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Autore: Pinca    07/11/2010    6 recensioni
Tutto fu deciso quella notte, quella notte cambiò il suo destino e quello degli altri, e fu lei a cambiarlo. Lo fece, consapevole della gravità del suo gesto, che avrebbe pagato, ma senza immaginare che quella decisione avrebbe determinato un cambiamento di tali proporzioni.
Solo una parola e tutto cambiò.
Genere: Horror | Stato: completa
Tipo di coppia: Yuri | Personaggi: Boris, Kei Hiwatari, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: Triangolo
- Questa storia fa parte della serie 'Return of revange'
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Salve! Oh, grazie, grazie, anche gli applausi, che accoglienza! Dopo un mese che manc… *un pomodoro mi si spiaccica sulla faccia*
Ehm… allora…. Quella che leggerete sotto è una storia che mi è venuta in mente non so come, sicuramente la mia insana perversione c’entra qualcosa, e voglio scriverla da diversi mesi.
Doveva essere rosso, e forse lo è anche se non c’è la scena esplicita di sesso anche perché non riuscivo a scrivere niente che non fosse goffo.
Questa dovrebbe essere un estratto della serie che sto scrivendo (return of revenge to aoi aoi ano sora) ma può essere letta tranquillamene anche se non avete idea di che cosa sto parlando. È una what if?, quindi non vi anticipo niente e ci rivediamo alla fine, per chi ci arriva ovviamente!:D
Spero che non sia una cagata pazzesca, cosa non difficile! Kiss a dopo
Ps: vietata la lettura ai Kai (sì, hai capito bene, sto parlando con te!) (e vai! Sono fuori! Ndkaihiwatari) (non festeggiare idiota, non stavo parlando con te, che poi non te la devi mica leggere, devi solo esserci, coglione! Ndme), comunque, fortemente sconsigliata ai kai tranne se non si sono premuniti di lettura analitica delle precedenti ff e eventuale analisi approfondita dei personaggi! Ts, libertina!

 
 

 
 
 
 
 
 
Solo una
 
 
Tutto fu deciso quella notte, quella notte cambiò il suo destino e quello degli altri, e fu lei a cambiarlo. Lo fece, consapevole della gravità del suo gesto, che avrebbe pagato, ma senza immaginare che quella decisione avrebbe determinato un cambiamento di tali proporzioni.
Solo una parola e tutto cambiò.
Forse sarebbe potuto andare tutto meglio se fosse rimasta zitta, se non avesse agito seguendo quell’ultimo sospiro di umanità che ancora alitava nel suo cuore, se non si fosse fatta impietosire da quegli occhi azzurri come il cielo che non aveva mai visto.
Ne era certa già mentre pronunciava quella maledetta parola: quella morte, che lei aveva evitato, sarebbe stata un bene, per tutti!
-Fermo!- una parola. E mentre si apprestava a schiacciare quel pulsante che avrebbe dato fine alla vita della stessa persona a cui aveva rivolto quella parola, tutto ciò riemerse e le parve chiaro, accecante come una distesa di neve al sole, e comprese. 
Solo una, solo una, continuò a ripetersi. Solo una…
 
 
 
 
Mosca, 14 aprile 1999
 
Dei passi spediti attraversavano il chiostro del monastero Vorkof, affondando nella neve sciolta e calpestando le scivolose pietre grigie. Il pesante mantello la proteggeva dalla fredda e tagliente aria della notte, coprendole il capo fino a nasconderle il viso.
Le undici di sera, nuovamente. Attraversò i corridoi alla cieca, nel buio più pesto, come faceva ogni volta, fino ad arrivare alla porta di legno della sua cella.
Dentro, in quell’angusto spazio, c’erano stipati tre letti sudici e spartani. Niente lussi per i besprizorniki, i figli di nessuno, figli alla Santa Madre Russia che li accoglieva generosamente tra le segrete e invisibili braccia dello spettro di soviet.
-Sei tornata, finalmente!-
Una voce soave, gioiosa, si alzò da un angolo di uno dei letti. La chioma rossa risplendeva alla debole luce di una lampadina appesa alla parete. Il filo bianco pendeva dal buco, lì dove una volta dal santo crocifisso il Cristo sofferente osservava con misericordia i suoi figli e il monaco che, mezzo secolo prima, doveva aver alloggiato in quella stessa cella tra preghiere e penitenze.   
Si tolse la mantella senza dire una parola, lasciandola scivolare sullo sgabello accanto alla porta.
-Come mai così tardi?- le chiese con apprensione sistemandosi la veste bianca sotto le gambe piegate.
Aveva freddo.
-Lo sai.- le rispose atona sedendosi sul bordo di uno dei letti.
Nessuno in particolare era il suo, condividevano tutto, anche quello.
Rimase lì a fissare in silenzio il pavimento, con i gomiti poggiati sulle ginocchia e la testa bassa. L’odore fresco e pulito dell’altra le invase le narici piacevolmente. Era pura, o almeno così volevano mantenerne l’aspetto.
Come ogni volta, le si avvicinò gattonando da un letto all’altro, e si fermò proprio accanto a lei.
Le sue mani gentili passarono ad accarezzarle i corti capelli scuri e incolore, e i suoi occhi ricolmi di ammirazione ed affetto si posarono su di lei alla ricerca del suo sguardo.
-Ariel…- la baciò su una guancia. –Mi sei mancata!-
Gli occhi scuri e vuoti si mossero stancamente verso l’alto, incontrando quelli turchesi della ragazza dai rossi capelli fiammanti.
Rimase ammirata a osservare la bella bambola di porcellana che tanto l’amava. Il suo viso tondo e dal colorito perlaceo, il rossore vermiglio che le carezzava le guancie e la punta del naso congelata e quegli splendidi occhi pieni di amore e devozione velati da una patina di tristezza e follia. Solo le labbra erano rovinate, spaccate dalla vorace barbarie di quei vili che la sfruttavano, che di quell’angelo ne avevano fatto una splendida cortigiana russa caduta in miseria. Una schiava, una prigioniera che, oltre a saziare le perversioni altrui, non faceva altro in quel posto.
Un bacio si posò spontaneo sulle sue labbra livide e fredde. Le sorrise felice per quel contatto non ricambiato in alcun modo.
Era dolce come immaginava dovesse essere il miele, e calda come il sole che così poche volte aveva potuto assaporare.
Sì, era proprio una splendida cortigiana russa caduta in miseria. Si curavano di lei quanto bastava per farla apparire come una venere. Le fiamme dei suoi lunghi capelli ondulati erano mantenute vive dai caldi bagni che pulivano la serica pelle, morbida e liscia. Nessuno, a parte lei, possedeva una pelle del genere in quel posto. Nessuno possedeva una tale grazia e una tale bellezza.
E l’innocenza nei suoi occhi, quella era veramente un prodigio di Dio. Se questo esisteva, se un qualche Dio terribile e spietato aveva creato tutto quello, allora tutta la sua grandiosità e misericordia si erano rifugiate negli occhi di quella ragazza.
Lena, la dolce Lena vestita di una semplice tunica di lana bianca. Quegli uomini si facevano beffa di un Dio in cui non credevano, vestendola in quel modo, come un angelo, solo per il semplice fatto che quello fosse l’indumento più facile da togliere.
-Sei rimasta qui tutto il giorno?- le chiese senza lo scorcio di un’emozione.
-Si…- rispose Lena abbassando lo sguardo e giocherellando con l’orlo della veste.
-Boris?-
Lei si strinse nelle spalle con noncuranza.
Faceva l’indifferente, ma Ariel sapeva benissimo che Lena era una bambina che non sopporta di dividere il proprio amore con nessuno. Quindici anni di creatura, divisa tra l’inferno di quel posto e il paradiso della sua natura.
Lena la abbracciò. Le passò le braccia intorno alla vita e la strinse, nascondendosi dietro di lei e immergendo il viso nell’incavo del collo alla ricerca di calore e affetto. Aveva le dita delle mani viola e fredde.
Ariel la lasciò fare, come sempre, e lasciò scivolare la testa all’indietro, stanca, vuota e indifferente, fissando il soffitto. Era uguale al pavimento, grigio e di pietra, uguale alle pietre nel chiostro. Eppure altre pietre e altri colori apparvero nei suoi occhi opachi e spenti, quelli dei laboratori. La luce lampeggiante dei monitor, la capsula piena di liquido illuminato dalla luce giallastra degli allarmi, e il corpo nudo immerso lì dentro….
Chiuse gli occhi. Aveva già preso la giusta decisione, quella notte sarebbe finita quella maledetta storia.
-Voglio baciarti Ariel, perché dobbiamo aspettare Boris?-
Lena la conosceva bene, aveva capito che la sua adorata Ariel, il soldato inflessibile e spietato, si stava concedendo per quella notte. Lo aveva capito immediatamente prima, non appena Ariel aveva alzato gli occhi su di lei, il modo in cui l’aveva fatto, di totale abbandono. E lei non era riuscita a non baciarla e a trattenere il sorriso.
La porta si aprì proprio in quell’istante, cigolando.
Boris entrò sospirando. L’altro suo compagno di cella.
Loro due, Lena e Boris, condividevano quella cella da sempre, fin da quando erano arrivati al monastero anni e anni prima. Lei era arrivata in quella stanza solo da due anni, per riempire il letto lasciato vuoto da Yuriy. 
Due anni…. Due anni erano passati. Sembravano dieci. Non era un granché, per il monastero il giovane Ivanov non era stato di certo una grande perdita. Era una nullità, un’incapace, un debole.
Un vero peccato però, se non fosse stato per la sua dolce gemella, la sua metà perfetta, che in questo momento stava aggrappata a lei, forse avrebbe potuto diventare qualcuno. Ma lei era diventata il suo punto debole, il suo tallone d’Achille. Finiva sempre nei guai per lei, disubbidiva, si opponeva e veniva punito nei modi peggiori, nei modi più terribili.
Successe così che un giorno non si alzò più da uno di quei letti.
Era morto, dissanguato forse, forse il suo corpo non aveva retto alle percorse dell’ultima punizione. Il letto non era più sporco del solito, ma si sapeva: il sangue si vomitava e si perdeva in altri luoghi, ben peggiori del proprio giaciglio.
Per quanto riguardava lei, nella sua cella era rimasta sola. Li aveva eliminati entrambi, a distanza di qualche mese, come le era stato ordinato.
Boris le lanciò uno sguardo. Il suo compagno di squadra. Qualche altro mese e avrebbero disputato i mondiali, fianco a fianco con Sergey e Kai.
Si era allenato fino a quell’ora, mentre lei aveva dovuto prendere parte alle analisi e agli esperimenti nei laboratori.
Il suo sadico compagno. Con lui condivideva non solo la cella, ma anche la stessa vena perversa per il dolore e la tortura, lenta e spietata, cosa che, doveva ammetterlo, Kai non aveva mai apprezzato in lei.
Ghignò togliendosi la giacca marrone e lasciandola cadere sullo stesso sgabello dove prima Ariel aveva fatto scivolare il mantello.
Boris, il suo bellissimo Boris. Titanico, forte, malvagio e ferino, dai corti capelli indomiti e spettinati, gli occhi di un verde caldo e selvaggio, estraneo alle fredde tonalità russe, e sotto la pelle bianca, rovinata da cicatrici e fatica, pulsavano i muscoli sviluppati, pieni e forti di un uomo.
Era tutto ciò che lei aveva sempre desiderato essere: un uomo, forte e intoccabile. Nessuno avrebbe mai potuto mettere in discussione la sua posizione se fosse stata un uomo.
-Mi stavate aspettando!- bisbigliò pieno di soddisfazione alzando il sopracciglio dentro.
Lena la strinse possessiva. Oh, come era tenera, come era innocente nel suo amore sconfinato e ingiustificato. Era un sacrificio per lei doverla dividere ogni volta con Boris.
Per Ariel era un mistero il suo amore, e lo sarebbe stato per sempre. Perché era capitata a lei quella grazia e non a qualcuno di migliore, qualcuno che la meritava?
Anche il fratello, prima che morisse, aveva sempre elemosinato e agognato anche solo un centesimo dell’amore che Lena provava per lei, Mayer, la maledetta ragazzina senza anima che tiranneggiava per tutto il monastero grazie alla sua spropositata forza col beyblade, fianco a fianco a Hiwatari, il grande campione, la punta di diamante della Borg.
Ma Lena era sempre stata presa da Ariel, fin da quando l’aveva vista per la prima volta da bambina, e anche ora che era diventata una ragazza, nonostante gli svariati uomini che la possedevano senza rispetto ne amore. E crescendo non si era sorpresa scoprendo che in verità Mayer, il blaider della Germania est, fosse in realtà una femmina, e non aveva smesso di amarla neanche quando era tornata sporca di sangue che non era suo.
No, Ariel non avrebbe mai capito perché un angelo amasse così incondizionatamente lei, una persona anonima e cattiva.
Ariel si divincolò dalla stretta della ragazza e si piegò in avanti, passandosi le mani sul viso. Sentì sul palmo della mano la cicatrice che le solcava il viso. Una lunga e spessa cicatrice che partiva dal sopracciglio destro fino al mento, tagliandole a metà la palpebra,la guancia e il viso, donandole l’aspetto di un terribile mostro, tutti i subordinati inorridivano nel vederla.
Quello era stato il prezzo per la vita di Lena, per averla salvata quella volta che era toccato a lei morire.
Kai era stato incaricato di eliminarla, e lei l’aveva fermato. Non sapeva ancora che cosa l’avesse spinta quella volta a provare pietà, d’altronde non le era mai importato niente di lei, la gemella dai capelli rossi, le era indifferente. Eppure l’aveva fermato, l’aveva fatto. Avrebbe fatto bene a lasciarlo fare, che sarebbe comunque stata meglio la morte per lei piuttosto che un destino da prostituta.
Boris la tirò su, in piedi, prendendola per un braccio.
Il suo sguardo era possessivo, malizioso e voglioso mentre si abbassava su di lei e la baciava. Le mani rudi si muovevano veloci e impazienti per spogliarla, e alle sue si aggiunsero quelle sottili, gentili e congelate di Lena. Faceva freddo, faceva sempre freddo, ovunque in quel posto.
Lui le sfilava il maglione, lei la cintura e i pantaloni. La accarezzavano, la sfioravano, la stringevano e la cercavano.
Boris, forse anche per lui valeva qualcosa, non solo per Lena. Anche lui a modo suo provava qualcosa di simile all’amore. Anche per lui era un sacrificio doverla dividere con qualcun’altro. Strano a dirsi, ma proprio l’unico in quel monastero a non essere contento d’avere la bella venere rossa nel proprio letto era proprio lui.
Li lasciò fare come al solito quello che desideravano, abbandonandosi alle loro cure e alle loro attenzioni.
Anche se entrambi non tolleravano a pieno la presenza dell’altro, Boris e Lena avevano sviluppato un’intesa e una complicità con l’unico fine di donarle piacere, di vedere comparire del rossore sul suo viso sfregiato del soldato senza pietà, per poterla osservare quando la bocca si schiude, gli occhi si chiudono e la testa si piega in dietro, per sentire qualche sospiro di piacere uscire dalle sue labbra solitamente livide, tanto da prendere iniziativa insieme, lei non li aveva mai cercati spontaneamente.
Lei li lasciava fare, e li lasciò fare anche quella volta. Ariel si passò una mano sulla fronte scostandovi i capelli e, abbandonandosi contro il materasso duro, lasciò che lo sguardo si rifugiasse nel vuoto assoluto della parete accanto.
Come al solito non avrebbero avuto l’onore di scambiare anche un solo, misero sguardo con l’oggetto della loro passione. Ma, anche se avessero incrociato quegli occhi, avrebbero visto ne più ne meno della solita fredda e desolata indifferenza.
E così fu, ricaddero accanto a lei esausti, dopo aver saziato il loro egoistico amore consumando quel singolare rapporto a tre.
E ancora Lena le copriva il viso di baci grati e appassionati, e Boris strappava brutalmente dalle sue attenzioni le labbra di Ariel, mordendole con la straziata foga di chi, stremato, continua a lottare fino alla fine, fino a quando non è il sonno a prendere il sopravvento.
Boris si abbandonò sfinito dalla pesante giornata di allenamenti, e Lena resistette osservando Ariel in silenzio con quei suoi occhi innocenti da bambina che non comprende appieno l’orrore che la circonda, finché questi non si chiusero ingenuamente.
Rimasero solo il silenzio, i respiri dei suoi compagni, il buio, il profumo e la morbidezza dei capelli rossi di Lena che le solleticavano il viso, e l’odore deciso della pelle di lui.
Dormì per qualche ora Ariel Mayer, senza sognare niente, fino a che non giunse l’ora di andare.
Si alzò scavalcando Boris, e si rivestì nel buio, cercando di fare il meno rumore possibile. Mancavano ancora due ore al risveglio.
Si mise il mantello che poche ore prima aveva lasciato sullo sgabello, e si voltò a guardare i due compagni addormentati sotto le coperte, accucciati per trattenere quel poco di calore che avevano.
Non si era mai soffermata così ad osservarli, lei lanciava sguardi veloci e immediati, tanto efficaci da toglierle anche il bisogno di parlare. Forse anche questa volta quello sguardo stava supplendo il suo mutismo.
Chiuse il mantello con un gesto sciolto e fluido, si voltò verso la porta ma un sussurro la fermò mentre alzava la mano sulla maniglia.
-Ariel…-
Era Lena. Alzò il capo dal materasso, il lisci capelli scivolarono di lato mentre la osservava stranita attraverso la penombra.
-Che succede?- sussurrò allarmata.
-Niente Lena, torna a dormire!- la ammonì aprendo la porta.
Lena abbassò il capo, indecisa se intervenire o meno. Ariel odiava essere contestata, la innervosiva. Ma, d'altronde, non era forse lei l’unica persona a portelo fare senza far scattare immediatamente l’ira del vicecapitano dei Demolition Boy?
-Stai andando da lui?- sussurrò, ma il tono era diverso la solito, dolce e gentile, c’era una venatura di freddezza e indisposizione che Ariel non aveva mai sentito, tanto insolito da stranirla il tempo di rendersi conto del significato della sue parole.
Voltò il capo e la guardò, ferma sulla soglia.
Lena teneva stretta nella mano infreddolita la coperta alzata sul petto. All’espressione remissiva ne era comparsa una indecifrabile.
-Sì.-
Lena abbassò lo sguardo angosciata. La dolce e innocente Lena nella sua ingenuità non riusciva a capire quel mondo meschino, ma, a differenza di tutti gli altri che lo abitavano, della sua stessa amata Ariel, lei era capace, riusciva a vedere l’amore come se risplendesse accecante, come una piccola stella nell’infinito artico e il livido buio dell’universo. Lo riconosceva e lo comprendeva, a differenza dell’altra. L’ingenua era Ariel, in verità quella che non capiva era proprio lei.
-… Ari!- riuscì a chiamarla in tempo, prima che i pochi centimetri di spiraglio scomparissero. La porta si riaprì. Ariel era ferma ad aspettare che parlasse.
-Tornerai, vero?- chiese in una supplica disperata.
-No.- insensibile e spietata come sempre, quella era la sua Ariel, nonostante il grande dolore che le aveva inflitto con quella sillaba. Ricadde stordita sul materasso, le mancava l’aria.  
Scattò a sedere però quando sentì la porta cigolare sui cardini e lo scatto della maniglia.
-Aspetta!- la voce le uscì rotta e sommessa.
Ma questa volta la porta non tornò ad aprirsi, non era arrivata in tempo. Ariel l’aveva ignorata, non le avrebbe dato una terza possibilità, tanto che si sorprese quando la maniglia si abbassò producendo lo stesso rumore di prima.
Supplicanti, imploranti, una muta richiesta di aiuto illuminava quegli occhi e una incrollabile luce fiduciosa nei suoi confronti li animava, fino all’ultimo, tenace, come allora, proprio come quella volta.
Quegli occhi turchesi che erano rimasti incollati tenacemente su lei invece che sul suo aguzzino in piedi di fronte a lei, Kai, pronto a sparare il suo primo colpo dalla CZ Vzor 52. Di lacrime non ne scesero quella volta, come ora.
Quella volta erano riusciti ad impietosirla, ma ora, ora aveva qualcosa di più importante a cui doveva dare conto.
Fece un passo indietro, ma un singhiozzo la fermò.
Lena, stava piangendo adesso e si mosse verso di lei disperata e tremante. Quel viso così bello contorto dalla disperazione più cruda, quella che non aveva avuto ad otto anni di fronte alla morte.
-Ti prego!- supplicò.
Le lacrime scendevano, gli occhi sfavillavano acquosi nella fioca luce provenente dalla porta aperta e quella della luna fuori dalla finestra, le labbra e la punta del naso si fecero rossi e umidi.
Ariel mosse un passo in avanti, e poi un altro, fermandosi infine davanti ai letti. Lena era in ginocchio davanti a lei. Si sporsero l’una verso l’altra. Sotto di loro Boris continuava a dormire ignaro.
Ariel attraverso per la prima volta con le dita i meravigliosi capelli di fiamma della compagna che venne scossa da un tremito quando le sentì sfiorarle la nuca.
Questa volta fu Ariel a baciarla, non Lena che non riuscì a bloccare le lacrime. Era la prima volta che Ariel donava un bacio a qualcuno, ed era a lei che ora lo stava dando.
Si aggrappò disperatamente al suo collo, le coperte scivolarono scoprendola.
Come era triste quel momento, dopo quel bacio, che così tanto aveva desiderato, se ne sarebbe andata per sempre. Avrebbe preferito non riceverlo, avrebbe preferito bramarlo per il resto della sua vita e subire la sua indifferenza anziché perderla. Era terribile quel bacio di addio.
L’amore è egoista, lo è sempre. Quando si ama tutto il resto non ha più valore, e lei lo sapeva bene, nel suo amore egoistico.  
Ariel le accarezzò il viso asciugando le lacrime copiose e, insensibile, ruppe quel contatto bruscamente, si mise dritta e Lena ricadde sfinita e afflitta.
Rimase nel silenzio più totale. La porta finalmente si richiuse per non aprirsi mai più.
E le lacrime continuavano a rigarle il volto silenziosamente.
Si accasciò sul letto accanto a Boris, aggrappandosi a lui.
Lo scosse forte. Ad un certo punto non ce la fece più a restare in silenzio.
Lo scosse chiamandolo ripetutamente, e questo si svegliò infastidito rivolgendole un’occhiata minacciosa. Le lacrime continuavano a scendere veloci le une sulle altre.
-Boris…-
 
 
 
 
 
 
 
 
Solo una, solo quella parola. Le luci artificiali lampeggianti brillavano intorno a lei, e tutto le parve surreale, il pensiero che le attraversò la mante veloce e limpido come un freccia la lasciò disarmata.
No, era un’assurdità pensare ad una cosa del genere. Che differenza avrebbe potuto fare una morte in tutto questo? Per giunta la morte di… Lena, insignificante e del tutto estranea a quel progetto?
Kai era il capitano, era il più forte, toccava a lui finire sotto gli esperimenti di controllo pervasivo, e a nessun’altro. La sua era stata una folle, folle visione, uno sprazzo di luce su un universo completamente anomalo e assurdo, illogico!
Ma era stato come se nell’arco di un nanosecondo la sua mente fosse stata illuminata da una consapevolezza totale, assoluta, una comprensione che superava quella umana e che le era sfuggita dalle dita come aria lasciandole quella stramaledetta consapevolezza sconclusionata: Lena.
Era lei la chiave di tutto.
Lena, la bella cortigiana decadente ma piena d’amore, cosa c’entrava con quel tasto che ora si apprestava a schiacciare? Cosa c’entrava con Kai, con lei, con tutto? Perché mai tutto sarebbe potuto andare diversamente?
Il suo sguardo torno a focalizzarsi su Kai.
Le sembrava di vedere correnti di energia attraversare il mondo, e si sentiva come un giocattolo tra le mani di Dio al quale era stato donato, per meno di un secondo, un terribile scorcio della sua infinita vista onnipresente.
“A poco inizieranno con gli esperimenti su di me, vero?” le aveva chiesto di ritorno dagli allenamenti mesi prima. Voleva una conferma, era un tipo vigile, non si lasciava sfuggire nulla il suo capitano. Lei sapeva la risposta, si occupava di quel progetto a livello di ricercatrice.
Annuì.
“Entra!” imperativo, si chiusero la porta della cella alle spalle.  
Si era seduto sul letto, per diversi minuti non aveva parlato. Era rimasto in silenzio, immerso nelle sue congetture.
“Devi impedirlo.” Le disse infine.
Non aveva battuto ciglio. I suoi animati e orgogliosi occhi viola li sentiva ancora addosso, e aveva continuato a vederli giorno dopo giorno lottare contro un'ombra bastarda che con onde possenti aveva iniziato a sommergerli e affogarli nell’apatia.
L’inespugnabile Kai Hiwatari, nella sua fortezza di orgoglio e integrità preferiva la morte ad un massacro simile della sua dignità.   
Imperturbabile lei. “Sarà fatto!” senza ma e senza se. Totale rispetto, totale fiducia nei suoi confronti.
E lui, lui la stessa identica cosa. Totale rispetto, totale fiducia per lei, la sua compagna. A chi altro chiedere se non a lei?
Nessuna discussione.
-Sarà fatto!- ripeté controllando per l’ultima volta i valori sul monitor.
Rosso, rosso, rosso.
Un solo colore. Un solo pulsante.
Lo guardò ancora, addormentato dentro la capsula di liquido trasparente. I capelli sospesi e immobili, gli elettrodi attaccati sul petto nudo e sulla fronte, il viso già coperto dalla mascherina. Che effetto le faceva? L’effetto di un uccello selvatico in cattività alla quale stavano asportando chirurgicamente, pezzo per pezzo, le ali.
-Addio compagno….- appoggiò l’indice sinistro sul pulsante. La mano destra sulla fronte nel saluto militare. -È stato un onore.-
Un solo colore. Un solo pulsante. Una sola, semplice pressione.
Le luci sul monitor iniziarono a lampeggiare allarmanti, dopo pochi secondi un allarme acustico acuto annunciò che aveva portato a termine i suo compito, il suo ultimo, unico e più grande gesto di amore e complicità. A questo, seguì un altro allarme che si diffuse per tutto il monastero.
No, non sarebbero arrivati mai in tempo.
Il suo cuore aveva cessato di battere, proprio come lui desiderava, gli aveva donato la morte, dolce e serena, ed era stata lei a farlo, violenta, spietata e sadica, le uniche cose che Kai aveva sempre disdegnato di lei. Anche la guardia di cui si era liberata pochi minuti prima aveva sofferto per mano sua. Ma quest’ultima volta, per lui, a lui, veloce, silente, dignitosa. Il suo piccolo regalo.
I passi dal corridoio si fecero assordanti. Kai era libero.
Sorrise al suo capitano Ari, per la prima e ultima volta, e rimase lì ad onorare la sua scomparsa con rispetto, pronta ad affrontare con la stessa dignità e fermezza la fine.
 
 
  
 
 
 
15 Aprile 1999
Hiwatari Kai ore 4:16, arresto cardiaco. Sepoltura presso il cimitero di San Grigorij
 
15 Aprile 1999
Mayer Ariel ore 10:04, fucilazione nel chiostro San Grigorij. Gettata nella fossa comune di Pecerska.

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Eccomi qui a fine capitolo. Volevo assicurarmi che tutto fosse chiaro a tutti, se così non è, beh, allora vi farò una mini spiegazione:
la ff nasce dal ”e se ari avesse impedito la morte della gemella di yuriy?” da qui cambia il destino di tutti cambia, yuriy muore per Lena, Kai non se ne va dal monastero e diventa capo dei demolition boy. Quindi è lui che viene sottoposto agli esperimenti che avrebbe subito yuriy nella serie reale, ma essendo orgoglioso e indomito, non sopportando di diventare un robot ai comandi di vorkof, chiede a ari (qui ho provato a fare intendere il legame che c’è tra i due, spero di esserci riuscita per chi non ha letto le longfic) di ucciderlo prima di perdere completamente se stesso.
Ari esegue la sua volontà e resta in attesa nel laboratorio per essere catturata e giustiziata, per mettere fina anche alla sua vita. Ho preferito non farle passare niente per la testa, il personaggio è cinico fino al midollo, non mi sarei persa proprio all’ultimo.
Ok, spero vivamente che non sia una grande stronzata. Se un giorno mi verrà l’ispirazione scriverò anche tutta la scena tra lena/boris/ari.
Adesso un bacione!!!!!
Ps: spero di riuscire ad aggiornare aoi ano sora, in questo mese ho provato a prepararmi per un esame ma non ci sono riuscita.
Pps:*_* il 19 esce harry potter!!!!!!!!!!!!!
 




   
 
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