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Autore: Natalie Baan    17/11/2005    0 recensioni
Un assalto al network dell’Istituto CLAMP… e Satsuki si trova di fronte al programma più misterioso e straordinario che abbia mai visto. O almeno, questo è quello che pensa lei… Ma un software può cambiare un mondo, può riscrivere il destino?
Genere: Triste, Science-fiction, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Satsuki Yatoji
Note: Traduzione | Avvertimenti: nessuno
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“Beast, piantala di fare lo stupido!” Satsuki si buttò dietro le spalle i capelli raccolti in una piccola coda e si piantò le mani sui fianchi, lo sguardo accigliato dietro le spesse lenti degli occhiali. Impenitente, Beast diede un sibilo e ripeté il suo messaggio d’errore, le parole che brillavano di una debole luce bianca su uno degli schermi esterni. “Lo so che non c’è abbastanza spazio sul disco! Basta che segui la lista di priorità che ti ho dato e copi quello che c’entra.” Per la terza volta nel giro di dieci minuti, il computer fece un’ennesima scansione -cosa che quasi la stava facendo impazzire- dell’unità rimovibile che gli aveva collegato, e Satsuki sospirò a denti stretti. Era nervosa e aveva fretta –sicuramente Beast se n’era accorto. Era davvero il momento migliore per mettersi a fare il capriccioso!

Forse però non poteva dargli torto. L’unica cosa che il computer sapeva era che la ragazza si stava comportando in modo anomalo, e non riusciva a capire perché. Ma come poteva spiegargli qualcosa che non aveva compreso neanche lei stessa?

Che cos’era che le aveva fatto decidere di lasciare i Draghi della Terra?

 

 

Magician

una fanfiction su X e CLAMP Detective

di Natalie Baan   (traduzione di Shu)

 

Parte terza

 

 

Dopo aver estratto un altro paio di dischi da una scatola, la richiuse con le dita che tremavano solo in maniera quasi impercettibile. Non aveva ancora detto ai computer della sua decisione –non  l’aveva detto a nessuno. Le era già capitato con i Massoni, sapeva che tirarsi fuori da società di quel genere era maledettamente molto più difficile che entrarvi. Ben conscia com’era del valore dei suoi poteri, e ben sapendo che gli altri non l’avrebbero lasciata andare, non voleva fare neanche il più piccolo errore di calcolo.

Effettivamente, avrebbe potuto già essersene andata da un bel pezzo –avrebbe potuto semplicemente uscire dal portone principale del Palazzo del Governo e sparire nella folla cittadina. Sarebbe stato risibilmente facile, e nessuno avrebbe sospettato nulla. Ma Beast, il prodigio tecnologico che aveva creato con tanto amore, aveva un solo, immenso inconveniente: non era trasportabile, neanche nelle sue fantasie più folli. Ovviamente poteva ricostruirlo, e avrebbe dovuto farlo comunque, ma non poteva rassegnarsi a perdere tutto quello che aveva creato dopo tanto lavoro. Se fosse riuscita a copiare almeno le sezioni di codice più essenziali si sarebbe risparmiata infinite ore di ricostruzione…

Ma a parte il suo computer, se ne rendeva conto adesso, non c’era niente di speciale che la legasse a quel luogo. Non si era unita ai Sette Angeli per qualche ragione in particolare: solo perché era nata con quel potere, e perché non sopportava più la noia del mondo normale. In realtà, non si era mai veramente interessata all’esito o alle conseguenze della battaglia finale, e per quanto riguardava gli altri Draghi della Terra… pensò a Yuto, e avvertì una minuscola, tremula esitazione, come uno sfumato battito d’ali dentro al petto. Forse avrebbe voluto… se l’avesse saputo prima… forse aveva provato qualcosa di simile per lui.

Se avesse capito davvero cosa significasse sentirsi spostare sotto i piedi il centro di un universo.

Ma, in fondo al suo cuore, sapeva che per Yuto sarebbe sempre stata la “piccola Satsuki”. Lui, vivendo nel presente e percorrendo senza pensieri i giorni l’uno dopo l’altro come faceva, non aveva nessun vero interesse; non c’era nulla di cui gli importasse abbastanza da farlo fermare per porvi seriamente attenzione. Era stata così anche lei un tempo, se non soddisfatta di questo quasi quanto lui: le cose erano per lei tutte sullo stesso, identico piano. Ma, seppure suo malgrado, era stata fermata, e lo shock di questo fatto aveva colpito il suo mondo come un irreparabile guasto di sistema. Quel momento aveva diviso tutto il suo universo in ‘prima’ e ‘dopo’, e lei poteva intuire solo che, da quel punto di svolta in poi, tutto era cambiato.

Da quell’istante in cui, immobile, era stata trafitta dalla contraddizione, dal vedere ogni cosa sotto una nuova luce…

Scosse la testa, e si tolse il camice da laboratorio, appendendolo poi nell’armadietto del piccolo magazzino ricavato in una curva, alta parete della stanza di Beast. Il suo istinto le diceva che in quel momento era inutile cercare di analizzare più a fondo la situazione –era ancora troppo nuova per lei, non poteva averne una visione d’insieme lucida e distaccata. L’unica cosa che poteva fare era quella che stava facendo: cercare un modo per cominciare ad andare avanti. Con un po’ di fortuna, ad un certo punto nel corso della decisione sul da farsi, tutto quel caos sarebbe ricaduto nell’ordine, come miriadi di sottofunzioni che trovavano tutte il loro posto nel perfetto gioco d'incastri che dava vita ad un software.

Almeno, era così che funzionava in programmazione.

Quando le cadde l’occhio sul monitor esterno, Satsuki aggrottò le sopracciglia: per tutto il tempo in cui se n’era stata con la testa fra le nuvole come una scema, Beast era rimasto là con un innocente messaggio di SEI SICURA DI VOLER COPIARE QUESTO FILE? a decorargli lo schermo. Piccolo testone… esalando un sospiro in una nuvoletta bianca di gelo nell’aria condizionata, Satsuki tornò verso il computer. “E va bene, Beast. Aspetta che arrivo.”

“Qualche problema?”

Quella voce… si girò a guardare in viso l’intruso prima di averlo riconosciuto del tutto, e senza preavviso il cuore le diede un balzo e una stretta, come se qualcuno l’avesse colpita con una scossa elettrica. Uno sguardo calmo e posato che sembrava poterle vedere dentro, un sorriso che inarcava un angolo di quella bocca sensuale… la gola le s’irrigidì come per respingere qualcosa che le irrompeva con violenza dal di dentro, e per un istante di allucinazione una sottilissima voce stupefatta le fluttuò nella mente –perché, è esattamente identico a…

Il Kamui dei Draghi della Terra la osservava dall’ombra sotto il basamento del supercomputer, in uno sguardo di occhi scuri e divertiti.

No. Non somigliava per niente.

“Nessun problema.” rispose, e si strofinò le braccia, per fortuna c’era l’aria gelida a darle un motivo valido per avere la pelle d’oca. Restituì a Kamui quello che nelle sue intenzioni doveva essere uno sguardo normale, solo un po’ ostile, così, senza ragione. “Semplicemente un po’ di ordinaria manutenzione.”

“Vedo.” Il ragazzo prese a passeggiare in giro per la stanza, avvicinandosi a lei nel debole scricchiolio che le sue scarpe da ginnastica facevano sul pavimento di metallo. “E come vanno le cose con i computer dell’Istituto CLAMP?”

“Ancora non sono riuscita a entrare nel loro sistema, hanno un buon apparato di difesa.” All’avvicinarsi di lui, Satsuki si allontanò immediatamente, con la scusa di rimettere a posto i dischi nel magazzino: la sua irritazione non era poi del tutto simulata. Sentì i passi fermarsi quando le erano praticamente arrivati addosso, lui era abbastanza vicino da poterne avvertire la presenza, una sorta di greve pressione a opprimere l’aria. Chiuse la porta del magazzino e si voltò di nuovo a guardarlo, sostenendo il suo sguardo senza battere ciglio. “Ma ce la farò.”

“Mmm.” A vederlo camminare così, trascinando i piedi, con le mani in tasca, aveva l'aspetto di un normalissimo giovane uomo, alto, forse dall’aria vagamente non troppo per bene; ma quando quegli occhi guardavano dentro ai suoi, parevano nascondere un fuoco senza luce, un calore che le succhiava via l’aria dai polmoni. “Lo spero.”

Satsuki si rese conto di avere la bocca aperta; la richiuse, e si strinse nelle spalle. “Sono solo normali esseri umani. Normali computer.” Le parole sembravano uscirle dalle labbra impedite, con dolorosa lentezza, quasi dovessero farsi strada con difficoltà contro l’impaccio della paura e dell’adrenalina. “Non possono reggere il confronto con me e Beast.” Kamui le sorrise come se quella fosse una buona battuta che stavano condividendo, e il suo sguardo lasciò gli occhi di lei per scivolare sul resto della sua figura, in un’occhiata indolente, che consumava come fuoco. La ragazza si trattenne dall’incrociarsi le braccia sul seno; girò sui tacchi, e balzò fino raggiungere la sommità del Beast, con un movimento leggero che affettava disinteresse, come se si fosse semplicemente già stancata di parlare con lui, e, oh dio, fa’ che non capisca che stava fuggendo verso il suo unico rifugio sicuro. Si chinò a sfiorare il touchpad per aprire l’abitacolo.

“Chi è ‘Magician’?”

Il gelo del metallo le bruciò le ginocchia e la mano che si era aggrappata al Beast; tutto il mondo sembrava ridursi al selvaggio rombare del sangue sotto la sua pelle. “Cosa?” Si gettò uno sguardo alle spalle, e Kamui fece un pigro gesto col mento. Satsuki guardò nella direzione indicata, e lesse le parole apparse sul monitor, e se le sue dita non fossero state paralizzate in uno stato prossimo al rigor mortis sarebbe sicuramente scivolata giù dal supercomputer, in preda al panico.

AIUTARE KAMUI AIUTARE BEAST UCCIDERE MAGICIAN UCCIDERE UCCIDERE…

“Un Drago del Cielo.” Stupida bocca impastata che non voleva funzionare a dovere, stupida biochimica che le offuscava le percezioni con le sue ataviche reazioni di correre, combattere, nascondersi… “Si è messo in mezzo l’ultima volta che abbiamo tentato di entrare nei computer dell’Istituto CLAMP. L’onmyouji… quello contro cui hai combattuto anche tu, quel giorno.”

“Nessun problema, allora?” C’era un sorriso sarcastico dietro quelle parole, e Satsuki lo guardò di traverso, fieramente contenta di provare rabbia, un sentimento abbastanza vicino alla paura da poterle servire per scaricare la tensione. “Serve una mano?”

“No, non mi serve.” Si riaggiustò gli occhiali sul naso. “Ho ancora da controllare alcune cosette, e poi andrò a finire il lavoro. Se vuoi farti un giro qui intorno, fa’ pure, ma non c’è un granché da vedere.”

Le mani di Kamui scivolarono fuori dalle tasche e presero a giocherellare con qualcosa, un nastro di tessuto blu scuro che aveva tirato fuori lentamente tra le dita. “Credo che aspetterò.”

Satsuki tenne per un lungo momento lo sguardo fisso sulla familiare cravatta da uomo con cui il ragazzo stava giocherellando.

“Bene.” disse poi. “Come preferisci.” Si girò dandogli le spalle e posò la mano sul touchpad, e in quel contatto avvertì acuta l’angoscia di Beast e le sue impellenti domande –la sua agitazione per una circostanza che non rientrava nei suoi parametri, il suo modo meccanico e confuso di percepire il tradimento. Sospirò profondamente, sforzandosi di controllarsi. “Beast, sono io, apri.”

Si sporse attraverso l’interfaccia del pannello ed entrò in connessione con Beast, un intimo tocco, un intimo comando. Pur essendo a disagio, il computer le rispose, come doveva. Il tettuccio si alzò con un sibilo, e lei si lasciò cadere all’interno dell’abitacolo, dando poi un colpetto sui controlli interni per farlo richiudere dietro di lei. Scivolò nel sedile, si strinse le ginocchia al petto circondandole con le braccia, senza riuscire a smettere di tremare. Era ben conscia del fatto che Beast si era accorto di tutto, un piagnucolio quasi subliminale in fondo alla sua mente che attendeva con ansia di essere rassicurato. Era questa la cosa che, più di ogni altra, le impediva di finire completamente in pezzi.

Sapeva di non poter contare su Beast per comprendere tutto questo.

“Aspetta.” gli sussurrò. “Fa’ silenzio e aspetta. Tempo un secondo e ti darò l’input che desideri.” Si premette la fronte contro le ginocchia, con la montatura degli occhiali che le affondava nella pelle del viso. Un paio di minuti dopo risollevò la testa, quel tanto che bastava per guardare i monitor. La telecamera di sorveglianza puntata verso il basamento era in funzione, e mostrava quello che stava giù a terra, al di sotto del guscio corazzato di Beast.

Il Kamui dei Draghi della Terra era là, a fissare diritto nell’obiettivo: uno sguardo preciso al millimetro, come se potesse vederla.

Lentamente, Satsuki si drizzò e riappoggiò la schiena al sedile. Sentiva il petto alzarsi e abbassarsi al ritmo dei suoi respiri poco profondi, un movimento che non andava a tempo col battito ancora impetuoso del suo cuore. Fissò lo sguardo in quegli occhi –non somigliavano affatto a quelli del Kamui dei Draghi del Cielo, quegli occhi che sembravano risvegliarle qualcosa dentro, chiamare all’esistenza prospettive nuove e meravigliose. Questi invece racchiudevano solo un vuoto, un vuoto che desiderava dissolvere ogni cosa nell’immagine di se stesso.

Lo stadio ultimo del non essere, l’infinita e indefinita potenza che precedeva la creazione di questo mondo, e che ad esso sarebbe sopravvissuta.

Keter, la Corona delle Sephiroth.

Colui che rappresenta la maestà divina…

Satsuki chiuse gli occhi, e col pensiero spostò la telecamera. Beast era un borbottio quasi inaudibile in attesa intorno a lei. Rimase seduta così mentre il battito cardiaco rallentava la sua corsa, e insieme ad esso acquietò anche i suoi pensieri, riportandoli fermamente a concentrarsi sulla magia o sul codice. Rifletté attentamente sulla sua decisione prima di riaprire gli occhi, e la portò in cima alla mente in modo che Beast potesse rilevarla.

“Ok, Beast.” sussurrò. “Adesso andiamo.

Adesso andiamo a uccidere ‘Magician’…”

 

*****

 

Suoh sedeva perfettamente diritto contro lo schienale rigido della sedia d’ospedale. Teneva le mani appoggiate sulle gambe senza muovere un dito, i suoi occhi dorati guardavano lontano, con le palpebre per metà abbassate che quasi nemmeno sbattevano. Il rettangolo di luce intensa che il sole proiettava sul pavimento attraverso la finestra della stanza di degenza si spostava centimetro dopo centimetro. Con l’assoluta e immobile compostezza da guardiano di un tempio, egli seguiva quella luce strisciante con la stessa attenzione con la quale coglieva ogni dettaglio che gli attraversava la vista, nello sguardo di pazienza che pareva inesauribile con cui osservava la camera e il suo unico occupante.

Ma dentro, bruciava d’angoscia.

Eppure rimaneva immobile, perché non c’era altra cosa che potesse fare in quel luogo, se non stare all’erta nel caso Nokoru avesse bisogno di lui. Di regola, non era permesso a nessun altro oltre ai dottori e agli infermieri di stare una stanza di degenza così poco tempo dopo un’operazione, ma chi lavorava per gli Imonoyama era abituato alle eccezioni. Anche se non poteva fare niente, Suoh sapeva con dolorosa certezza che non sarebbe riuscito a stare in nessun altro posto. Non poteva, semplicemente non poteva lasciare il fianco del suo Direttore, come una spada non può far altro che esser brandita in battaglia.

Anche se fosse stato vero che il mondo si stava avviando verso la fine…

Poi si concesse un attimo di distrazione per dedicare un pensiero di comprensione ad Akira, che era rimasto ad occuparsi del centro computer. Akira, il leale e tenace Akira, che di sicuro avrebbe disperatamente voluto stare vicino a Nokoru, ma aveva detto a Suoh di andarci lui, e che sarebbe rimasto a controllare le difese… Suoh si vergognò al pensiero di come aveva abbandonato l’amico, di averlo lasciato lì a guardare, in inutile, solitaria sorveglianza contro gli attacchi nemici. Ma Akira era sempre stato quello generoso, quello che metteva i propri desideri dopo quelli di tutti gli altri… mentre l’imperativo che spingeva Suoh era un’esigenza interiore, egoistica come il bisogno di respirare.

La necessità di proteggere quell’unica persona senza la quale, per lui, il mondo non avrebbe avuto alcun centro e alcuna luce…

Sedeva lì come in contemplazione, a vegliare sul sonno della figura priva di sensi dentro il letto. Un groviglio di tubi e fili correva verso apparecchi che facevano udire bip a intervalli regolari, che monitoravano la respirazione artificiale e i fluidi nelle flebo, che controllavano e ricontrollavano senza sosta il pacemaker impiantato accanto al cuore danneggiato. Suoh strinse i denti per fronteggiare un debolissimo, riottoso tremore. Appena avesse avuto la certezza che il suo Direttore era fuori pericolo, sarebbe tornato all’Istituto e avrebbe dato il cambio ad Akira. E quando quella guerra fosse finita, avrebbe distrutto quel maledetto apparecchio d’interfaccia sperimentale.

Con le sue stesse mani.

 

*****

 

Contorcendosi come serpenti, i cavi di connessione strisciarono fuori dall’ombra e trafissero la ragazza, fino ad affondare simili a radici sotto la sua pelle. Il bianco accecante dello shock della fusione, dolore misto ad estasi, era esattamente lo stesso di sempre. S’inarcò gettando la testa all’indietro, mentre solleciti fili le sollevavano gli occhiali dal viso, sostituendoli con il visore. Subito informazioni cominciarono ad affluire e affollare il suo campo visivo, e lei inviò una raffica di comandi a Beast per ordinargli una scansione completa di tutte le parti del sistema in vista della battaglia. Poteva sentire il computer pulsare con rinnovata soddisfazione –contento adesso che aveva ricevuto le sue istruzioni, ordini familiari che poteva trattare ed eseguire. Mentre Beast era occupato, Satsuki passò rapidamente in rassegna tutti i dati che avrebbero potuto servirle, distraendosi con semplici nomi, luoghi, statistiche, riempiendo la mente in modo da non lasciare spazio ai pensieri. Alla fine, gli schermi del computer tornarono vuoti, pronti a ricevere ordini; e, suo malgrado, le dita di Satsuki erano tese sui braccioli del sedile.

“Okay, Beast.” mormorò. “Andiamo!”

E poi, fu un subitaneo flash delle sue percezioni dentro a quelle di Beast –la strada che si spalancava davanti a loro, non appena fu stabilita la connessione, come una serie di portali, uno switchpoint dopo l'altro, finché non trovarono l’aggancio che portava all’ingresso dell’Istituto CLAMP. Ed erano già entrati, ancor prima che la mente di lei avesse avuto il tempo di accorgersi del passaggio; così giunse là, ad osservare quella lunga, fluida fila di dati immersa in quello che i protocolli di rete del suo computer davano per non-spazio illeggibile. Beast stava lì, in attesa, mentre Satsuki cercava di raccapezzarsi…

… e poi, saltò giù…

Saltò giù senza mantenere nessun legame di sicurezza con l’esterno, in caduta libera attraverso il passaggio. La corsa verso il sistema dell’Istituto CLAMP non era per niente diversa dalle altre volte, tranne per il fatto che la presenza di Beast andava allontanandosi rapidamente alle sue spalle, finché cominciò poi a sparire dal raggio dei suoi sensi: sentiva l’eco distante di un richiamo stupefatto che si smorzava fino ad abbandonarla. Poi si concentrò sul firewall, e dopo averne abbattuto a forza di colpi il fronte d’onda, lo vide dilatarsi fino ad occupare l’intera visuale degli occhi della sua mente, come fosse un terreno solido verso cui stesse precipitando. Protendendosi in avanti con tutto il suo essere, con tutte le sue forze, inviò ad esso l’impulso della sua volontà, quel modo di entrare in contatto che superava tutti gli standard di hardware e telecomunicazione. Un lembo del muro svanì, e lei continuò la sua caduta attraverso il portale scintillante, mentre ancora nella testa le fluttuava il sottofondo di un lontano ululato, un lamento fatto di rabbia, di perdita, di non capire.

***SATSUKI***

Penetrò nel sistema dell’Istituto CLAMP e quel grido tacque, come del resto ogni altra traccia del mondo esterno svanì ad un tratto.

Pace.

Continuò a cadere giù attraverso livelli e livelli di correnti d’impulsi elettronici, fiumi di nuvole fatte di lucidi segnali in rapido movimento che nascondevano un significato dietro la trama della loro danza. Prima, non era sicura di poter fare una cosa del genere –non era sicura di poter estrarre completamente la coscienza dal corpo in quel modo. Ma se era riuscita ad attirare l’anima di un’altra persona dentro al suo sistema, al punto da scambiarla poi per un programma… la sottile materia di pensiero di cui era composta mandò una fitta acuta, una sensazione che, anche se non sapeva in che modo, registrò come dolore. Ripensandoci, aveva voglia di prendersi a calci per essere stata così stupida, così ciecamente convinta che Magician non potesse essere altro che un programma. Perché non le era passato neanche per l’anticamera del cervello che qualche altro essere umano potesse penetrare all’interno dei computer come faceva lei, anche se per mezzo di una rudimentale, raffazzonata interfaccia mentale… Non l’aveva mai sfiorata neppure il minimo sospetto che potesse essere un uomo la cosa che la interessava così tanto, probabilmente perché, da qualche parte dentro di lei, in realtà non voleva sapere che era così.

Eppure, la cosa aveva perfettamente senso, adesso che ci rifletteva.

Chi avrebbe mai potuto desiderare di vedere il suo mondo messo completamente sottosopra?

Satsuki si costrinse ad allontanare il suo pensiero dal passato e dai desideri appena accennati, impossibili, che minacciavano di mandare in pezzi lo scopo vitale della sua volontà. Non credeva di avere ancora molto tempo a disposizione, e c'era parecchio da fare. Inoltrò una richiesta al computer, e in quel modo individuò un terminal vicino dotato di un programma di e-mail che poteva utilizzare per comunicare con l’esterno. Aprì l’applicazione, compose un breve messaggio il più rapidamente possibile, e lo inviò.

SEI IN PERICOLO

NON TORNARE AL PALAZZO DEL GOVERNO…

E questo era tutto quel che poteva fare per Yuto. Se era ancora vivo, il messaggio gli sarebbe arrivato in ufficio, e magari lui non ci avrebbe neanche fatto caso. E se era morto… beh, forse avrebbe fornito alla polizia un piccolo indizio su cui indagare, avrebbe costituito un minuscolo, insignificante inconveniente per il comandante dei Draghi della Terra. Quel bastardo aveva commesso un grosso errore…

Era davvero convinto che lei avesse creduto alla promessa che le aveva fatto intendere –che lei e Yuto sarebbero rimasti sani e salvi se avesse eseguito i suoi ordini?

Gradualmente, si accorse di una sensazione lontana, simile a qualcosa che la tirasse, come se un dottore stesse esaminando una qualche parte sotto anestesia del suo corpo. Quella tensione continuava a crescere, sempre più insistente, finché avvertì un debole ma decisivo strattone. Qualcosa si strappò, una lieve violenza che non le causò alcun dolore, ma riecheggiò attraverso tutto il suo essere. La fece vibrare, tentare di annaspare senza la facoltà di respirare…

Qualcosa d’impossibilmente necessario le era stato sottratto, e sentiva il suo essere cominciare a consumarsi, a sfilacciarsi. Brandelli di luce s’innalzavano e si dispiegavano dal punto dello strappo, una pioggia di minuscoli frammenti che si staccavano uno ad uno dal bordo.

E poi, la piena comprensione di cosa significasse quella perdita la colpì con forza, la scosse più della sensazione stessa.

Il suo corpo…

Per qualche motivo, non c’era più…

::beast:: sussurrò, anche se era solo una supposizione, non aveva modo di saperlo per certo. Beast era soltanto un bambino: era stato arrabbiato a sufficienza, e lei aveva sempre saputo che poteva essere dispettoso e malevolo. Sperava che si fosse trattato davvero di Beast, e che il computer nella sua rabbia e nella sua spettacolare esplosione avesse investito tutto quel che aveva intorno. Non osava aspettarsi di essere così fortunata da aver fatto crollare il soffitto della stanza addosso a Kamui, ma si aggrappava al vago conforto di immaginarselo almeno messo fuori combattimento per un po’; magari ferito, anche se solo lievemente, e senza più il suo mezzo più efficace per introdursi nella fortezza tecnologica degli Imonoyama…

Diafani fiocchi di luce, simili a scaglie di ali di farfalla, continuavano incessantemente a fluttuare via da lei. Si dissolvevano uno ad uno nel flusso di dati, e, per la prima volta, Satsuki provò paura. Una sensazione di un bianco fiammeggiante, accecante, puramente mentale, una paura che la invadeva senza distrazioni fisiche come il contorcersi delle viscere o il tremore delle mani.

Prima, aveva sempre saputo di poter esistere in quello spazio digitale finché il suo corpo fosse rimasto illeso.

Ma ora…

Dopo un momento, riuscì a ricacciare indietro il terrore abbastanza da far ritornare lucide le sue percezioni, e da poter ricominciare a formulare pensieri coerenti. Ma non poté chiudere del tutto fuori il dolceamaro struggimento della comprensione, del rendersi conto di quel che aveva trovato, e di quel che aveva perso. In passato, non gliene era mai importato niente di vivere o morire: erano la stessa cosa, entrambi irreali e vuoti.

Adesso, l’aveva capito, non voleva, disperatamente non voleva morire…

Mentre tratteneva se stessa, cercando invano di rallentare la fuga della sua essenza, aprì un nuovo documento e-mail. Prese a infilarci dentro dati con urgenza, a trascrivere tutte le informazioni che conservava nella memoria. Ogni parola che rilasciava era un dolore, perché quando la metteva per iscritto, l’aveva persa –sempre, sempre più brandelli di lei scivolavano via, ma continuava, risoluta, sperando almeno che il suo stupido sacrificio non fosse inutile.

    Ryouku Kanoe
    Ufficio del Governatore
    Nuovo Palazzo Metropolitano del Governo di Tokyo, Shinjuku

    Shiyu Kusanagi
    Esercito di Difesa del Giappone
    Caserma di Ichigaya

E poi ancora, ancora: altri nomi, le descrizioni fisiche che li accompagnavano, appunti su poteri e abitudini di vita, tutte le informazioni che aveva raccolto in giorni e giorni di ricerca, cercando di perfezionare il suo database, di adattarlo ai gruppi coinvolti nella fine del mondo. Li lasciò tutti nel suo documento, sentendosi sempre più leggera e meno presente; e dopo aver indirizzato il messaggio al cuore del sistema, lo inviò rapidamente. Aveva compiuto il suo dovere, ma adesso si ritrovò nell’insicurezza: la forza del suo proposito, che l’aveva sostenuta fino ad allora, si era staccata da lei, e mentre scivolava via pezzo a pezzo, un bisogno più profondo e più autentico cominciava a trasparirvi sotto.

Il tacito, dimenticato impulso che batteva il suo fragile ritmo al centro del suo essere.

Al suo cuore…

Lasciato il programma di e-mail, prese a vagare qua e là per tutto il sistema di computer, i messaggi e le funzioni delle applicazioni scorrevano come lampi alle sue spalle mentre vi passava in mezzo in volo. Si tuffò giù, trascinandosi dietro una coda scintillante di pensiero e memoria, come polvere di stelle. Accelerò e si allontanò di livelli normalmente adoperati dagli utenti del network per arrivare a sfiorare i macchinari laggiù sul fondo, lasciando che quell’imperativo passasse da lei ad essi come un silenzioso lamento…

::proteggere::

::questo posto::

::proteggere::

::questo Istituto CLAMP::

::proteggere::

::questa persona::

::proteggere…::

Cavo dopo cavo, circuito dopo circuito, tracciò più e più volte quel desiderio, incidendolo nella luce dell’anima, e di una vita che si spegneva. Lo impresse nei computer finché non lo accolsero da sé e cominciarono a adattare le loro funzioni di base per includerlo. Ancora, ancora e ancora –quella volontà che lei in prima persona non avrebbe  potuto realizzare mai irrompeva all’esterno, un torrente di sentimenti intensi scoperti un po’ troppo tardi. Si decise ad abbandonare quel fiume, incurante del prezzo adesso che le ondate di quella perdita  erodevano sempre più il suo essere. Lucidi, vasti scorci di ricordi le crollavano giù sprigionando bagliori come di specchi, lanciando lampi la cui caduta non poteva arrestare…

Il pavimento a scacchi bianchi e neri e il soffitto morbidamente arcuato della loggia massonica di Tokyo, stranamente illuminata da candele… i volti austeri degli uomini, tetri come se dovessero lottare per una squallida necessità.

La vampata accecante della magia, in corsa dall’ispirazione alla manifestazione, che errava con moto irregolare per le Sephiroth fino a sentire la tiepida fiamma di uno scopo raggiunto.

Il buio chiuso e vicino del grembo di un computer che pulsava nel bagliore intermittente dei led –un mostro bambino che veniva alla luce per lei, una stringa di codificazione scritta tutta in una volta con infinita attenzione.

I grattacieli di Shinjuku che scivolavano l’uno dentro l’altro, il fuoco e la notte…

Una grande mano che afferrava la sua, che, incomprensibile, la trascinava via –la sua sorda, ribelle rabbia, un “perché?” senza risposta…

…un Drago con le fauci spalancate, occhi neri in un’aura di potere, nera sete di libertà…

::papà?::

La luce del sole che pioveva giù mentre camminavano, tante foglie con tante dita al lato del marciapiede –il vento e gli alberi, simboli meravigliosi, se solo avesse potuto afferrarne il significato.

Quegli occhi blu che la guardavano, come se sapessero che lei ci sarebbe stata –come se avessero bisogno che lei ci fosse- un incontro, una risposta…

::tu::

Adesso, lei era una costellazione dorata di movimento in viaggio per il sistema, mentre ricordi e disegni infranti l’abbandonavano ormai del tutto –non le sarebbero serviti mai più. Ma continuava a guardare e guardare senza sosta, a vagare per il network, a cercare tra i macchinari…

Laggiù.

Si stava avvicinando all’oggetto della sua ricerca, più per tropismo che per altro –stanca, adesso, lasciò che il flusso del suo desiderio la trascinasse via, la trasportasse nel posto in cui voleva stare. Sfiorava i dati che le passavano intorno, i più andavano oltre la sua capacità di comprensione, ma qualche ultimo, tardivo istinto vi distingueva ciò che per lei era importante da sapere.

::i-mo-no-ya-ma::

::no-ko-ru::

Spinta da uno scintillio di sentimenti, un ricordo senza immagini, raccolse tutte le sue forze per un istante, e poi si buttò.

C’era un posto sicuro, un posto protetto da un mondo diventato troppo grande per lei, un posto fatto solo per lei.

E avvolgendo tutta se stessa attorno a quel ritmo senza fondo, sapendo che non sarebbe mai stata sola, si addormentò.

 

*****

 

“Rijichou!” esalò Suoh, saltando in piedi dalla sedia e attraversando la stanza in due rapide falcate. L’apparecchio che monitorava il paziente continuava ad emettere il suo suono mite e intermittente, in attesa che un’infermiera venisse a controllare se quell’istante di accelerazione del battito cardiaco fosse preoccupante. Le palpebre di Nokoru si erano sollevate, le ciglia umide brillavano; la sua mano annaspava, –così lenta e impacciata!- scivolava tentoni verso le bende che gli fasciavano il petto.

“Rijichou…”

“Silenzio, Suoh… non parlare.” La voce era un respiro spezzato, le dita tremavano incontrollabili sulle garze. “Sta passando… un Angelo…”

 

  
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