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Autore: FreienFall    14/11/2010    0 recensioni
Dal sonno mi disciolsi. Ella negli occhi pur mi restava, e nell'incerto raggio del sol vederla io mi credeva ancora.
(Il Sogno, Giacomo Leopardi)
Così, per la tua immagine o per il mio amore,
anche se lontano sei sempre in me presente;
perchè non puoi andare oltre i miei pensieri
e secmpre io son con loro ed essi son con te;
o se essi dormono, in me la tua visione
desta il cuore mio a delizia sua e degli occhi".
(Sonetto 47, William Shakespeare)
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Tom Kaulitz, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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 Era una notte come tante nei sobborghi della Berlino di inizio dicembre, dalla finestra della mia stanza vedevo la neve riflettere la poca luce lunare donando alla strada orizzontale sotto casa mia un aspetto fiabesco, di tanto in tanto un lampione e qualche graffito che con i colori accesi faceva ricordare di non essere in una fiaba. L’orologio sulla scrivania segnava le due passate, la bambina si era addormentata da poco; mi era incomprensibile quanto il frutto di quell’unione così sbagliata fosse la miglior cosa della mia vita, fosse la salvezza dal mio supplizio. Per quanto quella bambina fosse l’esatta copia del padre e per quanto mi distruggesse ricordarelui, quella bambina era la motivazione per cui ancora non ero finita distrutta dal mio inferno.

Una piccola lampada sul comò emanava una fioca luce giallastra che disegnava strane ombre sulle pareti, nella stanza nient’altro che un letto matrimoniale e una cassettiera. Ero stanca morta quella sera, la bambina mi aveva fatto impazzire e quando finalmente era crollata io non avevo trovato la forza di ordinare casa, ero rimasta lì, sdraiata sul letto accanto a lei, con gli occhi chiusi, le membra abbandonate sopraffatte dalla stanchezza.

l suo ricordo prese, come ogni sera, possesso della mia mente, la sua bellezza sovrumana, i suoi occhi color nocciola, di quel disegno che ha trasmesso a mia figlia, quello sguardo intenso, quel sorriso dolce un po’ furbetto che quella neonata riproduceva così perfettamente e quella voce calda. Subito dopo giunse il ricordo della fine del paradiso, che era rappresentato da null’altro che lui, e l’inizio di una crescita celere con l’immediato abbandono della vita di una diciottenne ancora liceale a quella di una donna adulta.

Aprii gli occhi, la bambina dormiva a pancia in giù, esattamente come l’avevo lasciata, i pugnetti chiusi all’altezza del viso, il pigiamino bianco con delle decorazioni azzurro cielo coperto da una trapunta color arancio. Il suo viso beato, il respiro leggero e silenzioso ricordavano proprio lui. Mi alzai dal letto facendo attenzione a non fare rumore e andai a prepararmi un thè caldo. Mi sedetti al tavolo della cucina e mi strinsi nella felpa, sorseggiando cautamente il thè bollente, tendendo l’orecchio nel caso la bambina si svegliasse.

Sul frigo una foto, un ragazzo e una ragazza che si baciano, non avevo neanche bisogno di mettere gli occhiali, anche il più piccolo particolare era inciso nella mia mente, quella ragazza ero io nel momento paradisiaco della mia vita, l’espressione del mio viso esprimeva a pieno quanto la mia vita fosse perfetta, e il ragazzo, vent’anni chitarrista di una famosa band tedesca, era l’uomo che amavo, che amo ancora. Ricostruii la foto nella mia mente: lui, i capelli neri intrecciati in innumerevoli treccine che ricadevano appena sulle spalle, una maglia oversize stile hip-hop, gli occhi chiusi, il viso era visibile solo a metà, un punto luminoso sul labbro inferiore spiccava su tutta la foto poiché rifletteva la luce rossastra dell’alba, una mano immersa tra i capelli mossi e castani, l’altra poggiata sulla schiena, un braccio, il mio, gli cingeva una spalla con la mano appoggiata sul collo sotto le treccine.

Amavo quella foto, la portavo sempre con me finché…

Tutto è cominciato circa un anno fa quando dopo un concerto dei Tokio Hotel fui invitata dal chitarrista all’hotel dove alloggiava per quella notte. A me sembrava un sogno realizzato, la cosa più bella che potessi desiderare, quell’uomo era il mio sogno da anni e finalmente avrei potuto averlo per me e solo per me. Quella notte, in quella camera d’albergo conobbi l’uomo che ancora a malincuore amo. Facemmo l’amore tutta la notte, la sensazione del suo corpo sul mio e del mio sul suo, le sue mani sul mio viso, sui miei fianchi, il suo sguardo su di me e solo su di me, le sue labbra spinte sulle mie, poi sul collo, e fino al ventre, e ancora la sua lingua, il suo piercing e il suo respiro affannato erano le cose migliori del mondo, non avrei potuto desiderare nient’altro, volevo soltanto che non finisse mai. Mi svegliai all’alba, prima di lui, per evitare di trovare il solito biglietto che lasciava a tutte, qualcosa simile a “Mi sono divertito. Tom”, odiavo l’idea di poter subire un’umiliazione simile e per quanto mi devastasse il fatto che il sogno, a dispetto delle mie speranze, fosse già finito, sapevo che mi avrebbe maggiormente annientata non trovarlo di fianco a me. Non gli lasciai il numero di telefono, né la mail, sapevo che non mi avrebbe cercata, lasciai solo un biglietto con scritto: “Chiara, non provare a dimenticarlo”. Ero convinta che quella fosse stata la mia possibilità e che non ne avrei avute altre. La mia vita continuava tra amici, scuola e qualche problema adolescenziale, non avrei mai pensato che sarebbe potuto succedere quello che alla fine successe.

Dalla finestra della mia camera a casa dei miei, lo immaginavo di continuo scendere dalla sua Audi R8, scavalcare la siepe e attraversare il giardino correndo per venire da me. Nonostante sapessi che non potesse accadere, la mia mente continuava a proiettarlo nella realtà di tutti i giorni: lo vedevo nei bar del centro, aspettarmi tra la folla fuori scuola e via così, le notti mi veniva a trovare nei sogni e sentivo la sensazione delle sue labbra e il loro sapore. Lo vedevo guardarmi e con un sorriso pieno e dolce sussurrarmi di non essersi dimenticato di me. Sentivo la sua assenza pesare come un macigno, la sua lontananza creare un vuoto incolmabile, ma non lo amavo, mi rifiutavo di crederlo in ogni caso. Accettare il fatto che io lo amassi era come arrendersi e di conseguenza affrontare una lunga sofferenza, causata dalle varie problematiche che ci dividevano, a cominciare dal fatto che già si fosse dimenticato di me, di quella sera e di quel biglietto, fino ad arrivare alla lontananza per i suoi motivi di lavoro, al fatto che fossi ancora minorenne; perciò avevo preferito autoconvincermi di non provare nulla e che fosse solo un po’ di nostalgia di quella sera meravigliosa; ma ormai il mio stesso corpo si rifiutava di stare senza di lui e andando contro ogni tipo di buon senso decisi di partecipare a un altro concerto, a Roma in Italia. L’Italia mi piaceva molto e Roma era forse la più bella città che avessi mai visto, amavo viaggiare e di città ne avevo viste molte. Fortunatamente i miei genitori non erano quel genere di genitori morbosamente attaccati ai figli, anzi l’idea che trascorressi meno tempo a casa li rallegrava. Non avevo mai avuto un buon rapporto con loro, non era qualcosa di particolare, solo un problema di incompatibilità caratteriale, io sono sempre stata una ragazza con le sue idee salde e irremovibili, che ama confrontarsi con le altre persone per far valere la sua idea, facilmente irascibile, molto lunatica e particolarmente disordinata, tutte cose che andavano facilmente scontrandosi con le idee dei miei, che erano esattamente l’opposto e in aggiunta avevano un particolare e fondato amore per l’autorità genitoriale e il suo rispetto, cosa di cui io non mi interessavo minimamente. Il fatto che viaggiassi, prendessi aerei non li turbava affatto, il patto era che mi pagassi tutto da sola e che non perdessi troppi giorni di scuola. Guadagnarmi i soldi non era facile, giustamente erano pochi quelli che assumevano una ragazza minorenne, perciò lavoravo sodo, dando ripetizioni di tutte le materie del liceo classico, quello che frequentavo, facendo la baby sitter, la dog sitter, qualsiasi cosa pur di racimolare una somma degna di tale nome.

Durante il concerto Tom rivolse lo sguardo tra le file del parterre, scorrendo a uno a uno i visi delle ragazze in delirio. Continuava esaminarle instancabile e io seguivo in trans ogni spostamento del suo sguardo. Mi distrassi un attimo a seguire la canzone che Bill cantava con foga e quando tornai a lui, il suo sguardo era posato su di me, rimase immobile per un attimo, credetti che avesse dimenticato le note della canzone, l’attimo dopo aveva già ripreso a suonare, lo sguardo ancora su di me, sul viso dipinta un’espressione che non compresi, continuammo a guardarci dritto negli occhi per altri interminabili, meravigliosi secondi fin quando, senza preavviso, non abbassò lo sguardo ornando il suo viso di quel sorriso dolce e imbarazzato che faceva perdere un colpo al mio cuore e tornò con la mente alla sua canzone.

Finito il concerto uscii di fretta dal palazzetto e andai a sedermi su una scalinata che dava su una strada a tre corsie a fumarmi una sigaretta. Opposto alla strada vedevo uno spicchio di Palalottomatica e un cancello che dava al parcheggio interno. A terra una scritta con colori sgargianti “Willkommen im Rome” circondata da cuori e con in basso il simbolo dei Tokio Hotel, sorrisi già di nostalgia, quei concerti erano come l’ossigeno per me e vivere senza era come non respirare. Il dolce sapore del tabacco mi rapì completamente, fissavo la luce del lampione poco distante da me che stava lungo la stradina che collegava il cancello all’uscita, persa nei miei pensieri, d’un tratto mi giunse all’orecchio qualcosa di simile a un fruscio, forse qualcuno che parlava sottovoce, mi guardai intorno senza trovare nulla, così tornai alla mia sigaretta. Ormai girava poca gente a piedi, erano tutti già in auto, pronti per tornare a casa, i lampioni attorno al Palalottomatica erano spenti rimanevano solo quelli al di fuori della recinzione, quelli che davano sulle strade. –Chiara, Chiara!- Ancora una volta un sussurro, mi girai di scatto, possibile che sia così fuori di testa daimmaginare la sua voce? Lo vidi, immerso nell’ombra, cercava di essere meno riconoscibile possibile, non ebbi incertezze né dubbi, era di certo lui, anche se non indossando gli occhiali da vista vedessi veramente poco; mi fece cenno di raggiungerlo –Hey- mi disse –Allora come va?- Con tutte le volte che lo avevo immaginato non riuscivo a capire se fosse sogno o realtà, la mia istintività fece tutto da sola –Bene- feci, -Che fai sta sera?- Che domanda stupida come sarebbe cosa avrei fatto quella sera!? Alla fine pensai che fosse una domanda come tante altre, giusto per fare due chiacchiere. Rimaneva ancora l’interrogativo sul senso di quella conversazione, ma decisi che non importava tanto era tutto frutto della mia mente ormai del tutto fusa -Niente, andrò a dormire in un hotel non tanto lontano da qui e poi domani torno a casa- risposi con tranquillità, d’un tratto esordì -Vieni con me?- rimasi un attimo interdetta sul significato che potesse avere quella proposta, a dire il vero un po’ strana. Lui andava spesso a letto con le fans ma mai due volte con la stessa! Forse ero io che mi stavo facendo troppi film mentali, ma esclusa la possibilità di una proposta di carattere sessuale, esclusa la possibilità che stesse scherzando, data la sua espressione seria e in attesa di una risposta pertinente, che cosa rimaneva?

Di nuovo il mio essere impulsiva interruppe il ciclo di pensieri –Dove andiamo?- scoppiò in una risata allegra e il suo sorriso mi portò in paradiso, si interruppe –Dove vuoi!- Lo guardai interrogativa e poi scoppiammo a ridere insieme. –Allora vieni?- -Solo se mi porti in cima al mondo- mi porse la mano e lo seguii nella sua Audi. Dopo parecchia strada fermò la macchina e scese. Era molto buio e non avevo idea di dove mi trovavo. –Tom ma dove..?-mi trascinava con passo veloce, poi si fermò e si girò vero di me-In cima al mondo?– lo guardai perplessa, in lontananza delle luci. Riprese a camminare ancora più velocemente, più avanzavamo più le luci si facevano vicine e forti, non c’ero mai stata in quel posto ne ero quasi certa. Arrivammo ad una ringhiera, sotto di me si dispiegò una distesa interminabile di luci, palazzi, strade. I miei occhi si perdevano davanti all’infinità di ciò che vedevano, ero sul serio in cima al mondo. Tom era dietro di me in silenzio, rimasi a contemplare quel paesaggio unico, volgendo lo sguardo fin dove la terra si univa al cielo nero. –Allora? Che ne pensi?- domandò affiancandomi, non staccai lo sguardo dalla miriade di luci –è semplicemente meraviglioso, non ho mai visto niente di più bello- -Sono forte eh?!- sghignazzò –Cretino- dissi ridendo e gli tirai un pugno sulla spalla. Rimanemmo lì, parlammo di tutto, come due amici di vecchia data che si rincontrano dopo tantissimo tempo, non c’era niente di più naturale che parlare con lui della mia vita, delle mie passioni, di quello che sono e sembrava lo stesso per lui, c’era una complicità particolare. Trascorsi una serata bellissima con lui, era fantastico, possibile che fosse tutto un sogno?

-Si infatti! Sono perfettamente d’accordo con te, l’amore è un sentimento complicato che non fa altro che complicare tutto il resto. Trovare l’amore vero credo che sia- mi interruppe prendendomi il viso tra le mani e baciandomi. Ricordo esattamente come era un suo bacio. Un bacio lento, che ti permette di assaporarne ogni attimo, un bacio che più assapori e più ne vuoi, un bacio che ti permette di andare oltre tutti i confini dell’universo e allo stesso tempo di rimanere sulla terra attaccata a lui, un bacio che sa di lui, che fa mancare il fiato, che trasmette quel qualcosa che nessun altro potrebbe mai trasmettere, un bacio che è emozione. –piuttosto impossibile- sussurrai appena allontanò le labbra dalle mie. Lo guardai dritto negli occhi, ne volevo ancora. Possibile che già iniziassi ad avere la dipendenza dai suoi baci? Non ci fu bisogno di parlare sapevamo entrambi che saremmo andati in hotel.

Quella notte fu anche più bella della prima, le emozioni che provai furono come un’esplosione. Fu indimenticabile, quella notte capii, o meglio accettai, di amarlo. Amavo i suoi baci lenti e lunghi, amavo come mi teneva, come mi toccava, il solo sfiorarmi la pelle, i suoi sguardi eloquenti e i piccoli sorrisi, amavo le parole che sussurrate all’orecchio mi diceva e amavo essere una sola persona con lui, l’essere uniti.

All’alba quando mi svegliai, indossai una sua maglia e andai in balcone a ripensare a quelle notti. Il cielo ancora scuro, all’orizzonte schiariva verso un rosa-rossatro, Piazza Barberini dormiva ancora, quel panorama mi diede un senso di quiete, persi lo sguardo oltre i palazzi in lontananza, tra le variazioni di colore di quell’alba romana. Dopo poco mi raggiunse anche lui, mi abbracciò da dietro e mi baciò, si allontanò e dopo un attimo di silenzio fissò i suoi occhi nei miei, esordì –Non ho mai provato nulla di simile per una ragazza, non so com’è, ma è come se non aspettassi nient’altro che te, come se il puzzle della mia vita ora si fosse completato- spostò lo sguardo verso l’alba –Credo di amarti - disse in un sussurro. Il suo viso assonnato era di una dolcezza e di una bellezza che non riuscivo a descrivere, quelle parole dette in un sussurro erano assurde, incredibili ma erano le parole più belle che avessi mai desiderato sentire. Era impossibile, decisamente, totalmente impossibile. Mi domandai se fosse questo il paradiso. –Ti amo anch’io- risposi, si girò in un attimo e farfugliò –Ma, io, insomma io credevo che…com’è possibile, ero certo che fosse per sesso, insomma io..- Shshshhh…- sussurrai posandogli una mano sulle labbra –Non serve parlare, non servono spiegazioni- Lo guardai dritto negli occhi e seppe cosa provavo, come mi sentivo, cosa pensavo e io immergendomi nel nocciola ambrato dei suoi occhi scoprii cose che non avrei mai pensato.

Proprio su quel balcone scattammo quella maledetta, meravigliosa foto.
   
 
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