Prefazione
Ho
sempre immaginato il giorno in cui avrei esalato l’ultimo
respiro, restituito la mia sostanza vitale all’aria, laddove
giacciono infinite
anime vaganti, consumate dai logori respiri degli uomini. Ma il fatto
più
strambo è che non l’ho mai vista come la dogmatica
assoluta decisione emessa
dal fato. Al contrario, la definirei come un evento memorabile: la
liberazione
dell’anima non più relegata ai vizi del corpo, la
cessazione di ogni dolore,
indomabile e deleterio. Il vuoto. Senza rimorsi, senza affetti, senza
preoccupazioni, senza amore. Ricominciare da capo. Accartocciare il
misero
foglio dei ricordi, che in un modo o nell’altro, sa sempre
come renderci suoi
schiavi. Impugnare la penna e riscrivere. Questa volta però
con freddezza, vigore,
selezione. Un colpo secco e beffardo al probabile. Chi siamo noi, alla
fin fine
con tutte le nostre patetiche convinzioni per dire che
l’impossibile non
esiste?
Del
resto, previdenza e
follia in me han ben fatto sempre tutt’uno, né ho
mai rinunziato
all’impossibile con la debole scusa che era, appunto,
impossibile. (Gesualdo
Bufalino)