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Autore: suni    10/11/2010    5 recensioni
Scrivere la cartolina che gli annunciava la sua visita era stato qualcosa di logico, inevitabile. Un gesto spontaneo come lo stesso respirare, compiuto senza la minima incertezza nell'istante immediatamente successivo alla scoperta.
[...]Quando Alma gli aveva chiesto se conoscesse un certo Jack, non aveva pensato a nessuno in particolare. Era un nome comunissimo, l'America pullulava di Jack e nella sola Riverton ne conosceva almeno un paio. Non ci sarebbe stato nessun motivo di pensare proprio a
quel Jack, sebbene in effetti fosse diverso da qualunque altro Jack sulla terra.
Piccolo omaggio.
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Ennis Del Mar , Jack Twist
Note: Missing Moments, Movieverse | Avvertimenti: nessuno
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Ahn.
Questa cosaccia mi è sorta spontanea, adorando questo film. Purtroppo non ho (ancora) avuto il piacere di leggere il libro ma provvederò prima possibile. Intanto beccatevela: è una sorta di missing moment, o diciamo una personale rivisitazione di uno stralcio della pellicola che mi è particolamente caro.
Spero di non tediarvi.
suni

(Prego, perdonate le eventuali imprecisioni, e se volete segnalatemele. Grazie)


(Jack) Quattro anni (Ennis)


Non aveva nessuna maledetta ragione di andare a Riverton, in realtà. Eppure quando aveva letto – trovandolo per caso, perché ormai in un certo senso aveva quasi smesso di sperarci - il cognome “Del Mar” e l'indirizzo, aveva saputo con certezza che ci sarebbe andato entro massimo due settimane, perché erano quattro anni che non aspettava altro.
Scrivere la cartolina che gli annunciava la sua visita era stato qualcosa di logico, inevitabile. Un gesto spontaneo come lo stesso respirare, compiuto senza la minima incertezza nell'istante immediatamente successivo alla scoperta.
Soltanto dopo averla spedita gli era precipitata addosso la frana del dubbio e dell'insicurezza: erano passati quattro anni dal monte Brokeback, Ennis si era sposato, certo aveva dei figli e una vita strutturata; per quanto tutto il suo essere gli dicesse che quello che avevano vissuto era più forte del silenzio lunghissimo che li aveva divisi, Jack era consapevole che quello poteva essere soltanto il suo punto di vista, e che magari per Ennis era diverso. Magari non ricordava nemmeno più bene la sua faccia, magari ricevere la cartolina gli avrebbe riportato alla memoria fatti che preferiva dimenticare, forse era persino pentito di quello che li aveva legati durante quella breve estate di anni prima.
Non gli riusciva realmente di crederlo, ma il pensiero lo perseguitava comunque come un incubo minaccioso. Non era mai stato così consapevole dell'errore che era stato sposare Lureen, mettere su famiglia e intraprendere una carriera che lo allontanava soltanto dai suoi veri desideri. Non aveva mai percepito tanto nitidamente di essersi cucito addosso un costume che non era suo, di aver agito, parlato e persino pensato nelle vesti di qualcuno che non era lui.
Quando aveva capito che Ennis non sarebbe tornato a Brokeback e si era scontrato col fatto di non poterlo rintracciare, era stato come se nella sua testa si fosse spento un interruttore. Come se la frustrazione di quella speranza vana fosse stata così insopportabile da spingerlo a sotterrarla sotto una parvenza di normalità troppo fragile dietro cui ripararsi dalla delusione. Eppure era stata proprio quella stessa speranza a dargli la forza di farlo, perché da qualche parte non si era mai sopita.
Era rimasta dentro di lui, sepolta dall'urgenza del quotidiano, una qualche assoluta certezza del fatto che presto o tardi, in qualche modo, lui ed Ennis si sarebbero rivisti. Era quello che si erano detti salutandosi, comunque, e per quanto si fosse trattato di una frase fatta, dettata dal disagio, Jack l'aveva presa come una promessa.
Jack Twist non credeva al destino, credeva soprattutto nella volontà umana; eppure in quel caso gli sembrava – e la cosa lo faceva ridere di se stesso – che ci fosse qualcosa di superiore che aveva voluto far incontrare lui ed Ennis; qualcosa che, sicuramente, aveva previsto per loro un nuovo contatto.
Nonostante questo, comunque, aveva passato i giorni successivi in uno stato di ansia talmente febbrile che persino sua moglie, nonostante fosse presa dal piccolo Bobby, non aveva potuto evitare di notarlo. Interrogato, Jack aveva accampato una scusa strampalata che incrociava un sedicente male al ginocchio – colpa del rodeo, senz'altro – con le inquietudini della sua nuova condizione di padre.
Lureen, ignara, aveva addirittura ipotizzato che forse il male al ginocchio era proprio una manifestazione fisica di quelle stesse preoccupazioni, e Jack aveva dato mostra di prendere quell'idea per buona. Ma non era vero. Non aveva affatto male al ginocchio. Non era mai stato così conscio di avere ossa, muscoli, articolazioni, vene e nervi che pompavano irrequietudine a un ritmo frenetico, ma non aveva male da nessuna parte. Solo ogni tanto allo stomaco, quando lo sfiorava l'idea che Ennis non rispondesse affatto alla sua cartolina.
E invece un venerdì mattina, dopo un'ulteriore notte trascorsa ad agitarsi in uno strano stato di ansioso dormiveglia che lo lasciava rimbecillito per tutto il giorno, la risposta arrivò.
In una grafia discontinua, irregolare, Ennis gli aveva scritto appena una frase, ermetica come lui stesso: puoi scommetterci. Due parole, due soltanto: eppure a Jack parve, leggendole, che bastassero a riempirlo e sommergerlo. Le lesse e rilesse col cuore che pulsava nella testa, col respiro affannato di stupore e di una gioia perfetta e infantile che quasi lo portò alle lacrime. Si dovette sedere per riuscire a respirare meglio e adesso sì aveva male, non solo al ginocchio ma dappertutto, come se per quattro anni non avesse fatto altro che correre e dimenarsi e solo ora, finalmente, potesse concedersi il tempo di prendere fiato.
Stava per rivedere Ennis. Proprio di lì a poco, appena qualche giorno; e già gli sembravano tantissimi, sarebbe stato molto meglio se fosse successo subito, in quello stesso istante: dopo un'attesa tanto lunga, l'idea di dover aspettare ancora un solo altro minuto pareva peggiore di tutto il resto.
Lo sfiorò addirittura l'idea di saltare in macchina immediatamente e anticipare la visita, fare un'improvvisata: ora che sapeva per certo che anche Ennis era propenso a rivederlo gli sembrava di poter fare qualunque cosa. Costruire una casa sul fiume, o vicino al ranch dei vecchi, e portarlo lì. Domani, tra un mese, non aveva importanza. Avrebbe messo in piedi anche un'intera città, se fosse servito allo scopo: nessuno sforzo gli pareva eccessivo.
Poi gli tornò un barlume di lucidità, momentaneamente sopita dall'entusiasmo viscerale, e si rese conto che sarebbe stato un tantino inopportuno. Non avrebbe avuto senso, e poi c'era pur sempre la possibilità che Ennis avesse accettato di incontrarlo semplicemente per cortesia, sebbene non fosse mai stato quel che si potesse definire un rigido gentiluomo. Ma no, si disse lui stesso, di nuovo stringendo la lettera: se così fosse stato Ennis avrebbe messo le mani avanti, gli avrebbe proposto magari di cenare con lui e la signora Del Mar.
No, quel puoi scommetterci poteva voler dire soltanto che anche l'altro la pensava come lui. Non era una certezza ma Jack decise di mutarla in tale, perché aveva il dono raro di trasformare i propri sogni in sensazioni tangibili, e di crederci assolutamente: e per questo il giovedì successivo si mise al volante in uno stato di euforia ubriaca che gl'impediva di smettere di sorridere come un folle per un solo secondo. Il viaggio fu lunghissimo e rapidissimo insieme, diviso tra l'allegria più isterica e l'ansia dell'incontro. Non sapeva cosa dire, né come comportarsi. Certo in un primo momento sarebbe stato imbarazzante, dopo tutto quel tempo, forse non avrebbero saputo cosa dirsi. Ennis se ne sarebbe rimasto sulle sue, con mani cacciate in tasca e la testa incassata, e a lui sarebbe toccato rompere il ghiaccio, ma non aveva idea di come.
In qualche modo l'avrebbe fatto, si diceva. E sorrideva ancora, ingranando le marce come alla guida di un autosnodato.
Aveva ventitré anni e tutta l'intenzione di passarne almeno il triplo a non fare nient'altro che spartire il mondo con Ennis Del Mar.


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Quando Alma gli aveva chiesto se conoscesse un certo Jack, non aveva pensato a nessuno in particolare. Era un nome comunissimo, l'America pullulava di Jack e nella sola Riverton ne conosceva almeno un paio. Non ci sarebbe stato nessun motivo di pensare proprio a quel Jack, sebbene in effetti fosse diverso da qualunque altro Jack sulla terra.
Poi Alma si era spiegata, lui aveva capito e, mentre la cartolina mostrata da sua moglie diventava il centro del suo campo visivo e di tutto lo stramaledetto universo, la consapevolezza che non poteva trattarsi di nessun altro che Jack Twist e che avrebbe dovuto arrivarci subito lo aveva investito tempestiva. Si era avventato sul cartoncino come un assetato sul rigagnolo d'acqua e improvvisamente si era
svegliato. Quell'improvvisa adrenalina in tutto il corpo e la sensazione di ritornare a galla non potevano definirsi altrimenti, né l'impressione che tutto diventasse più nitido e una sorta di patina incolore svanisse. Se era riuscito a rimanere relativamente calmo davanti ad Alma era soltanto perché per una volta la sua cronica incapacità di esternare le emozioni gli era stata d'aiuto, anziché costituire più che altro un impiccio.
Ma quando era uscito per andare alla posta e il non mettersi a saltellare per strada era stata una faccenda molto più complessa persino per lui. Lo aveva impedito soltanto la necessità di rimanere ben ancorato a terra, di mantenere il contatto fermo con la realtà: lui era Ennis Del Mar, quell'altro era il fottuto Jack Twist, tutto quanto era assurdo e forse si sarebbero incontrati solo per una birra e invece no, perché già le sue mani faticavano a stare ferme alla sola idea di averlo davanti.
Quando l'aveva visto sparire con la sua camionetta, di ritorno dal Brokeback, Ennis si era sentito così male da vomitare. Gli s'era rotto qualcosa nei polmoni e non aveva più respirato nemmeno singhiozzando e picchiando il muro, smarrito come non era mai stato nella vita, neanche quand'era rimasto orfano. Era stato un senso di perdita talmente violento e angosciante che conviverci sarebbe risultato inaccettabile. L'unica opzione possibile era stata rimuoverlo, sradicarselo di dosso e immergersi nella vita che gli toccava, in Alma, nella prima gravidanza e poi nella seconda. Ci aveva pensato sempre più raramente fino a smettere di farlo del tutto, perché ogni volta faceva troppo male e perché in fondo era inutile: non poteva portare da nessuna parte e sarebbe stato molto meglio per tutti e due non incrociare mai più il rispettivo cammino. Aveva trasformato l'estate sul monte Brokeback in una sorta di strano e aberrante sogno che aveva fatto una volta e che non lo riguardava più.
Eppure, ora che l'idea di vedere Jack era diventata reale e tangibile, non se ne ritraeva affatto. Anzi, nemmeno era più consapevole di qualcosa che non fosse il fatto che l'avrebbe incontrato. Di colpo ritrovava un pezzo di se stesso che aveva occultato e che era più vero e genuino di tutto il resto, tanto da non saperlo affrontare.
E non lo aveva fatto, perché non ne era capace. Non aveva fatto previsioni né ragionato sui come e sui perché, né ipotizzato l'andamento dei fatti. L'idea lo bloccava e non si poteva analizzare la cosa che lo spingeva verso Jack, gli era impossibile darle un nome o attribuirle una natura, non ci si poteva raccapezzare. Lo metteva persino a disagio se si soffermava a rifletterci, perciò aveva trascorso la settimana concentrandosi su tutto il resto, Alma, le bambine, il lavoro, non un istante di tregua per non vaneggiare.
La mattina del ventiquattro, però, non c'era stato modo di alzarsi dal letto in uno stato normale. Non aveva fatto che agitarsi per tutto tempo, dentro se stesso, tanto da sfiorare l'implosione. Si muoveva meccanicamente, fissava in tralice i muri e la finestra.
Si era vestito bene, pettinato, sbarbato. Era stato stupido ma era successo quasi da sé, aveva finto di non notare la perplessità di Alma, glissato sulle sue domande, ingurgitato birra mentre le lancette sembravano non avanzare mai e la sua mente restava ancorata unicamente sul pensiero che di lì a poche ore Jack Twist sarebbe stato lì di fronte a lui. Non c'era altro. Era ridicolo, ma non c'era davvero niente altro.
E poi Jack arrivò.
Ennis aveva sentito il rumore della macchina che si fermava e si catapultò alla finestra, sentì i muscoli del proprio viso stirarsi in un sorriso che gli nasceva dal profondo mentre guardava la portiera che si apriva e la sagoma inconfondibile che ne sgusciava fuori, i capelli scuri, i gesti fermi ma irrequieti – non aveva idea di quanto in quel momento muovere ogni singolo muscolo, per Jack, rappresentasse uno sforzo quasi sovrumano.
Jack si appoggiò alla portiera dell'auto nella sua tipica maniera svagata, o almeno gli parve, – era più che altro tramortito, in realtà, ed estremamente concentrato nel far entrare ed uscire l'aria dai polmoni al giusto ritmo – ed Ennis si scagliò fuori come se una volontà non sua, e molto più intensa, lo attirasse irrevocabilmente, con una risata incastrata nella gola e un formicolio diffuso in tutta la sua persona. L'idea di non sapere come affrontarlo lo sfiorò per un millesimo di secondo, poi Jack sollevò la testa – fortunatamente l'ombra dovuta alla tesa del cappello camuffò un improvviso e cinereo pallore – rivelando l'azzurro sterminato degli occhi che, realizzò Ennis in quel preciso momento, gli erano mancati follemente, e andò tutto al suo posto da sé.

Jack fottuto Twist,” diceva la sua voce con musica di riso, e le gambe galoppavano giù per la scala, e anche Jack sorrideva dal di dentro, era stupido ma ad Ennis sembrò esattamente così, e andandosi incontro ebbero evidentemente entrambi la stessa necessità impulsiva e sublime, perché mossero contemporaneamente le braccia per cercarsi e trovare il corpo agognato al posto del vuoto, tepore di carne e ansito di sollievo, abbracciati stretti come animali.
E respirarono, finalmente, per la prima volta da quattro anni.

   
 
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