Ciao a tutti…questa è la prima ff che pubblico e
sono stata ispirata dalla musica di Einaudi che si chiama The Waves, le Onde.
L’immagine della protagonista
l’ho sempre avuta in testa sin dal primo momento che ne ho sentito la melodia
potente e malinconica, proprio come il mare.
Spero che questa piccola
one-shot vi piaccia, ma credo che non ne capirete il vero significato sino a
quando non la leggerete con la musica di Einaudi in sottofondo, ma questo è
solo un mio timidissimo consiglio :D!
Mi inchino al vostro supremo
volere…ma per favore, commentate!!!
Le onde
Sento i piedi affondare sempre di più, la sabbia
grigia dolcemente arrendevole sotto i miei piedi.
Il verso dei gabbiani mi fa compagnia, mi
accompagna lentamente in tempi lontani.
In tempi diversi.
L’unica cosa uguale ad allora è il malinconico
respiro del mare.
Sole. Mi abbagliava così come io lo abbagliavo
con la mia assurda felicità.
Lui era lì con me, non
chiedevo altro dalla vita.
Sentivo le sue mani, le sue carezze, il delicato
sapore del suo respiro.
Sentivo il sale sulla lingua, dolce salmastro
che mi baciava la pelle, i capelli.
Lui adorava i miei
capelli lunghi, lunghissimi, in cui annegare romanticamente dopo una giornata
persa nell’immenso oceano.
Io adoravo lui.
Un respiro spezzato, un sussurro, un timido
bacio, una preghiera.
Ogni volta che mi guardava così
sprofondavo, morivo; il mare mi
portava lontana, cullandomi col dolce suono della sua anima immortale.
Amavo il mare,
amavo lui.
Lui, con la sua irruenza,
la sua passione, il suo furore;
lui che mi portava via,
che mi rapiva, pirata irresponsabile e seducente angelo ribelle.
Lui, come il mare. Calmo, dolente, eccitante e… proibito.
Lui e il mare.
Sento la sabbia grigia dolcemente arrendevole
sotto i miei piedi; quella sabbia che un tempo imperlava i miei capelli di
seta, amanti selvaggi e selvaggiamente amati.
Amavo il mare a quel tempo; pregavo il mare.
Adesso i gabbiani stridono nel cielo e guardo
te, mare: ti guardo e ti odio.
Mi hai uccisa impedendomi di morire, mi hai
ingannata con le tue labbra di sale e le tue mani di sabbia.
Ti sei preso me e la mia anima, spezzandomi,
piegandomi in due.
Quante volte ti ho osservato da allora, lo sai?
Hai ignorato le mie lacrime, il mio dolore, il
mio odio per così tanto, mentre ti guardavo da quello scoglio lassù,
mentre ancora pregavo per te, affinché mi accompagnassi anche solo nel dolce e
agognato oblio. N u l l a.
Da te ho ricevuto solo amare stilettate di
fiele, solo oscena indifferenza mentre ti osservavo brillare tra i sottili
raggi del sole.
E ti odiavo così tanto, ti odiavo così come
odiavo me stessa.
Sento la sabbia grigia dolcemente arrendevole
sotto i miei piedi, i miei capelli che ondeggiano liberi al vento.
Adesso ti guardo per l’ultima volta, mio amato.
Non avrò altro dolore da te, solo un rifugio per
il mio corpo senz’anima.
Quell’inverno di tanto tempo fa mi hai portato
via lui, lo hai inghiottito ferocemente nel tuo ventre affamato, perché
sapevi che lui era te e te parte di lui.
E io ti amavo, come il suo riflesso allo
specchio.
Ma ora avrai me, mio terribile amato; avrai me
come non mi hai mai avuto.
Sento le onde gelarmi le caviglie, poi le cosce,
infine i fianchi.
La lama che ho in mano metterà la parola fine al
nostro tremendo e dolce poema d’amore.
Non sento più nulla oramai. Tu sei finalmente in
me.
Gelo, freddo. Il gelo dell’oceano d’inverno, il
freddo della mia lama nel petto.
Muoio…
Cosa sono quelle mani?
Nel buio diabolico del tuo ventre odo un
sospiro.
Com’è possibile?
Io sono morta.
Ma le mani, le mani ci sono, mi carezzano il
viso, mi sciolgono i capelli, mi sfiorano le labbra.
Dio, quelle mani.
Dio, lui.
È lui, il suo dolce sorriso.
Vengo amor mio, non lasciarmi mai più.
Respireremo del mare,
amor mio?
Vivremo di lui?
Cullami mio amato, dondolami: il mare ormai è nostro.
E io non odio più il mare.
E io non odio più te.
E io non disprezzo più me stessa.