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Autore: Anthy    14/11/2010    22 recensioni
Dei bigliettini invadenti.
Una ragazza un po' acida ed un'amica comprata su eBay.
Una comitiva di bella gente e l'inizio di un corteggiamento.
Benvenuti alla Corte del Diavolo!
Dal primo capitolo:
No, scusate, e vogliamo parlare del bigliettino? Carta stampata rosa con tanti cuoricini molto ini, profumata ed adatta ad una scolaretta in fase di scompenso ormonale?!
È assolutamente...
« Divino!»
Appunto.
No, non sono stata io a parlare: sono una persona incoerente, sì, ma non fino a questo punto.
Genere: Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 1
La Corte del Diavolo
- Capitolo 1 -



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“Ehi, belle more, cm butta?

Cosa ci fate li sole solette???
Daaaaai, venite a farci compagnia ;)
Tavolo n°42 dolcezze, solo il meglio per voi!”

Cielo, leggere certe cose è veramente deleterio per la salute.
Ma insomma, “cm butta”?!
Ma vi prego, ma che razza di... di buzzurro può scrivere una cosa del genere?
Con tale sfrontatezza, poi. Per non parlare della grammatica – o meglio, di quella che dovrebbe essere grammatica.
No, scusate, e vogliamo parlare del bigliettino? Carta stampata rosa con tanti cuoricini molto ini, profumata ed adatta ad una scolaretta in fase di scompenso ormonale?!
È assolutamente...
« Divino!»
Appunto.
No, non sono stata io a parlare: sono una persona incoerente, sì, ma non fino a questo punto.
Preoccupata, occhieggio quella che fino a qualche minuto fa era la mia migliore amica – non che ci fosse stata una chissà quale cerimonia di investitura, eh: si è accaparrata quel titolo dopo che l’ho comprata per pochi euro su eBay, nella sezione “amiche disponibili e mansuete, pochi neuroni in dotazione”.
Federica, nome di suddetta best friend, mi sta osservando a sua volta, con gli occhi febbricitanti di chi ha visto una Louis Vuitton a prezzo stracciato dentro un negozio e non nel borsone di qualche occasionale vu comprà. E in quel caso, certo, potrei capire la portata emozionale della cosa; non in questo.
« Scusa, com’è che hai definito -», alzo fra il pollice e l’indice quel pezzetto di carta violentato dalla malacreanza di fronte a noi, l’espressione disgustata. « - suddetto obbrobrio?».
« Divino, amo, divino».
Spero che eBay accetti indietro i prodotti difettati, perché non me ne faccio nulla di una migliore amica del genere. Mal che vada, mi appellerò a qualche legge italiana; cavolo, con tutti i cavilli e le stupidaggini che buttano giù i politici ogni giorno, ne troverò una che fa al caso mio, no?
« Disgustoso, oserei dire io, invece».
« Oh, come sei petulante Ila! Come fai a non vedere il lato prettamente romantico di questa cosa?»
« Prettamente cos-...? Chicca, amorino mio, se sapevo che lo spritz avrebbe ridotto la tua testolina bacata in questo stato, avrei evitato di farti bere l’aperitivo prima».
« Come fai a non capire l’utilità della “Posta Rosa”? Giovani single che non avrebbero il coraggio di esporsi verbalmente, esprimono la loro preferenza attraverso i bigliettini, come fossero ancora ragazzini! E possono, soprattutto, conoscere nuove persone con cui interagire e magari trovare affinità... è una cosa divertente, oltre che utile!»
Alzo gli occhi al cielo, decidendo di ignorare il tono eccitato con cui ha parlato, per poi osservarmi intorno.
Malaugurata idea, quella di lasciare decidere a lei dove trascorrere il sabato sera; del resto, per pura democrazia, avevamo deciso di fare a turno, per ampliare i nostri orizzonti in maniera oggettiva.
Perché, oggettivamente parlando, io un posto come questo non l’avrei mai scelto di mia spontanea volontà.
Non che non sia carino, anzi: la Corte del Diavolo è un locale elegante e giovane, abbastanza in e modaiolo per i miei gusti – non un posto dove i tamarri bazzicano con la loro parlata ed i modi di fare scurrili.
Ma come ogni locale definito tale, per accaparrarsi la clientela deve proporre eventi per il post cena e, nel caso specifico, l’evento della serata è niente popò di meno che la “Posta Rosa”: un corteggiamento fatto di bigliettini e sguardi maliziosi, all’insegna del vecchio stile.
O almeno, mi sembra sia questo che dicesse il volantino: ripeto, ha organizzato tutto Federica, che quando scorge le parole “amore”, “evento”, “entrata gratuita” non capisce più nulla. Datale da bere, e si fotte pure quei pochi neuroni che per osmosi si riproducono.
Non mi ha neppure lasciato prendere un aperitivo come si deve in centro; mi ha condotta qua, al chiuso, a bere uno stramaledettismo spritz senza la mia fetta d’arancia di fiducia, costretta a subire le occhiate maliziose – o alcune che dovrebbero essere tali – e l’arrivo di bigliettini dalla dubbia decenza al nostro indirizzo.
Non che sia a tal punto egocentrica da pensare che arrivano solo a noi, questi cosi, ma siamo due sole donzelle in un locale frequentato per lo più da gruppi di amici – e siccome dopo una certa ora e qualche bicchiere di troppo gli uomini trasferiscono in toto la loro attività cerebrale ai piani al di sotto della cintura equatoriale, è quasi scontato che arrivino certi bigliettini così espliciti per noi due.
Ho perso il conto di quanti pezzetti di carta ho incenerito con la fiamma della candela – e cielo, non vi dico l’odore! E sarei molto tentata di far lo stesso con l’etichetta che ci hanno appiccicato agli abiti, “per far conoscere il vostro nome”, hanno detto.
Non vuoi per la privacy? Potevi scegliere un altro locale.
Sbuffando, afferro il mio drink, scoccando un’occhiata malevola al tavolo quarantadue: cielo, ma guarda com’è preso, il tipo! E mi aspetto qualcosa di decente da uno che scrive in quel modo?!
E cosa sorridi, pirla!
« Dai, Ila, smettila di fulminarlo! Non fare l’acida».
« Non faccio l’acida. Faccio la sostenuta e la stizzita, che è ben diverso».
« Ma dai! Sei giovane, carina, forse un pelino snob e rompipalle, ma datti una possibilità, insomma!». Si china verso di me, per mormorarmi all’orecchio. « E diciamocelo fra noi: arrivare alla tua veneranda età quasi vergine non è salutare, suvvia».
La vodka lemon che sto bevendo, uno dei pochi alcolici che mi piacciono, alle sue parole decide di tentare la strada verso i polmoni, invece che per lo stomaco.
In maniera a dir poco indecorosa, tossisco come una novellina, gli occhi che diventano subito lucidi per le lacrime.
Stronza, come posso definire una delinquente del genere “migliore amica”?
« Fede! Ho ventiquattro anni, non sono mica decrepita, eh!»
« Sì ma tesoro, finché il fisico tiene devi sperimentare le gioie del sesso. Se non le provi ora certe posizioni, poi le cervicali non te lo permetteranno più. E non hai provato neanche la più class-».
« Un’altra parola e giuro che ti disconosco».
« Oh, beh, taccagna come sei probabilmente nel tuo testamento mi avrai rifilato chissà quale chincaglieria. Cosa sarà mai il tuo rifiuto di riconoscermi...».
« Ehi, io non compro chincaglierie!»
« Certo che no, tesoro. Anyway, stiamo divagando», si sistema meglio sul divanetto, prendendomi le mani fra le sue. Dovevo metterci più impegno a negare, quella volta che mi chiese se Psicologia era la strada adatta a lei. « Tu.hai bisogno.di scopare. O semplicemente hai bisogno di un uomo. E lo so, usare “aver bisogno” e “uomo” nella stessa frase può sembrare strano, ma fidati, alle volte pure loro hanno la loro utilità. Più di un vibratore, almeno». Si ferma un attimo, lo sguardo pensieroso. « Tu non hai un vibratore, vero?»
Sospiro, alzando lo sguardo al cielo. « Certo che non ce l’ho!»
In realtà, ne ho uno.
Cioè, non è un vero vibratore, ma un peluche a forma di fallo, con tanto di vibrazione incorporata; il bello è che me l’ha regalato lei insieme alle altre ragazze del gruppo, ai miei diciotto anni. Ma non mi sembra il caso di ricordarglielo, vero?
« Tesoro mio, è ora di alzarsi dalla panchina su cui ti sei parcheggiata e cercare di conoscerlo, il mondo».
« Ogni giorno i telegiornali me ne offrono uno spicchio, grazie».
« Sai quello che intendo».
Sbuffo, levando le mie mani dalle sue per incrociarle al petto.
Direi che un locale pieno di gente allegra ed alticcia non sia il luogo migliore per parlare della mia vita privata. Anche perché so già dove vuole andare a parare, con questo discorso: stando soli non si sta bene; devi darti da fare a cercarti un uomo; sei giovane, bella e carina e potresti avere tutti i ragazzi che vuoi, e bla, bla, bla.
Una volta è arrivata perfino a chiedermi se mi piacciono, gli uomini, sostenendo che se ero lesbica lei mi avrebbe dato il suo sostegno e sarebbe venuta a tutte le manifestazioni con me per i diritti degli omosessuali, che non dovevo vergognarmi e reprimermi. E mi ha pure chiesto se avevo mai avuto sogni erotici su di lei.
Lo so, no comment.
A me piacciono gli uomini, dannazione, solo che è il mercato che scarseggia da quel punto di vista. Per carità, di maschi ce ne sono quanti se ne vogliono, ma, appunto, sono semplicemente “maschi”.
« Parli facile, te che sei fidanzata con un tuo compagno di università. A me non risulta così semplice trovare un terreno di caccia», sbotto acidamente, fulminandola.
Al contrario di Federica, che dopo i cinque anni al magistrale ha continuato con gli studi, io ho mollato tutto, preferendo una sistemazione stabile e redditizia nell’azienda di famiglia agli esami trimestrali.
Solo che, in questo modo, oltre al solito giro di amicizie è difficile incappare in qualcosa di “nuovo”; al contrario, all’università è presente una così vasta gamma di persone differenti, che non c’è assolutamente il pericolo di non fare nuove conoscenze.
Così è stato per Fede: approdata alla sua facoltà da sola, ha dovuto rimboccarsi le maniche per stringere amicizie ed evitare la solitudine. È così che ha trovato il suo attuale ragazzo, Francesco: era un fuoricorso del secondo anno che doveva recuperare alcuni esami, prima di continuare con il suo programma di studi.
Un ragazzo simpatico e divertente, alle volte un po’ scapestrato, ma che non ha mai cercato di imporsi sull’amicizia che mi lega a Federica, né, le volte che usciamo insieme, mi fa sentire di troppo.
Dove invece lavoro, la fauna non è affatto variegata né appetibile, anzi.
È difficile creare nuovi legami, fuori dall’ambito scolastico.
O almeno, è difficile per me.
« Cazzate! Guardati intorno, c’è tanta carne fresca in questo locale».
« Mi fai paura, Chicca. Sembri un macellaio, o uno dei cattivi dei film horror. Dov’è la motosega?»
« Approfittane di questo giochetto», indica, ignorandomi completamente, il blocco di bigliettini di fronte a noi, ancora inutilizzato – e ci mancherebbe! « Non c’è qualche tavolo a cui vorresti mandare una dichiarazione di... uhm... attrazione? Anche per gioco, dai! Sbottonati un po’».
Sollevo un sopracciglio, guardandomi intorno. Fissare lo sguardo su qualcuno è difficile, in questo momento: è pieno di ragazzi che ballano o che fanno campanello in piedi, bevendo.
E, sinceramente, mi sembra così squallido attaccar bottone in questo modo: insomma, sembra che per forza sotto a tutto ciò vi sia un qualcosa di malizioso!
Proprio in quel momento, davanti a noi si materializza una cameriera bionda – la stessa che ci ha portato bibite e bigliettini.
E cielo, noi non abbiamo ordinato nulla in questo momento.
Questo vuol dire...
« Ragazze, bigliettino da parte di estimatori per voi», sorride minacciosamente, appoggiando il vassoio contenente il pezzetto di carta sul tavolino di fronte a noi, prima di farci l’occhiolino e sparire.
Fisso con malcelato disgusto quell’infausto coso, mentre la mia cerebrolesa amica si sporge dal divanetto, visibilmente alterata.
« Un altro, Ila, un altro!», squittisce – sì, squittisce proprio.
« Sì... un altro».
« Non sei emozionata? È già il sesto che riceviamo!»
Cribbio, potrei mettermi a fare la ola da un momento all’altro.
« Chicca, sei fidanzata. Non puoi emozionarti per gente che flirta spudoratamente con te».
« Perché no?», sbatte gli occhioni castani, fintamente contrita. « Sono donna e mi piace sentirmi lusingata! E poi mica corrispondo a questa cosa, io!»
« L’hai appena preso in mano e lo stai per leggere: questo è corrispondere».
« Lo faccio per renderti partecipe; se vi fossero complimenti alla mia persona, giuro che mi emozionerò discretamente».
Chiederò un risarcimento allo Stato, per avere un’amica del genere.

« “Buonasera, bellissime donzelle! È da un po’ che vi abbiamo notate, ma ammetto – io, portavoce ;) – che ci abbiamo messo un po’ a contattarvi, non sapendo che scrivere! In realtà, è stato il nostro amico Lele a notarvi, continuando a fissare la ragazza con le parigine”. Ila, parlano di te!».
Commovente.
« Continua».
« “Cosa ne dite di passare la serata con noi? Siamo un gruppo variegato, maschi e femmine, e... beh, dai, ci divertiamo un po’! Niente di malizioso – o almeno, niente che voi non vogliate ;) Per passare un sabato diverso e divertente! E così Lele conosce la sua bella e la smette di fare lo scapolone!!! Siamo al tavolino 38. Un bacione, Ale”», abbassa il bigliettino, fissandomi. Oooh, conosco quello sguardo. « Cosa ne dici?»
Ecco, tipica frase di circostanza di una persona che ha già deciso cosa fare, checché tu ne dica.
Ripeto, è solo una stronza.
« Dovresti sapere come la penso. È da quando siamo qui che continuo a lamentarmi», asserisco sarcasticamente.
« Dai, questi sembrano simpatici. E poi il loro amico sembra interessato a te...».
« Come gli altri cinque beduini di prima».
« ... e magari potremmo raggiungerli solo per cortesia, e poi andarcene. Magari riusciamo a scroccare loro qualcosa da bere», continua, ignorandomi.
« Ho detto di no».
« Non li hai neanche guardati, magari ti piacciono. Aspetta, tavolo trentotto vero?»
« No, Chicca, ti prego», sibilo, realmente in panico.
Ora, voglio bene a Federica.
Davvero, le voglio bene, nonostante i suoi innumerevoli difetti e l’essere potenzialmente una frana come migliore amica. Ma lei è una di quelle persone che ti fanno figure di merda colossali, quando si tratta di passare inosservati e, al contempo, parlare di una persona.
Non conosce la parola discrezione.
Non la comprende, affatto.
E chi ne paga le conseguenze?
« Tetta, oh cielo».
« Non mi chiamare così», mormoro, avvampando di imbarazzo.
C’è stato un periodo in cui mi chiamava “Ilarietta”. Periodo in cui la nostra amicizia è stata compromessa, per questo. Per accontentarmi, ha smesso di chiamarmi in quel modo, preferendo quell’altro stupido appellativo.
“Tetta”: un salto di qualità.
Su, avanti, non è difficile il collegamento: “Ilarietta” “Tetta”.
Simpatico, no?
...
..
.
No.

« Io non so quale fra di loro sia questo Lele, amore, ma se fossi single, ti posso assicurare che il loro nome sarebbe l’ultima delle cose che potrebbero interessarmi», mi afferra un braccio, strattonandomi impazzita.
Cercando di mantenere un minimo di decenza, scorro con lo sguardo, giusto per assecondare la sua pazzia – i pazzi vanno assecondati, no?
Quarantatre.
Trentacinque.
Quaranta.
Dove diavolo sono?
Trenta...
Trentotto!
Mostriamo indifferenza, Ila, mostriam-
Oh.
Oh.
Beh... beh... devo dire che rispetto a prima sono...
« Tanta roba, eh socia?»
Per una volta nella sua vita, Fede riesce a completare i miei pensieri.
Domani, devo ricordarmi di puntare la data di questo giorno sulla schedina.
Intanto, vedo di puntare ben altro, con lo sguardo...


***



Note: cosa dire di questa storia?
Diciamo che è senza impegno e che nasce con lo scopo di svagarvi/mi; poca introspezione, pochi argomenti impegnativi.
Nasce come commedia, che spero possa strapparvi qualche sorriso.
E sì, c’è un fondo di verità in tutto ciò: il locale “La Corte del Diavolo” esiste veramente, così come questo evento a cui, però, non ho partecipato, ma di cui mi è stato raccontato qualcosa da una mia amica.
Ilaria e Federica sono due persone esistenti nella realtà, ma il loro carattere ne è modificato. ^^
Il rating arancione è per precauzione: questo per dire che nel prossimo capitolo non vi sarà una scena di sesso, eh! Né nell’immediatissimo futuro.
Questo periodo è un po’ difficile per me, lo è sempre.
Anche l’anno scorso, ad esempio, mi sono bloccata nello scrivere le mie storie.
Questa è la prima, vera idea che sento mia con piacere da un po’ di tempo a questa parte.
Che non mi sembra forzata, ecco.

Sperando vi sia piaciuta, vi do appuntamento al prossimo capitolo!
Un bacione,
Anthea

   
 
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