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Autore: Lisaralin    12/11/2010    3 recensioni
Breve storia di un'immaginaria Replica Numero 3 creata da Vexen dopo Xion e Repliku. La Terza Replica è determinata a portare a termine la missione affidatale dal suo creatore, per proteggere la persona che le ha dato la vita e colui che considera come un fratello, la Replica Numero 2. Ma la realtà non è ciò che sembra, e la Replica dovrà imparare a guardare il mondo attraverso i propri occhi e a ragionare con la propria testa... anche a costo di affrontare scelte difficili.
[scritta prima di KH3D]
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio, Riku Replica / Repliku, Vexen
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: KH Chain of Memories
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Due parole prima di cominciare^^
Innanzitutto salve a tutti e grazie per esservi soffermati a leggere qui! Ho scritto questa fanfiction per un contest del mio forum su Kingdom Hearts. Il tema del contest era inventare una "terza replica" creata da Vexen (oltre a Xion e Riku Replica) e raccontare la sua storia. Unica condizione: la replica doveva essere la copia di un personaggio della saga di Kingdom Hearts, per il resto nessuna restrizione.
Poichè, strano ma vero, ho avuto un'ispirazione, ho deciso di partecipare al contest e di postare anche qui la mia storia. Ovviamente non vi svelo subito chi è la replica, lo scoprirete leggendo^^
Secondo il regolamento del contest la fic doveva essere di cinque capitoli, ma questa che posto su EFP è una sorta di "Extended Edition", con qualche scena in più che ho dovuto tagliare dalla versione per il forum perchè avrebbe allungato inutilmente. Inatti sono 6 capitoli invece di 5.
Ho scelto di ambientare la fic contemporaneamente agli eventi di Chain of Memories, di cui non modifico una virgola. Tutto rigorosamente canon e, ma non garantisco di esserci riuscita, IC.
Qui su EFP inoltre potete trovare anche un'altra fanfiction dallo stesso titolo e che ha partecipato allo stesso contest: e' dell'autrice whitemushroom, di cui vi consiglio assolutamente di leggere qualcosa :)
Ma ora basta chiacchiere, vi lascio alla storia! Enjoy!

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La Terza Replica



Capitolo I



I Nobodies non hanno un cuore e questo è un dato di fatto, ma io ormai sono sempre più convinto che Xemnas nella trasformazione si sia giocato anche il cervello. Ma in effetti…  perché mi stupisco? Cosa mi aspettavo da uno che trascorre interi pomeriggi chiuso in una stanza a chiacchierare con un’armatura vuota?
No, ad essere sinceri questo non me lo sarei mai aspettato. Nominare Marluxia capo del distaccamento al Castello dell’Oblio…Marluxia! Basta guardarlo per capire che da lui non verrà mai nulla di buono. Il contegno strafottente da presunto leader quale lui si crede, la sicurezza arrogante di ogni suo gesto, lo sguardo carico di sfida, le provocazioni futili e i sorrisini sarcastici…e soprattutto i bisibiglii, gli sguardi misteriosi che passano di continuo tra lui e Larxene come una corrente elettrica sotterranea, carichi di un significato che mi è ignoto ma che non può non insospettirmi. E preoccuparmi.
Come accade fin troppo spesso nessuno ha prestato ascolto ai miei timori (suppongo che ormai Xemnas si fidi più della sua stupida armatura che di noi membri fondatori), ma ora che siamo al Castello dell’Oblio, lontani dall’occhio inquisitore di Saix, i fatti mi stanno dando ragione (ovvio, no?). L’Eroe del Keyblade non ha fatto neanche in tempo a chiudersi la porta del Castello dietro le spalle che già Marluxia si è messo a giocare con i suoi ricordi, sfruttando i poteri di Naminé. Dubito fortemente che lo stia facendo nell’interesse dell’Organizzazione.
Ma se pensa che resterò fermo a guardare…anch’io sto prendendo provvedimenti, e sono pronto a combattere questa guerra con le mie armi. La Replica Numero 1 ormai è fuori della mia portata, ma in questo momento alle mie spalle ci sono altre due capsule, altre due creature in attesa della completa maturazione.
E so già perfettamente come usarle.
 

Vexen

 
 
 
La sensazione di annegare è una delle più orribili che esistano. I polmoni che si contraggono disperatamente alla ricerca d’aria, il corpo intrappolato sotto la massa d’acqua che ti comprime sempre di più…le orecchie ti scoppiano, la testa inizia a girare e tutto si perde in un vortice d’acqua in cui non esistono più né sopra né sotto…e le tue mani si protendono in avanti, cercano spasmodicamente qualcosa, un appoggio, un’ancora, il varco verso l’aria…
Questo è il primo ricordo che ho della mia vita.
Poi il rumore di qualcosa che si infrangeva in mille pezzi, e l’acqua che scorreva via come un fiume in piena, trascinandomi con sé. Aria, aria finalmente, ma non feci in tempo a riempirmene i polmoni che il mio corpo venne travolto da qualcosa di pesante che cadeva, e iniziò a precipitare anch’esso verso il basso. Qualcosa di appuntito mi graffiò la pelle, sulle braccia e sulle gambe, e fu in questo modo brutale che imparai cosa significa provare dolore. Non mi piaceva, e aprii la bocca per emettere il primo suono della mia vita, un urlo di terrore puro e assoluto.
Poi riuscii a vedere qualcosa: l’acqua era scomparsa, ma intorno a me volavano miriadi di frammenti di vetro, scintillanti come gemme. Erano quelli a farmi così male…e precipitavano, precipitavano insieme a me verso una superficie bianca e fredda, sempre più velocemente, come in un incubo…
…. finché due braccia non arrestarono improvvisamente la mia caduta, forti ma anche incredibilmente delicate. Mi strinsero in modo protettivo, e io istintivamente nascosi la faccia contro quel petto sconosciuto, mentre il mondo intorno a noi andava in pezzi e il frastuono di un oggetto gigantesco che si schiantava contro il pavimento mi assordava le orecchie.
Infine, il silenzio.
Ora riuscivo addirittura a sentire il mio respiro, ansimante e accelerato, e quello della persona che mi aveva salvato, tranquillo e regolare.
“Tutto bene?”
Pian piano aprii gli occhi e mi guardai intorno. Eravamo inginocchiati sul pavimento, io e il ragazzo che ancora mi teneva tra le braccia. Aveva i capelli argentati e gli occhi chiari come il ghiaccio, e mi guardava con un sorriso rassicurante. Avrei voluto ricambiarlo, fargli capire che stavo bene, ma per qualche strana ragione non ci riuscivo. Intorno a noi frammenti di vetro e ferro erano sparsi per tutta la stanza, e uno strano liquido azzurrino scorreva in piccoli rivoletti in ogni direzione….sul pavimento, e anche sulla mia pelle. Era in quel liquido che stavo annegando…?
“Come stai?” chiese ancora lui. “Capisci quello che dico?”
Con uno sforzo immenso riuscii a fare segno di sì con la testa, e lui parve rassicurato. Si alzò per prendere un asciugamano che mi avvolse intorno al corpo, e solo in quel momento mi accorsi che stavo tremando dal freddo. Il ragazzo mi sollevò senza alcuna difficoltà e mi fece sedere su un lettino accanto al muro, frizionandomi i capelli con un altro asciugamano.
“Non devi avere paura” mi disse “Ora sei al sicuro, nessuno ti farà del male. Io mi chiamo Numero 2, e sono tuo fratello. Ci penso io a proteggerti”.
Il suo sorriso era così caldo e sincero che non potei fare a meno di credergli. E stavolta riuscii persino a sorridergli di rimando.
In quel momento la porta si aprì con uno scatto secco.
“Cosa diavolo è successo?!”
Con stupore mi resi conto di conoscere l’uomo alto che era appena entrato. Il cappotto nero e i lunghi capelli biondi…richiamato da chissà quale abisso della mia memoria, nella mia mente balenò a chiare lettere il suo nome.
“Ve…Vexen?”.
La mia prima parola. Era giusto, del resto: tutti i piccoli di qualunque specie imparano come prima cosa a riconoscere chi ha dato loro la vita.
Gli occhi verdi di Vexen mi scrutarono come se volessero trapassarmi da parte a parte.
“Allora la tua programmazione è ancora intatta…” mormorò, più rivolto a se stesso che a noi. Poi il suo sguardo si spostò su Numero 2…sul ragazzo che affermava di essere mio fratello. “Si può sapere cos’hai combinato?!”
“Io niente, Vexen. Temo che si tratti di un sabotaggio. I cavi che sorreggevano la sua capsula sono stati chiaramente recisi, e qualcuno deve aver spaccato il vetro. In mezzo ai resti ho trovato questo”. L’oggetto che Numero 2 passò a Vexen era piccolo e sembrava fatto di metallo, ma non feci in tempo a vedere altro. Sicuramente però il mio creatore lo riconobbe, e dal suo sguardo capii che non ne era affatto contento. Anzi, sembrava…spaventato. D’istinto mi strinsi ancora di più nell’asciugamano, proteggendomi dal freddo e da un oscuro timore senza nome che improvvisamente si era impossessato di me.
“Comunque Numero 3 sta bene, e questa è la cosa più importante” continuò Numero 2. “Quindi…adesso cosa facciamo?”
Vexen si riscosse dai suoi pensieri. “Per ora nulla. Lasciamo riposare Numero 3, dopodiché…dopodiché ci penserò io. Tu concentrati sugli incarichi che ti ho assegnato. Se avrai successo non dovremo più temere queste minacce”.
“Come desideri”.
Mi sembrava di essere una bambola di pezza, tanta era la facilità con cui Numero 2 mi sollevò e mi portò via. Continuò a sussurrarmi parole rassicuranti, a promettermi affetto e protezione. E’ il dovere di ogni buon fratello maggiore, diceva, e lui aveva intenzione di essere un fratello maggiore esemplare.
E io mi lasciai andare: appoggiai la testa sulla sua spalla e chiusi gli occhi, lasciandomi cullare dal movimento del suo corpo, dal flusso regolare del suo respiro. Prima che le tenebre del sonno calassero definitivamente su di me feci in tempo a mormorare la seconda parola della mia vita:
“Grazie”.
 
 
Persi subito il conto di tutti i controlli medici e diagnostici a cui Vexen mi sottopose al mio risveglio. Il risultato finale, comunque, fu positivo: ero in perfetta salute, nessun danno permanente. Potevo capirlo anche da me, del resto: il senso di debolezza era scomparso, camminavo e correvo senza alcuna difficoltà, e sentivo che anche la mia mente era più lucida, come se si fosse risvegliata da un lungo torpore.
Mi venne spiegato tutto ciò che dovevo sapere: cos’era l’Organizzazione, il Castello dell’Oblio, e soprattutto noi Repliche. Io, Numero 3, e mio fratello, Numero 2.
“Siete speciali” disse Vexen con convinzione, gli occhi verdi scintillanti d’orgoglio. “Avete una capacità di apprendimento superiore a quella dei comuni esseri umani. Di base avete gli stessi poteri e capacità delle vostre matrici originali, ma in pochissimo tempo siete in grado di padroneggiarli molto meglio di loro, che pure hanno avuto tutta una vita per imparare. Tu sai chi è la tua matrice originale, giusto? E’ scritto nei tuoi ricordi”.
Eravamo nel laboratorio di Vexen, nei sotterranei del Castello dell’Oblio. La capsula distrutta e i resti sul pavimento erano stati rimossi mentre dormivo, e ora nessuno avrebbe potuto indovinare quello che era avvenuto soltanto poche ore prima.
Annuii, guardando negli occhi il mio creatore. Ricordavo benissimo di chi ero la Replica; l’avevo saputo sin dal primo momento, proprio come il nome di Vexen. Faceva parte di me. Solo che…
“Solo che non sei ancora in grado di usare nessuno dei suoi poteri” Vexen completò il mio pensiero inespresso. “Questo perché il tuo risveglio è avvenuto prematuramente, a causa del sabotaggio della capsula. Il processo di maturazione non era ancora completo. Ma come ti ho detto, sei perfettamente in grado di imparare”.
“E come?”
“Osservando”. Vexen si alzò in piedi, percorrendo ad ampi passi la stanza. “Ogni oggetto, ogni persona, qualsiasi cosa ci può rivelare moltissimo di se stessa, a patto che noi sappiamo in che modo guardarla. Io non posso insegnarti a usare quei poteri, perché io stesso non li possiedo, ma posso insegnarti come guardare la tua matrice originale, come osservarla. Posso insegnarti a imparare”.
Ascoltavo a bocca aperta, senza osare interromperlo.
“Guarda questo libro, per esempio” prese un pesante volume da un tavolo e me lo mostrò. “Ha la copertina tutta consumata e alcune lettere del titolo non si vedono più bene, e da questo si capisce subito che è molto vecchio. Ma fin qui è facile. Potresti addirittura azzardare una stima di quanto è vecchio, esaminando il tipo di carta delle pagine e quanto sono ingiallite e rovinate. Anche l’odore può fornire utili informazioni a riguardo. Al momento però questo non ci interessa. Se lo apriamo…” cominciò a sfogliare le pagine, sempre facendomele vedere. “…vediamo che dentro ci sono parecchie annotazioni scritte a mano. Le calligrafie sono diverse, e ciò significa che questo libro ha avuto diversi padroni prima di me. E analizzando attentamente le grafie si potrebbero fare molte deduzioni interessanti su questi padroni”. Chiuse il libro, poggiandolo di nuovo sul tavolo. “Questo oggetto, come qualsiasi altro, porta scritta in sé la sua storia, e insieme ad essa moltissime informazioni che lo riguardano: ma sta solo a noi saperle leggere. Per le persone vale la stessa regola: puoi dedurre che mestiere fanno semplicemente guardando come sono vestite o esaminando le loro mani, e dalle loro espressioni capirai se stanno mentendo o dicendo la verità”.
“Incredibile” mormorai. “Solo che non so se anch’io…”
“Ma certo che puoi” mi interruppe lui con un gesto della mano e un’occhiata che non ammetteva repliche. “Anzi, facciamo subito una prova: ecco, cerca di capire che cos’è questo” dalla tasca del cappotto Vexen estrasse un piccolo oggetto metallico dalla forma affusolata e me lo passò. Me lo rigirai più volte tra le mani, esaminandolo da tutte le angolature e riflettendo. Per nulla al mondo avrei voluto deludere il mio creatore, perciò mi concentrai al massimo nel risolvere quel piccolo enigma. Solo che non era così semplice…
“La parte superiore mi ricorda qualcosa…” tentai infine, esitando un po’. Avevo una paura tremenda di dire una stupidaggine. “Somiglia a un simbolo che ho visto qui in giro diverse volte…”
“Esatto” mi incoraggiò Vexen. “Quello è il simbolo dell’Organizzazione. Quindi…?”
“…questo oggetto appartiene all’Organizzazione?”
“Proprio così. All’Organizzazione, o a uno dei suoi membri. E che mi dici della parte inferiore?”
La parte inferiore era affilatissima, tanto che avevo rischiato di tagliarmi la prima volta che avevo preso in mano l’oggetto. Affilata e appuntita, malgrado il rassicurante colore giallo sgargiante.
“Potrebbe essere un’arma” dissi. “La parte con il simbolo dell’Organizzazione sarebbe l’impugnatura”.
Mi riempii di orgoglio nel vedere Vexen sorridere con evidente approvazione. “Ma puoi scoprire ancora di più. Ora che hai identificato l’impugnatura potresti cercare di capire esattamente come si usa quest’arma. Prova”.
Lo feci. L’arma era leggera e mi pareva si potesse lanciare piuttosto bene, ma era scomoda da tenere nel palmo della mano. Quindi forse doveva essere impugnata in modo diverso. Ad esempio….
“In mezzo alle dita” conclusi, chiudendo indice e medio attorno all’impugnatura e tentando un affondo di prova. Sì, funzionava decisamente meglio. Si poteva usare per combattere corpo a corpo, e all’occasione poteva anche essere lanciata come un’arma a distanza.
Vexen però non si accontentava facilmente. “Il fatto che si impugni tra due dita non ti dice niente? Rifletti, ricorda che ogni minimo dettaglio è importante. Non trascurare nulla”.
Due dita…cercai di immaginarmi mentre combattevo con quella strana arma. Potevo tenerla tra l’indice e il medio, oppure tra il medio e l’anulare, oppure…
“…oppure posso tenerne più di una contemporaneamente!” esclamai, mentre Vexen mi regalava un altro sorriso compiaciuto. Era contento di me…sentii che nel mio petto affiorava una sensazione nuova, mai provata prima, e provai a darle un nome. Felicità? Non avevo grande esperienza di quelle cose, ma per il momento mi parve una descrizione appropriata. Sì, ero felice di essere utile al mio creatore.
“E’ esattamente come hai detto.” disse Vexen. “Le armi di questo tipo si chiamano kunai. Quella lì in particolare è l’oggetto che Numero 2 ha trovato tra i rottami della tua capsula….e molto probabilmente è stata lo strumento del sabotaggio”.
La felicità, o qualsiasi cosa fosse, scomparve all’istante, come se qualcuno mi avesse colpito con una scarica elettrica. Sentii mancarmi il pavimento sotto i piedi.
“Vuoi dire…vuoi dire che è stato un membro dell’Organizzazione?! Ma…loro sono tuoi alleati, no?!”
“Oh, non tutti” le labbra di Vexen si piegarono in una smorfia di disprezzo. “Da parecchio tempo sospetto che alcuni di loro vogliano tradirci. Capisci ora perché è così importante che tu impari a usare i tuoi poteri? Se si dovesse giungere a uno scontro dobbiamo essere preparati. Dobbiamo poter usare tutte le armi a nostra disposizione.”
“Lo farò!” promisi con determinazione, alzandomi in piedi e scostando via la sedia quasi con rabbia. “Mi impegnerò al massimo. Voglio aiutare te e Numero 2”.
“Sono certo che ci riuscirai. Vieni”.
Mi condusse in una stanza adiacente al laboratorio, dove c’erano varie apparecchiature elettroniche sormontate da uno schermo gigantesco.
“Devi osservare la tua matrice originale, nel modo che ti ho insegnato. Ogni suo gesto, ogni espressione del suo viso, ogni minimo dettaglio. Così capirai come riesce a evocare i suoi poteri, a cosa pensa quando lo fa, in che modo si concentra… e imitando tutto questo, riuscirai a farlo anche tu. Tutto chiaro?”
“Va bene” dissi. “Cominciamo”
Vexen premette un tasto e il monitor si illuminò, mostrandomi per la prima volta il viso del mio originale.
  
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