Mi aveva lasciata da sola per darmi il tempo di pensare – non
voleva turbare il mio pudore, ha detto. Non voleva vedermi arrossire
come una qualunque fanciullina che accetta la proposta del gentiluomo
che l’ha chiesta in moglie, ma io so che anche questo fa
parte della messinscena. Erik non potrebbe sopravvivere senza il
dramma, la tragedia – ha bisogno che anche la sua vita sia
un’enorme rappresentazione.
Fisso con disgusto misto a terrore le due scatole chiuse che, da sopra
la mensola del camino, sembrano attendere in rigido silenzio la mia
mossa successiva, la mia decisione finale. Il momento nel quale
passerò il punto di non ritorno. Esse
contengono due perfette riproduzioni di una cavalletta e di uno
scorpione, in bronzo, di fattura giapponese; aveva detto che quei due
animali avrebbero significato sì
o no! Ma
come possono due soprammobili significare sì o no? Era
un’altra delle sue pazzie? Eppure no, no, doveva pur voler
significare qualcosa, perché si era strappato via la
maschera e i suoi occhi avevano fiammeggiato minacciosi mentre mi
afferrava violentemente al braccio trascinandomi nella mia camera da
letto.
«Tieni!»
Aveva esclamato, mettendomi con forza tra le mani una chiave di bronzo.
«Ecco la
piccola chiave che apre i cofanetti di ebano sul camino della camera
Luigi Filippo…»
E adesso, che cosa dovrei fare? La mia vita in cambio di quella delle
centinaia di persone che si trovano sopra la mia testa, su, in teatro?
Perché dovrei barattare tutto ciò che possiedo
– la mia libertà,
il mio spirito – per salvare sconosciuti di cui non conosco
nemmeno il volto?
Raoul, il mio amato Raoul, è nella Camera dei Supplizi
– lo so bene, sento la sua voce; e, insieme a lui, vi
è anche quello strano personaggio, il persiano, che
è sempre stato gentile con me malgrado non fossimo mai
neanche stati presentati. Credo che potrei fare un sacrificio per
salvare le loro vite, sarei felice anche sapendolo semplicemente vivo,
da qualche parte, lontano da me e da lui.
Erik mi ha dato la possibilità di scegliere,
dopodiché se n’è andato; mi ha spiegato
cosa accadrebbe se dovessi scegliere di girare lo scorpione,
così come l’ha fatto per la cavalletta. Oh, le sue
parole rimbombano ancora nella mia mente, terrorizzandomi!
«Non gira
soltanto, la cavalletta! Salta!... salta! Salta che è una
bellezza!»
Sembrava un pazzo mentre gridava e rideva sguaiatamente, confondendo il
riso alle lacrime.
Infilai le mani tra i capelli, disperata, andando avanti e indietro
come una folle accorgendomi solo con una parte di attenzione di stare
singhiozzando come una bambina. Mi avvicinai alla parete che divideva
la dimora del mostro dalla stanza delle torture, toccando il muro,
sperando che dietro di esso il mio fidanzato stesse ancora bene; e nel
frattempo mi arrovellavo alla ricerca di una possibile soluzione,
giacché a quel punto non sapevo fin dove avrei potuto
confidare nella parola di Erik e, di conseguenza, non sapevo se la mia
decisione ci avrebbe salvati o uccisi tutti. Oh, come potevo sapere?
In me era stata riposta una responsabilità immensa!
Persino il persiano mi aveva sconsigliato di toccare le due statuine,
dato che l’assenza del nostro ospite si protraeva sempre di
più e questo poteva voler dire solo che, mentre egli si era
messo in salvo, noi saremmo potuti saltare in aria da un momento
all’altro!
Eppure Raoul non la pensava in tal modo, perché mi spinse ad
avvicinarmi ai due cofanetti per portare a termine il mio compito:
stavo per girare lo scorpione, mentre le lacrime colavano copiose sulle
mie guance, ma la voce del persiano mi distrasse intimandomi di non
farlo, e in quel momento Erik tornò!
Mi raggiunge senza pronunciare una sola parola, lanciando
un’unica occhiata gelida e infastidita alla Camera dei
Supplizi da dove, improvvisa, era giunta la voce del persiano che
infine palesava la sua presenza.
«Un’altra
parola, daroga, e faccio saltare tutto!»
Minacciò, tanto freddamente da farmi ritrarre contro il
muro, terrorizzata.
I suoi occhi, dorati, tornano su di me, studiando la mia figura
rannicchiata e spostandosi dal mio volto in lacrime ai due scrigni
ancora chiusi e intatti. Comprende che non ho fatto ciò che
mi ha detto, che non ho ancora deciso: il suo volto è una
maschera orrida e non so come riesco a osservarlo senza svenire
– sento che è il panico e lo sgomento a mantenermi
ancora cosciente.
«L’onore
spetta alla signorina», mormora, con voce tanto
stanca da stringermi il cuore ma al contempo tanto gelida da acuire il
mio terrore. «La
signorina non ha toccato lo scorpione, la signorina non ha toccato
neanche la cavalletta, ma non è ancora troppo tardi per far
bene. Guardate», aggiunge, avvicinandosi alle
scatole sotto il mio sguardo atterrito e sfiorandole con due dita
leggere. «Apro
senza chiave, perché sono il signore delle botole e per
questo apro e chiudo tutto ciò che voglio… come
voglio… Apro i cofanetti d’ebano; signorina,
guardate dentro i cofanetti d’ebano…»,
continua, porgendomi la mano per farmi segno di avvicinarmi a lui. Ma
io non oso, fisso la sua mano con orrore come se fosse una trappola
mortale: furioso com’è, non mi avvicinerei a lui
di mia spontanea volontà neanche se stessi annegando e lui
fosse l’unico a potermi salvare! Egli deve accorgersene
perché sospira impercettibilmente e la riabbassa con
lentezza, voltandosi di nuovo verso i due animaletti.
«Queste
bestioline sono davvero ben imitate…»,
riprende, con lo stesso tono pacato e uniforme. «E come sembrano
inoffensive…! Ma l’abito non fa il monaco! Se si
gira la cavalletta, signorina, saltiamo tutti… Sotto i
nostri piedi c’è abbastanza esplosivo per far
saltare in aria un intero quartiere di Parigi…»
A quelle parole sgrano gli occhi, fissandolo sgomenta: dunque i timori
del persiano, e i miei, si sono rivelati essere del tutto fondati! Erik
voleva ucciderci tutti, soltanto per un mio rifiuto! Ma egli,
imperterrito, incurante della mia reazione, prosegue con la sua neutra
spiegazione, quasi fosse da solo…
«Se si gira lo
scorpione, tutto l’esplosivo viene sommerso
dall’acqua…!», dice,
dandomi una pallida quanto inutile speranza; infatti le sue parole
successive mi seppelliscono in una disperazione ancora più
nera. «Signorina,
in occasione delle nostre nozze, farete un magnifico regalo ad alcune
centinaia di parigini che in questo momento applaudono un modesto
capolavoro di Meyerbeer… Farete loro dono della
vita… poiché voi, signorina, con le vostre
graziose mani girerete lo scorpione!... E felici e contenti ci
sposeremo!»
Vedo la follia nei suoi occhi di brace e non oso muovere un muscolo,
battere occhio, per paura che possa fraintendere persino i gesti
involontari del mio corpo; continua a fissarmi come se da me dipendesse
la sua vita, ed è così in effetti, non ha fatto
che ripetermelo da quando mi ha trascinato nei suoi cupi sotterranei
alla fine del Faust.
Attende che faccia qualcosa, che prenda una decisione, ma sono troppo
spaventata per fare un solo passo verso i due cofanetti – per
farlo dovrei avvicinarmi a lui, a lui che è il mio peggiore
incubo!
La sua bocca si irrigidisce e un guizzo gli attraversa la mascella,
facendogli stringere gli occhi. «Se entro due minuti, signorina,
non avrete girato lo scorpione», aggiunge,
frugando nelle tasche interne del suo panciotto e tirandone fuori un
orologio da taschino d’argento, «ho un orologio, un orologio che
funziona alla perfezione!», precisa
mostrandomelo. «Io
girerò la cavalletta… e la cavalletta salta che
è una bellezza!...»
Lo guardo, angosciata, sentendo il respiro farsi più
accelerato mentre i miei occhi si spostano da lui alle due
riproduzioni, sulle quali si fermano come incantati. Oh, sono davvero
preziose, non v’è alcun dubbio –
sembrano veri insetti! Ma perché dovrei voler girare lo
scorpione, che altro non è se non un animale velenoso e
mortale? È per questo motivo che l’ha scelto,
perché sapeva che, girandolo, avrei comunque decretato la
mia condanna a morte? Non credevo che sarei sopravvissuta a quella
terribile notte, infatti, cavalletta o meno: il dolore di essere
separata da Raoul mi avrebbe uccisa, e lo stesso avrebbe fatto
l’essere condannata a vivere come la sposa di un cadavere!
Mi copro la bocca con le mani e cerco di impedire ai singhiozzi di
sgorgare dalle mie labbra – non voglio che Erik si irriti
più di quanto già non sia. Non mi permetterebbe neppure di
morire! Mi legherebbe per sempre ad una sedia per
impedirmi di porre fine alla mia esistenza, come ha fatto ore fa! Non
c’è scampo a questa situazione, potrei salvare la
vita a Raoul, al persiano e agli spettatori del teatro, ma io morirei
comunque. So bene che cesserò di esistere nel momento in cui
sfiorerò quello scorpione e dirò addio al sole,
alla libertà, a tutto ciò che di sano
c’era prima nella mia vita!
Sarò soltanto la sposa morta di un cadavere innamorato di me!
Da dietro la parete della Camera dei Supplizi non giunge un gemito: il
silenzio che aleggia nel sotterraneo è qualcosa di
così tremendo e carico di aspettative che non potrei
dimenticarlo neanche dovessi vivere per sempre. La voce calma, pacata,
quasi rassegnata
di Erik mi fa comprendere ch’egli è disposto
davvero a tutto pur di avermi – viva o morta, a
questo punto – e che non avrei dovuto sottovalutarlo: un
folle dev’essere sempre assecondato, e non mi avrebbe mai
lasciato andare via con Raoul per pietà, perché
egli non ne è capace. D’altronde, come
può provare pietà qualcuno che ne è
sempre stato privato?
Il tempo era quasi concluso, e io ancora non avevo deciso!
Infine, all’improvviso, la voce di Erik – quella
stessa voce che più volte aveva sussurrato minacce di morte
e promesse di amore e gloria allo stesso tempo – rompe il
silenzio, con una carica così dolce, angelica, che ha
soltanto l’effetto di farmi rabbrividire dal
terrore…
«I due minuti
sono trascorsi… addio, signorina!... salta,
cavalletta…» Sussurra docilmente,
allungando la mano verso l’animaletto infernale che
prometteva solo morte.
«Erik!»,
esclamo sconvolta dal suo gesto, precipitandomi accanto a lui e
bloccando in tempo la sua mano con le mie. «Giurami, mostro, giurami sul tuo
infernale amore, che bisogna girare lo scorpione…»
Il suo sguardo, implacabile, si incolla su di me. «Sì, per saltare alle
nostre nozze…»
Sussulto, lasciando la sua mano come se mi fossi scottata. «Ah! Lo vedi? Salteremo in aria!»
«Alle nostre
nozze, ingenua fanciulla!» Prorompe esasperato,
afferrandomi con scarsa delicatezza il polso e tenendomelo sollevato
per impedirmi di muovermi. «Lo scorpione apre il ballo!...
Ma ne ho abbastanza… Non vuoi girare lo scorpione? A me la
cavalletta!»
«Erik!»
Grido spaventata, cercando di
sciogliermi dalla sua stretta per impedirgli di ucciderci tutti. Sento
la voce del persiano alzarsi e unirsi alla mia per pregare il mostro,
ma non ci faccio caso…
«Basta!»
Esclama lui, lasciandomi
andare e indietreggiando di un passo. I suoi occhi mandano lampi, si
spostano da me al punto dal quale giunge la voce del persiano, e in
quel momento di distrazione decido la mia sorte in un battito di
ciglia. Mi precipito al suo fianco e mi getto sul cofanetto contenente
lo scorpione, afferrando l’animale – quanto è freddo il
metallo al mio tocco! – e cercando di girarlo al
contrario.
Sento uno scatto e silenziosamente esulto, prima di voltarmi verso il
mio carceriere.
«Erik! Ho
girato lo scorpione!...»
Vedo la fronte del suo volto martoriato aggrottarsi, e i suoi occhi
correre a fissare la statuina: sembra non volerci credere davvero,
così si avvicina lentamente, allungando una mano tremante a
sfiorare lo scorpione rivolto dalla parte opposta a quella in cui si
trovava prima. Crolla in ginocchio, sembra un uomo distrutto, ma quando
solleva il viso su di me vedo che sono lacrime quelle che gli inondano
le guance, e malgrado fino a pochi istanti prima l’avessi
odiato con tutta me stessa per la prova a cui mi ha sottoposto, non
posso fare a meno di provare una pena infinita per lui.
I miei piedi si muovono senza fare a caso a quelli che sono i miei
desideri, e così mi ritrovo al suo fianco, china su di lui,
con una mano posata sulla sua spalla e l’altra sul viso,
delicata, ad asciugargli quelle stille salate. Ho talmente tante cose
per la testa, tanti ingarbugliati pensieri, che non riesco a provare
disgusto o orrore nei suoi confronti – non per il suo
aspetto, ad ogni modo, dato che non è quella la sua vera
infermità.
Le sue braccia si allungano e si stringono intorno alla mia vita, e io
sono troppo paralizzata per potermi muovere – a ricambiare
l’abbraccio non riesco neanche a pensare. Lo sento
singhiozzare contro il tessuto del mio abito, le sue dita artigliano la
stoffa come a volermi stringere ancora di più, e io posso
solo trattenere il respiro e chiudere gli occhi, pregando che grazie al
mio gesto Raoul sia salvo.
Mi chino su di Erik, mischiando le mie lacrime alle sue, e passandogli
le braccia intorno alle spalle in quello che sembra un gesto di
protezione. In realtà non voglio che veda il terrore dipinto
sul mio volto.
Che cosa ho fatto?
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Note dell’Autrice.Le frasi di discorso diretto in corsivo appartengono a Gaston Leroux e al suo romanzo, “Le fantôme de l’Opèra”: citazioni prese dal capitolo XXVI “Girare lo scorpione? Girare la cavalletta?”.
Volevo vedere la scena dal punto di vista di Christine, visto che nel libro abbiamo solo quello del daroga, proprio in quella scena non c'entra nulla -.-'' Spero di essere rimasta abbastanza coerente con il personaggio, anche se forse ho un pò forzato i suoi pensieri e il suo modo di vedere le cose... Per quanto io preferisca scrivere e leggere storie dove Erik viene sempre amato e coccolato dalla donna di turno, cambiare un pochettino non mi avrebbe fatto male :D Mah... Fatemi sapere cosa ne pensate del mio delirio :)
A presto, sentirete ancora parlare di me - per vostra sfortuna!
Un abbraccio,
Giuly
Pubblicità: eh sì, da oggi mi trovate anche su Faccialibro! xD