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Autore: BrokenApeiron    04/11/2010    4 recensioni
Germania, seconda guerra mondiale. Il capo di un lager omosessuale riceve due guardie, che accusano un internato di aver commesso un tentato omicidio, sperando che egli riservi al prigioniero un trattamento assai peggiore.
Ispirata da una citazione di Schopenhauer.
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Hidan, Kakuzu
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
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“Qualunque umano, anche il più sano e in forma, può decidersi per il suicidio quando la grandezza dei dolori e della sventura che avanza inevitabile supera il terrore della morte”

 

Arthur Schopenhauer

 

 

 

 

 

Ero conosciuto come il generale Herzessen*, nel campo. E non perché rubavo dolci sentimenti alle ragazzine strillanti.

Ero il responsabile di una divisione in quel piccolo lager, quella legata agli omosessuali. Poche centinai di uomini, non si stava stretti. Non come in quello vicino degli ebrei, talmente tanti da attaccare il loro puzzo perfino alle pareti di legno marcito dei dormitori.

Nel mio dipartimento, invece, regnava la disciplina più assoluta. Chi faceva casino, mezzi scheletri denudati e incazzati venivano portati al mio cospetto, e se osavano ancora sputarmi in viso, come il nonno di quella troia ebrea bionda e fiera come il sole... Un affondo e via.

Più sporco dei forni crematori, meno cruento dell'acido. Il loro cuore strappato dal petto finiva tra le mie labbra golose di sangue.

Ammetto che qualche ufficiale mi guardava sempre con orrore, mentre banchettavo per l'ennesima volta con la vita di qualche lurido finocchio.

La classe dirigente -tutti miei sottoposti- iniziò a temere di me, e quando passavo tra i lavori forzati non era solo dai froci che ricevevo occhiate spaurite.

Mi ricordo bene il giorno in cui si presentarono nel mio studio due guardie. Di solito i miei uomini sono ben contenti di avere l'ordine di poltrire. Cosa ci facevano lì? Ci misi qualche secondo a focalizzare bene la figura del ragazzo sdraiato a terra, seminudo, i polsi legati con delle catene che creavano un bel contrasto con il corpo bianco.

“Com'è che una bestia come te viene portata qui?” Chiesi tranquillo, accendendomi una sigaretta. Una guardia -un uomo alto, dai denti appuntiti e l'aspetto terribile di uno squalo- si mise sull'attenti e sibilò odio puro dai denti.

“Questo stronzo è entrato nella nostra mensa e ha cercato di avvelenare il comandante Sarutobi con dell'acido.” Presi una boccata, osservandolo. “Dove lo ha trovato?”

“Sembra che lo abbia recuperato dal deposito... Dei contenitori esauriti. Per le docce.”

Finì velocemente, facendo saettare lo sguardo speranzoso tra me e il ragazzo.

Esalai una nuvola di fumo, annuendo. “Impressionante. I tentativi di ribellione qui non sono permessi, bambino albino.”

L'uomo squalo gli prese quei pochi capelli che aveva, lunghi pochi centimetri, e gli tirò su il viso contorto dal dolore.

“Siete degli assassini! Tu, voi, come Sarutobi meritate tutti di morire! Bast... Ah!” Feci cenno alla guardia di lasciare la presa. Lui, a malincuore, lo lasciò rovinare a terra.

Agitai la mano con la sigaretta, e della cenere cadde davanti al volto della creatura. “Potevate portarlo dal sottotenente Nara. Se lo sarebbe lavorato lui.”

L'uomo, che sebbene non fosse ariano aveva una colorazione di capelli assai strana, fece un gran sorriso che scoprì tutti i denti affilati.

“Oh, speravamo che questo culo avesse una punizione più... sostanziosa.”
Spensi la sigaretta sul muro, in silenzio.

Sapevo che sarebbe successo.

Che qualcuno, dopo il primo momento di terrore, avrebbe iniziato a sfruttarmi per eliminare gli internati che più lo infastidivano.

Sospirai, e dissi loro di andarsene. Lo squalo e l'altra guardia, un giovane uomo silenzioso come non ne avevo mai visti, si chiusero la porta alle spalle, lasciandoci soli. Il silenzio era interrotto solo dal respiro affannato dell'albino.

Faceva freddo, lì. Mi accasciai sulla poltrona dietro la scrivania, guardando in alto. Avrei dovuto ammazzarlo, credo. Mi toccava. Esaminai con la coda dell'occhio il ragazzo.

I suoi occhi stanchi di vedere morte e malattia. Doveva essere un bellissimo giovane dagli occhi viola, prima di finire qua dentro.

“Allora... Come ti chiami.” Chiesi stancamente, socchiudendo gli occhi alla luce bianca che filtrava dalla finestra.

“Hidan.” Rispose senza troppi convenevoli.

Separai le palpebre, guardando il soffitto. “Der Herzessen.” Scandii bene, in tono più allegro, un'idea simpatica che mi frullava per la testa. Mi alzai di scatto, prendendogli con mano poco gentile il viso mentre con l'altra mano gli esaminavo il corpo.

“Che cazzo fai?!” Chiese con voce roca prima di ammutolirsi di colpo sentendosi abbassare i pantaloni laceri.

“Stai zitto e non fiatare. Non voglio che altri scoprano che hanno...”

Mi bloccai, cercando di capire cosa mi spingesse, quale attrattiva aveva Hidan che mi prendeva l'anima e il ventre. “Sarebbe il colmo se finissi nel lager anche io, quindi taci.”

Fu la prima ed ultima volta che provai una inimitabile voglia verso un uomo, una voglia che nemmeno la più bella ariana avrebbe potuto sedare.

Fu la prima ed ultima volta che, mi vergogno a dirlo, mi trasformai per dieci minuti in uno di quei perversi omuncoli che ho sempre torturato. Avrebbe dovuto esserne fiero, Hidan, di aver disonorato tanto il responsabile del campo, tanto da farlo passare per uno di loro.

Alla fine, quando la passione fu bruciata, e l'amplesso consumato, doveva avere qualche costola rotta, un piccolo prezzo per il suo grandioso operato di corruzione.

Il prezzo che io esigevo per il suo silenzio, invece, era più alto.

Ancora con le lacrime agli occhi per il dolore della violenza, mi guardò con le pupille dilatate affondare la mano nel suo petto scarno, lacerare carne e ossa e tendini e strappargli l'organo vitale dal sistema di arterie.

Pensavo iniziasse ad urlare, sembrava così checca che non mi sarei stupito se volesse pregarmi di risparmiarlo. Non fece un lamento.

Mentre la vita lo abbandonava, vidi un sorriso nacere sul suo volto. Un sorriso, e la parola 'grazie'.

Scoprii solo in seguito, grazie a Kisame, quella guardia blu, che Hidan era destinato a perire sotto i ferri chirurgici per un'operazione al cervello, esperimenti ordinati dal Fuhrer. Un'operazione talmente rischiosa da definirla un omicidio.

Rimasi chiuso nel mio studio per parecchio tempo, a pensare cosa lo abbia spinto a suicidarsi così, tra le mie mani.

E quel 'grazie' appena sussurrato appena prima della morte. Tornai ad osservare il cuore, che avevo ancora tra le mani, ormai freddo e pallido, come se potesse darmi la risposta che cercavo.

“Svelami il tuo segreto...”

Colpi alla porta. Andai ad aprire, indispettito, la stessa guardia di quella mattina, Kisame. Un problema, grave.

“Abbiamo ricevuto colpi di avvertimento... Gli americani sono arrivati. Stiamo preparandoci alla ritirata, ma..”

Deglutii a fatica, e lo cacciai via. Mi sedetti per terra, appoggiando la schiena possente davanti alla scrivania, osservando il cuore, mentre i primi botti scuotevano il palazzo.

La sirena partì impietosa.

Lo avrebbero preso, li avrebbero presi tutti. Avrebbero preso anche me.

“Pur di non morire sotto i loro colpi orgogliosi e forti dell'Alleanza, preferisco morire qui per mano mia.” Sussurrai mentre il panico e le grida salivano dalla finestra.

Guardai l'organo morto, e all'improvviso capii.

“Tu hai... Tu hai preferito la...” Balbettai stringendolo nel palmo. “Tu hai voluto scegliere.”

Mi alzai in piedi, prendendo il pugnale che sempre tenevo sulla scrivania, e mi avvicinai al davanzale. Fumo, spari, urla. Vidi i froci ululare di gioia, Kisame pestato a sangue dalle sue vittime. Sentii voci inequivocabilmente yankee gridare ordini dietro la mia porta, e soli due destini pararsi davanti a me.

Chissà se anche Hidan si era sentito così.

Alzai il suo cuore al cielo, portandolo in gloria, e lo affondai nella mia bocca, quella bocca che non lo aveva mai baciato. I rumori dietro la porta si fecero più forti.

Alzai il pugnale, e sorrisi.

 

 

 

 

[Viviamo solo una volta, l'immortalità è un'illusione, il Führer fa uccidere per una illusione, perché lui non si sporca mai le mani. Urla e lamenti, bestemmie in tedesco nel caos generale, Hidan, tu hai scelto la fine delle tue pene... ma hai scelto. Io invece ho sempre e solo accettato. Il tuo cuore vivrà ancora in me, sarà il mio e tuo ultimo lascito, tu vivrai in me. E io con te morirò, ma il mio unico rimpianto è solo la tua bocca, niente di più, siamo il mostro che decidiamo di essere... Mi porto l'organo, che ha cessato di pulsare, alla bocca, non è più caldo, non c'è più vita. È buono, nonostante tutto, lo spingo fino in fondo leccandomi le labbra e facendo colare il sangue sul mio collo. Gli yankee urlano più forte e forzano la porta. Kisame ha chiuso la porta, umh è stato un bravo soldato, mi lecco la carne ancora incastrata tra i denti e poi lo sento, il cuore di Hidan pulsare in me, poggio il pugnale sul mio petto. All'improvviso gli americani sfondano la porta e lo sgomento si impossessa di loro, mentre li mando a fanculo e spingo la lama, “fuck you”.]

 

 

 

 

 

 

 

Note dell'Autrice

L'ultima parte in corsivo, all'interno delle parentesi quadre, è stata scritta da _MoonKazuka_ , a cui voglio un mondo di bene e la ringrazio per avermi concesso la pubblicazione di questo suo commento alla fiction, che trovo semplicemente divino.

 

*Herzessen vuol dire “mangia cuori” in Tedesco.

   
 
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