Ridere
ancora,
anche senza di lui
Fermate tutti gli
orologi, isolate il telefono,
fate tacere il cane con un osso succulento,
chiudete i pianoforte, e tra un rullio smorzato
portate fuori il feretro, si accostino i dolenti.
Lo odiavo.
Nell’istante
stesso in cui seppi che il suo cuore aveva smesso di battere, sentii di
odiarlo. Se n’era andato, portando con sé una
parte del mio cuore o
probabilmente se l’era trascinato via tutto intero. Come
aveva potuto pensare
che avrei continuato a vivere senza di lui? Come aveva potuto
abbandonarmi?
Incrocino
aeroplani lamentosi lassù
e scrivano sul cielo il messaggio Lui È Morto,
allacciate nastri di crespo al collo bianco dei piccioni,
i vigili si mettano guanti di tela nera.
Nessuno poteva
capire
quello che provavo. Nemmeno la mia famiglia. Loro avevano perso un
figlio, un
fratello. Io avevo perduto una parte di me. Qualcosa si era rotto
dentro il mio
corpo e non era solo il mio cuore. Era un dolore parlare, era un dolore
persino
respirare. Sentivo ogni lembo della mia pelle bruciare, mi dolevano
persino le
ossa. Probabilmente avevo finito la mia scorta di lacrime
perché dopo qualche
tempo non riuscivo nemmeno più a piangere. C’era
un enorme macigno posato su di
me, mi impediva di muovermi.
Lui
era il mio Nord, il mio Sud, il mio Est ed Ovest,
la mia settimana di lavoro e il mio riposo la domenica,
il mio mezzodì, la mezzanotte, la mia lingua, il mio canto;
pensavo che l'amore fosse eterno: e avevo torto.
Ogni notte
guardavo il
suo letto accanto al mio, vuoto. Non c’era più
quell’ammasso di coperte, quella
testolina rossa che a stento si intravedeva. Ma era lì che
il suo corpo doveva
giacere, non in un freddo tumolo di pietra.
Quel
posto non si addiceva a lui, era tetro e buio. Tutto il suo opposto.
Avrebbe
riso ancora nel posto in cui si trovava? Avrebbe continuato a burlarsi
degli
altri, a progettare scherzi? E… avrebbe continuato a volermi
bene?
Non ero niente senza di lui, non lo sarei mai stato. Ero incompleto,
difettoso.
Passavo le mie giornate davanti allo specchio, era l’unico
modo per rivederlo.
Cercavo di sorridere perché era così che lo
ricordavo e non inerte, disteso su
un tavolo di legno:freddo, morto.
Allungavo
una mano a toccare la superficie riflettente, volevo accarezzare quel
volto, scompigliare
quei capelli. Ma non ci riuscivo, così abbassavo lo sguardo
e restavo ore col
capo chino sulle mie ginocchia, ad attendere qualcosa che non sarebbe
mai
arrivata.
Non
servon più le stelle: spegnetele anche
tutte;
imballate la luna, smontate pure il
sole;
svuotatemi l'oceano e sradicate il bosco;
perché ormai più nulla può giovare.
E col passare
degli anni
svanì la speranza che tutto fosse una delle sue burle. Non
varcò mai la porta
della Tana, non sbucò mai da uno degli scaffali dei Tiri
Vispi e non corse mai
verso di me ad abbracciarmi.
Non
sarebbe ritornato, Fred Weasley se n’era andato per sempre.
Potrei dire che dopo tutti questi anni, dopo il mio matrimonio e la
nascita dei
miei figli il dolore si sia attenuato. Ma sarebbe una menzogna. Come
allora ogni
giorno osservo la sua immagine allo specchio, eppure qualcosa
è cambiato.
Ora
riesco a sorridere perché in questo modo almeno posso
ricordarlo esattamente
com’era. E come sono certo avrebbe voluto che gli altri, che
io pensassimo a lui:
col sorriso furbo sulle labbra, con gli occhi vispi e il volto radioso.
Fred mi aveva insegnato qualcosa che non si imparava tra i banchi di
Hogwarts e
che mai avrei dovuto dimenticare:
‘ La gente ha bisogno di ridere ‘
Io avrei dovuto ridere ancora, anche senza di lui.
La morte di Fred è ciò che
più mi ha colpito nell’ultimo libro della
Rowling, lo ammetto. Adoravo i gemelli, erano tra i miei personaggi
preferiti
in assoluto. Non ricordo per quanto ho pianto nel leggere quelle poche
righe.
Ed ero restia a scrivere qualcosa su di lui o George, eppure oggi mi
sono
decisa a farlo. L’ispirazione è nata rileggendo
questa poesia di W.Auden:
Funeral Blues,che io adoro.