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Autore: Siyah    14/11/2010    6 recensioni
Doveva essere felice.
Il giorno che aveva aspettato era arrivato. La sposa attendeva trepidante ed il castello era addobbato di sorrisi smaglianti. Ma la sensazione di attesa non accennava a placarsi e cresceva come la nebbia saliva dalla foresta. Una musica di dolore e rabbia imprigionava il suo cuore con catene incantate e intrise di ricordi. Il Re attendeva l'ospite invisibile che pianificava la sua caduta, l'intruso che si cibava del suo odio.
Arthur sentiva il disperato bisogno di incontrare il suo peggior nemico: Morgana.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Morgana, Principe Artù
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler! | Contesto: Nel futuro
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Premesse: Questa storia nasce all'inizio della terza serie, in un momento di estrema rabbia e disgusto, poi cresciuti fino a farmi abbandonare il tf. Lo sò che può sembrare affrettato, ma sono stufa di vedere gli episodi ripetersi con trame sempre uguali, con personaggi OOC e, soprattutto, forzando sentimenti che non hanno nè un inizio, nè una fine. Odio quando cercano di pubblicizzare qualcosa (leggasi ArWen) a danno di tutto il resto. --________--'
Questo non è lo show che avevo tanto amato.. Fortunatamente mi rimane sempre lo splendore della s1!
Ma bando alle ciance, questa storia nasce come una flash, ma devo ammettere che mi ha preso la mano ed è diventata inaspettatamente lunga^^' Nonostante ciò ho deciso di non tagliarla perchè perderebbe di continuità. Ho messo la dicitura spoiler solo per stare nelle regole ma in realtà, essendo ambientata nel vicino futuro (3-4 anni max) può essere letta da chiunque sappia cosa succede all'inizio della s3. Quindi NON tiene conto delle rivelazioni durante la terza serie!
Naturalmente la splendida canzone usata nel testo è "The Mystic's Dream" di Loreena McKennit e il titolo è traducibile con "a proposito del fato/destino..."





Of Kismet (even the distance feels so near)


... Silent I lie with smile on my face,
Appearance decieves and the silence betrays.

Sonata Artica - My Selene -




Non avrebbe dovuto essere lì, non avrebbe voluto essere lì.
E non solo per la sensazione di claustrofobia che le davano i lunghi corridoi e le spesse pareti in pietra del castello. O per l'eco dei suoi passi, che solo lei considerava assordanti, che rimbalzava nelle sue orecchie. Così simile a tanti anni addietro, nonostante siano ora più pesanti sul terreno, quasi che i crimini commessi negli anni avessero intaccato la leggiadria di un tempo.
In realtà nessuno si sarebbe accorto di niente quel giorno, e non solo grazie all'incantesimo che le permetteva l'invisibilità o alla pozione bevuta che mascherava i suoi poteri magici.
Il castello era addobbato a festa, o meglio, era agghindato in modo quasi ridicolo: servi che le passavo accanto indaffarati a portare enorme stole, vestiti o vettovaglie, festoni penzolanti andavano da una vetrata all'altra, enormi composizioni di fiori ad ogni angolo e, ci scommetteva, anche nelle stanze delle centinaia di invitati.
Le fragranze erano talmente tante e concentrate da farle venire il malditesta.
Morgana si rese conto, con una certa sorpresa, che la vita all'aria aperta che aveva condotto negli ultimi anni le era entrata nelle vene, suo malgrado, e la vita da principessa sembrava ora come ora più remota che mai.
Non che lei l'avesse mai desiderata, affatto.

"Non lo ricordavo così lungo questo corridoio."
Sbuffò, irritata, l'odore dei fiori che le pulsava nelle tempie.
Conosceva una sola persona con una tale romantica, infantile, passione per i fiori; Morgana ricordava le sue acconciature intrecciate con deliziosi fiori di campo e la cura smaniosa e raffinata con cui solerte abbelliva le sue stanze di un tempo.
Avrebbe riconosciuto la firma artistica di Ginevra ovunque, anche se faticava ormai a ricordare i giorni in cui la chiamava Gwen.
Chissà se la nazione sapeva del nomignolo della, a momenti, Regina di Camelot.
Chissà se sapevano delle sue origini, se condividessero il fatto che una di loro li avrebbe presto governati.
Ad ogni modo, Morgana non aveva alcun dubbio che sarebbe stata una regina amata; da quel giorno in avanti il suo nome sarebbe stato ricordato e tramandato come simbolo di bellezza e bontà, accanto e all'unissono con quello del proprio consorte: Artù.
Le sue previsioni si eran rivelate esatte, i suoi sogni avverati. Almeno quelli che riguardavano la fama del suo fratellastro.
"Che noia."
Alla fine, in modo quasi scontato, Artù era diventato ciò che tutti si aspettavano da lui, lei in primis, dovette ammettere; il che andava a suo favore, dal momento che il popolo non pareva sentire la mancanza del tiranno Uther.
La nota ironica era che nessuno, ma proprio nessuno, avrebbe mai immaginato su chi sarebbe ricaduta la scelta della consorte.
A parte Morgana e altri pochi ovviamente, anche se avrebbe preferito venire a sapere del matrimonio prima di piobare nel bel mezzo delle celebrazioni.
Ora capiva il motivo per cui Morgause l'aveva osservata tanto a lungo con quel cipiglio preoccupato che le rivolgeva sempre quando temeva per lei.
Anche Mordred probabilmente sapeva... Di solito però riusciva a leggere dentro la sua piccola peste, invece questa volta aveva scambiato la lunga occhiata che le aveva lanciato e la timida raccomandazione, sussurrata mentre le passava il mantello, per la solita affettuosa pignoleria; inutile dal momento che Morgana era diventata molto poco incline alla sconfitta.
Accellerò il passo, smaniosa di arrivare a destinazione.
Doveva rimanere concentrata sul suo obiettivo, le emozioni non servivano.
Ora apparteva all'Antica Religione, il suo potere scorreva nelle sue vene, il suo fardello sulle spalle.
Quella vita dorata non le serviva e comunque non le sarebbe mai bastata.
Anzi, si ritrovò a ringraziare la freddezza calcolatrice di Morgause: nessuno aspettava il suo arrivo e lei così avrebbe fatto più in fretta del previsto, senza intoppi inutili.
Ma la dea bendata non sembrava dello stesso parere.
Svoltò l'angolo e, sfortunatamente, si trovò davanti proprio Artù e Merlino che camminavano verso di lei. Vicinissimi. Così vicini che si sarebbe scontrata in pieno con il servitore, se non avesse fatto qualcosa.
Non avendo il tempo per fare nient'altro si appiattì contro il muro, serrando gli occhi e trattenendo il respiro, temendo uno scontro che non avvenne. I passi la sfiorarono, le parole diminuirono di intensità, e Morgana socchiuse gli occhi per accertarsi che il mago non l'avesse percepita.
Voltò la testa in direzione delle loro schiene ma non notò niente di particolare; sembrava che fossero concentrati sulla loro concitata conversazione su controlli da effettuare sulla cerimonia e raccomandazioni alla sentinelle che dovevano stare di guardia.
Non sentì la battuta di Merlino che fece sorridere in un modo mortalmente serio Artù, ma probabilmente riguardava la constatazione che un neo re non potesse essere tranquillo neanche il giorno delle sue tanto agognate nozze.
La strega sorrise senza gioia allo sventato pericolo mentre continuava a controllare la loro direzione con lo sguardo quando, inspiegabilmente, senza che avesse fatto alcun rumore, alcun movimento, Artù rallentò la camminata e si voltò.
Morgana sbiancò e il respiro le morì in gola.
Il re si guardò alle spalle e poi si fermò del tutto; Morgana strinse i pugni mentre Artù sembrò guardarla negli occhi e poi oltre le sue spalle, cercando qualcosa che non riusciva a trovare. Non rispose a Merlino che gli chiese cosa avesse notato per farlo bloccare così di colpo e continuò a guardare a destra e a sinistra in modo confuso. Solo quando incontrò la sua espressione preoccupata capì di essersi sbagliato e di doverlo rassicurare.
-Non è niente, mi sembrava di essere osservato... -
Constatò, rilasciando un lungo sospiro stanco.
Merlino si concetrò ma non captando niente fu veloce a riprendere l'espressione gaia che riservava sempre per le buone giornate.
Lo prese scherzosamente in giro per la sua agitazione e si incamminarono di nuovo per il corridoio.

Morgana impiegò qualche secondo per capire che l'aveva scampata, che nessuno si era accorto di niente e che poteva riprendere il percorso da dove l'aveva lasciato.
Inspirò, cercando di cancellare ogni incertezza, e lentamente si girò. Le ci volle però qualche istante in più per ricordarsi di mettere un piede davanti all'altro ed inquadrare la direzione da prendere, per riprendere da dove si era persa.
Odiava quella sensazione, quello stato d'animo che ancora si faceva strada in lei quando ritrovava Artù sulla sua strada, o quando era lei che ci finiva sulla sua, senza preavviso. Odiava il fatto di non poterlo evitare, anche quando scappava o fuggiva, o, come in quel caso, si mascherava con un incantesimo; il suo sguardo riusciva a scovarla ovunque, rifuggendo il suo nello stesso istante in cui la trovava, come se provasse repulsione per quello che guardava.
"Stupido ignorante."
(Artù era la legge, Artù era Camelot, Artù era la ragione fatta persona, era stato ingenuo pensare che potesse capire la magia, il suo legame con l'universo, il modo in cui scorre nelle viscere della terra e sulla superficie dell'acqua, il modo in cui domina nelle vene di chi viene scelto.)
C'era stato un tempo in cui aveva creduto, aveva sperato, di poter essere qualcosa di diverso. In cui era guardata in modo diverso. Un tempo in cui credeva che i sentimenti fossero invincibili e le persone inattaccabili, o almeno quelle che scegli di avere accanto; quelle a cui affideresti la tua vita, quelle per cui combatti e sanguini. E per questa stupida convinzione Morgana era morta. Due volte. E la seconda era stata infinitamente più terribile della prima.
Una parte di lei aveva sempre saputo di non appartenere a quei luoghi veramente, inconsciamente; la sua vera natura le premeva dentro ancor prima che si rivelasse e cominciasse a bruciare tutto ciò che aveva imparato ad amare, tutto ciò che aveva provato a proteggere dietro ad uno scudo di freddezza ed arroganza. Infine si era trovata sull'orlo di un profondo precipizio, in bilico, spaventata e fiera, divisa tra la sfrontatezza di guardarci dentro ed il terrore di caderci. Certo non avrebbe mai immaginato che il pericolo le arrivasse alle spalle, dove pensava di non dover mai guardare; dove credeva che ci fosse qualcuno abbastanza temerario da affrontare la verità, il suo pesante segreto, e di accettarlo.
Che sciocca era stata a fidarsi di Merlino - Emrys, il Mago - pensando che la considerasse un'amica, quando in realtà non l'aveva ritenuta nemmeno meritevole di conoscere la verità fino in fondo.
Gli occhi di Morgana sembrarono fiammeggiare mentre scendeva con passo pesante le scale, il mantello blu notte che si apriva allo spostamento d'aria creava un alone nero sulla pietra, sempre più lungo e scuro man mano che lasciava le ampie vetrate assolate dei corridoi principali.
Un profondo moto d'ira la invase e sentì il fuoco della vendetta riprendere vita, alimentato dal caos che regnava in lei e che lentamente, come una piaga silente, avrebbe invaso poco a poco anche il regno felice del fratellino, per dimostrare definitivamente a lui, e al mago traditore, che non potrà mai esistere un regno in cui la ragione lungimirante possa dominare sull'istinto puro e vivo, se non per un breve periodo illusorio.
Con queste tenebre nel cuore, la sacerdotessa si addentrò nei sotterranei del castello di Camelot, accompagnata nell'oscurità dai bagliori dorati e tremolanti delle torce appese, sparendo, invisibile, all'interno del loro fioco illuminare.


Le tenebre non durarono a lungo e, ad ogni modo, Morgana era diventata una loro assidua frequentatrice: la proteggevano, nascondendola alla legge che la voleva vedere bruciare su un rogo.
Dentro di essa, Morgana aveva imparato l'arte dell'astuzia, dell'inganno; dove gli ignoranti si perdevano, lei sapeva benissimo da cosa farsi guidare quando la luna non le concedeva la sua luce argentea.
L'oscurità aveva il dolce tepore dell'oblio, così nostalgico per la strega, che aveva ormai dimenticato come ci si sentiva ad essere ancora capaci di sognare. E questo a dispetto dei sogni premonitori, che erano ora suoi alleati.
Salì gli ultimi gradini di pietra, silenziosa, i sensi all'erta nel cercare di captare ogni passo nella sua direzione che potesse rovinarle la giornata. Ormai certa di essere sola aprì la pesante porta in legno quel tanto che bastava per non farla cigolare e sgusciò fuori, richiudendosela subito alle spalle.
Per un momento soltanto lasciò che la luce le ferisse gli occhi, che la colpisse timida, mentre Morgana sorrideva compiaciuta all'assenza della sua ombra.
L'incantesimo reggeva.
Diventava ogni giorno più potente e questa sicurezza valeva più di ogni cosa sacrificata per il suo fine, più del suo passato, delle feste sfarzose, delle attenzioni degli altri su di lei. Il prezzo per la libertà era stato e continuava ad essere gravoso ma non sarebbe tornata indietro mai; ora era una donna libera e avrebbe disposto di se stessa a suo piacimento, con la facoltà di affrontare le conseguenze delle sue azioni, qualsiasi esse siano. Anche se non aveva più Camelot ai suoi piedi e dame civettuose a girarle intorno, aveva se stessa e il suo ascendente sugli altri. E questo era più che sufficiente ai suoi piani.
Continuò a camminare fiera per i corridoi grigi, scrutando le espressioni dei servitori e dei nobili che le passavano a fianco ignari, riconoscendone qualcuno di tanto in tanto.
In effetti, a pensarci, era quasi divertente l'invisibilità, le ricordava quando da piccola era solita sfuggire alle lezioni di etichetta e ricamo, con grandissimo disappunto di Uther, per giocare a nascondino con...
Si riscosse, colpita dal sapore amaro che le risaliva lo stomaco, e dovette fermarsi per lasciare passare un'impettita nobil donna fasciata di rosa dall'espressione truce.
Normalmente non le avrebbe concesso un'ulteriore occhiata, ma il vortice rosa dalla sofisticata capigliatura bionda le pareva familiare e di fatti non appena aprì bocca Morgana non ebbe alcun dubbio: la donna che si stava allontanando seguita da un paio di dame particolarmente provate era proprio Lady Vivian, dalla voce alquanto inconfondibile, che aveva fatto perdere la testa ad Artù anni addietro, con conseguente estremo compatimento da parte della strega, la quale, ancora oggi, faticava a comprendere i gusti del fratellastro in fatto di donne. Probabilmente il fatto era semplice: per quanto cerebralmente poco dotata, lady Vivian rimaneva sicuramente una bella donna.
Certo si noterebbe di più, pensò Morgana, se non passasse il tempo a lamentarsi per quella o quell'altra stupidaggine. E a dimostrazione della considerazione appena fatta, nonostante mezzo corridoio di distanza, riuscì a sentire le sue lamentele riguardo all'umidità che le avrebbe sicuramente rovinato l'acconciatura, facendole fare una pessima figura alla cerimonia.
Morgana assunse un'espressione perplessa mentre pensava all'assurdità della preoccupazione.
"Già... Come se Artù avesse il minimo senso dell'osservazione per queste cose! Potresti impagliarti la testa con innumerevoli piume di pavone e non saprebbe comunque vedere la differenza tra te e i fagiani che caccia abitualmente!"
Dovette però ammettere che il tempo non era proprio dei migliori.
Nonostante la primavera inoltrata, l'inverno dava l'impressione di non voler abbandonare quelle terre: sembrava che il sole fosse scomparso dalla volta celeste, soffocato da una spessa coltre di nubi chiare, come di panna, che illuminavano il paesaggio di una luce uniforme ma fioca; non avrebbe piovuto, ma questo non significava che si prospettasse una bella giornata. A riprova della sua teoria la strega notò che si era sollevata una spessa foschia, densa, che aveva avvolto completamente il castello. Morgana riusciva a sentire la sua presa umida fin sotto il mantello e addirittura a vederla muoversi lentamente, a sbuffi, lungo tutto il corridoio di pietra che le si parava davanti; a vederla danzare lenta dava l'impressione che anche tutto il resto si muovesse a rallentatore, e Morgana, da sempre avversa agli equilibri, ruppe l'effetto ottico passandoci attraverso, il passo affrettato dalla consapevolezza che ogni cosa era andata per il verso giusto nelle segrete e che se fosse riuscita a mantenere la concentrazione ancora per un pò sarebbe riuscita a tornare dalla sua gente senza che Camelot intera non percepisse nemmeno la sua presenza.
"Ancora un pò" si disse "e questa fastidiosa sensazione smetterà di tormentarmi la gola." E istintivamente si sfiorò la pelle tesa del collo, in un movimento appena accennato, ricordo lontano di unghie che raschiavano la pelle per aprire una strada all'ossigeno che le era stato strappato dai polmoni.
Deglutì pesantemente nel ricordare come era stato affogare in un mare trasparente.
Si fermò improvvisamente, imponendo a se stessa di calmarsi, per evitare che il panico la assalisse, per evitare il tremolio e l'iperventilazione, ricordi che nemmeno il potente antidoto di Morgause era riuscito a impedire si marchiassero a fuoco in lei.
Fu proprio nel ricomporsi, nel cercare di affievolire il martellare delle tempie, che percepì un suono farsi strada attraverso i suoi timpani; si concentrò su di esso ed in breve tempo quello che sembrava un bisbigliare roco si rivelò essere una voce. Delicata e allo stesso tempo angosciosa, parlava una lingua che non riusciva a decifrare ma che conosceva, intimamente. Morgana non sapeva il perchè di questa convinzione ma era come ascoltare la voce di un defunto a parecchi anni dalla sua morte: un sapore nostalgico, agrodolce, che la memoria non riesce a collegare ad un viso, per il troppo tempo trascorso.
La voce sembrava chiamare qualcosa o qualcuno, con un tono parentorio e allo stesso tempo disperato, impellente e rispettoso.
La curiosità si accese in lei in un attimo, come quando da bambina si impuntava perchè voleva conoscere tutto lo scibile immaginablie, allo stesso modo ora voleva sapere da dove arrivava quella chiamata e per chi era; perciò si mosse nella direzione da cui pensava arrivasse, il passo accellerato, l'eccitazione ed un pò di timore ad accenderle gli occhi verdi.
Non sapeva cosa la guidava e non le importava; più la voce diveniva chiara più i suoi piedi si facevano veloci, il respiro affannato che vaporizzava caldo nell'aria attorno a sè, la veste che si ribellava ai repentivi cambi di direzione sfiorava le gambe dei servitori, irriverente ed irresponsabile.
Morgana sentiva sempre più distintamente la nenia in cui ora distingueva più voci unite, dai toni distinti, che chiamavano qualcuno con insistenza, in una confusa accozzaglia di urli e sussurri.
"Morgana... "
Il suo cuore perse un battito, gli occhi si spalancarono increduli.
"Morgana."
Quasi si scontrò con un servitore, diventato un ostacolo sulla sua strada. Una parte di lei aveva paura di ciò che sentiva, l'altra se ne sentiva irrimediabilmente attratta, come se qualcosa di antico e ancestrale la chiamasse a se con instistenza, perchè aveva bisogno di lei, perchè a lei apparteneva.
Ed infine, dopo quelli che erano pochi secondi di un'attesa che era sembrata lunga anni finalmente Morgana si fermò; davanti a lei riconobbe una porta chiusa, anonima come molte altre nel castello, e a malapena si chiese a chi appartenesse prima di aprirla con decisione, incurante di ogni possibile conseguenza di un gesto così avventato.
La porta si spalancò con un lamento sotto l'urgenza della strega, che per un attimo sembrò riprendere il controllo di se stessa; si guardò intorno brevemente senza neanche far troppo caso alla stanza o a chi potesse appartenere, nelle orecchie solo il martellare di quelle voci.
"Morgana..."
Si voltò nella loro direzione, cercando di seguirne la traccia. Ora come ora sembrava che sussurrassero direttamente al suo orecchio e questo la rendeva ancora più impaziente.
Un sussurro più forte degli altri la fece girare nella direzione giusta e senza esitazione si diresse verso un alto armadio; titubande, afferrò le maniglie e le girò di scatto in un unico gesto deciso, senza trovare alcuna traccia di serratura le ante si aprirono con un lungo sommesso cigolio.
Scostò i vestiti con un gesto stizzito, infastidita dall'attesa inutile che la separava dal suo obiettivo, che si presentò avvolto in un panno sporco.
Lo afferrò, smaniosa di scoprire che cosa fosse, sicura di aver trovato la fonte di quel vociare che le stava spaccando la testa in due; ora oltre al suo nome sentiva un altra parola che non conosceva, ma il cui nome le ricordava un paradiso sconosciuto a chi non sapeva dove cercare.
"Morgana. Ascolta la nostra preghiera. Morgana. Avalon esige la sua regina. Morgana!"
Strappò il drappo avvolto attorno alla parte più alta di quello che sembrava un bastone e si trovò a specchiarsi in una grossa gemma turchese imprigionata all'interno del legno scuro modellato per avvolgerla e sostenerla; emanava un alone azzurro al cui interno sembravano danzare figure fatate che si muovevano piano, come in dormiveglia.
Vide se stessa assorta sulla pietra, concentrata a guardare i volti che ora la osservavano con i piccoli, rossi, occhi; stendevano le mani verso di lei, mentre ancora urlavano nella sua testa.
Il braccio di Morgana sembrò muoversi di sua spontanea volontà, e la mano si sollevò lentamente verso la pietra, spinta, supplicata da quel richiamo antico; quasi con timore stese le dita verso la superficie ruvida dell'enorme lapislazzulo, cercando un contatto che ricercava e rifuggiva allo stesso tempo.
Presa com'era dall'emozione ignorò la sensazione di familiarità che quell'oggetto le suggeriva, così come sembrò non rammentare la donna a cui esso era appartenuto e che tanto in passato aveva fatto per turbare le sue notti. La dama che era quasi riuscita a privare Artù della sua anima.
Dimentica di tutto, assorbita della suppliche e senza più neanche un velo di stoffa a ripararla da quella che stava diventando un supplizio esigente, la pelle ad un soffio di distanza dall'oggetto stregato, improvvisamente un fragore assordante entrò dentro la stanza e sormontò le voci nella sua testa.
Erano campane, il cui rintoccare forte ed improvviso non solo la spaventò, ridestandola, ma riuscì addirittura a farle perdere la già frugale presa sull'antico cimelio che cadde al suolo con un unico, pesante, tonfo.
Mentre le campane presero a rintoccare con un ritmo festoso e a dir poco stordente, Morgana si portò le mani alle tempie pulsanti, gli occhi chiusi per il forte senso di vertigine e pressione che sembrava le volesse spaccare il cervello in due. Mise a fuoco di nuovo il campo visivo quel tanto che bastava per cercare di riprendere il controllo della situazione.
Non era esattamente dove doveva essere, dove sarebbe potuta essere in quel momento se quelle voci non l'avessero "ipnotizzata".
Doveva chiudere la giornata in fretta o la fortuna avrebbe potuto decidere di non essere più così benevola... Eppure a mezzo metro da lei c'era ancora il vecchio bastone con la grossa pietra incastonata, ora straordinariamente muta; talmente innocua che persino l'enorme turchese sembrava aver perso brillantezza. Visto così sarebbe potuto benissimo sembrare un eccentrico gioiello per vecchi nobili. Questo pensiero le fece venire in mente un frammento di tempo che apparteneva ad un passato non troppo remoto, ma non abbastanza vicino da essere ancora del tutto nitido.
La curiosità, già dote altamente pericolosa per Morgana, vinse sulla parte di lei che cercava costantemente di tagliare o di oscurare i ricordi pericolosi o che l'avevano segnata particolarmente; soprattutto se appartenevno a Camelot.
Era sul punto di raccogliere il bastone, se la porta della camera non si fosse spalancata di colpo, sbattendo con violenza contro il muro che, dal suono prodotto, non sembrava aver apprezzato la delicatezza.
Così apparve Merlino, trafelato e paurosamente agitato in un abito di gran classe, che Morgana gli aveva visto indossare solo una volta.
La strega si limitò ad irrigidirsi, cercando di fare il minor rumore possibile, mentre osservava lo stregone nonchè migliore amico del giovane re rovistare nei cassetti, sui mobili e nello scrittoio imprecando maledizioni sulle fedi, sui matrimoni dei nobili e sulle asce dei boia.
-Per tutti gli intrugli di Gaius! Dove le ho messe?! Pensa Merlino, pensa.. Sono finito, rovinato! Artù mi uccide con le sue stesse mani!-
Si girò nella sua direzione e Morgana indietreggiò lentamente, osservando i suoi movimenti con attenzione, cercando di carpirne la direzione prima che fosse troppo tardi. Merlno dal canto suo, si accorse del bastone caduto a terra solo un attimo prima di inciamparci sopra rovinosamente. Il fatto lo sorprese non poco e, nel chinarsi a raccorglierlo la sua fronte si corruggò preoccupata.
-E tu cosa ci fai fuori?-
Morgana si morse la lingua mentre per lunghi attimi sperò che non desse subito l'allarme, in modo da avere un pò di vantaggio sui cani che le avrebbero sguinzagliato alle costole.
Ma Merlino, l'espressione corrucciata, non si fece molte domande nè sospettò qualcosa a giudicare dalla frase che eslamò a se stesso:
-Devo proprio imparare a diventare ordinato... Se Artù lo soprisse ricomincerebbe a fare domande e non ne ho proprio voglia!-
Sospirò rumorosamente, afferrò il drappo e lo riavvolse attorno all'oggetto magico, riponendolo con cura dentro l'armadio. Poi si rimise a cercare, sempre più proccupato per quello che non riusciva a trovare e che sembrava portargli via minuti di vita preziosi.
Se Morgana non fosse stata impegnata ad appiattirsi il più possibile contro il muro come per cercare di attraversarlo, probabilmente avrebbe trovato divertente la scena.
Ad un certo punto il mago, stizzito, afferrò una maglia dalla sedia per poter guardare meglio e un pacchetto di porpora scivolò giù da una tasca, cadendo al suolo; il suono che produsse attirò l'attenzione del mago che, come lo notò, fece un enorme sorriso, seguito da un liberatorio sospiro di sollievo.
Lo afferò da terra, rigirandoselo un pò tra le mani, come per assicurarsi che fosse tutto intero; lo aprì con delicatezza e Morgana vide tutto il suo corpo rilassarsi, rilasciando l'ossigeno che aveva accomulato per la tensione.
Morgana aveva capito qual'era l'oggetto tanto prezioso che il mago aveva momentaneamente perso anche senza vedere il luccichio dorato che traspariva dall'involucro; Merlino accarezzò delicatamente le fedi, per un attimo immerso nei suoi pensieri, un profondo solco a spaccare in due la fronte, le sopracciglia arcuate. Sembrava preoccupato ma la strega non poteva sapere che i suoi dubbi riguardavano la futura regina di Camelot, non poteva sentire lo stomaco del servo storcersi fastidiosamente sotto il peso di una brutta sensazione che sembrava volerlo attanagliare, come non poteva sapere che il silenzio del'amico più fidato del re sarebbe costato caro al mago, che aveva scelto di tacere per non intaccare la felicità di quel giorno che le rune e gli astri avevano invece dichiarato funesti.
La sacerdotessa, rannicchiata contro l'angolo gelido della parete, vide solo le spalle di Merlino arcuarsi per un attimo ancora più gravemente, stritolate nella morsa del dubbio, con la lentezza di chi sa di aver già vinto, e così, quasi respirando a fatica, chiuse le dita ad avvolgere il prezioso pacchetto di velluto rosso; alzò poi lo sguardo, deciso, e Morgana sentì l'ultimo pesante respiro uscire dalla sua bocca prima di sparire dietro la porta che non richiuse alle sue spalle, il passo di nuovo accellerato dall'urgenza di adempiere al compito assegnatoli.
Un ghigno che aveva dell'amorevole si dipinse brevemente sulla bocca di Morgana, che ringraziò silenziosamente l'immortale ingenuità ed incoscienza del mago.


* * *


Morgana dovette ammettere a se stessa che quel giorno la fortuna era sfacciatamente a suo vantaggio e che, se voleva sperare di tornare illesa e vincente, avrebbe dovuto smettere molto presto di tentare la dea bendata: da lungo tempo ormai Morgause cercava di estirparle quella radice incosciente ed avventata, ma senza successo; la sacerdotessa sperava sempre che l'indole altrettanto scaltra e impavida della sorellina la guidasse e le permettesse di riportare a casa la pelle tutte le sante volte. E Morgana sapeva, sentiva, che non avrebbe mai smesso di tentare il fato, che tutto questo, imprevisti ed imprudenze, la rendevano ciò che era, la facevano sentire viva e la divertivano; esattamente come quando da bambina, giocando a nascondino, lei trovava tutti, ma nessuno trovava lei.
Uscì dalla stanza.
Soltanto Artù sembrava capire e a volte la trovava, a volte addirittura faceva finta di niente passandole accanto in un soffio, sfiorandole gli abiti, come a volerle sussurrare "ti ho trovato". La giovane Morgana tratteneva il respiro, temendo la presa della sua mano da un istante all'altro, che non arrivava, perchè lui alzava lo sguardo verso un'altra direzione, lasciandola con l'umiliazione di aver fallito e la gentilezza di non averlo svelato; gentilezza che Morgana aveva imparato ad odiare giorno dopo giorno, fino al giorno in cui Uther aveva confinato lei nelle stanze che si addicevano ad una Lady e dato a lui una spada vera da battezzare col sangue dei suoi nemici.
Questi pensieri si spensero quando davanti a lei si contrappose l'enorme battente in legno massiccio che la divideva dalla sala più grande del castello: la Grande Sala in cui si erano succedute feste e balli, investiture e riunioni politiche. Ma era anche la sala del trono, dove molte persone avevano perso il loro diritto a vivere, alla libertà di opinione e religione, dove in migliaia avevano ricevuto la sentenza di morte.
Davanti alle pesanti porte stavano due guardie armate, parlavano tra loro in modo gioviale ma senza scomporsi troppo, gli occhi vigili e l'animo ricolmo di orgoglio e gioia per i festeggiamenti annunciati; con il corpo presidiavano l'entrata ma col cuore erano rivolti sicuramente alla festa che si stava svolgendo dietro le loro spalle. Morgana guardò con fare quasi sospettoso l'entrata dinnanzi a se, le sopracciglie corruciate nel cercare di sentire qualcosa che non fossero schiamazzi, grida e un alto vociare soffocato solo dalla distanza che frapponevano le porte immense.
Fece quei pochi passi che la separavano dalla porta a due ante, senza dare una seconda occhiata ai soldati: sapeva che non la vedevano. Sollevò una mano ad accarezzare il legno scuro e imponente, blindato dalla lastre di ferro che lo attraversavano e trafitto da innumerevoli chiodi neri. Lo accarezzò gentilmente, sentendone sotto i polpastrelli la consistenza rimasta intatta negli anni, la stessa consistenza incorruttibile a cui si era appoggiata anni fa quando aveva deciso di rinnegare Uther.
Poi, ad un tratto, un attimo prima che Morgana si allontanasse, dall'altra parte qualcuno zittì il nobile fracasso della sala per far spazio alla musica e la strega, curiosa, si fermò ad ascoltare. La melodia iniziò lenta e graduale, dolce e allo stesso tempo triste.
Sentì una voce di donna fare lei stessa da strumento, accordandosi assieme al saz, al leggero suono del tabla. Poteva sentire le famose uillean pipes e il suono magico ed iridescente del nai, che aveva sempre avuto il potere di trascinarla in luoghi lontani, dove non era mai stata se non con l'immaginazione.
Qualcuno sembrava accompagnare la donna, ma solo quando sentì l'inconfondibile, leggera, armonica dolcezza della lira accordarsi con i vocalizzi della cantante, un ricordo esplose nella sua testa, affiorando dalle acque scure della memoria, i contorni offuscati, le immagini rovinate dall'incuria del tempo, ma le parole così chiare da poterle sentire con nitidezza.
Chiuse gli occhi e risentì il tepore del fuoco sul viso, mentre sulle sue iridi di smeraldo si rifletteva l'allegro scoppietare delle fiamme nel caminetto.
-Cantacela ancora cantacela ancora!-
-Sì sì ti prego Nora! Per favore!!-
-Principe non dovreste supplicare, vostro padre non approverebbe.-
Il biondissimo bambino però fece orecchie da mercante e continuò a protestare, battendo le gambe stese sul tappeto.
-Vi prego Nora, la cantate così bene che potrei riascoltarla per l'eternità!-
Ammise Morgana, gli occhi brillanti dall'emozione, faticosamente inginocchiata in modo composto sul tappeto.
-Ma, per mia fortuna, sua altezza è stato molto chiaro sulle ore di sonno, quindi sono felicemente obbligata a mettervi a letto, entrambi!-
Esclamò, per evitare a priori zuffe tra i due bambini.
Morgana però era un osso difficile da convincere e fece subito sentire la sua opinione.
-Perché?! Io non ho gli allenamenti all'alba!-
-Vero. Ma se vorrete sposarvi in un futuro non molto lontano dovrete prendervi cura di voi stessa, e dormire aiuta a mantenete la pelle luminosa.-
Le rivelò la ragazza, accarezzando con fare materno la guancia ancora paffuta ma perfettamente liscia di Morgana, sperando che credesse alle sue parole, dal momento che chiunque, in quel castello, sapeva già che quella bambina dai capelli d'ebano e la pelle di porcellana sarebbe diventata di una bellezza inenarrabile.
Morgana fece finta di credere a quelle parole ed emise un sospiro di frustazione, non volendo mettere nei guai la sua tata preferita.
-Tu però sei bellissima lo stesso, anche se ti alzi prima ancora che sorga il sole.-
Un sorriso luminoso e dolcissimo, divertito, si aprì sulla bocca carnosa della donna.
-Come farai a trattenere quella tua lingua dispettosa una volta cresciuta è un mistero che nemmeno la magia potrebbe risolvere!-
Volse lo sguardo all'erede al trono che la stava guardando in cagnesco, le braccia incrociate sul petto, offeso.
-Principe.-
Lo chiamò, la voce calma e tranquilla, ma severa.
-Artù...-
Finalmente il diretto interessato si degnò di ricambiare il suo sguardo e, come tutte le sante volte, dovette arrendersi all'ostinata dolcezza di quegli enormi occhi scuri.
Sbuffò e si dimenò ancora qualche secondo ma senza la sorellastra come alleata era tutta fatica sprecata.
Morgana vide la donna inginocchiata di fronte a se alzarsi in tutta la sua elegante statura, riassetarsi la semplice veste e poggiare con cura lo strumento musicale contro il muro. Morgana aveva sempre invidiato le sue mani, le dita lunghe e sinuose nonostante i calli e le unghie rotte per il costante lavoro. Quelle stesse mani che ora ravvivavano il fuoco del caminetto, sapevano toccare le corde della lira con una maestria che era capace di ipnotizzare.
Nora tese la mano prima a Morgana che la afferrò, tirandosi su in piedi, con un enorme sorriso, poi ad Artù che si limitò ad afferrarla e a stringerla nella sua senza però schiodarsi dalla sua posizione.
-Io sono l'erede al trono e tu non puoi rifiutare un mio ordine però...- e per un attimo si interruppe, arrossenso vistosamente, le sopracciglie aggrottate.
La ragazza, divertita e curiosa, lo incalzò a continuare, i molteplici riflessi scarlatti che danzavano sulla sua lungha treccia nera le conferivano una nobiltà che misteriosamente sembrava prescindere dal sangue.
-Però?-
-Però quando il giorno delle mie nozze ti chiederò di cantarla tu non potrai rifiutarti. Sarai costretta!-
La giovane tata si sorprese della richiesta dal momento che non era una cantante, e stava per obiettare, quando sentì la stretta di Morgana farsi più forte e, guardando in basso, capì che non aveva scampo. Capitolò, arresa, e fece un lieve inchino al principino ancora seduto a terra sui cuscini.
Artù la guardò vittorioso e poi spostò lo sguardo su Morgana, che lo ricambiò, orgogliosa della decisione presa.

Gli angoli della bocca di Morgana si storsero all'ingiù nel ricordare come le cose precipitarono qualche mese più tardi.
Un nobile qualunque della corte di Camelot aveva accusato Nora di essere una strega e di incantare le persone con la sua voce. A nulla valsero le lacrime brucianti di Morgana o le suppliche disperate di Artù, il sangue blu è sempre più forte di quello rosso.
Nei suoi ricordi sarebbe rimasto per sempre indelebile il ricordo sfocato del capo di Nora piegato dall'autorità del Re, schiacciato e umiliato dalla gelosia e dalla superbia che la circondavano, impossibilitata persino a guardare il suo giudice negli occhi. Avrebbe voluto incontrare lei quegli occhi, per poterle dimostrare tutto il suo supporto, ma fu portata fuori a forza dalle guardie, seguita da un giovane Artù rosso di rabbia; si era aggrappata a lui, mentre l'odio le montava nel cuore, acerbo ma potente, quasi quanto il rimbombo della sentenza nella sua testa. Lui non si era mosso, shokkato e sopraffatto come lei dagli eventi, e Morgana non gli permise un attimo di più perchè scappo via prima che lui a sua volta potesse trarre conforto da lei.
Dal momento che non c'erano prove concrete che la nutrice fosse una strega e valutando, segretamente, l'enorme affetto che provavano suo figlio e Morgana per la ragazza e il suo lavoro impeccabile, Uther salvò Nora dal rogo e la condannò all'esilio; le diede quindi il tempo per impacchettare le poche cose che aveva e poi le guardie la scortarono fuori dalle mura del castello. La piccola Morgana la seguì con lo sguardo fino alla fine dalle finestre delle sue stanze, le lacrime ad imperlarle le ciglia, gli occhi rossi di pianto che bruciavano, tanto quanto il suo giovane animo indignato.
Uther, come aveva previsto, non le aveva permesso di salutarla, ma Nora riuscì a sorprenderla quando, incappucciata e coperta dal mantello logoro, volse lo sguardo nella sua direzione, facendo un leggero cenno col capo; non riuscì a sorriderle ma alla bambina bastò vedere i suoi occhi per capire che se la sarebbe cavata, ovunque fosse andata.
Stette alla finestra un tempo indefinito, gli occhi fissi sulla macchia boscosa che diventava sempre più scura con il sopraggiungere del crepuscolo; solo quando un servo bussò alla sua porta, dicendole che era venuta a prenderla per accompagnarla a cena, Morgana tornò al presente.
Stava per andare ad aprire la porta per rifiutare l'invito quando notò un piccolo pezzo di pergamena appoggiato sul caminetto; lo aprì di scatto, leggendo in ansia quelle poche righe scritte in fretta e furia:
"Non posso mantenere la promessa fatta a Artù fallo tu per me te ne prego."
Niente formalismi, niente sentimentalismi. Morgana strinse a se il pezzo di carta un attimo prima di nasconderlo nel vestito, reprimendo i singhiozzi nella gola. A cena, passò il prezioso foglietto ad Artù da sotto il tavolo, lui lo lesse e il tempo sembrò fermarsi mentre Morgana cercava di decifrare la sua reazione; non c'erano bisogno di spiegazioni ma Morgana voleva che lui sapesse e che fosse d'accordo, per questo lo guardò titubante, gli occhioni preoccupati fissi nei suoi. Ella non poteva sapere che Artù non le avrebbe mai detto di no, non con quello sguardo lucido puntato su di lui, talmente intenso da farlo arrossire. Le sorrise facendo un piccolo cenno col capo e Morgana si rilassò, sorridendo a sua volta.
Non ne parlarono mai più.



Mentre gli ultimi fotogrammi di quella sera si affievolivano, spegnendosi lentamente nella sua memoria, per ripiombare nell'antro oscuro da cui erano usciti, la mano di Morgana raggiunse la bocca, quasi mossa da volontà propria. Toccò le labbra semiaperte mentre queste si articolavano in un muto incantesimo. Le dita poi si allontanarono, seguendo il braccio teso verso le porte chiuse.
Le parole presero ad uscire dalla sua gola lentamente, quasi timide, mentre le strofe diventavano sempre più chiare dentro di lei; poteva sentire il cuore armonizzarsi con la musica, mentre batteva in modo forsennato contro lo sterno.
Con gli occhi chiusi Morgana potè quasi vedere la sua voce entrare nelle venature del legno e passare oltre, nella sala, per sormontare graduatamente quella della cantante, fattasi sempre più debole ed incerta.

-A painting hangs on an ivy wall

 Nestled in the emerald moss

 The eyes declare a truce of trust

 And then it draws me far away

 Where deep in the desert twilight

 Sand melts in pools of the sky

 When darkness lays her crimson cloak

 Your lamps will call me home...-

Sull'ultima strofa Morgana spalancò gli occhi. Che cosa stafa facendo? Era forse impazzita? Eppure le parole premevano per uscire, malinconiche ma potenti; le aveva pronunciate istintivamente, senza pensare alle conseguenze, senza preoccuparsi minimamente del fatto che ora tutti in quella stanza potevano sentire la sua voce, senza contare che sfruttare la magia in quel modo poteva essere pericoloso per la sua vita.
"... Ma gliel'avevo promesso, gliel'avevo promesso... "
Per questo continuò a cantare, seguendo le parole che gli urlava di gridare il suo cuore.
Si voltò, incamminandosi verso l'esterno, in preda ormai all'irragionevolezza più totale, mentre la voce di Nora sembrava guidare le sue corde ed il suo animo attraverso il ritmo ancestrale della canzone; era come se potesse sentire il battito del suo cuore fondersi alle percussioni e rimbalzare contro i muri ancora ed ancora.
L'istinto di sopravvivenza e la conoscenza del castello erano probabilmente le uniche due cose a guidare i suoi piedi, perchè gli occhi non stavano vedendo i corridoi di pietra, ne calcolando la direzione; concentrati, sembravano quasi chiusi ed irraggiungibili, persi tra la magia ed un mondo ancora più lontano.

-...And so it's there my homage's due

 Clutched by the still of the night

 And now I feel you move

 Every breath is full

 So it's there my homage's due

 Clutched by the still of the night

 Even the distance feels so near

 All for the love of you...-


Fuori la nebbia sembrò accoglierla nel suo vapore lattuginoso e soffice; umido contro il viso, si impregnava al suo mantello e lo accompagnava nel suo ondeggiare lento e aggraziato. Nemmeno l'ombra sembrava raggiungerla in quel fumo bianco.
Morgana tremò e la canzone che le suonava dentro si interruppe, la voce le morì in gola e le gambe divennero pensanti.
Sorrise senza gioia, Merlino era sempre stato un guastafeste; come se quella canzone potesse in qualche modo far del male a qualcuno. Era tipico del mago agire ancor prima che ci fosse il minimo segno di pericolo, e poi Morgana dubitava che Artù nel giorno del suo matrimonio pensasse a qualcos'altro se non alla sua bellissima sposa.
Era stato infantile da parte sua voler esporsi così, e pericoloso, calcolando quante forza richiede mantenere più di un incantesimo per volta.
Attraversò le strade deserte della città bassa, grata che fossero tutti a festeggiare, e tirò un sospiro di sollievo quando vide la foresta dinnanzi a se; si sistemò meglio il cappuccio sulla testa e vi si addentrò; le iridi dorate per un istante nell'esortare il suo cavallo a raggiungerla.
Le ci volle qualche metro per accorgersi che qualcosa non andava nei rumori che la circondavano, che qualcosa di stonato ed al contempo stesso ben nascosto si era aggiunto nel pacato concerto mattutino; troppo tardi si accorse del sottobosco calpestato, dell'accartocciarsi delle foglie sotto un peso che non era il suo.
Fermò l'andatura ed ascoltò: i passi sembravano essersi fermati. O forse si stava immaginando tutto...
-Morgana.-
No. Non può essere...
Si voltò, all'istante, incapace di credere ad una sola sillaba, rifiutandosi di credere, di riconoscere quella tonalità, quel lamento, quella supplica, quella condanna.
Perchè solo una persona era capace di riprodurre il suo nome con tutte quelle sfumature diverse.
I suoi occhi non riuscirono a contenere la sorpresa e si sgranarono, per mettere a fuoco senza più alcun dubbio, la persona che le stava davanti.
-Artù.-
Il suo nome uscì dalle labbra così debole e gracile, che Morgana non era nemmeno sicura di averlo pronunciato.
-No... -
Non lui. Qualsiasi altro, ma non lui. Si supponeva che il re dovesse essere seduto accanto alla sua regina, brindando e festeggiano, non nel folto di un'uggiosa foresta con colei che doveva essere la sua peggior nemica.
-Morgana.-
Ripetè, con un tono più forte, più chiaro, pericolosamente alto.
-Che cosa sei venuta a fare quì?!- Si avvicinò, guardandola con sospetto. -O che cosa hai già fatto?-
Morgana si ricompose, affilando lo sguardo.
-Come siamo diventati sospettosi! Non avrei potuto aver voglia di una passaggiata mattutina forse?!-
Il viso di Artù parve voler esplodere in una fragorosa risata, ma la sua bocca non riuscì ad essere convincente e si piegò in uno strano ghigno esasperato.
-Andiamo Morgana, non penserai che abbocchi ad una scempiaggine simile? E, sentiamo, perchè mai faresti una passeggiata in una foresta lontana centinaia di miglia dalle tue terre?-
Morgana non accennò al minimo dubbio, lo sguardo verde vivido di arroganza puntato nel suo.
-Avevo voglia di cambiare aria.-
E questa volta Artù non potè evitare di concedersi una breve risata, per quanto poco felice essa fosse.
-Vuoi dire che la mia unica sorellastra si fa vedere a Camelot dopo mesi solo per farsi una passeggiata?! Non ti sarai mica dimenticata i nostri trascorsi vero?-
Morgana sembrò non sentire le sue parole, come sembrava non preoccuparsi del fatto che era stata condannata all'esilio dallo stesso Uther, poco tempo prima della sua morte; era troppo occupata ad osservare quanto poco era cambiato l'uomo che aveva davanti: non conosceva nessuno capace di risplendere nello stesso modo in carisma e bontà d'animo. Nessuno possedeva quella luce, che sembrava rischiarare le tenebre intorno alle persone.
Sembrava che nemmeno la nebbia avesse il coraggio di schermare il fulgido riplendere della chioma o il porpora del mantello.
-Hai infranto la legge che ti teneva al sicuro, di nuovo, perchè?-
Cambiò tono lui, snervato dai giochetti di parole che era solita tirar fuori Morgana.
-Non penserai che la legge di Camelot mi faccia paura, vero? O che possa in qualche modo fermarmi?!-
Strano, pensò Artù, una parte di lui aveva sperato che usasse la scusa del suo matrimonio.
Sarebbe stato un motivo in meno per non ucciderla. Invece a quanto pare Morgana adorava collezionare capi d'accusa sulla sua testa. Sembrava quasi che ne andasse fiera.
-La legge è uguale per tutti e lo sai, nemmeno io ne sono al di sopra.-
-Non sai cosa ti perdi...-
-Smettila!-
L'urlo del re la scosse e per un breve istante tutto sembrò immobilizzarsi: gli uccelli, le foglie, la nebbia, lo scorrere del sangue.
Artù la guardava come se avesse davanti una complicatissima questione di stato, ma c'era qualcos'altro che la sacerdotessa non riusciva a decifrare, a parte dosi elevate di risentimento.
-Perchè l'hai fatto? Dimmelo.-
L'ordine la sorprese, non era la domanda che si aspettava, ed Artù lo notò.
-Perchè, dopo così tanto tempo, ti presenti al mio castello il giorno del mio matrimonio? Come ti sei permessa?!-
Sembrava veramente risentito, il fratellastro. Ed arrabbiato, ma di questo Morgana non si era mai preoccupata, perciò gli rispose con la franchezza di sempre.
-Morgause pensava che saresti stato vulnerabile... Le ho detto che dormi sempre con la spada sotto al cuscino, ma mi ha risposto che l'amore annebbia i sensi, quindi ho voluto provare. Tutto quì.-
Arthur espirò pesantemente e il suo sguardo si rattristò un poco.
-Mi ritenevi così stupido da aver dimenticato la tua voce? Come pensavi di passare inosservata cantando quella canzone?-
Morgana indietreggiò, improvvisamente spaventata dall'insinuazione di Artù. Sentì gli zoccoli del suo cavallo farsi vicini alle sue spalle.
Ragionò. L'incantesimo si era spezzato nel momento in cui Artù aveva pronunciato il suo nome, ma forse la nebbia avrebbe potuto nasconderla durante il tragitto verso casa. Se solo fosse riuscita a liberarsi dello sposino.
Il re sembrò aver intuito i suoi pensieri, o più semplicemente aveva notato il cavallo di Morgana uscire dalla nebbia.
Le puntò il dito accusatore contro, facendo qualche passo nella sua direzione.
-Tu non andrai da nessuna parte!-
-Non ti avvicinare!-
Indietreggiò lei, alzando una mano nella sua direzione, il panico ad alzare di un'ottava la voce. Artù rallentò ma avanzò comunque, nascondendo il timore di un suo incantesimo sotto uno sguardo duro ed impassibile.
-Non mi sfuggirai di nuovo.-
Morgana sibilò un incantesimo ed Artù sentì come una grossa mano posarsi sul suo petto e schiacciarlo all'indietro per almeno due o tre metri; i piedi strusciarono nella terra scura, screando due scie profonde, mentre la mano invisibile perdeva la presa su di lui, svanendo.
Riappropiandosi dell'equilibro, tornò a guardare Morgana, iracondo, ma quello che vide lo sorprese: la strega aveva la schiena piegata, e respirava pesantemente, come per cercare di catturare più aria possibile da incanalare nei polmoni, ed era più pallida.
La vide appoggiarsi ad una grossa quercia, lo sguardo brillante di sfida puntato su di lui.
-Morgana?-
Non gli rispose, le parole sembravano non avere abbastanza ossigeno per uscire.
Riprese ad avvicinarsi, l'espressione preoccupata ed incerta, il blu dei suoi occhi tempestoso come il mare del Nord.
-No!-
Urlò Morgana vedendolo riguadagnare spazio tra loro. Non poteva lasciare che si avvicinasse, non poteva permettersi di lasciarsi raggiungere, non voleva e non poteva. Anche se era stanca, molto stanca.
-Verrai con me Morgana, che tu lo voglia o no.-
Decise, risoluto, mentre metteva la mano all'elsa di Excalibur. Morgana rabbrividì, sentendo l'aura della spada risuonare al tocco del suo proprietario, ed indietreggiò di scattò inciampando sulla radice dell'albero e finendo al suolo.
Il cappuccio scivolò all'indietro, scoprendo la lunga chioma, nera e lucida come l'inchiostro, raccolta insieme da un fermaglio a forma di serpente.
-Ricorda Morgana: la magia richiede energie e forze; più l'incantesimo è complicato, più energia e forza ti toglierà; sei potente ma ricordati di non strafare o il prezzo potrebbe diventare alto.-
Morgause glielo aveva ripetuto prima della sua partenza, ricordandole che due incantesimi potenti come quelli da mantenere erano gravosi di per se, senza andare a cercarne di altri. Ma lei naturalmente non era mai stata un'allieva diligente.
A meno di un metro da lei, Arthur si fermò e la guardò con uno sguardo indecifrabile, e triste.
-Non capirò mai perchè lo fai. Perchè ti ostini a combattermi quando dovresti essere al mio fianco? Perchè ferisci il mio regno ripetutamente? Perchè continui a voler distruggere quello che creo? Cosa ti ho fatto, Morgana?-
-Non. Avvicinarti.-
Sillabò a denti stretti lei, come se non avesse sentito quello che lui le aveva appena detto.
-Perchè, altrimenti? Non puoi farmi più male di quello che mi hai già fatto.-
Ammise, cercando di suonare sicuro di sè, anche se con Morgana non era mai detta l'ultima parola. Era abituato alle minacce sottili, alle parole taglienti, agli attacchi mirati, alle lunghe torture. La mente di Morgana era sempre rivolta a colpire il suo cuore, a stritolare la sua anima.
Avrebbe tanto voluto non sentire quella canzone, non riconoscere quella voce, non alzarsi da quella sedia, non abbandonare Ginevra e i suoi fidati cavalieri per seguire quella melodia nella nebbia. Ma l'aveva fatto, chissà con quali futili aspettative nel cuore. Chissà perchè una parte di lui sperava di ritrovare la Morgana che aveva affrontato fianco a fianco con lui i banditi ad Eldor, la Morgana che lo accompagnava nelle missioni pericolose, la Morgana consigliera, la Morgana che adorava far arrabbiare fino allo sfinimento, la donna capace di batterlo con uno sguardo, capace di incoronarlo con poche stupide parole. Cosa era successo? Dove aveva sbagliato? Quando era cominciata quella guerra?
Arthur aveva sempre la sensazione di aver perso qualcosa lungo la strada, ma non aveva mai capito di cosa si trattasse, né di come fare per recuperarlo. Ogni cosa sembrava essersi complicata con la sua salita al trono. Ed ora Morgana era dall'altra parte della barricata, e come tale avrebbe dovuto trattarla.
Se mai ci fosse riuscito.
Per questo l'aveva bandita dalle sue terre, per questo l'aveva esiliata, perchè in cuor suo temeva il giorno in cui fosse stato costretto a condannarla a morte e quel giorno non avrebbe mai dovuto arrivare. Artù era consapevole del fatto che emanando quell'ordine, definitivo ed irrevocabile, avrebbe eretto un muro invalicabile tra loro, ma poteva accettarlo se la sapeva viva e libera; se la sapeva felice tra la sua gente.
Era stato ingenuo: Artù aveva sottovalutato il potere dell'odio e della vendetta, aveva sottovalutato la fiamma verde ed irosa che aveva visto nei suoi occhi, il giorno in cui era partita.
Le guardie non l'avevano nemmeno sfiorata, mentre la scortavano fuori dal castello; e lei, lo sguardo fiero e bianco come la luna che guardava dritto innanzi a se, algida ed impavida, non aveva fatto alcuna resistenza; ad Artù, guardando la scena dalla cima della scalinata, era sembrato di vedere un comandante alla guida dei suoi soldati, piuttosto che un reietto del regno pronto ad essere cacciato. Avrebbe potuto sorprendersi della scena, ed invece era rimasto fermo, immobile come una statua, mentre Morgana saliva sul suo cavallo ed un giovane soldato, istintivamente, si avvicinava per sistemare meglio il mantello sulla groppa dell'animale. Il re si permise di sorridere ad un vecchio ricordo; poi lei si voltò e puntò lo sguardo nel suo, e potè quasi sentire le scintille attorno a loro mentre a sua volta induriva la sua espressione, tentando disperatamente di non lasciarsi scalfire dal profondo smeraldo dei suoi occhi. Iridescente nel suo mantello bagnato dal sole, bellissima e letale, Artù per un attimo pensò che potesse realmente uccidere con lo sguardo, come si vociferava a corte; ma non successe nulla e Morgana si rivoltò, spronando il cavallo al galoppo verso le porte di Camelot. Non si era voltata più indietro, né per dare una fugace occhiata alle finestre dove sapeva benissimo esserci Ginevra a biasimarla con le lacrime agli occhi, né verso Merlino, in piedi vicino ad una delle colonne del cortile, che la osservava nascosto nella penombra, aspettando una catastrofe che non era arrivata.
Le intenzioni di Morgana non tardarono a rivelarsi e, nel tempo, gli attacchi (diretti o indiretti) non si affievolirono mai, né persero di efficacia; eppure Artù resisteva, strenuamente, e contrattaccava senza risparmiarsi, perchè sapeva che la strega non si sarebbe risparmiata a sua volta.
Morgana era un'ottima stratega, paziente e ponderata; ma il re di Albion la eguagliava e Camelot reggeva, la Tavola Rotonda reggeva. Ancora.


Poi era arrivato il matrimonio, desiderato, agognato, cercato con tutte le sue forze quando ancora Uther godeva di ottima salute. Ed un giorno il sogno era diventato realtà, con molta più facilità di quello che aveva pensato. Nemmeno un intoppo: né il giorno dell'annuncio, né tra il popolo, né tra le dinastie reali, né durante i ferventi preparativi.
Ogni volta che il sole tramontava su una giornata tranquilla Artù si sentiva sempre più inquieto, sempre più nervoso.
Ogni giorno era più taciturno con i suoi cavalieri, più freddo con Ginevra, che sembrava invece contenta di questa normale tensione pre-matrimoniale; ed Artù era grato che la pensasse così, che non rifuggisse ferita il suo sguardo.
Ogni mattina, al risveglio, la nausea lo assaliva, lo stomaco si attorcigliava su se stesso; si alzava e guardava dalla finestra, pronto a vedere l'orizzonte ardere tra fiamme scalatte, la coltre di fumo nera ad oscurare il giorno. Ed invece l'unico scorcio di rosso era quello timido e sfumato di rosa delle nuvole all'alba.
Quando il giorno felice spuntò all'orizzonte Artù non aveva chiuso occhio tutta la notte, impegnato prima a controllare che i soldati posti a sentinella facessero il loro dovere, in tutto il perimetro del castello, poi a rileggere i trattati di tregua stipulati con i popoli invasori, ed ancora ad assicurarsi che tutto fosse pronto nelle cucine, che le riserve di grano fossero intatte; infine a vegliare dalla torre il respiro del suo popolo addormentato, mentre rifletteva sulle parole con cui Merlino l'aveva lasciato a fine giornata.
-Sire, non preoccupatevi, domani mi assicurerò che tutto vada per il meglio.-
Gli aveva detto, lo sguardo fisso nel suo.
Artù aveva cercato di decifrare quegli occhi strani e quell'espressione seria, ma poi aveva desistito, congedandolo con fredde parole.
-Sarà meglio per te.-
Ora, sull'orizzonde nero rivedeva quegli occhi ed aveva il terribile dubbio che Merlino avesse capito, che avesse percepito ciò che il suo animo faticava a contenere, ciò che il re evitava e che non voleva ammettere.
Tipico del suo valletto personale fare queste criptiche considerazioni con voce angosciata, come se stesse rivelando qualcosa in più di quello che avrebbe dovuto; e non perchè lui era il re, no, queste barriere erano cadute da tempo -se mai erano esistite tra loro- ma perchè... chissà, Artù doveva ancora scoprirlo.
Ginevra per il suo matrimonio aveva sperato in una bella, tiepida, giornata primaverile ed in effetti la giornata era iniziata nel migliore dei modi, con il tepore dei raggi a scaldare la pietra del castello ed il scintillio della rugiada sui fili d'erba tenera e sui germogli in pieno sviluppo. Poi l'atmosfera era cambiata, come capita spesso in Britannia, ed il sole era stato coperto, lentamente, mentre dalla terra si alzava una spessa foschia.
Il re di Camelot aveva osservato il suo mondo cambiare aspetto dalla finestra della sua stanza mentre neanche sentiva le sarte che gli sistemavano l'abito cerimoniale attorno al corpo, fino a quando un leggero bussare alla porta l'aveva distratto dal suo cattivo presentimento.
-Avanti.-
Aveva esclamato, mentre notava come gli abitanti di Camelot sembrassero dei fantasmi muovendosi attraverso quel velo lattiginoso che ricopriva la città.
-Sire.-
Lancillotto si fece avanti, luccicante nella sua armatura tirata a lucido per l'occasione e Artù fece un cenno col capo per invitarlo a parlare.
-E' tutto pronto: i nobili hanno preso posto ed ogni singolo soldato è dove deve essere.-
Tentennò.
-Ginevra mi ha chiesto di chiedervi come state.-
Artù abbozzò un sorriso divertito.
-Dille di stare tranquilla, che andrà tutto bene.-
I due uomini si sorrisero a vicenda, il cavaliere chinò la testa e fece per andarsene.
-Lancillotto.-
-Sì, mio re?-
-Com'è?-
Lancillotto rispose senza nessuna esitazione.
-Bellissima.-
Artù sorrise, sereno.
-Per favore, scortala personalmente. La prudenza non è mai troppa.-
La frase lasciò interdetto il cavaliere, che comunque assentì e, con un breve inchino, lo lasciò a se stesso.

Avevano appena iniziato a banchettare, quando uno dei sovrani stranieri si alzò, attirando l'attenzione, per annunciare che aveva un dono speciale per gli sposi.
Fece un cenno al suo valletto personale e questi fece entrare nel salone un gruppetto di musici, tra cui spiccava un' alta donna, con un'enorme massa di riccioli castani che teneva stretta a se una lira.
Presero posto in mezzo ai lunghi tavoli soppiantando momentaneamente gli intrattenitori del momento e, mentre il loro re spiegava che canzone fosse e quanto fosse sublime la voce di questa cantante tra la sua gente, Artù sembrava rapito dalla strumento della dama.
Nel momento in cui la musicista si accomodò sulla semplice sedia, poggiando lo strumento sulle gambe, Artù sentì un fastidioso pizzicore alla base della gola.
Ma solo quando le prime note cominciarono a diffondersi nell'aria, il re di Camelot capì a cosa era dovuta la sua curiosità; strinse i pugni sul tavolo e serrò la mascella, sentendo il pizzicore trasformarsi in un acido corrosivo, bruciargli gli occhi e finire alle porte del cervello, spingendo per entrare; mentre gli altri strumenti arricchivano la melodia che aveva segnato la sua giovinezza.
La bravura della cantante non bastava a placare l'ossigeno nei suoi polmoni che graffiava per uscire, per urlarle di fermarsi, che quella canzone non le apparteneva e che non poteva permettersi di cantarla lì, in quel momento, al suo matrimonio.
Poi, i suoi nervi si distesero, soggiogati da qualcosa che dapprima solo la sua anima percepì, e che poi arrivò ai suoi timpani e gli fece mancare un battito.
Sentì distintamente la voce dalla ragazza cambiare ed assumere un timbro più basso e profondo, sensuale ed allo stesso tempo misterioso, lamentoso ed allo stesso tempo limpido e cristallino.
Il cuore gli saltò definitivamente in gola nel realizzare a chi appartenesse quella voce. Nel realizzare che non era la sua immaginazione, né un orribile scherzo del vino -comunque insufficiente- usato per brindare.
Esterefatto, rapito, non poteva credere ad un tale affronto, lì, in quel momento, ad un attacco così diretto senza il ben che minimo scrupolo, in un giorno che aveva sperato potesse essere di tregua.
Ma sembrava non esistesse pace nel suo mondo.
Si guardò intorno per capire se qualcun altro avesse sentito la differenza, nonostante quasi nessuno in quella sala conoscesse Morgana, se non per fama; e di fatti tutti sembravano allietati dalla canzone e neanche uno tra gli invitati pareva aver avuto una qualche reazione. Guardò sua moglie, ma anche lei pareva non aver notato nulla. Deglutì nervosamente.
Si sentiva intrappolato alla sedia, impossibilitato a ribellarsi, come se avesse un cappio intorno al collo che stringeva sempre più man mano che la canzone proseguiva; poi si ricordò di un particolare e guardò oltre le sue spalle, trovando sir Leon a fargli da angelo custode, come sempre; gli fece un cenno col capo, sperando che il fedele cavaliere lo coprisse senza domande.
Egli si avvicinò e ascoltò, annuendo senza dire una parola mentre vedeva il suo sovrano alzarsi ed avvisare gli ospiti che c'era una questione che richiedeva la sua attenzione, scusandosi per la breve assenza e scherzando sul fatto che la "bella compagnia" ed il vino li avrebbe sicuramente tenuti impegnati.
Sorrise per rassicurare Ginevra che lo guardava preoccupata e poi si precipitò fuori dalla sala con sir Leon alle costole, seguito a ruota da Merlino, che si teneva a debita distanza per non farsi vedere.
Fuori dalla sala si rese conto che non aveva il minimo indizio e tre possibili direzioni davanti a se. E, ancora più grave, non sentiva più la voce di Morgana.
Seguì l'istinto e precorse il corridoio a grandi falcate, agognando un solo singolo suono che lo mettesse sulla strada giusta.
"Canta Morgana. Ti supplico. Così potrò trovarti e questa guerra avrà fine."
E fu così. Risentì la voce della sorellastra danzare tra le mura e ne seguì la scia fino alla città bassa dove congedò sir Leon. Era una questione tra lui e Morgana, e poi non voleva perdere uno dei suoi più vecchi e fidati cavalieri, non potendo garantire nemmeno per se stesso quando la strega era nei paraggi.


* * *


Infine, eccola lì, innanzi a lui.
Passava il tempo, eppure Morgana sembrava non risentire delle guerre e del sangue che era stato versato; sembrava che il tempo la ritenesse troppo bella per poterla segnare, o più semplicemente l'aiutava la magia che le scorreva dentro.
"Sei il primo servitore della Tavola e come tale devi agire, dando il buon esempio. Non sei superiore alla legge."
Se lo ripeteva sempre, come un mantra, perchè la verità era che per quanto il suo popolo lo amasse, non era facile. Non lo era per niente.
"E' tuo dovere."
Estrasse Excalibur ma qualcosa lo bloccò dal fare un passo in più.
Tese una mano e si accorse che c'era una barriera in mezzo a loro. Era trasparente, come vetro, e ovunque posasse le dita ne sentiva la presenza sotto i polpastrelli.
Incrociò il suo sguardo, stanco e sfinito, e vide un ghigno farsi strada sul bel volto. La guardò con odio.
-Codarda!-
Non poteva crederci. Come faceva tutte le volte? Come ci riusciva?
La vide appoggiarsi all'albero e trascinarsi in piedi artigliando le unghie alla corteccia, mentre il suo cavallo le si affiancava docile.
-Non è il momento propizio Artù.-
Ansimò, afferrando le briglie del cavallo in equilibrio precario, mentre le ciocche ribelli sfuggite al fermaglio le coprivano lo sguardo.
-Non mi interessa cosa pensi! Devi pagare per i tuoi crimini!-
Disse urlando contro il velo invisibile che li separava.
-La prossima volta... -
Non finì la frase. Artù vide con mal celata preoccupazione le ginocchia che cedevano sotto il peso del suo corpo e le mani che si stringevano disperatamente alla sella per impedirsi di finire al suolo.
Non sopportava di vederla in quello stato.
Alzò la spada e sferrò un fendente contro il vetro immaginario: la lama si conficcò nella barriera, stridendo e producendo scintille, lasciando una scia incandescente nel punto ferito. Quando Artù la ritrasse la crepa si dissolse come sciolta da un acido e vide dall'altra parte più distintamente, segno che si era aperta.
Con la forza della disperazione Morgana si issò sul possente animale, guardando con timore la potenza della spada del Re di Camelot.
Artù sorrise pregustando la vittoria: lui era veloce e Morgana sembrava trementamente debole; in una falcata l'avrebbe raggiunta, prima che potesse mettere qualsiasi distanza fra loro.
Alzò la spada sopra di sé, concentrandosi per imprimere la maggior forza possibile. Vide il modo intenso e spaventato con cui lo stava guardando mentre cercava di mantenere la schiena dritta.
-Avresti dovuto pensarci prima di presentarti a Camelot, il giorno delle mie nozze!-
-Hai ragione, ma avevo fatto una promessa al mio fratellino.-
Mancò poco che la spada gli scivolasse dalle dita.
-Perdonami.-
Non aggiunse altro e con un urlo che aveva del disperato lanciò il cavallo al galoppo.
Artù si riscosse e affondò la spada nella barriera che si disintegrò in mille pezzi, ma l'incertezza avuta aveva fatto sfumare il vantaggio.
L'aveva persa.
Esitando, lasciandosela scappare per un soffio.
Vide il mantello svolazzare al ritmo sfrenato del cavallo un'ultima volta prima che questo sparisse nella nebbia, e seguì con l'udito il galoppare dell'animale fino a quando anche questo venne risucchiato dalla sinfonia della foresta che lo circondava.
Era sparita.
Improvvisamente, la corona che gli cingeva il capo gli fece venire una forte emicrania, la cotta di maglia sembrò soffocarlo e la fidata spada sembrava volergli spezzare il polso; fu per questo che le ginocchia cedettero e lui piantò Excalibur al suolo, appoggiando la fronte che ribolliva contro la gelida incisione di metallo, sperando di trarre da lei la forza che gli serviva per tornare dai suoi commensali e dalla sua sposa con il sorriso sulle labbra, ricolmo di quell'amore che sia Ginevra sia il suo popolo meritavano, e non con l'odio, la tristezza e la rabbia nel cuore.
Fu grato al fato che gli aveva permesso di essere solo, altrimenti non avrebbe saputo giustificare il fatto di essere tornato a mani vuote, non avrebbe potuto sopportare di essere così vicino al nemico e di esserselo lasciato fuggire. E per cosa? Per una stupida frase ad effetto.
Che errore da principiante!
Meno male che nessuno dei suoi cavalieri aveva visto o ci avrebbe perso la faccia.
Strofinò la fronte contro la spada, sperando che avesse il potere di liberargli la mente.
"Dimmi che non era vero Morgana, dimmelo! O non riuscirò mai ad ucciderti."
Fece un profondo sospiro e si alzò. Rinfoderò Excalibur e si voltò per tornare alla sua festa.
Decise che non era bene pensare a queste cose, cercare di raggiungere fantasmi che avevano l'unico scopo di deriderlo e di farlo sentire legato a vecchi sorrisi e sbiadite promesse, pronunciate senza alcun senno del futuro, ingenue, che avevano il sapore dei giorni d'estate passati tra i campi d'oro del grano: stupidamente felici e fugaci.
Artù, camminando, prese uno ad uno quei ricordi che si erano permessi di riapparire, li accartocciò e li relegò di nuovo negli angoli bui della sua mente, dove sperava avrebbero presto perso la voglia di brillare.
Facendo ciò il giovane re sentiva che diventava ogni istante più leggero, mentre una coltre nera e spessa sembrò inglobare quello che era successo un attimo prima. Secondo dopo secondo, passo dopo passo, sentiva le forze rianimarlo, rinvigorirlo e sorrise alle porte di Camelot che lo riaccoglievano fra le sue possenti mura.
Ad ogni falcata i fili appiccicosi che lo legavano al passato si staccavano dai suoi piedi, dalle sue gambe, dalle sue braccia, dalle sue mani, dalla sua testa, dal suo cuore per sparire nella nebbia da cui erano usciti.
L'accolse un corrucciato sir Leon, che non si era mosso di un millimetro; Artù gli diede una sonora pacca sulla spalla, sorridendo soddisfatto.
"Non era niente, mio caro amico. A volte Merlino ha proprio ragione: mi faccio troppe paranoie."
Il cavaliere sorrise a sua volta, incerto per l'improvviso, strano, cambiamento d'umore, ma fiducioso, come sempre, nel suo re. E contento che non ci fossero pericoli in vista.
Insieme quindi si incamminarono verso la sala del trono, ignari del corrucciato Merlino che era rimasto indietro ad osservare la foresta immersa nella distesa bianca, dove per un attimo aveva pensato di uccidere la strega. Questa volta avrebbe veramente voluto farlo ma aveva lasciato l'onere ad Artù, convinto che questa fosse la volta buona, il momento propizio, il giorno in cui si sarebbe detto addio alle sofferenze di due popoli.
Invece oggi non era diventato il giorno e Merlino si era sentito un codardo, di nuovo. Si ritrovò a pensare che forse ci si stava abituando troppo al suo ruolo, e che Artù, per quanto giusto fosse, non sarebbe mai riuscito ad ucciderla.
"Sì" pensò "la prossima volta non la lascerò andare."
Concluse, tornando anche lui alla festa.


Molte ore dopo, il re si costrinse ad abbandonare le risate, gli scherzi, i balli e soprattutto il vino, consapevole che altrimenti avrebbe fatto veramente molta fatica a salire le scale per arrivare agli appartamenti della regina. Regina suonava bene sul nome Ginevra e, si ritrovò a pensare, risuonava altrettanto bene con il suo. Gli venne da ridere. Chissà perchè gli venivano in mente le favolette che le nutrici raccontano alle principesse per farle sognare; quelle così scontate e stupide, dove tutto si risolveva per il meglio alla fine, dove non esistevano guerre o nemici che si tramandano l'odio di generazione in generazione.
Si appoggiò alla balustra da cui respirò a pieni polmoni l'aria frizzante e ricolma di profumi che sferzava annoiata l'imponente castello.
Aprì gli occhi e vide la linea scarlatta all'orizzonte mangiare l'ultimo pezzo di sole, mentre la notte guadagnava sempre più terreno sul cielo.
Artù osservò l'orizzonte infinito, che ora, ancora illuminato dai raggi, aveva l'aspetto di una terra di confine, oltre il quale si apriva un paradiso terrestre; attratto, cercò di spingere la vista verso quelle distanze per vedere cosa c'era oltre, ma dopo qualche attimo dovette chiudere gli occhi brucianti.
"Che sciocco..."
Prese il bicchiere di vino che aveva posato sulla pietra e lo alzò verso il tramonto morente, brindando a quella terra magica che non avrebbe mai visto in questa vita. Ingoiò in un unico sorso il vino rimasto nel calice e poi lanciò questo nel vuoto oltre alla balconata; e mentre immaginava l'interminabile caduta del bicchiere espirò profondamente, guardando le prime stelle che macchiavano di luce la volta blu sopra le sue terre.
Quell'immagine lo riportò con incomprensibile naturalezza alla canzone.
"A clouded dream on a eartly night hangs upon a crescent moon..." Trovò la luna in un angolo di cielo, timida, perchè ancora sottile ed incapace di guidare i viaggiatori della notte.
Le sorrise, maledicendo le coincidenze che lo riportavano sempre a lei.
Chinò la testa, lasciando che la solita, fredda, malinconia lo cullasse, come faceva sempre nei rari momenti della giornata in cui nessuno pretendeva la sua presenza per una questione che sembrava sempre impellente; e un angolo della bocca si curvò perchè sentiva che ogni singola fibra di se stesso era rivolta a quella canzone che li univa e che premeva per uscire, perchè la conosceva bene, impressa a fuoco da qualche parte nella sua testa e poteva sentirla pretendere di diventare completa, di essere cantata quel tanto che bastava per considerare la promessa compiuta.
Si concentrò e la voce risuonò calda in lui, prima di vibrare verso l'esterno.

-A voiceless song in an ageless light
Sings at the coming dawn
Birds in flight are calling there
Where the heart moves the stones
It's there that my heart is longing
All for the love of you.-

Il suo respiro si avvolse sull'ultima nota e poi si spense, soddisfatto.
Artù riaprì gli occhi e sentì che poteva sopportare la vergogna, se nessuno l'aveva sentito, e sperò, in un modo molto stupido e speranzoso che lei l'avesse sentito e che avesse capito, tramite quella lingua che loro due soli sembravano saper parlare.
Un secondo dopo Artù si era ricomposto, drizzando le spalle, e si era girato, riapparendo sotto la luce tremolante delle torce, prendendo a camminare a passo spedito verso la sua nuova vita, lasciandosi alle spalle un fantasma triste che sapeva di vino e melodie antiche, lo sguardo rivolto verso l'invalicabile spazio tra cielo e terra.



The only one
Who's ever known
Who I am
Who I am not
Who I want to be
Lost and insecure
Lying on the floor
Surrounded
Why'd you have to wait? Where were you?
You found me
Just a little late...

The Fray -You Found Me -



THE END

  
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