lo sguardo impassibile di Snape, sconcertante per chiunque tranne, evidentemente, che per lei.
“Mi fa piacere... che lei si goda il mondo viaggiando…” rispose il pozionista chiudendo i lineamenti nella sua tipica espressione accigliata, ora decisamente ostile.
“Ma se non le dispiace, io avrei molto da fare…”
"Sei come una nave abbandonata nel deserto..." 3 mormorò la donna, come se stesse cercando di dire qualcosa di importante.
Snape si convinse definitivamente che lei fosse ancora più svitata rispetto alla prima impressione che gli aveva dato.
La classificò in fretta ben al di sotto del “minimo decentemente sopportabile“, e fece per andarsene contrariato.
Lei però non glielo permise. Con un gesto conturbante portò una mano al viso di Snape, quasi una carezza, che lo obbligò a desistere dal passo che stava muovendo in una certa direzione, dalla fuga intrapresa.
Sempre guardandolo negli occhi gli si strinse leggermente addosso, obbligandolo daccapo a fissare l’attenzione sul suo volto bellissimo e sull’adorazione spiazzante che ne emanava.
"Ho girato il mondo intero, e ti vengo a dire una cosa…" gli sussurrò rapita, come in preda al più languido struggimento. “Oggi ho conosciuto un cielo senza sole, e un
uomo senza volto… e non ho mai incontrato occhi così, come li hai tu…" 4
Snape avrebbe voluto dire che probabilmente quelli erano solo i suoi occhi da funerale, ma un lungo serpente nero iniziò a cingerlo lentamente in una sorta di stretta mortale delle spire avvolgenti.
Si trattava della donna, che lo catturò senza scampo in un abbraccio di lussuria fatta a persona.
Un serpente?
Snape nonostante tutto era sicuro di aver visto bene.
Infatti lei aveva un Boa Constrictor tatuato sul dorso del braccio sinistro, che si allungava dalla mano fino alla scapola nuda e sensuale, cui era appeso un vestitino attillato grazie ad una inconsistente spallina di filo.
“Non penso proprio che i miei occhi abbiano qualcosa di particolare…” articolò Snape sopraffatto, mentre lei gli si strusciava maliziosamente addosso. “Anzi, se lei la smettesse di fare così, potrebbe notare che nei miei occhi c’è soltanto la più sincera disapprovazione…”
Ma la donna non mollava.
Snape avrebbe voluto spingerla via in malo modo, col suo fare sdegnato che l’avrebbe di certo convinta. Invece fece solo qualche debole tentativo, decisamente troppo poco efficace, troppo al di sotto delle sue doti respingenti.
Nemmeno lui era fatto di legno, ed era passato molto tempo dall’ultima volta che…
“Ho conosciuto una canzone triste senza autore…” gli sussurrò lei all’orecchio, sempre più conturbante. “E ho conosciuto i tuoi occhi neri, e ora sì che non posso vivere senza di loro…" 5
Con la mano che non aveva mai smesso di accarezzargli i capelli a tendina, in un gesto unico e avvolgente, la donna lo fece voltare verso di sé e lo baciò.
Snape non era fatto di ghiaccio, come cercava sempre di fare credere. Era stato preso alla sprovvista in quella becera serata di festa, che a lui aveva promesso solamente funerali e malumori, e mandò all’inferno la volontà di resistere, cui avrebbe potuto ricorrere abbondantemente, se solo avesse voluto.
Non voleva.
Bramava di essere preso, voleva essere consumato.
Si sciolse nell’ardore come il ghiaccio, di cui non era fatto.

***

Lei si staccò per un momento e si tese a sussurrargli qualcosa a fior di labbra: “chiedo al cielo solo un desiderio, che io possa vivere nei tuoi occhi… non ho mai incontrato occhi così, come li hai tu…” 6
Si era di nuovo incantata a guardarlo.
Snape si bloccò un poco, impercettibilmente.
Ma… al diavolo!
Non si trattava certo della donna della sua vita, anche perché lei aveva così pochi argomenti… Tirava sempre in ballo i suoi occhi e diceva continuamente le stesse cose senza senso.
Ma era bellissima, irresistibile e Snape questa volta volle prendere l’iniziativa; strinse la ragazza e la sovrastò con gesto deciso, da predatore, e con i tanto decantati occhi neri semichiusi, che sembravano agonizzanti nel ritrovato furore dei sensi, la baciò come se fosse perduto per sempre.
Si lasciò finalmente andare nel desiderio insaziabile e urgentissimo che si portava sempre dentro tutti i dannati giorni, mentre faceva finta di non avere bisogno d’altro che di mescolar pozioni.
Titolare della cattedra sbagliata, nessun desiderio soddisfatto, mai…
La rivalsa del desiderio esplose infine e volle travolgere proprio quel momento, si concentrò nelle sue mani, che si stavano muovendo con volontà incontrollata verso il basso, oltre i fianchi promettenti della ragazza.
Ma all’improvviso Snape si ricordò chi era.
Cosa diavolo gli era preso?
Davanti a tutti i colleghi, agli allievi minorenni… E con la giacca da cerimonia funebre addosso, la camicia da morto di suo padre…
Risveglio improvviso. Molta strana vergogna.
Un suono composto da parole gli attraversò la mente, il giuramento che aveva fatto ad alta voce, quello di servire Hogwarts.
Dedizione, controllo, disciplina.
A quei pensieri si era discostato un poco da lei, ma si trovava ancora stretto tra le braccia vogliose della donna misteriosa.
Snape si guardò intorno frastornato, come se volesse rimediare a qualcosa di irreparabile, che tuttavia non era certo di aver commesso.
I ragazzi ballavano scatenati, altrimenti gli esclusi mangiavano. I pochi professori visibili si trovavano in fondo alla sala, chiacchieravano tra loro.
Uno soltanto si accorse del suo sguardo finalmente controllato, che analizzava la folla: Albus Silente gli fece l‘occhiolino.
Snape tornò disorientato a guardare la ragazza, non sapendo più bene in quale universo fosse stato schiantato né quale genere di Schiantesimo l’avesse colpito.
Lei per tutta risposta lo fissò intensamente nel profondo degli occhi, tanto per cambiare, e abbandonò la testa all’indietro, continuando a contemplarlo con desiderio crescente da sotto le palpebre socchiuse.
“Oggi ho conosciuto un santo in prigione…”7 gli sussurrò dall’orlo dell’estasi, mordicchiandosi un labbro, percorsa da brividi “e non ho mai incontrato occhi così, neri e profondi, come li hai tu…”
Interruppe la frase solo per mugolare di desiderio.
“E’… ridicolo!” insinuò una vocina sprezzante nella testa di Snape. “Figurarsi… Oh Severus, non posso vivere senza il tuo sguardo nero come l’inferno, senza i tuoi occhi incredibili, profondi come una sepoltura… patetico!”
Chiunque fosse l’ideatore di quello scherzo di pessimo gusto adesso aveva passato il segno, aveva proprio esagerato.
“E va bene, ragazza mia…” disse quindi ormai padrone di sé, ancorché con tono sarcastico e ricoperto di aculei. “Per prima cosa voglio sapere chi ti manda a prendermi per i fondelli, e seconda cosa, qual è il nome che devo usare per mandarti al diavolo…”
La trascinò per un gomito a un tavolo in malo modo, la fece sedere accanto a sé, non troppo vicino però, infine si gettò alla carica con l’espressione più truce del suo sguardo implacabile e indagatore.
Lei sospirò sopraffatta, coi lineamenti distesi in un improbabile appagamento dei sensi, con le gote che si arrossavano e le pupille che si dilatavano come nell’estremo
piacere.
Snape dovette sforzarsi per non accelerare il respiro insieme a lei.
“Allora?” tagliò corto dopo un po’. “Saresti sì o no capace di dire qualcos’altro, oltre a quanto sono meravigliosi questi occhi che vorrebbero fulminarti?”
“Mi chiamo Ashaquira” si decise a rispondere lei, mettendosi composta con le mani in grembo. “Faccio parte della band e non mi manda nessuno, se non il destino, che mi ha fatto incontrare i tuoi occhi...”
“Già, la band” pensò Snape con un moto di disgusto, e proprio in quel momento il cantante intonò un fraseggio ritmato sulle suggestioni di una melodia esotica:

rabboussamai fikarrajaii
fi ainaiha aralhayati ati
ilaika min haza lkaaouni
arjouka labbi labbi nidai… 8

Chissà cosa diavolo voleva dire.
Intanto si accorse che il cantante del gruppo lo fissava con astio. Anche lui portava un serpente tatuato sul dorso del braccio sinistro, da cui Snape dedusse alcune cose. Ma soprattutto riconobbe subito l’inconfondibile volontà di uccidere persino negli occhi cerulei e inespressivi del cantante, arrivò addirittura a distinguerne una sfumatura particolare, ovvero che lo sconosciuto gli avrebbe aperto volentieri la testa, sfasciandogli sul cranio la chitarra elettrica.
Ma bene… un nemico in più, ad ogni occasione possibile…
Tornò a rivolgersi con un penetrante sguardo interrogativo ad Ashaquira, che quasi sembrò mancare per l‘eccitazione.
“Ovviamente… quello è il tuo uomo, e mi spaccherà la faccia, non è vero?”
Ashaquira si abbandonò sullo schienale della poltroncina, con la testa piegata di lato.
“Jarvis 9 lo sa, che ho un debole per gli uomini con gli occhi neri...” rispose languida, quasi gustandosi avidamente l’espressione guardinga di Snape.
“...Occhi come i tuoi. Non ho davvero mai incontrato occhi così, come li hai tu, e ora non posso vivere senza.”
“Hmphf, questo l’hai già detto, anche troppe volte, per i miei gusti.” Snape appariva decisamente sarcastico, ma sotto il disappunto si poteva percepire la sua delusione.
Lo sapeva, il suo primo istinto glielo aveva detto di girare al largo da quella donna stramba.
Si voltò di scatto verso un cameriere. “Accio!“
Gli volò in mano un bicchiere di Vodka Kedavra, cui si attaccò per sfogare il suo bruciante desiderio malcelato.
“Ma allora cosa fai?” proseguì. “Ti butti addosso a tutti gli uomini con gli occhi scuri che incontri, proprio davanti a lui? Quel… Jarvis?”
Ashaquira si strinse nelle spalle.
“Lui non ce li ha, gli occhi neri!” rispose asciutta. “Te l‘ho detto, ho viaggiato da Bahrein fino a Beirut… dal nord al sud, e non ho mai visto occhi così, come li hai tu…”
E ricominciò a fissarlo intensamente, come se volesse consumarlo.
Come se sapesse perfettamente che lui non desiderasse altro che di essere preso e consumato da lei, in quel preciso momento.
Snape buttò giù d’un fiato la Vodka Kedavra.
Ne Appellò un’altra.
“E’ una cretina, una pazza svitata…” si ripeteva annegando nel suo stesso respiro eccitato, che non poteva trattenere un istante di più.
Il Boa Constrictor lo avvinghiò per la seconda volta, e Ashaquira lo baciò senza incontrare particolari resistenze.
Di nuovo, dannazione!
Si alzò di scatto, isterico, proprio come se un Boa Constrictor l’avesse morso e avvelenato a tradimento.
Beh, i Boa non mordevano, non gli risultava, perlomeno… Non era certo nel loro stile.
Ma tutto ciò che gli stava succedendo in quella maledetta serata, cedere così alla prima donnetta che passava per Hogwarts, non era certo nel suo, di stile.
Nuova raggelata ispezione per capire davanti a chi e in quale momento preciso avesse perso ogni dignità.
Nessuno l’aveva notato, tranne Jarvis, naturalmente, che mostrava chiari segni di volerlo incenerire con lo sguardo, mentre prendeva una stecca minacciosa nella strofa
della nuova canzone:

Further complications
Oh!
Further complications in store, yeah
Your life is just a carrier bag
Oh they'll fill it and the straps will snap
Further complications
Further complications
Do you follow me? 10

Ashaquira si alzò in piedi a sua volta, cercando di catturare gli occhi di Snape che vagavano preoccupati sui componenti della band.
Il Potion Master la prese ancora per un gomito e la trascinò fuori dalla Sala Grande, prima che fosse troppo tardi, pensò.
Tardi per cosa?
Il suo desiderio non sarebbe calato nemmeno dopo che Jarvis gli avesse spaccato la faccia, ma era meglio non mettere alla prova questa incoerente e inutile affermazione.
Tardi per evitare il fattaccio?
Non è che non potesse resistere, non voleva.
Era ancora giovane, fino a prova contraria, ed era ancora maschio. Avrebbe perso un’occasione del genere in nome di cosa? Dopo tutti quegli anni si era finalmente deciso a dare briglia sciolta ai suoi sensi frustrati, a trasgredire ai suoi rigidi principi.
Quella notte, per una volta, voleva nel letto una donna bellissima, che fremesse per lui, che lo desiderasse dannatamente. Una come Ashaquira, insomma, bizzarra e fatale, che il giorno dopo sarebbe sparita e se ne sarebbe tornata dal suo altrettanto strampalato Jarvis.
“Accio!”
Appellò dalla porta l’ennesima Vodka Kedavra e si dileguò in fretta insieme ad Ashaquira verso i sotterranei.

***

Il cielo nero non filtrava luce sulla finestra a bocca di lupo delle stanze private del Potion Master.
Per quello, nemmeno il giorno poteva.
Snape accese le torce con la bacchetta e si sistemò sul bordo del letto, appoggiandosi con le palme delle mani dietro di sé, rimettendosi al desiderio bruciante di Ashaquira come se offrisse la gola ad un vampiro.
Lei si inginocchiò fra le sue gambe come se non aspettasse altro, e gli inchiodò gli occhi nei suoi.
Assunse subito la sua aria rapita e ipnotica.
"Ho viaggiato da Bahrein..."
"Sì, fino a Beirut... lo so" la interruppe Snape, a quel punto un po' smontato. "E non hai mai visto occhi neri miracolosi come i miei, e non potresti più vivere senza..."
Poi deglutì amaro. Un dubbio lo aveva attraversato, e per dirimerlo dovette farsi audace, a modo suo, piegare l'inutile discorso di riempimento verso lidi più espliciti.
Cercò annaspando le parole meno volgari.
"Non ti amerò solo... con gli occhi, lo sai? Su questo ci eravamo... capiti, vero?"
"Chiedo al cielo solo un desiderio, che io possa vivere nei tuoi occhi..." rispose lei. A quel punto si tolse il vestitino inconsistente.
Hmmm... forse si erano capiti, dopotutto.
Il respiro di Snape accelerò distintamente, mentre un desiderio prepotente cominciò a tendergli ogni muscolo, gli si annidò nel grembo, ancora ben lontano dalla possibilità di essere soddisfatto, comunque, sotto tutti i pesanti vestiti da cerimonia.
Hmphf, va beh, da funerale, da sepoltura. Ma a quel punto non aveva più importanza. Presto gli abiti sarebbero volati sul pavimento.
Ad ogni modo la passione pronta a esplodere si trovava bloccata ancora sul piano visivo, per il momento. Non c'era dubbio che Ashaquira gli vivesse negli occhi, però, esattamente come in una nuova accezione di ciò che diceva di desiderare.
Ashaquira cominciò a ondeggiare in una specie di danza sexy fatta di movenze sinuose dei fianchi e delle braccia, che terminavano sempre in uno sguardo spudorato e provocante, capace di infiammarlo ogni volta di più.
Snape avrebbe voluto mettersi tranquillo e lasciarsi sedurre, ma lei si era di nuovo incantata a guardarlo negli occhi, e Severus si scoprì a pensare con orrore che, se anche fossero mai arrivati a consumare fino in fondo, i preliminari sarebbero durati un'eternità.
E il suo sangue ardeva, spingeva.
Lei era china su di lui, adesso, le loro labbra si sfiorarono, e di nuovo fu solo l'incontro degli sguardi a toccarlo nel vivo e nel profondo, rimescolandogli i sensi.
Dalla sua posizione arrendevole e rovesciata all'indietro Snape iniziò a sbottonarsi la camicia, ormai soggiogato da un impulso prepotente che lo muoveva al di là di sé stesso.
Era un po' come fare tutto da solo nella provocante consapevolezza di essere osservato, di sentirsi spiato. E... desiderato?
Intrigante... sottilmente deviato...
Ashaquira poteva seguire senza sforzo il sorgere e il mutare di ogni sfumatura della sua eccitazione, riflessa negli occhi neri che lei non perdeva mai di vista.
Al diavolo! Snape si liberò dei vestiti da sotto di lei, poi la rovesciò impaziente sotto di sé.
Ashaquira lo seguì dovunque il desiderio di lui volesse portarla, e andarono fino in fondo più volte, senza che passasse un anno, anzi, senza che passasse nemmeno un minuto, per Merlino!
Ah, per Merlino... che notte!

***

Strano. Aveva dormito fino a tardi.
Di solito ci riusciva solo per qualche oretta risicata, strappata all'esasperante insonnia cronica.
Sempre che dormisse.
Snape si tirò su frastornato, a sedere sul bordo del letto in disordine. Era solo.
Si sciacquò la faccia e si rivestì in fretta, neanche il tempo di ripercorrere i momenti salienti della notte appena trascorsa, l'appassionante avventura della sua conquista: era già in ritardo per il dannatissimo pranzo di Natale.
Ovvio, i primi abiti a tiro erano quelli del giorno prima, quelli da funerale; Snape li giudicò particolarmente adatti anche per l'avvilente mortorio che si apprestava a sopportare.
Fece il suo ingresso silenzioso in Sala Grande e prese il suo posto a tavola, vicino alla McGranitt.
Voleva solo passare inosservato per potere finalmente sprofondare indisturbato nei ricordi recenti, la vivifica notte di piaceri i cui indiscutibili benefici, probabilmente effimeri, Snape avrebbe dovuto farsi durare per qualche anno.
Sempre che fosse sopravvissuto così a lungo, ovvio.
Ma chissà, forse avrebbe anche potuto rivederla, Ashaquira, prima o poi.
Con un sospiro quasi languido allungò la mano verso il vassoio della trota bollita.
Limone, anzi, no: maionese. Per via dell'uovo. Si rivolse alla McGranitt perché gliela passasse.
Hmmm, che strane sensazioni che provava, come sentirsi un po' più vivo, quasi parte di questo mondo. Beh, non è che ci volesse poi molto, dati i minimi termini del suo umore consueto.
Ma... che c'è, adesso?
Perché Minerva non gli mollava la maionese?
Bloccata a metà del gesto, con la salsiera in mano, la McGranitt lo stava fissando allibita negli occhi, i suoi occhi neri così lungamente abusati, durante quella notte. Sul volto aveva dipinta una maschera di perplessità.
"Severus?", si decise a esternare la Vicepreside, "scusa se mi permetto, ma... sei certo che vada tutto bene?"
Snape avrebbe imprecato volentieri. Era proprio così strano vederlo un minimo disteso, soddisfatto? Al punto di preoccuparsi per lui?
"Tu cosa... diresti, Minerva?" rispose dopo una pausa seccata.
"Direi che Halloween è già passato da un pezzo, che sciocchezze!"
Snape non sapeva se mostrarsi più offeso o sconcertato, ma suo malgrado strizzò tutti i lineamenti nell'assoluta mancanza di comprensione.
La McGranitt dovette accorgersi di quanto lui annaspasse nel dubbio, e precisò il suo pensiero: "Severus, ti presenti al pranzo di Natale con gli occhi azzurri, e non sembri te stesso. Terribilmente inappropriato! O sei uscito di senno, o c'è qualcosa che non va."
"Come... sarebbe... azzurri? ... Maledizione?"
Da dentro alla vertigine in cui si trovò precipitato, presto gli fu tutto incredibilmente chiaro.
Lasciò la trota e il resto e si scagliò nella sua camera, nel sotterraneo, senza smettere di maledirsi lungo l'intero tragitto.
"Ma bene, Severus! Quella donna ti ha fregato, sono bastati quattro complimenti sconclusionati e tu non hai capito più niente, come l'ultimo dei bambocci!"
A quanto sembrava Ashaquira aveva viaggiato da Bahrein fino a Beirut soltanto per trovare un pollo come lui. Era stata brava a insistere su come non potesse vivere senza i suoi occhi, e lui si era sentito lusingato, ma no.
La realtà si rivelava solo in quel momento, amara, terribilmente letterale, dura e ignominiosa come il disprezzo di sé che lo stava consumando.
Non si trattava di lui, ma soltanto dei suoi occhi. E lei se li era presi!
Hmphf! Altro che Difesa contro le Arti Oscure, se non sapeva difendersi nemmeno da una stupida puttana!
Era un campione di Legilimanzia, si era addestrato per anni. E dunque perché non la usava mai, dannazione?
Si affacciò allo specchio del suo bagno e represse un infarto. C'era un volto con sopra qualche ricordo dei consueti lineamenti, ma per il resto si mostrava insipido e assolutamente scialbo, con l'espressività slavata che ci si potrebbe aspettare da una saponetta.
Quel poco di fascino magnetico che Snape si era illuso di possedere era andato perduto insieme coi profondi occhi neri, che per lunghi anni l'avevano guardato torvi da quello stesso specchio.
Li aveva dati per scontati e non si riconosceva senza.
Osservò meglio che poté, finché glielo concesse il disgusto, quei suoi nuovi e insignificanti occhi cerulei.
Li aveva identificati, erano quelli di Jarvis.

***

Meno male che aveva ancora qualche contatto al Ministero della Magia; qualcuno che celasse segreti scottanti di cui solo Snape fosse a conoscenza, che gli dovesse dei favori al punto di esser lieto di spedirgli celermente una risposta persino il giorno di Natale.
Arthur Romerick dell'Ufficio per i giochi e gli sport magici si occupava anche del Settore Spettacolo. La band di Jarvis, The Weird Sisters, avrebbe suonato quella sera a Londra, al Magic Sewer di Nocturne Alley.
Alle ventitré in punto Snape si Materializzò davanti all'ingresso dell'aborrita discoteca. Giovani maghi truccati e streghe mezze svestite lo guardarono maldisposti, come se avessero visto il loro nonno nella bara.
Hmphf, il vestito era sempre quello, c'era poco da fare, avrebbe messo a disagio chiunque, a partire da lui. Ma non stava certo andando ad una festa.
Entrò nel locale e si ritrovò subito aggredito dalla voce di Jarvis, dallo stile urlato e sgradevole dell'intera band:

Oh! Here comes the Homewrecker
What a tragic waste of life.
& don't you know?
You're just like everybody else.
& don't you know?
Everyone fails or they fall
Everyone, yessirree: Everybdoy except me... 11

I suoi nuovi occhi cerulei erano anche leggermente miopi, notò dopo le prime difficoltà a mettere a fuoco tra la folla, nell'oscurità accaldata sotto le luci stroboscopiche.
Eccola, Ashaquira. Riconoscibile più che altro da una familiare vibrazione di energia erotica.
Ballava.
Snape restò immobile, impreparato. La studiava.
Quel modo di muoversi, lui lo conosceva bene, con le braccia che descrivevano onde a forma di serpente nello spazio attorno alla figura minuta e compatta, insolitamente aggraziata.
Che dire, sinuosa come il boa tatuato sul suo braccio, e altrettanto pericolosa.
La visione lo attanagliò alle viscere con una salda presa. Lo attanagliò nell'inguine, gli bruciò nelle vene.
Nessuna gli aveva mai fatto quell'effetto, e nessuna gli era mai apparsa spietata come lei.
Poche pietre di paragone, comunque. Sparute conquiste. Era stato sempre lui, quello invincibile.
Nel buio, da lontano, esitava. Perché la voleva.
Cagna! Maledetta cagna!
Era stato solo brutalmente usato... ma...
Si era arrogato quella parentesi di amor carnale facendosi scudo col suo solito distacco, dicendosi che si trattava dell'avventura facile di una notte, con una ragazza bella e frivola che aveva scelto proprio lui per sbandare.
Si era sentito irresistibile, per una volta, si era sentito un dio. Il Mago che non deve chiedere mai.
E adesso si sentiva un idiota, con quel buco nel petto e il desiderio ancora acceso, e il residuo del suo orgoglio che bruciava.
Già, con Ashaquira davanti e a dispetto di tutto, l'odio si era contaminato col desiderio, di nuovo, e col dolore e lo smarrimento del rifiuto.
Indurirsi, Severus!
E si mosse finalmente verso Ashaquira, perdutamente dominato dalla cieca difficoltà di distinguere la donna sensuale dall'ennesima fregatura.
Il disgusto e il rancore si erano ormai arresi ad una confusa serie di domande, che per orgoglio non si sarebbe mai permesso di pronunciare.
Mi hai voluto davvero? Mi hai desiderato? Ti è piaciuto?
O ti sei presa totalmente gioco di me, hai dovuto forzarti... per venire con me?
Probabilmente erano questi i pensieri che trapelavano dagli occhi azzurri e inespressivi, mentre le toccava un braccio per farla voltare, mentre recuperava la sua freddezza da qualche angolo remoto e preparava un tono minaccioso per parlare.
"Sarebbe meglio... per te... che non dicessi niente. Non sono un professore come si deve, e tu faresti meglio... a credermi sulla parola. Non obbligarmi a mostrarti di cosa sono capace. Seguimi."
Snape aveva la bacchetta puntata alla sua gola, in un gesto quasi intimo. Chissà se con quella faccia scialba poteva ancora sperare di venire preso sul serio?
Ashaquira comunque lo guardò negli occhi, sorpresa e sgomenta.
Contatto. Intimità. Era successo esattamente così, la notte precedente. Ma ora lo sguardo di lei non gli sembrava più una lusinga, piuttosto lo trapassava come attraverso una ferita aperta.
"Ah, vedo che i miei occhi... non ti sembrano più così irresistibili" sibilò tra i denti per forzare le palesi resistenze di Ashaquira, facendo del male più a sé stesso che a lei.
"Mi chiedo come mai..."
Le artigliò un braccio, bacchetta sempre alla gola, e la trascinò verso i bagni defilati del Magic Sewer.
Uomini o donne?
Poteva sembrare una scelta da niente, invece era probabile che costituisse una certa e fondamentale differenza.
Uomini.
Meglio giocare in casa le partite difficili.
Si chiusero dietro a una porta, dove c'era una turca.
"Ah, senti, tu..." furono le prime parole di Ashaquira, da sotto l'atteggiamento esitante che sembrava imbronciato. "Come diavolo ti chiami? Mi sa che non te l'ho neanche chiesto..."
"Infatti..." pensò Snape, ma lo tenne per sé. Aumentava la sensazione di essere stato soltanto un pezzo di carne, per lei, un corpo da prendere e macellare, più che altro per ricavarne le frattaglie.
A quel pensiero si passò una mano sugli occhi, ma trovò lo spirito di rispondere: "La tua inopportuna... cortesia tardiva mi sembra un po' fuori luogo, non trovi? Non importa, come mi chiamo. Non importa più, direi..."
Sì, era proprio la sua voce, e si era incrinata leggermente. Si augurò che Ashaquira non l'avesse notato.
"Ah beh, sai, ero così fatta!" proseguì lei, guardando a terra.
Si passò una mano lungo il serpente tatuato sul braccio.
"La polvere di Pozione Disinibente è piuttosto pesante, sai?"
Polvere dis... Ma certo, ovvio!
Snape ripensò alla troppa facilità con cui era caduto più volte nelle braccia della donna, durante il Ballo del Ceppo, a come si era abbandonato senza resistere ai suoi più torbidi desideri.
Inetto! Razza di pietoso incapace! Ma come aveva potuto non riconoscere gli effetti di una pozione così elementare?
Sicuramente l'aveva assorbita anche lui, fin dal primo abbraccio, e si era fatto accalappiare come un pivello.
Inaccettabile!
Per far notare di meno quanto si stesse soffocando nella propria bile, Snape si schiarì la gola con rumore di disgusto.
"E l'avevi messa... sul serpente?"
"Hm!" fece lei con una specie di strana indifferenza bambinesca. "E' stato così difficile, ripassare sopra a tutti i contorni col pennino!"
Snape decise che la sua carriera di pozionista meritava ogni biasimo, e che lui era degno di finire alle ortiche con un calcio ben assestato in un posto preciso.
Quasi quasi sarebbe stato anche appropriato tenersi per sempre gli occhi cerulei e patetici che aveva... si meritava abbondantemente pure quelli.
"Chissà quante scempiaggini avrò detto," continuò ancora Ashaquira, con una scrollata delle spalle. "Non capivo più cosa facevo... magari sono persino venuta a letto con te, non lo so..."
Magari. Scempiaggini. Persino. Non lo so. Quelle parole equivalevano ad attizzatoi roventi conficcati e rigirati nella carne viva.
Già! Soltanto una dose massiccia di Pozione Disinibente, applicata direttamente sulla pelle per l'intera lunghezza del serpente, era bastata a malapena perché Ashaquira trovasse Snape meraviglioso, perché gli cedesse rapita.
Nella mente sopraffatta di Snape cominciò a risuonare una specie di mantra beffardo e sardonico, ripiegato su se stesso come stava succedendo a lui col proprio stomaco:

ho viaggiato da Bahrein fino a beirut
andai dal nord al sud
e non ho incontrato occhi così
come li hai tu...

Non c'erano più domande inespresse, aveva chiara ogni cosa. Cercò di soprassedere all'amarezza.
Tutte le illusioni erano state soltanto sue, e, se non aveva voluto vedere al di là dello specchio, era normale che ora il vetro si fosse rotto, e toccasse a lui raccogliere i pezzi.
"Non mi interessano tutti i particolari" intonò quindi cattivo, mentendo. "Se proprio vuoi saperlo, ti ho scopata, sì! Sei stata così... facile. Adesso, però..."
Le puntò la bacchetta verso gli occhi.
"Disfa quello che hai... fatto."
Il tono basso e teso suonava piuttosto intimidatorio. Era come se Snape stesse sporgendosi in vacillante equilibrio oltre il bordo della furia.
Ashaquira tremò, decisamente spaventata.
"Io amo Jarvis!" finì per sussurrare con voce piagnucolosa. Sembrava tanto giovane, adesso, sembrava una bambina.
Era ovvio, che amasse Jarvis. Non amava certo lui. Ma anche così, a cielo-nienteaffatto-sereno, la dichiarazione lo colpì come un autentico pugno nello stomaco.
Snape non usava spesso la Legilimanzia, se non era strettamente necessario. Gli sembrava un vantaggio troppo da vigliacchi, e c'era sempre il caso di scoprire cose che gli potessero rovinare la giornata. Soprattutto erano il disprezzo, la malfidenza, cose così.
Era questa la media della sua quotazione, ciò che leggeva nelle persone che lo circondavano.
Ma a volte la lettura della mente si innescava da sola, proprio come stava succedendo adesso, mentre guardava al fondo degli occhi impauriti di Ashaquira.
Lei amava Jarvis, profondamente. Snape assorbì senza volerlo fugaci visioni rivoltanti del loro rapporto ardente ed esclusivo, delle ore di paradiso che trascorrevano facendo l'amore, con tanto di dettagli e primi piani.
Dannazione... Gli toccò sopportare anche l'ennesima mortificazione imprevista.
I due si erano conosciuti giovani e la passione di Ashaquira per Jarvis era nata come un tutt'uno, insieme all'entusiasmo per il suo talento di artista.
Ma lui era bruttarello, non possedeva assolutamente Le Physique du Rôle per fare la rockstar. Perciò Ashaquira aveva speso tutti gli anni giovanili mettendo a punto un incantesimo speciale, capace di rimediare al torto che Madre Natura aveva fatto al suo uomo.
E poi aveva saccheggiato da altrettanti sprovveduti le migliori parti del corpo maschile, quelle che potessero rendere Jarvis l'Adone perfetto, costruito a tavolino per soggiogare le folle e calcare le scene.
Gli occhi, naturalmente, erano quelli di Snape.
Hmphf, era tempo che tornassero al loro posto.
"Anzi, no... non tu..." mormorò il pozionista con l'aria spietata, come se avesse cambiato idea e volesse uccidere la sua preda.
"Meglio che sia io stesso, a fare il Controincantesimo. Dopotutto dovresti puntarmi contro la bacchetta, e non sono sicuro... di essere in buone mani..."
"Non lo sai fare," gli rispose quella donna-carogna, spalancando gli occhi. "L'incantesimo per Scambiare le Membra l'ho inventato io! Non l'ho mai rivelato a nessuno, e non lo dirò certo a te. Non posso danneggiare Jarvis, io lo amo!"
"Peccato che tu fossi piuttosto... incosciente, ieri sera," ribatté Snape imperturbabile "altrimenti non rimarresti così sorpresa, come ti succederà adesso, per quello che posso... o non posso... fare..."
Le aveva letto nella mente la formula e i principi generali dell'incantesimo, naturalmente, e aveva già tirato fuori dalla manica l'asso vincente che stava per buttare sul piatto.
Girò la punta della bacchetta verso di sé, mirando agli slavati occhi azzurri che nessuno, evidentemente, apprezzava.
"Commuto Oculorum!"
Attorno al bagno si sparse un'accecante luce gialla, poi ci fu una specie di ribollire di materia calda e liquida dietro alle palpebre, nelle orbite avvizzite. Quando tutto tornò normale, Snape non fece fatica nel mettere a fuoco la faccia contrariata di Ashaquira.
Almeno la miopia se n'era andata, e con lei, probabilmente, erano spariti anche gli odiosi occhi di Jarvis.
Meglio verificare.
Afferrò Ashaquira per il solito gomito e la trascinò recalcitrante e piangente davanti allo specchio dei lavandini.
Hum, sì.
La faccia torva di sempre, quegli occhi neri e profondi come un baratro senza speranza, gli rimandarono l'immagine della sua identità immusonita.
Era tornato sé stesso, ma era ancora furioso, profondamente indispettito.
Ashaquira fece per divincolarsi dalla sua presa. Aveva perso la partita e credeva di potersene andare, e che fosse finita.
"Non... così in fretta, signorina Ashaquira..." intimò Snape con tono piano e raggelante, torcendole ancora il braccio, quello col perfido serpente. "Stai per scoprire che sono un artista anch'io, nel mio campo, e non vorrai certo perderti... lo spettacolo finale, vero?"
La forzò a uscire dai bagni in malo modo (quello che si meritava) e la trascinò in mezzo alla folla del locale, in vista del palco. Lei offriva poca resistenza, ormai. Tutte le minacce l'avevano convinta che Snape fosse proprio il tipo spietato che diceva di essere.

***

And don't believe me
if I claim to be your friend
'cos given half the chance
I know that I will kill again
I will kill again... 12

Snape represse una reazione esasperata.
L'obbrobrio musicale che gli perforò le orecchie fin dal suo ingresso sulla pista non faceva che incitarlo al primo sangue.
"Sarebbe... quello là, il tuo prezioso Jarvis?"
Indicò vagamente il cantante con la bacchetta nera.
Ashaquira cercò di divincolarsi nella sua micidiale stretta inviperita. "No, ti prego, Jarvis no! Che cosa vuoi fargli, maledetto!"
"Ho una certa capacità di elaborazione, come vedrai," rispose Snape con un sorrisetto sarcastico che si sarebbe potuto facilmente definire perverso. Era capace di prenderci gusto nel fare del male, quando arrivava al limite, in alcune rare occasioni.
Ma dal suo punto di vista si trattava solo di giustizia, e chi poteva dargli torto?
"Un vero peccato, che tu mi abbia così... sottovalutato..."
La bacchetta si sollevò dentro a un gesto fatale, mirando alla band.
Snape mormorò qualcosa di oscuro, e i suoi occhi implacabili scintillarono di nero.
Luce gialla, rumori di panico.
Non era stato difficile estrapolare la regola generale dall'incantesimo particolare. L'energia magica investì l'inerme Jarvis appena sopra alla chitarra elettrica, in pieno petto.
Ci fu un certo ribollire e pulsare di membra e arti poco piacevole a vedersi, poi al posto del cantante si Materializzò un tipetto tarchiato, con un principio di calvizie.
Assomigliava vagamente a Codaliscia e aveva la stessa espressione da topo negli occhi azzurri.
"Non mi presenti il vero Jarvis? Potrei avere infine questo onore?" insinuò Snape col suo tono più subdolo, mentre Ashaquira si contorceva tra le lacrime.
Con un sospiro insofferente la lasciò andare.
Lei sparì per sempre in direzione di Jarvis, già fuggito dal palco coperto di ridicolo, di vergogna innominabile.
Il retrogusto della vendetta fu di breve durata.
Nella confusione generale, mentre gli organizzatori della serata recuperavano da chissà dove la band di riserva, a Snape rimase solo l'infinita amarezza della perdita.
Si spostò al bar e ordinò una Vodka Kedavra per tirarsi su. Doppia.
Dentro agli abiti da morto ritrovò la calma depressa che caratterizzava i momenti migliori della sua vita, il picco sereno della sua quotidianità.
Strano... si sentiva osservato.
Dallo sfondo affollato si stagliò la figura conturbante di una rossa mozzafiato. Ondeggiava su tacchi altissimi e puntava proprio a lui.
"Salve, uomo tenebroso e affascinante. Che mani interessanti, che hai. Così lunghe e affusolate, mi stavo chiedendo... di cosa potrebbero essere capaci?"
Ah, no. Questo mai!
"Le mani mi servono" rispose Snape, scorbutico.
"Eh?" boccheggiò sorpresa lei, quasi cadendo dai tacchi.
"Ma sparisci, cretina!"
Non era pronto per un'altra avventura. Forse non lo sarebbe stato mai più.

Note di fine capitolo:

1 Tratto da Do the Hippogriff, di The Weird Sisters, canzone originale presente nel film Harry Potter e il Calice di Fuoco proprio nella scena del Ballo del Ceppo.
2 Tratto da Ojos Así di Shakira
3 Ibid.
4 Ibid.
5 Ibid.
6 Ibid
7 Ibid.
9 Nome ispirato a Jarvis Cocker, cantante e autore di Do the Hippogriff nel film Harry Potter e il Calice di Fuoco.
10 Tratto da Further Complication, di Jarvis Cocker.
11 da Homewrecker, di Jarvis Cocker.
12 Tratto da I will kill again, di Jarvis Cocker.
   
 
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