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Autore: Lily__Rose    05/11/2010    1 recensioni
Tutte le creature sovrannaturali sono la feccia del mondo. La Loggia è sulle loro tracce. Un angelo e un demone si incontrano.
"E comunque, il Male è nato il momento stesso in cui è stato creato l’uomo. Il Male deriva dal Bene, il Male è un errore di Dio".
Genere: Fantasy, Horror, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Un racconto scritto un pò di tempo fa per un concorso, ma che non mi è mai tanto piaciuto. Ve lo propongo per avere delle critiche costruttive.


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Siamo uguali nella nostra diversità.
È la diversità che ci unisce.
Tuttavia è difficile accettare qualcuno per questa sua diversità che si tratti del colore della pelle o religione o cultura. O razze diverse.
Set aspirò un’ultima boccata di fumo della sua Malboro prima di gettarla sul marciapiede spaccato di una strada malfamata della città. Il cielo era coperto da nuvole infuocate degli ultimi raggi morenti del sole; dalla parte opposta il nero inchiostro della notte iniziava a divorare la volta celeste e le prime stelle brillavano titubanti, bianche gemme incastonate nel velluto. Da un locale decadente e scialbo, con l’insegna mezza staccata e con alcune lettere luminose del nome fulminate, venivano rumori di risa, scazzottate e imprecazioni assieme a un penetrante odore di fumo.
Set fece un respiro profondo ed entrò. Il suo ingresso fece girare molte teste e sorprendere parecchie persone. Il silenzio si fece concreto. In effetti a un primo sguardo Set non sembrava un essere umano normale: la pelle candida e delicata, senza imperfezioni, senza una minuscola, piccolissima ruga di espressione, totalmente marmorea, impenetrabile. I capelli dai riflessi dell’oro fuso, luminosi, splendenti, lunghi tutta la schiena come una coltre dorata. Gli occhi così profondi e limpidi, di un magnifico nontiscordardimé, luccicavano di una saggezza che contrastavano con l’apparente giovinezza del corpo. Al suo passaggio le poche donne del locale –cameriere in gran numero- rimanevano incantate, con gli sguardi ostinatamente fissi su di lui, le bocche spalancate in muta meraviglia, nella contemplazione di un angelo.
Set si avvicinò al bancone e tirò fuori dei soldi. «Una birra, amico», disse con voce suadente.
Il barista, un burbero uomo pelato dallo stomaco di grandi dimensioni, lo squadrò con aria sospetta mentre puliva con uno straccio un boccale. «Carta di identità».
Set si scompose un poco prima di sogghignare appena, anche se i suoi occhi rivelavano rabbia e turbamento. «Ti sto chiedendo una semplice birra…»
Il barista sbatté il boccale sul bancone. «Non accetto mostri nel mio locale».
«Come fate a dirlo», lo istigò Set.
«Tutto in te grida ‘diverso’».
«Ho i soldi, posso pagare e non vedo come tu possa proibirmi una semplice dannata birra perché come sostieni tu sono diverso!», sbottò Set accalorandosi. Il barista scorse un luccichio sinistro nelle onde cristalline del suo occhio. Ed ebbe un incontrollata, improvvisa paura.
«Andate via», disse in un sussurro appena udibile. «Uscite da qui, demonio».
Set sorrise accondiscendente all’uomo. «Per la prima volta da quando sono entrato, amico, mi hai chiamato per il nome giusto».
La curiosità e la diffidenza generale si mutò in paura e ripugnanza. Davanti ai propri occhi, il misterioso essere, l’angelo etereo si stava tramutando in un orrida creatura: la pelle si raggrinziva e si scuriva, gli occhi divennero due cavità sanguinanti, i capelli sembravano parte del cielo notturno.
«Questo io sono: un demonio, un demone!» Sputò per terra. «Ma voi siete feccia, peggio di me e della terra che calpesto. La razza umana è un infida, effimera e più diabolica creatura che abbia calpestato suolo terrestre. Ricordate che questo era il nostro regno».
Set ridiventò quel luminoso angelo e sembrò quasi svanire più che uscire camminando dalla porta: in un istante era davanti al bancone, e l’attimo dopo non c’era nemmeno la sua ombra.
Questo è il mondo in cui vive Set. In cui le creature leggendarie e fantastiche devono vivere nell’ombra, persino arcani dei di cui si è smarrito ormai memoria. Sono costretti a non avere rapporti con gli esseri umani che li deriderebbero e nei casi peggiori li catturerebbero o ucciderebbero. Sembra che il mondo non abbia spazio per loro. E non possono intervenire come in risposta a una legge superiore a tutti che proibisce loro di usare i loro poteri: l’evoluzione, forse. Prima loro comandavano, ma hanno dovuto cedere il posto agli uomini.
La notte era ormai completa quando Set girava tra i vicoli sudici della megalopoli. E non era solo. Se ne accorse ben presto. La sua aura aveva cozzato con quella di qualcuno. Qualcuno di diverso. Qualcuno come lui.
«Esci fuori, chiunque tu sia», disse placido.
Non aveva sentito nessun rumore attorno a lui quando una docile voce femminile rispose. «Eccomi».
Set si girò e si ritrovò davanti una ragazza giovane e carina, dalla pelle e capelli scuri del colore dell’ebano.
«Chi sei tu?», domandò brusco Set. 
La ragazza sorrise. «Serafina».
Set la squadrò da capo a piedi, corrucciato e un po’ seccato. «Cosa sei? Che vuoi?»
Serafina sembrò offendersi appena per le parole dure del demone. «Un angelo. Sono venuta in tua aiuto»
Set quasi scoppiò a ridere amaramente. «Un angelo? Mi mancava solo un angelo custode!»
«Non sono il tuo di angelo», ribatté amareggiata Serafina. «Volevo solo avvertirti che mi è giunta notizia che la Loggia è sulle tue tracce».
L’informazione fece perdere ogni divertimento e scocciatura a Set. Se possibile sbiancò maggiormente. «La Loggia».
La Loggia è un incubo, il suo nome porta morte. È una setta di gente ‘normale’ decisa a estirpare dal mondo il male impersonato da chi è diverso da loro, chi possiede poteri magici. Non importa che siano demoni, vampiri streghe o dei dimenticati dalla mente umana da secoli. Incappucciata e nera si muove silenziosa per le strade e spesso riesce a vincere, facendo scorrere sangue innocente nelle loro mani.
«Li ha contattati un barista di un bar qui vicino», continuò l’angelo.
Set fece una smorfia di rabbia intensa. «Maledetto farabutto. Non gli ho fatto nulla».
«Meglio che fuggi se non vuoi essere preso».
«Non fuggirò da codardo».
«Non fuggi da codardo: fuggi per salvare la tua innocenza».
 Set scoppiò a ridere fragorosamente. «Innocenza? Angelo, se non te ne sei accorta sono un demone. Secondo la tua concezione non dovrei avere mai avuto l’innocenza. E comunque non fuggo, non solo per orgoglio, ma per poterli uccidere e fare passare a loro quello che stanno facendo passare a noi». Digrignò i denti e una scintilla rossa brillò nei suoi occhi cerulei.
«Perdonare è la vendetta migliore».
«La morte è la migliore vendetta». Il demone prese con languore una sigaretta dal pacchetto dentro la tasca della giacca, se la mise in bocca, l’accese e poi con sempre strema lentezza si incamminò per la viuzza.
Serafina lo seguiva a debita distanza, senza il minimo rumore.
«Piantala di seguirmi, angelo», sbottò Set. «Dio non ha altri ordini per te».
«No, perché non L’ho mai veduto e conosciuto. Io sono solo un semplice angelo custode».
«Semplice angelo custode? Non il mio spero», borbottò Set. «Ecco perché hai questo aspetto…», lasciò in sospeso la frase e si fermò per mettersi a squadrarla con più attenzione di quanto non aveva fatto prima. «Sei così…», e cominciò a gesticolare, la sigaretta stretta tra e labbra.
«Non sarai razzista?»
«No. Però gli angeli me li ricordavo diversi».
«Anche io i demoni me li ricordavo diversi».
Set sorrise. «Io sono speciale. Un demone molto antico, nato in tempi che l’uomo non può sognare».
«Io invece sono piuttosto giovane. Sono morta di recente: ecco perché ho ancora l’aspetto da donna».
Set rimase in silenzio a scrutarla ancora, poi riprese il cammino facendole segno di seguirlo.
«E non hai ancora conosciuto Dio?», chiese scettico.
«No».
«Certo che con gli anni peggiora sempre più», borbottò tra sé il demone.
«Cosa?»
«Nulla, angelo. E spiegami: come fai a credere che esista se non L’hai mai veduto?»
Serafina non sembrò scomporsi e rispose immediatamente. «Ho fede. Con la fede puoi credere senza vedere. E poi già da viva sentivo che esisteva un’entità superiore che faceva girare il mondo».
«Cresciuta in una famiglia cattolica», borbottò Set.
«Ma che cosa stai borbottando ancora?»
«Non credo se non vedo con i miei occhi».
«Che sbaglio. E tu, allora dimmi demone, credi nel tuo dio, nel tuo serafico angelo senz’ali?»
«Di quale angelo senz’ali stai parlando?»
«Lucifero. L’angelo che osò sfidare Dio».
Set scoppiò a ridere convulsamente sotto gli occhi sorpresi e un po’ irritati dell’angelo. «Perché ridi, demone?»
«Io l’ho conosco molto bene quest’angelo senz’ali. E comunque ho veduto anche il tuo Dio, tempo fa, e credo in lui. Purtroppo».
«Perché purtroppo?»
«Tutti dovremmo essere liberi, senza il peso di avere qualcuno lassù di superiore. Sarebbe più bello pensare di essere nati dagli elementi: dall’ardore del fuoco o plasmati dalla terra, dal soffio del vento o dalla spuma del mare. Nati senza catene. Senza l’oppressione nemmeno del bene e male, della scelta della via giusta».
«Capisco il tuo pensiero. Senza bene e male, dici? Come un’oasi felice? Come prima del peccato dei primi uomini quando addentarono il frutto maledetto offertogli dal serpente».
«Non parlare di cose che non sai», l’ammonì con durezza Set, gettando la sigaretta consumata al suolo. «Ricordati che io c’ero alla creazione del mondo e le cose sono andate diversamente. Nessuno parla di un possibile errore di Dio».
«Errare non è divino», ribatté piuttosto contrariata Serafina.
«Continua a crederlo», replicò corrucciato Set. «Abbiamo due pensieri diversi».
«Due pensieri diversi e due concezioni di bene/male diverse. È buffo come quello che io credo bene per te invece è male e per me è l’esatto opposto».
«In fondo non è questo il bello del mondo? La diversità tra gli esseri viventi? Gli uomini, insulsi esseri, combattono da secoli il diverso non capendo quanto la diversità li unisca e li renda tutti uguali. Tutti esseri viventi e pensanti che camminano nel mondo tra le sofferenze e le gioie della vita».
«Sei molto saggio, Set».
«Lo so», rispose Set con un sorrisino superbo.
Un’energia vibrante interruppe la loro conversazione.
«Hai sentito anche tu?», chiese un filo di paura l’angelo.
Set, la fronte corrugata, le orecchie tese spasmodicamente, sussurrò impercettibilmente: «Sì».
«L’aura degli uomini».
È una fortuna che tutti emanino un’aura che però gli umani non percepiscono, mentre per queste povere creature è indispensabile per poter sopravvivere per poter captare il nemico in anticipo e prepararsi alla lotta.
«Fuggiamo», suggerì tremante Serafina.
«Combattiamo», si oppose il demone.
«Non fare lo sciocco».
«Vattene tu».
Serafina ebbe un momento di indecisione, poi annuì risoluta e disse: «Se tu resti, anch’io resto ad aiutarti».
«Non fare la parte della sciocca martire cristiana».
«Io sono un angelo custode e il mio compito è proteggere», disse Serafina.
«Fa come ti pare», borbottò infastidito il demone.
L’energia vibrante e ardente pungeva come piccoli aghi sulla pelle delle due creature. E la sensazione aumentava all’avanzare del nemico. Ad un certo punto come se qualcuno avesse spento l’interruttore, l’aura si dissolse.
«Ma che…?», riuscì a dire meravigliato Set prima che una freccia di piombo l’ho colpisse al petto. Il demone emise un gemito strozzato di dolore, rabbia e sorpresa. Serafina strillò. Set la prese per un polso e iniziò a correre trascinandosela dietro mentre altri nugoli di frecce li sfioravano sibilando minacciosi. Set continuava a perdere sangue e respirava a fatica, gemendo e rantolando; Serafina era nel terrore più completo.
Una voce tonante di uomo si udì d’improvviso in mezzo alle tenebre. «Arrendetevi e non vi faremo nulla», gridava, «resistete e morirete».
«Sì, e io sono Dio», mormorò Set. «Ehi, angelo, sai volare?», sbottò a Serafina che lo guardò con occhi sbarrati pieni di orrore e paura e smarrimento. «Volare?», replicò confusa. Si nascosero dietro un angolo.
«Gli angeli hanno le ali. Volano. Ma ti sei rincitrullita?»
«Io non ho mai imparato a volare», borbottò piano abbassando gli occhi in segno di imbarazzo e scusa.
«Ho capito mi tocca fare tutto a me», disse esasperato il demone.
Partì uno sparo di fucile. «Inutile nascondervi», disse di nuovo la voce tonante.
«Mi prenderete morto», gli gridò di risposta Set, uscendo dal nascondiglio, trascinandosi ancora l’angelo spaurito.
Degli spari seguirono la loro folle corsa. Set fu ferito a una gamba, Serafina alla spalla.
Il demone imprecando iniziò a mutare. Non solo d’aspetto, ma anche di aura. L’angelo lo percepiva. Era più intenso, più soffocante e avvolgente. E qualcosa di altamente potente. Delle ali nere e lucide da pipistrello comparvero all’altezza delle scapole di Set che non badò alle domande confuse dell’angelo ma la cinse saldamente con le braccia.
«Tieniti forte», tagliò corto. E spiccò il volo.
Fu incredibile ed eccitante. Almeno per Serafina che non aveva mai volato. Vedere la terra allontanarsi sempre più da sotto i piedi, vedere la strada, le persone rimpicciolire come formichine le dava le vertigine, ma anche un senso di piacere immenso, di libertà assoluta.
«Come…come hai fatto?», balbettò mentre artigliava convulsamente le braccia del demone per non cadere: Set dal canto suo, ovviamente era tranquillo a parte il dolore alle ferite e la preoccupazione degli inseguitori. Non sembrava nemmeno sforzarsi nel tenerla aggrappata da dietro, solo per la vita.
«Concentrazione. Vedrai che ci riuscirai anche tu», la incoraggiò. «È assurdo che un angelo non sappia volare», aggiunse con durezza.
«Scusami, demone, se non sono alla tua altezza».
«Non sarai mai alla mia altezza, dolcezza».
Serafina avrebbe voluto tirargli un cazzotto o dargli un piccolo pizzicotto sul braccio, ma ricordandosi che non sarebbe stata coerente e giusta come angelo si calmò appena e sbollì lentamente la rabbia.
Atterrarono sul tetto di un grattacielo da cui si poteva ammirare parte della megalopoli. Anche nel buio della notte essa splendeva immensamente, quasi illuminando a giorno l’intera città: le insegne luminose, il viavai di macchine le innumerevoli finestre accese dei grattacieli grigi.
«Qui dovremmo essere al sicuro per un po’», disse Set controllando i danni prodotti dai proiettili e dalle frecce.
«Non dovremmo cercare un altro nascondiglio…più nascosto?», domandò Serafina in un sussurro, lentamente per non incorrere nell’ira del demone.
«Se impari subito a volare, okay, ma io sono ferito e stanco e credo che la punta della freccia fosse avvelenata perché non mi sento nemmeno tanto bene. Quindi per ora, restiamo qui».
Serafina non volle insistere oltre sull’argomento, anzi si avvicinò al compagno di sventure per osservare meglio le sue ferite.
«Gli altri angeli sanno come guarire le ferite. Se vuoi ti porto da loro», arrischiò a dire.
«No, non ne voglio sapere di angeli e dei. Tu basti e avanzi. Lasciami morire in pace: l’eternità è lunga e noiosa e ormai per me priva di significato. Beati gli effimeri uomini: vivere pochi anni e poi morire non è così terribile. Il pensiero della morte dovrebbe donare loro la voglia di vivere a pieno la vita, viverla in ogni suo giorno e istante. La morte è la migliore amica dell’uomo».
Serafina sospirò. «Purtroppo, invece, gli uomini sono terrorizzati dalla morte. E sprecano la vita perché per loro non ha senso viverla se poi da un momento all’altro non l’hanno più».
«Poveri sciocchi uomini», mormorò Set.
«Io li capisco, sai. Ero una di loro. Non era la morte in sé che mi spaventava. Era quello che c’era dopo».
«L’ignoto fa paura. L’uomo ha sempre avuto paura di ciò che non conosce».
«Infatti, se l’uomo venisse a sapere cosa c’è oltre, non avrebbe più paura di morire. O forse sì».
Un ronzio cupo ruppe il silenzio che regnava lassù. Subito entrambi si prepararono a combattere o scappare. Serafina tirava con nervosismo un lembo della giacca di Set per incitarlo a scappare; lui era attento a fissare gli elicotteri che si erano appena materializzati.
«Scappa», le disse con forza. «Ci penso io a distrarli». E senza lasciarle il tempo di ribattere, si librò in aria pronto a scagliarsi contro gli elicotteri.
Questi risposero con il fuoco. Set li schivò tutti zigzagando armoniosamente; intanto distese il braccio, aprì la mano: dal suo palmo incominciò a luccicare un bagliore vermiglio. Velocemente crebbe di dimensioni e divenne una palla infuocata che scagliò contro un elicottero. Esso prese fuoco e precipitò verso la strada sottostante.
Il resto del battaglione non si arrese e continuò a sparare; e anche Set non indugiò ma seguitò ad abbattere elicotteri con le palle infuocate. Ne abbatté altri due e ne rimase uno solo.
All’improvviso, però, sbucarono delle figure ammantate di nero che presero a lanciare frecce avvelenate. Erano altri della Loggia. Essi vestivano con mantelli neri e a volte avevano anche delle maschere a celare il volto.
Set si distrasse un istante e un paio di frecce lo colpirono e lacerarono le sue ali. Si protesse ancora, però, incessantemente, furiosamente, come una bestia braccata. Alcuni della Loggia si avventarono su Serafina: fu un duro corpo a corpo. Le figure tiravano pugni e pugnalate, l’angelo si difendeva con ardore con morsi, graffia e calci.
Set andò nel panico a vedere tale scena. «Lasciatela! È un angelo del vostro maledetto Dio! Prendete me! Uccidete un diavolo assassino!».
Tentò di andarla a proteggere, ma assalito da due grossi energumeni che lo atterrarono al suolo e gli bloccarono polsi e caviglie con spesse catene di ferro.
Serafina ormai era sanguinante e pure lei sfinita. Tentò invano un ultimo combattimento: si scagliò contro uno della Loggia più vicino. Entrambi erano pericolosamente sul bordo del tetto. Serafina provò a tirargli un cazzotto, ma l’altro, più veloce ed esperto gliene assestò uno vigoroso che la fece barcollare e scivolare. Urlando cadde dal tetto e alle sue grida si mischiarono quelle di Set che infuriandosi concentrò le sue ultime forze per rompere le catene e uccidere i due energumeni. Poi si precipitò verso il bordo e guardò in basso verso la strada e cercò con gli occhi il corpo esile e scuro dell’angelo. Altri della Loggia provarono a intrappolarlo, ma lui con grandissima forza di volontà li ammazzò tutti e scagliò un’ultima palla infuocata all’elicottero che precipitò.
Smarrito e confuso, stava per accasciarsi al suolo sfinito, quando qualcuno lo prese saldamente da dietro e iniziò a volare. Lo sorreggevano due braccia scure.
«Serafina?», chiese titubante.
«E chi altro?», disse lei ridendo. «Grazie al tuo consiglio, ora anch’io posso volare».
«Stramaledetto, angelo!», inveì Set. «Mi hai fatto venire un bello spavento!».
«Un bello spavento a te?», replicò Serafina sogghignando per poi rattristarsi di colpo. «Oddio, che cosa ti hanno fatto. Ora non ti preoccupare: ho delle amiche che ti possono aiutare».
«Niente angeli», ribadì Set con una smorfia.
«Niente angeli: sono streghe».
«Mmm. Molto meglio».
Volarono in silenzio a lungo, nascondendosi tra le spesse coltri bianche, in alto sempre più in alto tant’è che persino i grattacieli divennero degli insignificanti puntini.
Infine, cominciarono a scendere con lentezza. Ormai erano in periferia, caratterizzata da una strada poco trafficata e appartamenti con pochi piani o villette. Di lì scorreva un fiumiciattolo inquinato dall’aspetto truce con le acque verdognole puzzolenti di pesci morti. Sopra vi era un vecchio ponte in rovina. E proprio lì vivevano le streghe Ankaraa, ultime di una grande e potente stirpe di streghe della terra, loro elemento protettore.
Le Ankaraa abitavano in squallide, minuscole casette di fango e paglia tra condizioni subumane senza acqua corrente, riscaldamento, luce. Prendevano l’acqua in un torrente e in un pozzo lì vicino per dissetarsi e lavarsi, visto che era meglio non avvicinarsi nemmeno al fiumiciattolo. Di notte accendevano sempre un grande falò per fare luce e cucinare intorno cui si riunivano –le streghe Ankaraa amano stare in compagnia, soprattutto delle loro compagne, e adorano cantare vecchie canzoni dei tempi gloriosi delle loro antenate- e con i primi freddi fino alle mite temperature primaverile lo tenevano costantemente acceso assieme ad altri piccoli falò all’interno delle abitazioni.
Non ci sono maschi tra le Ankaraa: non che li disprezzino del tutto, ma non si fidano di loro. Si dice che la loro indifferenza sia nata a seguito di un episodio di secoli prima: la regina d’allora Eileen, era la donna più bella sulla faccia della terra. Molte erano le donne e umane invidiose e molti gli uomini innamorati di lei che le chiedevano la mano. Eileen non aveva mai accettato perché il suo vero amato era morto in battaglia e lei non avrebbe più donato il suo cuore a nessuno. Uno stregone, Marcas, un giorno fece una scommessa con dei suoi amici: che se non avrebbe sposato Eileen, sarebbe andato almeno nel suo letto. E così con l’inganno e la forza ci riuscì. Eileen e le altre Ankaraa scoprendo l’inganno, si infuriandosi, cacciarono gli stregoni della loro stirpe. Streghe e stregoni si riuniscono solo una volta ogni cento anni, un unico giorno di pace in cui i rancori vengono riposti.
Quando allora videro l’angelo atterrare assieme a un uomo, per lo più un demone, fu giustificata la loro reazione: puntarono le loro bacchette di sambuco contro Set che fu sorpreso dalla loro repentina reazione.
«Non erano tue amiche?», chiese a Serafina.
«Infatti, siamo sue amiche, demone», rispose una strega dai fluenti capelli rossi e profondi occhi verdi. «Ma non degli uomini. E sicuramente no dei demoni».
«Aspettate, abbassate le bacchette, amiche», interloquì Serafina. «Non vi farà male. Siamo solo venuti per chiedervi aiuto per le vostre grandi abilità curative».
La strega rossa, che sembrava la regina, li squadrò e annuì convinta. «Già, siete messi male».
«Un po’ di pietà», continuò Serafina. «È stata la Loggia a ridurci così». Bisbigli confusi si accesero attorno a loro. «Siamo sulla stessa barca».
La strega valutò attentamente la situazione, storcendo il naso e giocherellando con una ciocca di capelli meditabonda. Poi assentì. «Va bene. Dobbiamo essere tutti uniti contro la Loggia». Fece cenno ad alcune streghe. «Sorelle aiutateli. E voi due benvenuti nella umile dimora delle Ankaraa. Io sono la loro regina, Sive, e scusate il benvenuto poco dignitoso».
Le streghe li portarono vicino al falò e li fecero sedere su un ceppo d’albero, mentre altre offriva loro due scodelle rozzamente intagliate dal legno colme di una calda brodaglia e un tozzo di pane.
«È tutto quello che possiamo offrirvi», disse rammaricata la regina Sive, accomodandosi accanto loro.
«Grazie mille per l’ospitalità», replicò con un dolce sorriso Serafina porgendole la scodella e il pane. «Ma io non mangio, se ben ricordi».
Sive si batté una mano sulla fronte. «Che stupida! Me ne ero dimenticata».
Anche Set allungò la sua di scodella e pane verso un’altra strega parecchio emaciata. «Neanch’io. Mangia te,  piuttosto che stai morendo di fame».
La strega prese titubante il cibo offertole e mormorò un ‘grazie’.
Sive sorrideva accondiscendete. «Sarai un demone e un maschio, ma sei di buon cuore».
Set si corrucciò. «Mi offendi, strega. Io non ho un buon cuore».
Sive continuava a sorridere sorniona.
Due streghe, dalle mani e braccia colme di recipienti di legno con unguenti, impasti di erbe e acqua, li circondarono. Presero a lavare le loro ferite con degli stracci; poi, fecero degli impacchi che emanavano un odore piacevole. Infine spalmarono degli unguenti. Per tutto il tempo che fu occorso, avevano mormorato una litania senza posa.
«Avete mai assistito a un sabba delle streghe Ankaraa, signor demone?», domandò Sive dopo aver terminato di cenare.
«Ne ho avuto una volta l’opportunità. Parecchi secoli fa».
«E voi Serafina?»
«Mai, regina».
«Ho questo non va bene affatto!», scoppiò a ridere la regina. Batté le mani con gioia. «Care sorelle, iniziamo il nostro sabba e mettiamocela tutta per rendere lieta la serata ai nostri ospiti».
Le streghe assieme alla regina presero a girare intorno al falò cominciando a cantare una melodia soave e imponente, in una lingua arcana e dimenticata. Danzarono con movimenti aggraziati, saltando, facendo giravolte e librandosi in aria.
E cantarono anche una piccolo pezzo improvvisato nella lingua dell’angelo e del demone in modo tale che potesse capirle.

Ankaraa è il nome potente

La terra è il nostro elemento imponente
Noi streghe dall’aspetto gentile,
Umano, non tentar il fato, e la nostra ira temibile.
Per tempo immemorabile siam state padrone
Di terre sconfinate e ignare persone
Che di noi avevano conoscenza
Solo in  leggende, dipinte maligne e malevolenza.
Ah, maledetti ignoranti uomini!
Or invece che sanno, ah che abomini!,
che malignità!
Ma non temete amici l’umana iniquità:
Qui di pace serena e sonno dorato
È il nostro dono da voi tanto sperato.
 
Cantarono fino a tarda notte. La luna era alta nel cielo. Sive li ospitò in casa sua.
L’abitazione era spoglia e semplice come l’esterno e dotata di un’unica stanza. Un manciata di paglia, erba e foglie componevano il letto.
«Lo so che non è molto regale, ma è tutto quello che abbiamo», disse Sive. «Potete dormire qui».
Serafina e Set strabuzzarono gli occhi agitati. «Insieme?», chiesero all’unisono.
«Purtroppo sì, perché non abbiamo altri letti disponibili», rispose la regina. «Vi lascio riposare. Buonanotte», aggiunse prima di uscire in fretta dalla casa.
Serafina e Set si guardarono un momento negli occhi imbarazzati. «Dormi tu nel morbido, io mi accontento di un angolino in cui adagiarmi», disse Set, sedendosi sul pavimento.
«Niente cavallerie. Io mi sistemo sul pavimento».
«Piantala e dormi», sbottò Set.
«Gli angeli non dormono», ribatté Serafina.
«Non fate nulla voi», bofonchiò Set. «Se per questo nemmeno i demoni», aggiunse.
«Almeno siediti sul pagliericcio così stai più comodo».
«Va bene qui».
Serafina non volle andare oltre e si sistemò più comodamente possibile sul pagliericcio e si mise a osservare la luna oltre la finestrella sulla parete. Set, invece, guardava un punto fisso davanti a sé pensieroso, elucubrando su chissà quale misterioso pensiero.
«Perché gli esseri umani ci odiano?», interruppe il silenzio all’improvviso l’angelo con lo sguardo smarrito e melanconico.
«Perché non siamo come loro», rispose Set dopo qualche minuto riscotendosi dai suoi pensieri.
«Perché non cercano di vivere in pace con noi, come abbiamo fatto per secoli?»
«Perché sono troppo stupidi».
«Perché fanno male anche agli angeli e agli dei? Gli abbiamo fatto alcun male?»
«Li avete tenuti nell’ignoranza e superstizione».
«Li guidavamo verso la strada giusta».
«Gli uomini non vogliono più la balia che decida per loro. Vogliono decidere da soli. Gli uomini d’oggi rifiutano Dio» Set sbuffò. «Basta con le domande, per favore».
«Scusami Set».
Ricaddero nel silenzio.
«Non senti qualcosa», domandò ad un certo punto Set.
«Cosa?», chiese Serafina leggermente allarmata.
Set si alzò e andò ad affacciarsi alla finestrella. L’angelo attese con impazienza che il compagno dicesse qualcosa d’altro.
«Sarà stata la mia impressione», disse questi, rimettendosi a sedere.
Non attesero molto prima che delle luci illuminarono il campo delle streghe e che queste gridarono allarmate. L’angelo e demone scattarono in piedi e si catapultarono all’esterno in cui infuriava una battaglia. La Loggia da una parte che faceva fuoco con fucile e pistole e tirava frecce, e dall’altra le Ankaraa che lanciavano fatture. La notte si era illuminata di incantesimi scintillanti e punte di frecce infuocate.
Set si stava buttando in mezzo alla mischia, ma Sive l’ho bloccò. «Fermo! Non andare».
«Vi devo aiutare»
Sive sorrise con enorme tristezza. «La maestosa stirpe delle streghe Ankaraa è morta già da tempo. Lasciaci morire con onore. Però posso condurre in salvo voi due».
Li trascinò per le braccia all’ombra della sua casa. «Non distante da qui c’è una comunità di reietti come tutti noi. È celato e ben custodito e soprattutto sconosciuto alla Loggia. Dovete andare lì. Sarete accolti e potrete viverci fino a tempi migliori».
«Non ci saranno tempi migliori. La pace non esisterà per noi. Mai», disse Set sconsolato.
«La speranza non muore mai, invece. Si affievolisce, sembra spegnersi, ma la sua fiamma in verità vivrà per sempre».
«Dove si trova la comunità?», domandò Serafina.
Sive annuì e fece segno loro di seguirli. Strisciarono e camminarono quatti in mezzo alle ombre nere e li condusse al margine di un bosco all’inizio di un sentiero.
«Se procedete per di qua, seguendo il sentiero, arriverete spero sani e salvi alla base. Andate sempre dritto e non abbandonate il sentiero, mi raccomando».
Le urla si fecero più forti, i rumori della battaglia si avvicinavano.
«Andatevene in fretta. Io devo andare a morire a fianco delle mie sorelle».
Fece per andarsene quando Serafina la fermò e le diede un bacio sulla guancia. «Ti benedico. Spero che abbiate fortuna».
«Lo spero più per voi». Posò le sue mani sul capo dell’angelo. «Che la madre terra possa esservi d’aiuto e proteggervi».
«Grazie», riuscì solamente a mormorare Serafina prima di essere trascinata verso il bosco atro da Set.
I rumori e le luci della battaglia si affievolivano sempre più, e sempre più l’oscurità l’avvolse intorno celando ogni cosa persino le stelle e la luna nascoste dal fogliame fitto degli alberi dai tronchi contorti. Serafina che era sempre stata alla luce, che sia stata del sole, della luna o di un lampione, ora si sentiva spaventata. Udiva suoni sinistri attorno a lei, fruscii, squittii, ululi. I complicati arabeschi disegnati sulle cortecce degli alberi parevano facce mostruose che li deridevano e che ghignavano, bocche spalancate pronte all’assalto.
Si avvicinò maggiormente a Set poiché si sentiva più al sicuro con lui che con l’ignoto tenebroso del bosco. Il demone ovviamente non temeva apparentemente nulla in quel momento, solo la Loggia. Era abituato a un paesaggio simile se non peggio; anzi, probabilmente, si sentiva a casa in quel luogo oscuro e ostile.
Avanzarono lentamente, cauti, senza aprire bocca. Per Serafina quella taciturnità era insostenibile. Se non avrebbero parlato sarebbe impazzita tra le sue suggestioni.
«Come è la vita di un demone?», buttò lì.
Set si girò a guardarla, un sopraciglio alzato. «Ma che diavolo si domanda è?»
«Ti prego, Set, dì qualcosa ho impazzisco!»
«Perché mai?», domandò il demone distaccato.
«Questo bosco è troppo tranquillo per i miei gusti. E troppo buio».
«Non temere fra poco c’è l’alba che rischiarerà un poco l’oscurità».
«Non ne sarei tanto sicura. Questo posto mi sembra…maledetto».
«Maledetto?», sbottò Set in una risata. «Avrei captato qualche traccia magica».
«Un essere magico esperto può celare la propria aura», ribatté ostinata Serafina.
«D’accordo, d’accordo», disse Set. «E cosa dovrei farci? Comunque meglio un essere soprannaturale come noi che un uomo della Loggia».
«Già», annuì flebile Serafina.
Con l’avanzare dei minuti, le tenebre sembrarono rischiararsi appena.
«Deve essere sorto il sole», constatò Set.
«Comunque non passa molta luce», fece delusa Serafina.
Set guardò in alto. «Sono questi maledetti alberi. Sono troppo fitti».
«Ma quanto dura poi questo bosco? Sembra infinito».
Il demone fu attirato da un albero rinsecchito di leccio. «Mi sembra di aver già visto questo albero».
Serafina sbuffò esasperata. «Siamo in un bosco, sciocco. Chissà quanti lecci secchi ci sono qua dentro!»
Set corrucciò la fronte irritato. «Come stiamo diventando rabbiose».
Serafina scosse la testa sconsolata. «Perdonami. È questo luogo che mi rende così. Oh Dio, ascolta la mia preghiera. Facci uscire da qui vivi!»
Set sbuffò. «Dio non ti aiuterà mai. Primo, ci sono io a cui non sono molto simpatico. Secondo, chissà se ti ascolta».
«Non parlare male di lui», disse stizzita Serafina.
«Perché dovrei parlarne bene? Mi ha dato solo male».
«E cosa hai fatto tu però per meritarti la sua ira».
«Nessuno mi crederebbe», tagliò corto e tacquero entrambi di nuovo.
Procedettero senza mai fermarsi, ormai esausti e con le vesciche ai piedi, ancora, ancora. Il sole ormai alto a quell’ora sembrava non essere quasi sorto. Solo qualche coraggioso raggio filtrava dal fogliame a rischiarare le tenebre nere di una luce flebile e verdognola. Passarono davanti a un leccio rinsecchito.
«Non può essere una coincidenza!», sbottò d’improvviso Set. «Questo leccio è simile a quello prima e a quello ancora prima. E sotto a tutti e tre c’erano gli stessi tipi di funghi. Stiamo girando intorno, angelo. La tua amica strega ci ha mentito. Non esiste nessuna comunità di nostri simili pronti ad ospitarci e questo bosco è veramente maledetto! Non ne usciremo più, né vivi né morti!»
Set stava ribollendo di rabbia e i suoi occhi ardevano di un fuoco interiore, rosso e brillante, due braci ardenti.
«Calmati, Set», lo intimò con flemma Serafina. «Sive, non ci ha voluto ingannare. Qui è qualcun altro che ci sta imbrogliando».
Set si sedette su di un masso liscio. «Io non mi muovo di qui finché non riesco a capire che succede».
«Forza invece, proviamo a continuare».
«Continuare a fare cosa?!», sbraitò. «A camminare in tondo per l’eternità?»
«Troveremo una soluzione», disse speranzosa Serafina.
«Ma non camminando», replicò iroso. Osservò l’oscurità aldilà del sentiero. «E se ci inoltrassimo nel bosco?»
«No, no, no», disse decisa Serafina. «Sive ha detto di non abbandonare il sentiero».
«La strega non sapeva nemmeno che il bosco era maledetto. Sarà sbagliato anche il consiglio di non abbandonare il sentiero».
«Io voglio restare qui».
«Allora restaci da sola», fece il demone alzandosi. «Io vado nel folto del bosco».
«Non lasciarmi sola», lo implorò l’angelo.
«O mi segui o rimani da sola», la minacciò lui e si incamminò oltre gli arbusti che costeggiavano la via principale.
Serafina non perse tempo e gli andò dietro. Sbagliato o no, la solitudine al momento sembrava la peggior cosa.
Come c’era d’aspettarsi la tenebra era più fitta e per Serafina persino i rumori si intensificarono. Uno stridio inquietante risuonò sopra le loro teste. Lei mandò un grido terrorizzata. Lui la rimproverò: «È solo una civetta».
«Scusami. Ho troppa paura».
«Se c’è veramente qualcosa nel bosco tu l’avresti già attirato».
«Già, hai ragione, scusa».
Procedettero con lentezza e con le orecchie ben aperte pronti ad accogliere il pericolo. Gli occhi non sembravano servire a nulla il quel luogo nefasto.
L’ansia nacque anche in Set dal momento in cui sentì dei bisbigli seguirli e ronzargli nelle orecchie.
Serafina afferrò un braccio di Set. Li senti anche tu?»
«Purtroppo sì».
La risposta non piacque all’angelo che iniziò a tremare convulsamente.
«Non lasciarti impadronire dalla paura», le sussurrò duramente. «Non lasciarti beccare impreparata. Controlla la paura».
«Ci proverò», mormorò Serafina poco convinta.
Avanzarono cautamente. I bisbigli seguitavano, pareva, a seguirli. I toni si facevano quando più alti, quando a toni bassissimi quasi non udibili. E poi tutto tacque.
E così sbucarono dalle ombre. Lenti e silenziosi. Erano figure emaciate e pallide, dagli occhi infossati e fluorescenti che mandavano bagliori luminosi, unici fonti di luci nel mare nero. Erano mostruose a vedersi, ma non sembravano ostili a loro. Perché erano diversi come loro.
Serafina fece per parlare, ma fu più veloce Set. «Amici vampiri, non fateci del male poiché noi siamo qui, persi in questo bosco avverso solo per fuggire dalla Loggia».
«L’avevamo supposto», fece un vampiro particolarmente magro.
«Sono molti gli umani ignari che passano di qui», disse un altro dagli occhi più rossi.
«E ben pochi quelli come noi», disse quello più alto.
«Perché la maggior parte sa che ci siamo noi», interloquì il primo che aveva parlato.
«E ci temono», replicò il terzo malinconico.
«Ma noi non facciamo del male a chi è in difficoltà come noi», assentì il secondo annuendo vistosamente con la testa.
«Sive allora non sapeva niente o sapeva qualcosa ma si fidava di loro», mormorò Serafina a Set.
«Sive? La regina delle Ankaraa?», domandò il primo vampiro.
«Sì, lei», balbettò incredula Serafina. Aveva parlato a voce molto bassa eppure quegli esseri avevano capito di che parlavano.
«Lei ci conosce bene», replicò il secondo. «Forse vi ha mandato qui per un motivo».
«Ci ha aiutato a scappare dalla Loggia», disse Set.
«Siete nel posto giusto», fece il terzo. «Seguiteci, forza».
L’angelo e il demone si guardarono negli occhi un po’ titubanti, ma capendo che non avevano scelta, li seguirono attraverso sentieri e cespugli nascosti nel buio. Ad un certo punto, in lontananza videro una fievole e piccola luce; credendo che i vampiri li stessero conducendo fuori dal bosco, si rallegrarono e diedero un respiro di sollievo. Tuttavia, man a mano che si avvicinavano alla fonte luminosa, si resero conto amaramente che non si trattava di luce solare ma della luce di un fuoco.
Piccoli falò erano tutt’attorno a una radura circolare abbastanza ampia in cui era ricostruito un piccolo villaggio con case di legno. Gli abitanti erano streghe e stregoni dalla pelle chiara e fluenti capelli scuri, vestiti con tuniche nere. Ognuno si affaccendava in qualche lavoro. C’era il fabbro che martellava un pezzo di metallo sull’incudine; il fornaio tirava fuori dal forno a legno croccanti forme di pane; il contadino arava un piccolo orticello dietro casa; alcune streghe adulte insegnavano a dei bambini dei trucchi magici.
Set e Serafina fecero un passo avanti e percepirono chiaramente che c’era una sorta di ‘soglia magica’ qualcosa di invisibile e incorporeo, ma per loro altrettanto concreto nel suo potere. Nessuno degli abitanti si accorse di loro finché non varcarono quella soglia. Allora tutti smisero di lavorare e girarono la testa verso di loro, gli sguardi truci. I vampiri li incitarono ad avanzare, di non temere nulla. Entrambi stettero appiccicati spalla contro spalla.
«Questa è la tribù Duane, stregoni e streghe della notte», spiegò loro un vampiro. «Non temete i loro sguardi. All’inizio sono un po’ diffidenti dagli estranei, ma vedrete dopo la visita alla loro regina come cambieranno opinione».
La regina abitava nella costruzione più grande e colorata, dipinta con scene mitologiche e di guerra. Il vampiro raccontò loro che un tempo, come tutte le altre tribù delle streghe, la loro città era meravigliosa, con case di legno d’ebano o marmo nero, decorati con trafori e guglie e meravigliose vetrate istoriate blu e azzurri. Il palazzo reale era ovviamente maestoso e gigantesco, e stava su una collina. Era circondato da un giardino ricco di fiori e alberi e animali notturni di ogni sorta: lupi neri, civette bianche e gatti bigi. Si facevano feste ogni mese, con la luna piena, feste che duravano fino all’alba. Ora il loro splendore era decaduto.
La sala del trono non sembrava una stanza adatta a una regina: il mobilio era scarso e non c’erano oggetti troppo preziosi come oro, argenti e diamanti. Però tutto era costruito e decorato con raffinatezza e cura.
La regina stava su uno scranno d’ebano. Il suo abito era lungo e semplice di colore blu come gli occhi. I capelli neri erano un manto di velluto che scendeva fin sotto la schiena.
I vampiri si inginocchiarono al suo cospetto e così fece Serafina; solo Set, ostinato e sgarbato, con un sorriso beffardo sulle labbra, rimase in piedi rigidamente dritto. La regina gli lanciò uno sguardo infuocato, ma poi si sciolse in un sorriso ironico.
«La regina Nyx», annunciò un vampiro.
Nyx fece segno loro di alzarsi. «Da dove venite forestieri?», chiese loro.
«Dal villaggio sul fiume delle streghe Ankaraa. La loro regina Sive ci ha consigliato di attraversare questo bosco per salvarci dalla Loggia che ci inseguiva. Stiamo cercando una comunità di esseri come noi che ci dia ospitalità», rispose Set.
«Sive ha fatto bene a mandarvi nel bosco», disse Nyx. «Qui gli umani non hanno vita lunga. E soprattutto la Loggia. Siete a sicuro».
«La ringraziamo», si intromise Serafina.
«Per cosa? Combattiamo lo stesso male. Noi Duane e Ankaraa ci odiavamo e non era difficile che nascesse una battaglia tra noi. Ora se venissero tutte loro a chiedermi ospitalità e soccorso le aiuterei come se fossero tutte mie sorelle, sangue del mio stesso sangue».
Serafina abbassò gli occhi, una lacrima scivolò sulla guancia. «Purtroppo non verrà mai una Ankaraa da voi, regina. Sono morte tutte combattendo contro la Loggia».
Nyx si infuriò. «Maledetti! Maledetti umani. Pensano di riuscire a ucciderci tutti? Quando sarà il momento giusto, saremo noi a fare la guerra ed estingueremo questi effimeri esseri. E noi potremo finalmente essere liberi».
«Concordo vivamente con voi, regina», disse Set.
 Nyx sembrò calmarsi lentamente. «Avete detto che cercate una comunità di creature come noi?»
«Sì. Sive ha detto che sono ben nascosti dalla Loggia e che stanno preparando una guerra contro gli uomini», rispose Serafina.
Nyx soppesò le sue parole. «Ben nascosti», sembrò mormorare a se stessa. «Da nessuna parte si è al sicuro». Si scosse dai suoi pensieri e tornò a guardare loro. «So forse dove si trova questa comunità».
«Davvero?», domandò con gioia Serafina.
«Sì. E quasi quasi credo di avere un piano». Tornò a elucubrare in silenzio. Dopo vari minuti riprese a parlare. «Per ora andate a riposarvi e rifocillarvi. Stasera al calare delle tenebre avanzeremo verso questa comunità».
«Noi veramente non mangiamo», rispose Set. «Non per recarvi offesa, ma demoni e angeli di solito non mangiamo né bevono».
«E sia. Almeno deliziatevi dei nostri canti e arti».
Fecero entrambi un inchino e dissero all’unisono: «Con piacere».
Uscirono dal palazzo accompagnati da alcuni vampiri che li fecero accomodare su due sedie e diedero ordine a dei musicisti di suonare per loro delle melodie. Questo fece capire agli altri stregoni che la regina li giudicasse degni di fiducia e che quindi non c’era nulla da temere. Offrirono loro uva, miele, pane e vino, ma declinarono le offerte. Perciò i Duane pensarono che a loro la musica piacesse di più e cantarono dei cori nella loro lingua antica.
Questa è una particolarità di molte streghe e stregoni, l’amore per la musica, e ogni occasione era buona per cantare e ballare. E così come avevano assistito al sabba delle Ankaraa, ora assistevano a quello dei Duane che però a differenza delle streghe della terra che narravano di epoche di splendore con canti allegri e vivaci e solo una volta avevano accennato alla loro decadenza, questi solevano cantare di guerre, battaglie e avventure eroiche, quasi tutte avvenute in epoche buie della storia e di notte. Una loro passione era improvvisare una musica e canzone.
Si aggiunsero anche i cori di alcuni animali: alcune civette e gufi appollaiati sui rami degli alberi stridevano a tempo, alcuni lupi neri che si confondevano tra le ombre a parte gli occhi gialli, ululavano.

 

Streghe e stregoni siam della notte inoltrata

Voliamo nella tenebra offuscata,
seminando con urla e lamenti
paura e incubi nel cuore degli uomini dormienti.
Neri come ali di corvo i nostri capelli,
pallide e argentate come luna le pelli,
oscuri i nostri animi apparenti,
caldi e solari saremo, però, con l’estraneo gradito, solenti
a narrar cantando le incredibili gesta degli antenati.
Noi, amici di animali di fama di scellerati,
popolo notturno, diamo benvenuto festoso
a voi forestieri di nera pelle e sguardo luminoso. 
 
La regina Nyx uscì dal palazzo in quel momento, accompagnata da alcuni stregoni, forse i suoi consiglieri. Subito la musica e i canti cessarono; persino gli animali tacquero come se fosse anche la loro regina e aspettassero di sentirla parlare.
«Amici e amiche, la notte che verrà sarà una notte da ricordare o in meglio o in peggio per i Duane», iniziò Nyx. «Questi forestieri, nostri amici e alleati, mi hanno parlato di un posto in cui alcune creature magiche si sono nascoste e stanno organizzando una battaglia contro il nostro nemico. L’uomo».
Molti stregoni e streghe si guardarono negli occhi speranzosi e altri assentirono con la testa.
Nyx continuò. «Io proporrei di accompagnare i forestieri, tutti o parte di noi, in questo luogo e decidere così se unirci a loro e combattere. Siete dalla mia, amici miei?»
Un urlo di gioia, rabbia repressa e accondiscendenza seguirono le parole della regina. In molti gridarono: «Libertà! Guerra e libertà!».
Nyx alzò una mano verso i Duane in subbuglio per chiedere silenzio, ma le ci volle un paio di minuti prima che tutti si acquietassero appena. «Chiunque voglia venire con me stasera, si prepari. Però qualcuno dovrà rimanere a proteggere il villaggio e i bambini che non voglio portare con noi perché il viaggio è troppo rischioso. Vampiri», chiamò Nyx, «sarei felice se anche voi vi uniste».
Il vampiro dagli occhi rossi fece un inchino galante. «È un grandissimo onore».
«Grazie, Serkan», sorrise la regina.
Il villaggio si mise in movimento. Furono distribuite spade, asce, archi e frecce, armature e bacchette; alcune streghe riempirono le otri d’acqua e sacchi con del cibo, soprattutto pane, formaggio e carne secca e li sistemarono su dei cavalli e muli. Anche l’angelo e il demone si unirono alla tribù, aiutando come meglio potevano. Due civette sonnacchiose assistevano alla scena su un ramo d’abete; un lupo spelacchiato ringhiava eccitato da dietro un cespuglio.
Era in corso anche un costante andirivieni dei vampiri dal profondo del bosco alla radura; il loro villaggio era situato nel luogo più fitto di alberi e, di conseguenza, nel luogo più buio. I vampiri non sono molto amanti della luce, però a differenza di come narrano le leggende il sole non li distrugge.
Infatti, la radura era inondata di sole, visto che non c’erano abbastanza alberi a fare ombra, tuttavia loro camminavano sotto di esso, forse con un po’ di fastidio, facendo ombra agli occhi con la mano.
Il sole compì il suo giro nella volta. Nuvole vaporose correvano svelte come spaventate e desiderose di fuggire da qualcosa che sarebbe avvenuto. Il cielo bruciava.
Tutto era pronto, tutti erano pronti. Nyx era vestita da amazzone, pantaloni e corsetto neri, faretra e arco di corno in mano. Lei assieme al vampiro Serkan, al demone Set e all’angelo Serafina -piuttosto in agitazione- aprivano la fila di ribelli armati ed entusiasti, pronti a tutto per la libertà.
La regina e il vampiro, che conoscevano a menadito il bosco e che avevano loro stessi maledetto, riuscirono a trovare la strada giusta e ad uscire dall’oscurità degli alberi alle tenebre delle notte. Il cielo era rannuvolato, luna e stelle nascoste dalle nubi.
Erano spuntati nella periferia che circondava la parte ovest della città. I grattacieli svettavano all’orizzonte, alte e imponenti, nere figure contro cielo scuro, dalle finestre luminose; la tangenziale era poco distante e si potevano sentire auto e camion sfrecciare rombando sull’asfalto. Attorno a loro si estendevano i campi coltivati e rare zone di vegetazione incolta e selvaggia e procedendo per il sentiero che serpeggiava tra le case contadine, si sarebbero tuffati in un altro boschetto, più piccolo e a vista più rassicurante.
Si rendevano conto che fuori dal bosco incantato non erano protetti dalla vista degli uomini e già si preoccupavano dei contadini incartapecoriti, dai visi duri che zappando la terra dei loro orti, sentendo un movimento al limite del ‘bosco del diavolo’ –chiamato da loro così per i rumori sinistri provenienti dal folto degli alberi e dalla totale oscurità-, avevano alzato il loro sguardo e furono sorpresi e inorriditi nel vedere spuntare quel strano gruppo di balordi, gente cattiva. Le donne li spiavano da dietro le tende delle loro casette; i bambini spaventati andavano a piangere tra le braccia delle madri.
«Dobbiamo muoverci con cautela», avvertì Nyx. «Questa gente andrà a chiamare immediatamente la Loggia».
«Che vadano», disse uno stregone dallo sguardo truce alzando la sua spada. «Così saluteranno la mia amica».
«Frena per ora l’odio, Tristan», lo ammonì la regina. «Ci sarà tempo per la vendetta. Ora dobbiamo cercare soccorso. Quale strada dobbiamo prendere, Set?»
«Sive ha detto di seguire la strada, di andare sempre dritto».
Nyx guardo davanti a sé. «Sempre dritto», mormorò pensosa e dubitante. «Speriamo che Sive non abbia sbagliato».
Avanzarono sotto gli sguardi dei contadini, e molti di loro rimandarono gli sguardi, occhieggiando malignamente quelle persone. Il boschetto formato da isolati pioppi e tigli era protetto da una barriera magica, poiché al suo primo contatto, il variegato gruppetto poté percepirlo chiaramente. Così come le streghe della notte che avevano incantato il loro bosco per vivere in pace.
Non solo l’atmosfera sembrò cambiare, ma anche quello che vedevano. La magia aveva prodotto delle illusioni, in modo tale che dall’esterno sembrasse un semplice boschetto, ma che in verità ospitava una colonia di creature magiche. Erano centinaia, accampati in casette di legno o tende e soprattutto di tutti i tipi: altre tribù di streghe, centauri, grifoni, angeli, lupi mannari e altri ancora.
Capendo immediatamente che erano dalla loro, li salutarono come se fossero amici di vecchia data, sorridendogli e offendo loro cibarie e acqua. Bambini delle streghe corsero verso di loro incuriositi e ridendo, donando piccoli regali infantili, collane di fiori e pietre colorate.
I forestieri accettarono di buon grado le loro attenzioni e gentilezze e si sentirono per la prima volta dopo decenni finalmente in tranquillità, tra i loro simili.
La regina Nyx prese a parlare con un centauro nero dai lunghi capelli intrecciati.
«Veniamo dal bosco qui di fronte, il ‘bosco del diavolo’, per venirvi ad aiutare, dopo essere venuti a conoscenza di questa comunità».
«Siamo tutti felici e rincuorati dalla vostra presenza, regina», rispose il centauro, di nome Braden. «Noi speriamo continuamente in nuovi arrivati per ingrandire le nostre file dell’esercito».
«Quindi lo state formando veramente un esercito per combattere contro gli uomini».
Il volto di Braden si incupì. «Loro vogliono la guerra e noi gliela daremo».
«Concordo», replicò con furia Nyx. «E credo che il momento della guerra sia vicino. Ci hanno visti arrivare. Come potete vedere siamo un gruppo numeroso. Abbiamo sbagliato in parte a venire da voi: se non siete pronti vinceranno».
Bredan scosse il capo. «È da una vita che siamo pronti. Ci siamo allenati ogni singolo giorno per prepararci a un eventuale battaglia. Non ci prenderanno di sorpresa. Il vostro arrivo è stato un dono del destino e della fortuna. Insieme vinceremo».
Si separò da lei e trottò fino a una piccola sporgenza rialzata del terreno, prese il suo corno e lo suonò. Il suono cupo e tuonante dello strumento fece zittire tutti di botto.
«Preparate armature, armi e cavalcature e formate le file. L’ora della vendetta è quasi giunta  rallegratevi per questo». Un boato di felicità ed eccitamento lo costrinse a tacere per poi riprendere quando esso si trasformò in un calmo brusio. «Le femmine se vogliono scendere in battaglia assieme a noi  maschi lo facciano: che non ci siano meschine distinzioni di sesso. La battaglia per la libertà va combattuta da chiunque la voglia. Che rimanga però qualcuno con cuccioli e bambini. A nulla serve macchiare la loro innocenza con la violenza, innocenza già in parte sciupata dagli avvenimenti da loro assistiti».
Bredan si zittì all’arrivo agitato di un grifone, le piume arruffate, le pupille dilatate. «Sta arrivando», disse solamente con voce gracchiante.
«Armatevi, amici!», urlò Bredan togliendo dal fodero uno spadone dall’impugnatura d’avorio. Esplose la confusione di scalpicci, di zoccoli, grida. Un folto nugolo di esseri diversi, di femmine e maschi, avanzava verso la campagna.
Nyx si avvicinò a Set e Serafina. «Ho un compito per voi se ve la sentite».
Angelo e demone si scambiarono uno sguardo di intesa. «Qualunque cosa», disse l’angelo.
«Ritornate alla radura e radunate altre forze. Molti sono rimasti lì a proteggere il bosco, ma ora è qui, in questa battaglia, che ci serve tutto l’aiuto possibile».
«Andremo, regina».
Assieme alla folla, Serafina e Set, uscirono fuori dal bosco, nei campi dove erano radunati un misero numero di uomini della Loggia. Erano tutti incappucciati da mantelli neri e non si riusciva a scorgere il loro volto, ma sicuramente quello che stavano provando in quel momento, in pochi con poche armi davanti a un numero enorme di creature magiche, era paura e frustrazione. A meno che non fossero degli automi senza volto né sentimento, animati solo del loro unico scopo: uccidere. E dopo tanti anni, secoli, di guerra tra uomini ed esseri magici questa può essere l’unica spiegazione. L’uomo non prova più emozioni. L’uomo ha perso la capacità di amare.
Infatti, si lanciarono anche loro all’attacco, con i loro fucili e le loro armi moderne, sparando sull’esercito delle creature.
Set e Serafina non poterono indugiare a guardare o a combattere. Dovettero correre velocemente per non essere beccati e fare più in fretta possibile. Si tuffarono nell’oscurità del bosco e anche lì non si fermarono. Dovettero rallentare perché non vedevano nulla al buio, tuttavia avanzavano ancora piuttosto spediti.
Non si resero conto, però, nell’agitazione del momento che non sapevano di preciso dove fosse la radura, per colpa dell’incantesimo che aleggiava al suo interno.
Il fato volle però che un vampiro di guardia lì vicino si accorse di loro e si parò loro davanti. «Dove andate?», disse con voce simile a un sussurro.
«La regina Nyx ci ha mandato a chiamare rinforzi», rispose tutto d’un fiato Set.
Gli occhi della creatura si spalancarono e colmarono di paura. «Sono in pericolo?»
«Per ora no, però è in corso una battaglia contro la Loggia. Più siamo e più facilmente riusciremo a strappare loro una vittoria».
«Seguitemi», disse soltanto il vampiro.
Gli andarono dietro camminando velocemente tra i sentieri immersi nell’ombra nera. Appena arrivarono nella radura annunciarono l’ordine della regina e immediatamente un bel numero di soldati si preparò e armò e furono pronti a ripartire. Rifecero la strada al contrario e ben presto videro la debolissima luce della luna uscita dalle coltri di nuvole che segnalò la fine del sentiero. Si presentò davanti a loro una scena spaventosa.
I campi erano inondati di sangue nemico e amico che si erano mischiati e brillavano nello stesso identico modo, dello stesso cupo color rubino. Grida, lamenti e cozzar di lame erano i rumori principali. Erano arrivati rinforzi anche per la Loggia, ma erano ancora inferiori di numero e i restanti sembravano allo stremo delle forze. Set e Serafina con il seguito degli stregoni si buttarono nella mischia urlando. Molti della Loggia si voltarono verso la direzione delle urla, stupefatti e spaventati, presi alla sprovvista.
 Il demone si trasformò e si librò nel cielo per unirsi ad alcune streghe e ippogrifi che stavano attaccando gli elicotteri della Loggia che sparavano raffiche di proiettili senza sosta. Set concentrò le sue forze per formare il globo incandescente che avrebbe scagliato sul nemico. L’angelo a sua volta si era alzata in volo e salvò dalla morte molti suoi compagni. Ad un certo punto, scorgendo una spada conficcata nel terreno, solitaria e macchiata di sangue raggrumato, prese una decisione e scese in picchiata; divellò dal terreno la spada, tenendosi sospesa in aria con pochi battiti delle ali, e iniziò incessantemente a salire per poi scendere all’improvviso e uccidere i nemici con pochi colpi di spada. La prima volta che la lama tagliò la gola di un uomo, Serafina prese a piangere e a mormorare incessantemente parole sconnesse: «Dio mio…perdono…mostro…», finché Set le si avvicinò notando la sua lotta interiore e la rassicurò nei suoi modi burberi: «Non piagnucolare, angelo. Uccidi più che puoi: Dio ti ha già perdonata». E così prese il coraggio di ammazzare altri della Loggia: però, tenendo gli occhi chiusi e snocciolando preghiere.
Fatture di ogni genere volavano da ogni parte; i grifoni balzavano sugli uomini scarnandoli con gli artigli e il becco, aprendo i loro ventri; gli elicotteri atterrati da Set, fumavano e ardevano, illuminando il campo di battaglia; i vampiri si avventavano sui nemici, mordendo loro le arterie, il sangue che usciva a profusione.
L’alba era vicina quando la Loggia si ritirò, quasi scappando terrorizzati da quei mostri temibili e invincibili. Questi, al contrario, urlarono festanti, gioiosi per una battaglia vinta dopo tante perse. Assieme aiutarono i feriti a camminare o a trasportarli su barelle fino alla loro base, nel bosco incantato. Furono accolti tutti da cori vivaci delle donne e bambini che erano rimasti lì a osservare la battaglia atterriti. Subito si prepararono dei festeggiamenti: furono serviti cibi prelibati come cinghiali, cervi e anatre arrostiti, patate lesse, brodo al farro, pane nero arricchito abbondantemente con del burro o formaggio e bevande gustose come vino, idromele e sidro che oltre a dissetare resero l’atmosfera più allegra dai canti delle creature ubriache che ciondolando per il campo ogni cinque minuti chiedevano un brindisi in onore della vittoria.
La festa fu deliziata dai balli delle streghe di alcune tribù orientali e arabe che si movevano sinuose al ritmo dei tamburi e dei sitar e dalle canzoni delle streghe Duane prese dall’ispirazione del momento.
Serafina si era allontanata dal chiasso gioioso della festa per avere un po’ di tranquillità. Si sedette ai margini del bosco, le gambe piegate circondate dalle braccia, osservando pensierosa e malinconica i primi raggi del sole illuminare l’orizzonte. Set le si avvicinò furtivo, appoggiandosi poi colla spalla a un albero lì accanto.
«Cosa ti affligge?», le chiese d’improvviso.
Serafina alzò il capo bruno verso il demone serafico. «Ho fatto delle cose cattive stanotte».
Set sospirò e le si sedette vicino. Titubante alzò un braccio che fece ricadere subito al suo fianco; poi, prendendo coraggio, l’alzò ancora per cingerle le spalle e accarezzarla con la mano. «L’hai fatte per il bene superiore».
«Compiere del male per il bene», disse Serafina quasi sarcastica. «Che cavolata».
«Non angustiarti tanto per il tuo Dio», replicò Set. «Non si dice forse che perdonare è divino?»
«Non è solo questo a preoccuparmi».
«Che cos’altro, allora?»
Serafina si girò verso di lui e fissò nei suoi occhi chiari i suoi, scuri e fermi, in cui balenava qualcosa si oscuro. Set ne rimase affascinato e forse un po’ spaventato.
«Mi è piaciuto per un certo verso, affondare la spada nel loro sangue», disse con un sospiro tremante. «È una cosa spaventosa. Sono cattiva. Non merito di essere un angelo: sarei perfetta come demone, invece».
Set ghignò. «No, non credo», le posò un bacio sulla nuca, sull’ammasso arruffato e ispido dei suoi capelli. «La vendetta e la rabbia muovevano la tua mano. Combattere per la pace non è una cavolata  come credi. Purtroppo bisogna guadagnarsela duramente. E tu non meriti di essere un demone, Serafina: sei perfetta come angelo».
Serafina gli sorrise riconoscente per il conforto e un po’ meravigliata di avere sentito per la prima volta il suo nome pronunciato da Set, dolcemente, carezzevole, affettuoso. Doveva aver letto quei pensieri nei suoi occhi perché sussurrò: «Perdona l’oltraggio che sto per compiere». E posò le labbra fredde sulle sue.
Serafina rimase con gli occhi spalancati di sorpresa, immobile, incapace di fare qualsiasi cosa. Set si staccò subito e sciolse l’abbraccio. Si alzò, senza guardarla negli occhi.
«Questo il tuo Dio non me lo perdonerà mai», disse incamminandosi.
Serafina si riscosse dalla meraviglia e il piacere che l’avevano inchiodata al suolo e gli corse dietro, divorata dalla curiosità. «Ma tu chi sei veramente?»
«Il portatore di luce», replicò misterioso. «Ho molti nomi, ma quello più conosciuto, il mio vero nome è solo Lucifero: l’angelo più bello di Dio».
Serafina rimase spiazzata dalla risposta. «Tu sei Satana», disse con disprezzo, ripugnando se stessa per essersi fatta baciare da lui.
«Non chiamarmi con quel nome dispregiativo. Io sono Lucifero e così mi devi chiamare».
«Tu hai fatto una cosa orribile…»
Lucifero si accalorò. «Cosa ti ho detto l’altro giorno? Non parlare di cose che non sai».
«E che cosa non saprei? Dimmela tu, demone, la verità», ribatté Serafina offesa.
Lucifero non riusciva a guardarla negli occhi, e digrignava i denti, irritato. «Questa è la verità che solo io e Dio stesso conosciamo», si decise alla fine.
Serafina annuì secca.
«Gli angeli serafini, quelli più vicini a Dio, i più antichi ad essere stati creati e che non discendono dagli esseri umani hanno molteplici regole da seguire. Anch’io ero uno di loro e obbedivo a Dio come un fedele servitore. Perché per me questo sono gli angeli: i suoi schiavi».
Serafina si corrucciò maggiormente.
«Ma all’epoca non ci pensavo, lo adoravo e facevo tutto quello che lui mi diceva. Finché non furono creati gli uomini». Si fermò e rimase vari minuti a contemplare il sole nascente. «E vidi un giorno, una donna bellissima, Lil», riprese. «Gli angeli solitamente non provano vere emozioni come gli umani, ma non ho potuto fare a meno di apprezzare la sua bellezza. Così scendevo ogni giorno sulla terra per contemplarla di nascosto. Me ne affezionai e se possibile, se possedessi veri sentimenti, me ne innamorai. Però c’era un vincolo che mi teneva legato, una regola che impediva categoricamente contatti con gli uomini senza il permesso di Dio e, ovviamente, un angelo non poteva certamente innamorarsi di un essere umano. Soprattutto se un serafino, un angelo luminoso e splendente secondo solo a Dio. Tuttavia ero tormentato da Lil. Non riuscivo a fermarmi. Dio è troppo grande per tenergli segreta qualche cosa e scoprì quello che stavo facendo. Mi ordinò di non vederla mai più, ma non ero disposto a obbedirgli. Così preso da altri, nuovi e sorprendenti sentimenti, quali rabbia e vendetta, commisi un atto che mi condannò per l’eternità: andai sulla terra e incontrai Lil la quale corteggiai e baciai. Quel bacio fu la mia rovina. Dio mi maledisse e nei secoli, Lui, gli altri angeli, creature magiche e uomini mi hanno sempre chiamato Satana, il demonio, l’angelo che osò sfidare Dio e che precipitò negli inferi. Per un certo verso è vero: ho sfidato Dio. Ma dopotutto non ho fatto niente di male. E comunque, il Male è nato il momento stesso in cui è stato creato l’uomo. Il Male deriva dal Bene, il Male è un errore di Dio».
Finì di parlare ed ebbe il coraggio di guardare dritto negli occhi Serafina che era rimasta a bocca aperta ad ascoltare affascinata la sua storia. «Questa è davvero la verità?»
«Puoi anche non credermi, ma questa è la verità», replicò mesto Lucifero. «Addio, Serafina, abbi un destino migliore del mio».
Senza che ella potesse aggiungere altro, Lucifero si librò in volo verso l’orizzonte luminoso e la sua figura divenne un puntino nero nella luce calda del sole. Fino a quando non svanì. ------------- Mi dispiace se troverete ad un certo punto due frasi scritte ENORMI ma non sono pratica con l'html e non capisco perchè non compaiono nel modo giusto. >____<
  
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