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Autore: RobTwili    10/11/2010    12 recensioni
'Candy' è una spogliarellista di un Night Club che ha problemi con la droga e non solo.
Robert è a Baton Rouge per le riprese di BD.
Se senza volerlo lui aiutasse lei a salvarsi dal baratro nel quale sta volontariamente cadendo?
Se involontariamente Candy aiutasse Robert senza che nessuno se ne accorga?
Dal primo capitolo: '«Ma che cosa stai cercando di fare? Chi sei? Che cosa vuoi da me?». Il suo tono così brusco mi lasciò esterrefatto.
Sembrava quasi inorridita dall’idea che io volessi aiutarla.
«Io voglio aiutarti, non voglio farti del male». Con il telefono in mano mossi un passo verso di lei.
«Aiutarmi? Tu vuoi aiutare me? Io non devo essere aiutata! Io sto bene come sono!». Rise sarcastica infilandosi le scarpe.'

STORIA BETATA
Genere: Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'My Redemption is Beside you'
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1 AVVERTENZE: questa FF ha contenuti forti, non prettamente sessuali ma per lo più riguardanti droga e situazioni che possono ruotare attorno al lavoro della protagonista (ballerina di lap dance in un locale per spogliarelliste). C’è una forte presenza di parolacce.
Tuttavia il rating rimane arancione perché credo che possa essere letta da tutti.
Nel caso qualcuno si sentisse offeso o considerasse i contenuti non adatti a questo rating provvederò ad alzarlo.
 
 


 
 




La serata che stavo passando non era di certo tra le dieci migliori della mia vita.
Nemmeno tra le dieci intermedie.
Probabilmente tra le dieci peggiori.
Kellan si era rifiutato di uscire per qualche stupido motivo, Jack in California per finire il tour con la sua band non l’avevo nemmeno preso in considerazione.
Alla fine ero uscito con Tom.
Ci eravamo ritrovati in uno stupido bar di Baton Rouge a bere come due ventunenni alla loro prima birra.
O forse come due tredicenni.
All’uscita dal bar entrambi i nostri corpi probabilmente erano pieni più di alcol che di sangue; non mi dichiarai completamente ubriaco, in ogni caso.
Fortunatamente per Tom, il suo albergo distava pochi isolati e aveva avuto la bella idea di incamminarsi a piedi lasciandomi fermo sul ciglio della strada ad aspettare un taxi.
Aspettai per minuti, forse ore, il tempo da semi-ubriaco non era di certo una costante per me.
Possibile che in centro a Baton Rouge non passino taxi?”
Lo stavo pensando tante, forse troppe volte quella sera. Mi girai incuriosito per fissare le insegne dietro di me.
Il locale in cui io e Tom ci eravamo rifugiati era accanto a uno strip-club, uno di quei locali che attiravano lui come il miele per gli orsi e che allontanavano me come l’insetticida per le zanzare.
Con la fama potevo permettermi tutte le donne, perché pagare per vederne una nuda?
Perché pagare per vedere un corpo in vendita?
Immerso nei miei pensieri non mi ero reso conto che un taxi era passato davanti a me senza nemmeno fermarsi.
«Cazzo!». L’esclamazione che mi uscì dalle labbra fu decisamente causata dall’elevato numero di birre dentro al mio corpo.
Se mi avesse visto Kristen in quello stato si sarebbe arrabbiata.
«Oh, al diavolo Kris! Non è nemmeno la mia ragazza! Non è nemmeno mia mamma!». Parlare da solo era indice di pazzia, tutti lo sapevano.
Mi girai verso il marciapiede e osservai per la quarta volta nel giro di pochi minuti quella squallida insegna luminosa su cui c’era scritto ‘Insomnia’.
Quale stupido locale per spogliarelliste avrebbe mai scelto quel nome?
Era un locale che non avrebbe mai vantato il mio nome tra i clienti, quello era poco ma sicuro.
Il mio cellulare in tasca vibrò. Lo presi, i pensieri in subbuglio, e lessi il messaggio.
Tom era arrivato in albergo.
Controllai l’ora sullo schermo.
Le 3.30.
Decisamente troppo tardi.
Il giorno dopo non avrei avuto riprese ma non era comunque una cosa buona ubriacarsi di sabato sera.
Un vociare alle mie spalle mi riscosse dai miei pensieri.
Una folla di uomini, ubriachi molto più di me, uscì dal locale per spogliarelliste.
Prestai poca attenzione a quello che si stavano dicendo.
Li sentii parlare di qualche spogliarellista con gli occhi color ghiaccio e di una con due tette da paura.
Un uomo ubriaco ha solo istinti primordiali.
Bere, mangiare, scopare e dormire.
Non necessariamente in un preciso ordine.
Guardai di nuovo la strada deserta e imprecai ancora.
A Baton Rouge evidentemente non circolavano davvero taxi.
Erano proibiti in quello sputo di città?
Se entro dieci minuti non ne fosse arrivato uno sarei andato a casa a piedi.
L’avevo deciso.
Poco dopo un nuovo vociare alle mie spalle attirò la mia attenzione.
Cinque donne decisamente poco vestite uscirono dalla porta oscurata dell’Insomnia.
Tornai a guardare la strada disinteressato totalmente a quella carne in vendita.
Non era una priorità guardare ragazze che vendevano il loro corpo.
«Sweet, ci vediamo a casa, Tony mi aspetta qui dietro per passarmi della roba». Non mi voltai per controllare chi avesse ridacchiato quella frase.
Il tono usato mi aveva fatto capire che la ragazza conosceva solo quel tipo di inflessione vocale.
Quello per sedurre.
Le voci si allontanarono ridendo e io mi accesi una sigaretta.
Guardai l’orologio.
Ancora due minuti e poi mi sarei fatto quel chilometro a piedi.
«Ehi, bellezza. Hai da accendere?» chiese qualcuno alle mie spalle, la stessa voce che aveva parlato prima, probabilmente.
Mi voltai e mi trovai davanti una ragazza minuta, ad occhio e croce di una cinquantina di chili, vestita solo con un misero top nero scollato e un paio di shorts di jeans troppo corti.
Annuii e sostenni la sigaretta con le labbra cercando l’accendino in tasca. Lo passai alla ragazza.
«Grazie. Ne ho proprio bisogno!» sussurrò e io abbassai lo sguardo sul suo viso.
Quando incontrai i suoi occhi capii le parole degli uomini che erano usciti dal locale.
Quella ragazza aveva gli occhi di un azzurro chiarissimo, quasi ghiaccio.
Prese il mio accendino e cominciò a scaldare un pezzo di carta stagnola.
«Ehi! Che cazzo fai?». Le presi l’accendino dalle mani e lo rimisi in tasca. Non potei fare a meno di allontanarmi da lei.
«Che ti prende dolcezza? Non mordo mica sai!». Fece un passo verso di me e sulle sue labbra si formò un sorriso stanco e tirato.
«Non ti do l’accendino per farti una dose, mi spiace!».  Scossi la testa innervosito.
Una sigaretta ci poteva stare, una canna anche, seppure con qualche riserva; una dose no.
«Calmati. Non importa, lo chiederò a qualcun’altro!». Sorrise confusa e mi girò le spalle incamminandosi verso un gruppetto di uomini poco distante da noi.
Sbuffando mi preparai alla lunga camminata verso il mio albergo quando sentii lo scoppio di una risata fragorosa. Erano risate maschili.
Avanzai di un altro passo ma quando sentii la voce della ragazza urlare non potei fare a meno di voltarmi.
«Lasciami! Lasciami, cazzo!». La vidi strattonare il polso, circondato dalla mano di un uomo.
«No, sei solo una puttana! Ti ho dato l’accendino e ora tu fai quello che devi fare! Muoviti!».  La strattonò verso il basso e la costrinse a inginocchiarsi.
Agii d’impulso, cominciai a camminare veloce verso di loro e sentii risuonare forte il rumore dello schiaffo che un uomo diede sulla guancia della ragazza.
La camminata diventò corsa, e quando arrivai gli uomini erano già scappati.
Mi inginocchiai davanti alla ragazza per accertarmi del danno, che in qualche modo era stato causato da me.
Se solo le avessi dato il mio accendino non si sarebbe avvicinata a quegli uomini, se così si potevano ancora chiamare.
Il labbro era rotto e sanguinante, il polso era arrossato, gonfio e il suo trucco colato per le lacrime che erano scese.
«Ehi, stai bene?».  Non sapevo se toccarla o rimanere a distanza.
«S…sì». Si alzò di colpo e, tremante, cominciò a zoppicare.
Mi sorpassò  e io mi girai appena in tempo per afferrarla prima che il suo corpo toccasse terra.
«Ehi! Ehi! Mi senti?». La voltai, stringendola con cautela.
Quando mollai lentamente la presa la sua testa ciondolò di lato.
«Cazzo. Cazzo. Cazzo. Svegliati!». La scossi leggermente di più e sentii un lamento.
Bene, almeno era viva.
Perché era incosciente?
Era dovuto alla dose di eroina o al bastardo che l’aveva schiaffeggiata?
Le sollevai il braccio per controllare e notai i piccoli segni lasciati dalla siringa. La luce del lampione sembrava sottolineare la pelle pallida intorno a quei buchi. 
Era ancora visibile il buco fresco di pochi minuti prima.
Portarla in ospedale non mi sembrava l’idea migliore.
Ma non potevo lasciarla in mezzo a una strada svenuta e con un labbro rotto.
Mi inginocchiai a terra e la feci sedere un attimo sul marciapiede.
Mi tolsi il giubbotto leggero e glielo infilai.
Le feci scivolare un braccio dietro la schiena e sotto le ginocchia prendendola in braccio.
La sua testa si appoggiò sulla mia maglietta che si macchiò del sangue del suo labbro.
A passo svelto mi diressi all’albergo. Nessuno fece caso a noi; incrociammo delle persone non si accorsero delle sue condizioni, i capelli per fortuna le coprivano il viso.
Arrivammo in un quarto d’ora; avevo il fiato corto.
Aprii la porta e la adagiai lentamente sul letto facendo attenzione a non svegliarla.
La coprii, mi ero accorto che stava tremando e lentamente le scostai i capelli dal viso.
Il labbro tumefatto le aveva sporcato tutto il mento in una striscia di sangue rappreso.
Mi diressi verso il bagno e, dopo aver preso un asciugamano e averlo imbevuto di acqua tiepida, cominciai a tamponarle il viso per pulirla.
Levata gran parte del sangue, mi fermai e i persi a guardare quegli strani lineamenti.
Non doveva avere più di vent’anni.
Un volto da bambina; il piccolo nasino che sembrava disegnato per quel viso, le labbra carnose e ricoperte da uno strato abbondante di rossetto che probabilmente erano state in grado di far sognare milioni di uomini, le sopracciglia dalla forma arcuata che richiamavano il castano dei capelli.
Era decisamente una bella ragazza.
Si girò di colpo sul letto, si scoprì e dopo un sospiro continuò a dormire.
La ricoprii e mi sedetti su una sedia poco distante dal letto.
Rimasi a guardarla per ore.
Mi alzai da quella sedia solo per prendere una bottiglietta d’acqua che riempii tre volte prima di vedere i suoi occhi aprirsi.
Si svegliò di soprassalto e si sollevò, mettendosi seduta di scatto.
«Che cazzo ci faccio qui?». Mi guardò e poi controllò che i suoi vestiti ci fossero ancora.
«Ieri sera ti hanno picchiata e quando mi sono avvicinato per chiederti se stavi bene sei svenuta tra le mie braccia. Tu non ti svegliavi… Ti ho portato nel mio albergo per riposare e controllare che fosse tutto ok». Guardai i suoi occhi pensierosi al mio racconto; poi si alzò in piedi di colpo.
«Ah sì. Ora ricordo». Annuì e si diresse a grandi passi verso la porta.
«Dove stai andando?».  Mi alzai di scatto dalla sedia con le gambe intorpidite: ero rimasto fermo troppo a lungo nella stessa posizione. «A casa». Si tolse il mio giubbotto e lo lanciò sopra al letto.
«Non puoi andare via così».  Scossi la testa sbigottito dal suo comportamento.
«Mi dispiace, ma non faccio servizietti gratis. Non farò nessun tipo di servizio perché mi hai raccolto dalla strada. Per quanto mi riguarda avrei potuto dormire un’altra volta in quella via. Hai sbagliato a capire e se mi hai portato qui solo perché pensavi che non ti avrei fatto pagare qualcosa mi dispiace deluderti ma non sono in orario di lavoro ora. Il mio turno comincia tra quasi tredici ore».  Non prese quasi nessun respiro mi sputò addosso i suoi pensieri decisamente opposti a quello che pochi secondi prima avevo pensato.
«No, quello che volevo dire io è che devi farti vedere da un medico. Il tuo labbro è in condizioni pietose, forse serviranno dei punti».  Mi avvicinai a lei che si scostò di scatto, come se avesse paura di un’aggressione da parte mia.
«Mi disinfetterò con un po’ di vodka. Starò meglio». Mi assicurò e si avvicinò ancora di più alla porta.
«Aspetta, lascia che ti accompagni all’ospedale».  Mi accostai a lei che mi guardò spaventata.
«Ospedale? Ospedale? E che cosa potrei mai andare a fare all’ospedale? Vedi le mie braccia? Secondo te cosa mi dicono all’ospedale? Mi guardano un taglietto su un labbro o preferiscono fissarsi su queste cose? Credi che io possa permettermi di andare all’ospedale?». Sporse le braccia e indicò tutti i buchi concentrati lungo le linee più scure delle vene.
«Posso chiamare un medico che venga qui e ti visiti senza che sia una cosa ufficiale, senza carte». Mi diressi verso il mio telefono dall’altra parte delle stanza.
«Ma che cosa stai cercando di fare? Chi sei? Che cosa vuoi da me?». Il suo tono così brusco mi lasciò esterrefatto.
Sembrava quasi inorridita dall’idea che io volessi aiutarla.
«Io voglio aiutarti, non voglio farti del male». Con il telefono in mano mossi un passo verso di lei.
«Aiutarmi? Tu vuoi aiutare me? Io non devo essere aiutata! Io sto bene come sono!». Rise sarcastica infilandosi le scarpe.
«Come ti chiami? Ti posso aiutare, veramente!». Rimasi fermo in attesa di una sua risposta.
«Non ti interessa come mi chiamo. Hai già fatto abbastanza. Pensi di avere qualche pretesa su di me perché mi hai fatto dormire per una notte su un letto di lusso? Be’, ti do una bella notizia, anche i marciapiedi del centro sono ottimi quando una ha sonno o è strafatta!». La durezza delle sue parole mi impietosì.
Per la seconda volta in meno di dieci minuti aveva rimarcato il concetto di aver dormito per strada.
«Ce l’hai una casa? Altrimenti posso prenderti una camera qui, puoi fidarti». In pochi minuti avevo sviluppato un istinto protettivo verso di lei.
Non ne capii il motivo.
Forse il bisogno di proteggerla era nato mentre la osservavo dormire come una bambina.
«Io non voglio niente da te. So come sono quelli come te, dicono di non volere nulla e poi pretendono tutto gratis. Mi dispiace, non ho bisogno di nulla e sto bene così. Se vuoi, solo per questa sera visto che mi hai fatto dormire in un albergo di lusso posso farti lo sconto del dieci per cento all’Insomnia. Altrimenti ti puoi arrangiare». Prese la sua borsa e abbassò la maniglia.
«Aspetta, come ti chiami?» chiesi ancora sperando in una risposta; mi dava le spalle, non potevo vedere la sua espressione.
«Stasera chiedi di Candy, arriverò». Si chiuse la porta alle spalle e io rimasi imbambolato a guardare il legno chiaro.
Aveva frainteso tutto.
Non ero minimamente interessato allo sconto del dieci per cento su una sua lap dance o peggio ancora; l’unica cosa a cui ero interessato era il suo stato di salute.
Quella ragazza doveva essere aiutata.
Qualcuno doveva aiutarla.
Io dovevo aiutarla.
 



Storia nuova, decisamente fuori dal mio solito registro, ci saranno toni duri e molte parolacce… non sono per niente sicura, quindi, se vorrete esprimere il vostro giudizio attraverso le recensioni sappiate che sono le benvenute! :)
La aggiornerò di venerdì, al posto di ‘Like a Fairytale…’.
Per ora non ho altro da dire… un bacione!


   
 
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