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Autore: Rota    14/11/2010    4 recensioni
Ivan aveva ascoltato, in silenzio e senza dire una sola parola, il lungo racconto che era uscito dalle labbra di Raivis. Lāčplēsis, così il piccolo baltico aveva detto che si chiamava quello – una serie di leggende d’eroi e demoni, di Dei e bestie feroci.
Davanti al camino acceso – lui seduto su una sedia morbida e Raivis rannicchiato sul tappeto di pelle – era stato davvero piacevole. Sorseggiando di tanto in tanto la vodka dal suo bicchiere finemente decorato, non aveva prestato attenzione ad altro se non a lui. L’aveva ascoltato assolutamente immobile, davvero incuriosito da come Latvia si fosse fermato nel suo proverbiale tremolio nel leggere il libro che teneva tra le mani.

[RussiaLatvia; IvanRaivis]
Genere: Erotico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Lettonia/Raivis Galante, Russia/Ivan Braginski
Note: Lemon, Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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*Autore: margherota
*Titolo: Latvia, parla ancora
*Claim: Ivan Braginski/Russia (APH)
*Prompt: 037. Udito
*Altri personaggi: Raivis Galante/Lettonia
*Genere: Erotico
*Avvertimenti: Yaoi, Lemon, What if…?, Missing Moment, One shot
*Rating: Arancione
*Conteggio parole: 874
*Note: Il prompt da cui è originata questa fan fiction appartiene alla community fanfict100_ita, presso la quale devo ancora avere conferma per la mia BDT sul personaggio di Ivan. Nel frattempo, scrivo tutto ciò, accuratamente creditato (L)
Questo è il link dove ho trovato le informazioni che ho sfruttato in questa fan fiction, a cominciare dal nome di Latvia (L)
http://hetalia.wikia.com/wiki/Latvia
A quanto pare, Raivis ama i romanzi e la letteratura. E io sfrutto questa cosa XD Per quanto riguarda ciò che egli realmente legge, trovate le informazioni qui.
http://it.wikipedia.org/wiki/Lāčplēsis_(poema_epico)
Ultima cosa. Chiamo Raivis "Latvia" e non "Lettonia" in quando personalmente, a musicalità, preferisco il primo al secondo. Tutto qua ^^



 

Latvia, parla ancora






Ivan aveva ascoltato, in silenzio e senza dire una sola parola, il lungo racconto che era uscito dalle labbra di Raivis. Lāčplēsis, così il piccolo baltico aveva detto che si chiamava quello – una serie di leggende d’eroi e demoni, di Dei e bestie feroci.
Davanti al camino acceso – lui seduto su una sedia morbida e Raivis rannicchiato sul tappeto di pelle – era stato davvero piacevole. Sorseggiando di tanto in tanto la vodka dal suo bicchiere finemente decorato, non aveva prestato attenzione ad altro se non a lui. L’aveva ascoltato assolutamente immobile, davvero incuriosito da come Latvia si fosse fermato nel suo proverbiale tremolio nel leggere il libro che teneva tra le mani.
I suoi occhi erano corsi veloci sulle pagine piene d’inchiostro, con una febbre estatica che quasi stentava a riconoscere.
Ed era stato bello sentire la sua voce rapita, portata lontano assieme a quell’eroe che viaggiava e viaggiava, probabilmente lontano da ogni possibile frusta e ogni possibile capriccio intransigente.
Ivan aveva ascoltato, in silenzio e senza dire nulla, almeno finché non si era stufato di sentirlo.
Gli aveva preso il libro tra le mani, poggiandolo su un tavolino poco distante dalla sua persona. E quando era tornato a guardarlo, il baltico lo aveva trovato indeciso se ricominciare a tremare oppure se rimanere semplicemente sbigottito.
Ivan gli sorrise, assolutamente gioviale.
-Mi piace la tua voce, Latvia, ma questa storia mi sta annoiato…-
Il suo udito, in quel momento, aveva bisogno di altri suoni. Come, per esempio, il battere dei denti di Raivis che, compresa la situazione, cominciò ad indietreggiare sperando di porre una distanza dignitosa tra lui e il padrone. Ma – nulla! – Ivan gli schiacciò il piede col proprio, bloccandolo in quel preciso punto.
Il russo sorrideva ancora. Non capiva, come mai aveva capito, come mai la sua sola presenza ispirasse nell’altro un così curioso manipolo di reazioni interessanti.
-Non devi andare via, Latvia!-
Si chinò su di lui, mettendosi a quattro zampe e sovrastandolo col suo corpo. Allungò una mano coperta dal guanto scuro, andando ad accarezzare la guancia tremolante di Raivis. Parve quasi che la coscienza del Lettone scalciasse per correre via, lasciando quel povero e inutile corpo al suo destino – gli occhi di Raivis erano puntati su di lui, su quella mano che inspiegabilmente lo stava accarezzando senza volergli fare alcun male.
Ivan sogghignò appena, avvicinandosi ancora di più. Il suo viso si fece particolarmente vicino, la sua bocca ad una distanza troppo ravvicinata.
-Latvia, parla ancora. Dimmi qualcosa!-
E mentre Raivis tentava di racappezzarsi, cercando logica in quell’ordine tanto strano e nuovo, Ivan fece scivolare le mani sulla sua divisa, cominciando a slacciargliela. Non smise di tremare, Latvia, neppure quando sentì il calore del russo sfiorargli la pelle ormai nuda ed esposta – e quelle sue labbra umide, che avevano cominciato a baciarlo.
-Su, dimmi qualcosa!-
Sapeva che se non avesse obbedito Ivan si sarebbe arrabbiato; sapeva che se Ivan si fosse arrabbiato certo la cosa avrebbe preso una piega diversa; sapeva che se la cosa avesse preso una piega diversa si sarebbe ritrovato quasi esanime nel suo stesso sangue.
Tanto valeva almeno provarci.
Provò ad aprire la bocca, ma un urletto acuto gli scappò nel mentre Ivan gli morse la pelle del fianco. Il suo sguardo era corso giù, sulla persona del russo, sulle sue labbra e i denti ancora ben in vista. Ivan gli aveva sorriso, aspettando che continuasse. Raivis ci riprovò, guardando altrove e continuando a tremare.
Non riuscì a dire niente di davvero sensato, niente di coerente e logico. Ma benché l’udito di Ivan non fosse stato appagato da parole convenzionali, lo era stato sicuramente da quella serie di deboli e timidi gemiti che, nonostante tutto, avevano lasciato la bocca di Raivis.
Perché la lingua di Ivan era calda, le sue labbra umide, la sua bocca accogliente. Le mani sapevano come e dove toccare, arrossando la pelle e vezzeggiandola perché si tendesse al piacere. E gli occhi, che mai avevano lasciato il suo viso, esprimevano quella voglia crudele dell’uomo a sentirlo parlare – ancora e ancora, come se la sua azione di disturbo non fosse nulla in confronto a quello che avrebbe fatto se il suo ordine non fosse stato eseguito alla lettera e il prima possibile.
Latvia alzò lo sguardo al soffitto, cercando di concentrarsi. Sentì l’uomo salire, dirigendosi verso il suo collo e lì cominciare a succhiare la pelle, trovando così un dolce e appagante passatempo.
Ma fu quando una delle sue mani andò verso le gambe, accarezzando l’interno coscia ora fin troppo sensibile, che Raivis urlò quasi, direttamente nelle orecchie del suo padrone.
-Signor Braginki!-
E ogni cosa si fermò, lì come era stata plasmata.
Ivan si separò dal suo corpo, sorridendogli allegro.
-Anche quando strilli come una gallina strozzata mi piace la tua voce, Latvia!-
Braginski si alzò in piedi, lasciandolo scoperto e tremante al freddo, e senza dire una parola si allontanò da lui, dirigendosi verso l’uscita della stanza.
Dopo qualche attimo di smarrimento, in cui Raivis ancora doveva capire cosa mai fosse successo e accettarlo nella propria testa, lo assalì tutto d’un tratto la vergogna, il terrore, la paura e quasi il delirio, tanto che tremare non fu più sufficiente per lui.
Fu semplicemente tutto buio.

   
 
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