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Autore: mistica    08/11/2010    5 recensioni
Fenrir smise di ridere, allungando le mani al cielo nel vano tentativo di accarezzare la luna, l'unica al mondo che non lo aveva mai abbandonato.
Lei lo aveva maledetto ma non aveva smesso di amarlo, accarezzandolo ad ogni plenilunio col suo bacio doloroso: poi, per salvarlo dalla disperazione, gli aveva donato la follia, nutrendolo di desideri insani.
Ora, era tempo di spezzare il loro legame.
Sorrise amaramente alla sua dea, mentre le dedicava un'ultima preghiera pregna d'amore.

[Fanfiction realizzata per il contest 'Le 22 stelle']
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Fenrir Greyback
Note: Otherverse | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Da VII libro alternativo
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I personaggi non sono miei, tutti i diritti riservati. La storia non ha fini di lucro.


Fanfiction realizzata per il contest 'Le 22 stelle', indetto da Souseiseki.




Numero 11: L'appeso
Bianco: valenza negativa


Vorrei dedicare questa storia al forum Hogwarts Memories,
agli utenti del passato e del presente.
A Bells, che ha donato a Fenrir momenti spensierati.
Ringrazio Acrux e Jingle Bells,
che mi hanno dato la forza di scrivere e di pubblicare
qualcosa di così doloroso.

Infine, dedico questo frammento della mia anima
al personaggio di Fenrir Greyback,
che ha conquistato il mio cuore.
Gli sarò sempre devota.






The late Fenrir Greyback


"Lasciatemi così. Ho fatto tutto il giro e ho capito.
Il mondo si legge anche all'incontrario.
Tutto è chiaro."
(Italo Calvino,'Il castello dei destini incrociati')




Denti aguzzi, crudeli e macchiati di sangue risplendevano sotto la tiepida luce della luna, scoperti da un sorriso adorante.
Correva, scoordinatamente, urlando il suo amore al gelido astro, mentre questo illuminava il suo ultimo cammino nella boscaglia oscura della Foresta Proibita.
Tra una falcata e l'altra, la creatura avrebbe voluto danzare di gioia e tornare indietro, a godere lo spettacolo macabro di corpi di Auror e Mangiamorte riversati l'uno sull'altro come marionette rotte.

L'Oscuro Signore era caduto!
Il solo pensiero gli faceva scorrere fiumi di adrenalina: risvegliatosi dal torpore dello Schiantesimo, aveva visto i Mangiamorte arrendersi e i buoni trionfare.

L'esito della battaglia non importava per nulla a Fenrir Greyback, così come non si curava delle sorti del suo branco: l'antica promessa di lottare al fianco di Riddle era sfumata con la sua morte.

Così scappava, inoltrandosi tra le tenebre, gustando avidamente la pazza felicità di non essere vincolato a ferree catene e di precipitare verso la propria fine, come una cometa dopo millenni di prigionia nel cielo.
Era libero.
Libero.
Libero da promesse, da aspettative, dall'intossicante fascino dell'Oscuro Signore.
Iniziò a ridere, in modo incontrollabile, condividendo la gioia stessa della sorridente falce di luna.


All'improvviso cadde, ritrovandosi a rotolare dolorosamente sulla terra umida decorata da pietre appuntite: si fermò, ritrovandosi sdraiato con le braccia spalancate ai lati del corpo e il volto puntato ancora al cielo.
E rise ancora e ancora, come se fosse la cosa più bella del mondo essere lì, a respirare a pieni polmoni il vago profumo della libertà!
Eppure non poteva non percepire nell'aria un vago odore, metallico e nauseante, di nuove catene: gli Auror si sarebbero accorti della sua assenza tra gli alleati di Colui-Che-Era-Stato-Sconfitto e lo avrebbero cercato, presto, spinti dal malsano desiderio di giustizia.

Fenrir Greyback non poteva che deriderli, perché lui aveva scoperto che a quel mondo non c'era giustizia... C'erano solo crudeltà e tanta, tanta follia.

Smise di ridere, allungando le mani al cielo nel vano tentativo di accarezzare la sua dea, l'unica che non lo aveva mai abbandonato.
Lei lo aveva maledetto ma non aveva smesso di amarlo, accarezzandolo ad ogni plenilunio col suo bacio doloroso: poi, per salvarlo dalla disperazione, gli aveva donato la follia, nutrendolo di desideri insani.

Ora, era tempo di spezzare il loro legame.

Sorrise amaramente alla dea luna, mentre le dedicava un'ultima preghiera pregna d'amore.
"Liberami anche dalle tue catene... non essere egoista. Lasciami andare..."
mormorò con voce roca, cavernosa, ma con un tono talmente dolce che non sembrò possibile che potesse appartenere ad una creatura così abominevole e mostruosa.

Quella notte, considerando la caduta di Riddle, poteva finalmente congedarsi dalla vita, liberando il mondo dal suo peggior carnefice.
Prima, però, Fenrir si sarebbe liberato dalla corazza disumana che la luna gli aveva cucito addosso, trasformandolo così in una bestia amorfa dal corpo possente, con lineamenti distorti dalla natura di lupo e il corpo foderato da una rada pelliccia, che a stento lo proteggeva dal freddo e dal dolore.
Non era più né un uomo né un lupo: solo un disperato, bloccato in un limbo tra le due nature, che si era lasciato conquistare da una lucida follia per non lasciarsi morire.

Ora poteva liberarsi della sua natura più oscura... E tornare a essere solo un uomo, per qualche istante.
Solo un uomo.
Gli occhi chiari e vacui in quel momento, dopo anni, rinacquero, tornando a brillare di un caldo color ambrato: la peluria scomparve e il corpo si assottigliò, ben proporzionato sotto la pelle dorata.
Il volto, segnato da cicatrici e da rughe d'espressione, si sciolse in un sorriso affascinante e sobrio, mentre la mano che prima cercava di accarezzare la luna sprofondava tra i folti capelli brizzolati, in un antico gesto forgiato dall'abitudine.

Fenrir Greyback ringraziò silenziosamente la luna, trovando pace e serenità nelle sue sembianze reali, quei panni che gli erano andati stretti da quando gli era stato sottratto il suo cuore... Da quando gli avevano portato via le sole persone al mondo che amava.
Sua moglie, Acrux, ed Evan Rosier, il suo migliore amico.
Fedeli Mangiamorte, si erano spenti con l'animo pieno di gloria e di amore per il loro Oscuro Signore, la stessa notte in cui era avvenuto il massacro dei Potter.
I buoni, armati del più presuntuoso senso di giustizia, li avevano strappati da lui... Lo avevano condannato alla solitudine.

Dedicò una lacrima amara al ricordo della sua bellissima Acrux, la sua sposa, la sua regina: prima che tutto finisse in tragedia avevano dei sogni, semplici, che sapevano di felicità... Una casa nuova, più grande, tanti marmocchi da sfamare, una vecchiaia spensierata insieme.
A loro non era stato concesso nulla di tutto questo... Lei si era spenta, perdendo la vita e i sogni di gloria, lasciandogli in eredità solo una tomba senza nome da accudire, da decorare ogni giorno con fiori di ciliegio.
Evan invece era andato in guerra confidando nella sua fortuna e nel suo potere, presuntuosamente convinto che l'inferno non lo avrebbe accolto così presto.
Avevano condiviso gioie e dolori, fin dall'infanzia, si erano protetti l'un l'altro dalla solitudine: il loro era stato un sentimento così incorruttibile che superava l'amore più profondo...

Poi era giunto Riddle, che aveva corrotto Rosier imbevendolo di potere.
Fenrir era rimasto neutrale, non potendo far altro che osservare con distacco le decisioni prese dalle persone a lui più care, senza trovare il modo di dissuaderle e far provar loro la sua stessa diffidenza nei confronti dell'Oscuro Signore.
Anzi, più volte Evan lo aveva pregato di unirsi alla sua causa, cercando di convincerlo con gli occhi brillanti di sogni utopici: tuttavia era riuscito a strappargli solo una terribile promessa, quella di continuare a lottare al fianco di Voldemort nel caso in cui avesse perso la vita in battaglia.
Così era stato: Evan era morto gloriosamente e a Fenrir era toccato mantenere la sua promessa.

Così, incapace di perdonare il mondo magico, corrotto e macchiato dal sangue di coloro che aveva amato, era diventato l'ombra dell'uomo carismatico e affascinante che molti avevano imparato ad adorare. Si era semplicemente trasformato nel mostro perfetto, il lupo cattivo tanto temuto dagli uomini nell'età della fanciullezza: aveva trasformato un mito nella realtà, e la follia era divenuta la sua droga, per non pensare più.
Guardandosi indietro l'uomo sospirò, provando un dolore improvviso al petto, ricordando tutti gli anni bui che erano seguiti.

...Con la vicinanza della morte, la sua razionalità stava risorgendo dalle ceneri della follia, permettendogli un'analisi accurata della sua vita, dal punto di vista dell'uomo e non della belva che c'era in lui.
Non gli piaceva, quello che vedeva tra i suoi ricordi... Aveva condannato e ucciso, indiscriminatamente, rendendo sua ragione di vita la vendetta contro il mondo intero.
Aveva creato un branco formato da uomini malvagi come lui: li aveva scelti per il loro potenziale magico e cresciuti lui stesso, mordendoli dal principio per educarli alla nobile arte del macello.
Aveva trasformato creature innocenti in mostri sanguinari, crogiolandosi nel sogno di un branco invincibile, capace di conquistare ogni cosa.
In nome di questo desiderio aveva sotterrato l'ascia di guerra con Riddle quando era tornato, si era alleato con lui e aveva accomunato le loro cause: eppure quella soluzione gli aveva fatto smarrire ogni traccia di buon senso e dell'antico orgoglio.
Si era sottomesso a Riddle più di quanto avrebbe voluto.
Aveva rinunciato ad ogni possibilità di redenzione e ora che i buoni avevano trionfato sui cattivi, per lui non ci sarebbe stata più speranza, né ragione di vivere.

Sorrise alla luna, rivolgendole un sorriso gentile che si allargò anche agli occhi, brillanti di razionalità e di lacrime amare che si ostinava a trattenere.
Aveva sbagliato tutto, nella sua esistenza e ora non aveva più via di scampo: dal più sfrenato orgoglio era passato alla vergogna.
Ed ora tutto ciò che gli rimaneva era un incantevole pallida luce notturna, che si limitava a baciarlo col tocco crudele dell'Inferno.
Sarebbe morto provando compassione per se stesso, rimpiangendo il regime tirannico della follia.
La passione non gli era ignota, ma mai aveva provato un desiderio così struggente per qualcosa: aveva abbandonato ogni speranza ed era pronto a dire addio alla trama peccaminosa della sua esistenza.

Afferrò la vecchia bacchetta riposta nella sua tasca, osservandola solennemente: emanava potere, così fremente da bruciare tra le sue dita. La sua magia ardita era perfetta per concludere i suoi propositi e far cessare la febbre di ricordi che rischiava di farlo nuovamente impazzire, sopprimendo quegli attimi di razionalità.

Non c'era più tempo per pensieri tormentati.
Non c'era più tempo per Fenrir Greyback.

Un sussurro tormentato e una luce rilucente, verde come la speranza, accompagnarono il bacio della morte.
Così il sorriso del vecchio Grayback si spense per sempre, mentre la luna silenziosamente piangeva rugiada per il suo amore perduto, vegliando sul suo sonno eterno.




Beh, forse c'è un Dio lassù
ma tutto quello che ho imparato dall'amore
è come colpire qualcuno che ha sfoderato le armi prima di te.
Non è un pianto che senti di notte,
non è qualcuno che vede la luce.
E' un freddo e grave Hallelujah.
(Jeff Buckley, Hallelujah).



Note dell'autore



Questa fanfiction è stata scritta con angoscia attraverso le lacrime, con un cuore palpitante affetto, come se stessi scrivendo le ultime memorie di una persona amata profondamente.
Nelle righe del racconto ho voluto raccontare brevemente la storia di Fenrir Greyback e la sua redenzione: badate bene, il Fenrir di cui avete letto non è quello a stento citato dalla Rowling, non è solo il mostro dalle sembianze disumane assetato di sangue... E' un essere umano folle e disperato, che ha perso tutto, anche l'ultima ragione di sopravvivere.
E' un uomo corrotto dalla pazzia, intrappolato in sembianze mostruose, metà uomo e metà lupo anche negli istinti.
Che cosa può ridurre un uomo, per quanto licantropo, in condizioni simili?
L'amore. O meglio, la perdita di esso.
Attraverso un forum, Hogwarts Memories, ho imparato a guardare Fenrir con occhi nuovi, giudicando non solo il suo presente al tempo di Voldemort, ma anche il suo passato. La fantasia di un utente ha forgiato il ritratto di un personaggio complesso ma mai contraddittorio: ho amato le tinte solari della sua giovinezza, quando in lui dimoravano solo un grande fascino, malizia, arroganza e al tempo stesso insicurezza. E poi... L'ho visto crescere, assumersi responsabilità, amare.
Mi sono sentita coinvolta dalla sua continua lotta interiore, dei suoi sforzi per essere una sola cosa col lupo: mi ha insegnato che si può convivere con il proprio lato oscuro, che bisogna accettarsi e controllarsi.
Una volta divenuto un uomo carismatico e affascinante, leggermente curvo sotto il peso di dolorosi fardelli, l'ho visto vacillare: in fondo a quegli occhi dorati, dietro la maschera di perenne allegria, ho intravisto le due possibilità del suo futuro... Il buon padre di famiglia e il mostro, assetato di sangue.

Così mi sono ritrovata a immaginare il suo futuro, ipotizzando la perdita delle sole persone da lui amate, la fidanzata Acrux e il migliore amico, Evan Rosier: in quel mentre ho conosciuto il mostro, folle e avido di sangue, incapace di intendere e di volere. Ho visto un uomo solo e disperato, col cuore straziato, che si lascia sopraffare dalla natura diabolica del lupo, che si arrende nel corpo e nel fisico, assumendo sembianze disumane anche senza luna piena.
Un uomo solo, che nella perdizione ha trovato la cessazione del proprio dolore e la protezione dei frammenti del suo cuore.

La carta dell'appeso (o dell'impiccato), intesa anche solo negativamente, gli si calza addosso perfettamente: dopo la caduta di Voldemort, libero a sua volta da antiche promesse strette con Rosier, può finalmente togliersi la vita, non avendo più ragioni per andare avanti...
Fenrir è a un vicolo cieco, anche perché teme di perdere la libertà appena ottenuta: prima di uccidersi, si concede qualche istante per tornare in sé, abbandonare le spoglie del mostro e ragionare semplicemente come l'umano fragile in lui.
Così ricorda il passato, i progetti mai realizzati, le persone perdute, le crisi e il labirinto di emozioni che lo avevano portato alla pazzia.
Guarda i suoi errori, giudica se stesso, come solo l'impiccato sul punto di morte può fare, osservando il mondo da un'altra prospettiva: compie così una vera e propria catarsi, passando dalla follia alla lucidità più amara.
Ricorda e sopporta, con dolore, confidando nel pallido amore della luna piena.
Ma il tempo non basta per uno scrupoloso esame di coscienza: ed è alla luce pallida che ho concesso l'ultimo bacio a Fenrir Greyback, un'allegoria del bacio di addio che avrei voluto donargli io stessa, in quanto colpevole artefice di sofferenze quanto l'astro stesso, almeno in questa storia.

Amo Fenrir Greyback e spero che lo amerete follemente anche voi.



Grazie per essere giunti fin qui.
Con affetto,

Miss


  
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