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Autore: Elos    06/11/2010    8 recensioni
Gabriel non ricorda di essere stato umano, Gabriel non ha più nessuno. C'è stato un tempo in cui era bello, molto bello, bellissimo, ma adesso quel tempo è passato. Gabriel viaggia con un armadio al seguito e quattrocento anni di ricordi perduti sulle spalle.
In una casa antichissima piena di cose rotte e di cose preziose avrà inizio la più bizzarra delle convivenze.
Prima classificata e vincitrice del Premio Attinenza al concorso Once upon a Bloody December indetto da storyteller lover.
Genere: Dark, Mistero, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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Il cimitero di St.George, in Victoria Lane, di giorno non era dissimile da un arioso, fresco e lucente giardino pubblico, di quelli che d'estate si riempivano di graziose famigliole al gran completo, con il cane al seguito, le borse piene di teli e panini e adorabili bambinetti urlanti che facevano su e giù per le stradine, tra le tombe, giocando a palla e a salta la corda tra le ossa dei nonni defunti.
Era bello.
C'erano panchine sotto ad ogni albero. La fontana mormorava verde e molle di muschio, e c'era un tetto di salici e faggi spesso come una coltre di nuvole scure. Al tramonto le strade si riempivano di oro rosso. Nei pomeriggi di pioggia avevano una luce da acqua chiarissima.
Il cimitero di St.George, in Victoria Lane, era a solo pochi passi di distanza da Candledoore Square. Candledoore Square era un angolo di città molto poetico, molto bizzarro: c'erano alcuni dei palazzi più antichi di Londra, lì, e poi altre cose che erano come piccoli inni all'insolito, negozi aperti fino a notte tarda, lampioni opachi. Giravano un sacco di storie su Candledoore Square.
Il cimitero di St.George, in Victoria Lane, chiudeva alle otto di sera, tutte le sere. La gente non passeggiava in Victoria Lane dopo il calar del sole: i lampioni erano rotti da anni - erano rotti da sempre - e a nessuno piaceva passeggiare nei pressi di un cimitero buio.
Il cimitero di St.George, in Victoria Lane, aveva un custode. Il custode del cimitero di St.George si chiamava William Blame.
Il signor William Blame viveva in un'amabile casupola all'interno delle mura di recinzione, con un meraviglioso giardinetto pieno di primule e di lavanda che d'estate era una gioia per gli occhi e d'inverno si riempiva delle bacche rosse del pungitopo. Il signor William Blame non usciva mai di casa dopo il tramonto: a settantasette anni, compiuti ad aprile, aveva scommesso con il suo migliore amico - il signor Gregory Pack, di professione macellaio - che sarebbe arrivato ad ottanta senza colpo ferire. Al signor William Blame non piaceva perdere le scommesse. Il signor William Blame sbarrava le finestre quando faceva buio.

Il cimitero di St.George, in Victoria Lane, di giorno appariva come un piccolo, accogliente, soleggiato parco di città.
Quel che appariva di notte era un'altra storia.



La casa di Candledoore Square




The steeples are white in the wild moonlight,
And the trees have a silver glare;
Past the chimneys high see the vampires fly,
And the harpies of upper air,
That flutter and laugh and stare.

For the village dead to the moon outspread
Never shone in the sunset's gleam,
But grew out of the deep that the dead years keep
Where the rivers of madness stream
Down the gulfs to a pit of dream.


A cantare sopra tutte le altre voci c'era quella dell'androgino vestito d'azzurro che la sera prima aveva aperto il corteo, e quella prima ancora, e quella prima ancora. Teneva la mano di una bambina pallida come la Morte, facendola girare in cerchio come per mostrarla, che era la sua copia precisa - solo dieci anni più piccola.
La bambina era bellissima, una perla, e l'androgino cantava come avrebbero dovuto cantare solo gli Angeli. Non era un angelo caduto, quello, affatto. Gli aveva visto aprire il collo di una donna con i denti tanto affondati nella sua giugulare che il sangue era sprizzato a fontana, caldissimo, e gli aveva insozzato i capelli d'argento. La bambina aveva leccato il sangue sulla spalla. Aveva bevuto dalle sue mani.
La bambina era bellissima e l'androgino cantava come gli Angeli, ma non erano loro due quelli che preferiva.

A chill wind blows through the rows of sheaves
In the meadows that shimmer pale
And comes to twine where the headstones shine
And the ghouls of the churchyard wail
For harvests that fly and fail.

Not a breath of the strange grey gods of change
That tore from the past its own
Can quicken this hour, when a spectral power
Spreads sleep o'er the cosmic throne,
And looses the vast unknown.


Dietro l'androgino e dietro la bambina cantavano tutti gli altri. C'era il mangiafuoco che inghiottiva palle di pece infiammata, le mandava giù come fossero caramelle e poi rideva e soffiava. Aveva le vampe a uscirgli dalle labbra, alla luce rossa il sudore sul suo torace nudo lo rendeva più invitante, lucido, faceva danzare guizzi di muscoli ferini ad ogni movimento.
Aveva occhi selvaggi, la pelle color dell'ebano e vellutata agli occhi di chi l'osservava, un viso da lottatore, ma non era neanche lui quello che preferiva.

So here again stretch the vale and plain
That moons long-forgotten saw,
And the dead leap gay in the pallid ray,
Sprung out of the tomb's black maw
To shake all the world with awe.

And all that the morn shall greet forlorn,
The ugliness and the pest
Of rows where thickrise the stones and brick,
Shall some day be with the rest,
And brood with the shades ombre unblest.


Nel mezzo del corteo camminava la donna vestita di veli bianchi che trascinava sei metri di stoffa di seta dietro di sé: c'erano ossa minuscole incastrate nei suoi capelli a mo' di fermagli, stelle di piccolissimi femori sulla sua veste, residui di corpi morti da anni, da secoli, e lei aveva un viso da Madonna rinascimentale tutto curve dolci e occhi gentili, morbidissimi.
Quando sorrideva scopre denti bianchi e curvi come zanne. Aveva passato troppo tempo a nutrirsi da mostro, e adesso non riusciva più a nascondere come e quanto lo era. Doveva essere vecchissima. Doveva essere millenaria.
Era bella e lo affascinava, si faceva chiamare Isis e la cosa gli piaceva, ma no, no, non era lei quella che preferiva.

Then wild in the dark let the lemurs bark,
And the leprous spires ascend;
For new and old alike in the fold
Of horror and death are penned,
For the hounds of Time to rend.


Quella che preferiva era ancora dietro. Era quasi in fondo al corteo, ma tutti le facevano cerchio per lasciarle spazio: così poteva saltare, poteva camminare, poteva muoversi. Le avevano appeso addosso catenelle sottili come fili, campanelle d'argento che ad ogni passo erano una musica, e lei ballava e ballava e ballava, girava in cerchio e vorticava come una luna cadente, non cantava e non parlava con nessuno, ma sembrava ascoltarli tutti.
Finirono la filastrocca scura e ricominciarono dal principio, ancora e ancora, e lei non era mai stanca di ballare. Si fermarono nel mezzo del cimitero e la spinsero avanti: si lasciò spintonare e guidare come se dopotutto non le importasse molto, e non era neanche una di loro, niente denti che sporgevano, occhi che brillavano, mani pallide allungate come artigli, era solo tanto umana e nemmeno poi davvero bella, solo che ballava, ballava, non smetteva mai ed aveva il viso trasognato, sembrava si fosse persa dietro alle sue campanelle.
Era lei che gli piaceva, lei che preferiva, tutta catene d'argento e sonagli e pelle d'oro. Era liquida, fusa, si scioglieva. Tintinnava. La voleva. Le fece scorrere una mano tra i capelli quando gli passò accanto in una giravolta confusa e infinita da bambina, e lei si fermò e lo guardò, stupita, e di nuovo non parve spaventata. Questo gli piacque quanto lei gli piaceva, forse anche di più: perché Gabriel si era guardato allo specchio prima di uscire, il vetro rotto come un riflesso moltiplicato mille e mille volte, mille Gabriel a fissare occhi scurissimi e vacui e folli e la pelle livida, chiara, le occhiaie e le cicatrici, e non era stata una bella vista. Aveva spaventato i più giovani tra gli invitati alla festa in St.George, aveva attirato l'attenzione della bella Madonna pallida e mostruosa. La ragazza che ballava, invece, lo fissò e sorrise solo, piano, senza paura alcuna e con pochissimo interesse, e poi riprese a girare.
Gli piaceva, la voleva.

Fu così che la prese.






Questa storia si è classificata prima su quattordici partecipanti al concorso Once upon a Bloody December, indetto da storyteller lover e vincitrice del Premio per l'Attinenza alla traccia e all'uso degli oggetti. Scopo del concorso era scrivere una storia che rispettasse i seguenti parametri: a) doveva parlare di vampiri, e i vampiri non dovevano essere quelli di Twilight; b) una scena almeno doveva essere ambientata in un luogo tipicamente vampiresco, come un castello medievale, delle rovine diroccate, un'abbazia, un monastero abbandonato, un cimitero; c) nella storia dovevano essere presenti alcuni oggetti, scelti da una lista consegnata dalla giudiciA.

Le parole da me scelte per il concorso sono state la 2 (armadio), la 4 (nastro), la 14 (carillon), la 24 (fiocco), la 38 (sonaglio), la 59 (talismani) e la 117 (benda), e a ciascuna di esse è ispirato un capitolo: sette capitoli in totale, quindi, più un preludio che introduce al racconto.
Come luogo “vampiresco” ho scelto il cimitero.
Per quanto riguarda gli avvertimenti: l'avviso Slash è lì esclusivamente per segnalare la presenza di un lievissimo rapporto omosessuale, non principale all'interno della storia e assolutamente non descrittivo, svoltosi in un momento antecedente alla stessa. Quello di Non per stomaci delicati, invece, ha una ragion d'essere: nella storia è presente almeno una scena piuttosto violenta ed altre scene discretamente sgradevoli.
I vampiri di questo racconto non si ispirano a quelli di nessun romanzo in particolare: forse assomigliano un po' a quelli di Cronache dei vampiri, di A.Rice (ebbene sì, le ho lette! xD), ma hanno tratti e caratteristiche che li differenziano. Diciamo che si rifanno a gran parte delle leggende rese famose da Dracula in poi: succhiano sangue e sono pallidi, ma non volano, e, soprattutto, non luccicano al sole. Con buona pace della famiglia Cullen (... e, prima che mi si dica qualcosa, sì, ho letto anche Twilight, no, il film non mi è piaciuto ma anche no, non ho nulla contro il libro. I vampiri tecnicamente non esistono, se ne conoscete uno presentatemelo, indi per cui possono anche essere ricoperti di perline rosa e andare in giro a mezzogiorno cantando I will survive, se la cosa fa piacere all'autore).
Qui potete trovare una traduzione della canzone che i vampiri cantano nel cimitero, e che è Halloween in a suburb, di H.P.Lovecraft.
Il cimitero di St.George, così come Victoria Lane e Candledoore Square, non esistono veramente: alo stesso modo dei personaggi di “La casa di Candledoore Square”, sono una mia invenzione.

Vorrei ringraziare ancora storyteller lover per la cortesia, la disponibilità e l'accuratezza dei giudizi, e Prisca Turazzi per i banner stupendi. Sono tanto belli che quello per la posizione ho deciso di usarlo come immagine d'apertura dei capitoli; quello per il Premio Attinenza, invece, finisce qui:


Qua sotto potete trovare i collegamenti alle storie già pubblicate. Buona lettura!
La Bambina e il Lupo di schwarzlight
Ezili di Misery13
Qualcosa per cui vivere di Emily Alexandre
Lost souls di Amantide
Le Notti di Sangue dell'Okiya Sugita di Laudica_2204
Amethyst's eyes di Piccolo Fiore del Deserto
Aggiungerò i collegamenti alle storie di tutti mano a mano che verranno pubblicate su EFP!
  
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