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Autore: The Treacle Tart    20/11/2005    22 recensioni
"Ci credi nei fantasmi, Harry?" disse Ron dolcemente. "Quelli che perseguitano solo te."
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Harry Potter, Ron Weasley
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ho letto questa fanfiction qualche ora fa e la prima cosa che ho pensato è stata: "IO DEVO TRADURLA!!!". Leggetela perché è veramente bellissima... molto strappalacrime.
E mi raccomando: recensite!
PS: l'originale potete trovarlo qui!

Il fantasma di Hermione

La nebbia spessa del mattino accarezzava il suolo e pesava gravemente su ogni filo d'erba che toccava. Riempiva l'aria che ancora echeggiava i singhiozzi di una madre e le parole d'addio di un padre a una piccola ragazza che soleva chiedere se poteva piroettare per la camera ancora una volta.

Stava per piovere. A momenti il cielo si sarebbe aperto e il diluvio sarebbe caduto sulla terra, spazzando via ogni traccia dei visitatori che stavano intorno alla tomba. Le impronte delle scarpe che attraversavano il terreno recentemente scosso, il fazzoletto che cadeva dalle mani della Signora Granger poco prima che svenisse, i petali dei fiori calpestati che Harry Potter schiacciava nelle sue mani, sarebbero tutti svaniti, cancellati in un torrente di violenza mentre la stessa Madre Terra piangeva per la morte di Hermione Jane.

Lui sedeva sulla terra, le gambe incrociate davanti a lui mentre raccoglieva il fango umido con le sue dita, i suoi occhi fissi sulla lapide di marmo. Amata Figlia. Amata Amica. Semplicemente amata, pensò mentre lasciava le sue mani affondare ancora di più nel suolo, coprendole fino al polso. La terra era ancora morbida e il terreno si muoveva facilmente con la sua costante setacciatura. Per un istante si domandò se avrebbe raggiunto la bara continuando a scavare così; se avrebbe potuto sentire la cassa di mogano lucido che ospitava i resti della sua amica. Era arrivato fino ai gomiti quando cominciò veramente a piovere.

Una voce nella sua testa gli stava dicendo che era ora di andar via, e diventò sempre più insistente mentre la pioggia cadeva sempre più forte, sempre più pesantemente. Ma quella voce nella sua testa era la sua voce, il suo coinciso ed avvolgente tono di disapprovazione al suo stupido comportamento, e quello, combinato con il fatto che gli ultimi resti di lei che la trattenevano in questo mondo giacevano a soli due metri sotto di lui, era abbastanza da tenerlo inchiodato a terra.

I suoi vestiti era inzuppati da ogni goccia d'acqua che li toccava, attaccati alla sua pelle che era già fredda ed umida. I capelli erano appiccicati al viso, ruscelli strisciavano da quella massa di capelli giù per le guance e sulla maglietta. Enormi gocce pendevano dalle ciglia; ma non si preoccupò di toglierle. Pozzanghere di acqua iniziarono a radunarsi sul terreno morbido, circondandolo con piccoli laghetti. Guardò la loro superficie incresparsi ad ogni goccia, le guardò espandersi finché non si univano, formando un canale intorno a lui. Era a mala pena consapevole che stava tremando.

Le ore passarono e la pioggia batteva senza riposo, senza pietà mentre Ron Weasley era seduto e scriveva lettere nel fango con l'indice. Si domandò se la pioggia sarebbe riuscita a filtrare attraverso la terra ed a raggiungere la bara. Se lui sussurrasse il suo nome nella cascata d'acqua, le sue parole avrebbero viaggiato attraverso gli strati di terra e toccato il legno che la circondava, avrebbero trovato il loro sentiero attraverso qualche incrinatura e toccato la sua gelida pelle? Si domandò quanto tempo sarebbe passato prima che affogasse.

Quando i suoi occhi non potevano più trattenere la pioggia, quando i suoi vestiti non potevano più assorbire l'umidità, quando tremò così forte che non poteva più scrivere niente nel fango, Ron provò ad alzarsi. Improvvisamente la pioggia iniziò a girare vorticosamente intorno a lui, prendendo le foglie e gli alberi e il terreno con sé. Turbinava intorno a lui, questo pazzo vortice, finché non poté far nient'altro se non gettarsi in esso. Cadde, schizzando fango dappertutto.

Mentre le linee del mondo cominciarono a offuscare i confini, mentre tutto intorno a lui cominciò a svanire incessantemente, vide di sfuggita la figura di una piccola ragazza con troppi capelli che sedeva in cima ad una lapide.

***

C'erano di nuovo voci nella sua testa; diverse voci questa volta. Qualcuno stava sussurrando. Qualcuno stava piangendo. Qualcuno stava chiamando il suo nome.

Lentamente aprì gli occhi, socchiudendoli alla luce accecante che pendeva sopra di lui. Quasi immediatamente la luce fu bloccata da una mezza dozzina di teste, e quando i suoi occhi finalmente si abituarono, si trovò a guardare i visi preoccupati della famiglia e degli amici.

Iniziarono a correre intorno a lui. Sua madre sprofondò nella sedia vicina e suo padre e suo fratello Bill si prendevano cura di lei. Ginny corse nel corridoio e urlava di far venire qualcuno. Remus Lupin stava lentamente accarezzando la schiena di Harry: il suo viso era sepolto nella mani mentre le sue spalle tremavano intensamente. Stranieri si precipitavano dentro e fuori della stanza, puntavano delle luci nei suoi occhi, pizzicavano la sua pelle, e chiedevano infinite domande. Ron era inconsapevole di tutto ciò, non poteva distogliere lo sguardo dalla figura che lo fissava dall'altro lato della stanza.

Hermione Granger era lì in piedi silenziosa mentre gli altri le passavano freneticamente attorno. Aveva indosso il suo mantello migliore aperto, rivelando l'uniforme scolastica al di sotto. La sua maglietta, nuova e liscia, era infilata nella sua gonna a pieghe. I suoi calzini bianchi le arrivavano ai ginocchi e le sue scarpe nere erano perfettamente lucidate. I suoi capelli erano spessi e crespi, i suoi occhi grandi e marroni, e le sue piccole mani erano giunte davanti a lei.

C'erano voci tutte intorno a lui, diverse voci. Qualcuno stava sussurrando. Qualcuno stava piangendo. Qualcuno stava chiamando il suo nome. Ma Ron non poteva rispondergli. Poteva solo fissare con uno sguardo vacuo Hermione mentre gli ammiccava silenziosamente con un'espressione vuota in volto.

Rimase nell'infermeria per una settimana e gli fu permesso di ritornare a lezione anche se non aveva emesso una singola parola da quando si era svegliato. La sua giornata era come quella di un normale studente al settimo anno: frequentava le lezioni, cavalcava la scopa, andava alla Sala Grande. Non aveva mai fatto capire se avesse notato i mormorii che lo seguivano. Non si girò mai a guardare le occhiate di preoccupazione o curiosità. La vita era tornata come prima; la differenza era che Hermione era sempre lì, accanto a lui. Lo seguiva alle lezioni, sedeva davanti a lui durante i pasti, lo aspettava sul campo durante gli allenamenti di Quidditch, stava all'estremità del suo letto quando andava a dormire. Al mattino, anche con gli occhi serrati, sapeva che lei era lì, nello stesso punto dov'era la notte prima.

Per molte notti lo visitò nei suoi sogni; ma anche lì-- dove cavalcavano unicorni nella Foresta Proibita, dove cacciavano gli gnomi alla Tana, dove camminavano per le strade tinte di verde di Hogsmeade-- anche lì, lei non parlava. Ron capiva che non c'era bisogno per lei di disturbarsi a farlo, non c'era bisogno di emettere una singola parola.

L'odio sanguinava dai suoi freddi e distaccati occhi mentre seguivano ogni suo passo. Colpevolezza e condanne urlavano dalle sue labbra mute. La sua stessa presenza era un'accusa e Ron portava la sua ira come un giogo intorno al collo. Diventava sempre più pesante finché non si curvava dal peso, finché non smetteva di andare a lezione, di mangiare, di scomodarsi a lasciare il dormitorio. Il peso delle imputazioni pendeva dalle sue spalle finché non poteva più sedere dritto. Ecco come Harry lo trovò, seduto sul suo letto con le spalle curvate fino al limite; sembrava come se cercasse di spezzarsi in due.

"Ti ho portato la cena," disse dolcemente. "Hai saltato parecchi pasti e gli elfi domestici non sanno che fare con tutto il cibo che rimasto." Fece un sorriso incerto all'amico, ma Ron rimase indifferente.

"E' così tranquillo qui senza di te, amico," disse Harry, posando il vassoio di cibo intatto sul comodino. "Tutti sono così dannatamente attenti a ciò che dicono, impauriti di dire qualcosa che potrebbe ferire. Ma posso sopportarlo, perché è meglio che non dire nulla."

Ron si voltò a guardare Harry. Harry sembrava così estraneo, come se i pezzi che formavano il suo viso fossero stati tolti e rimessi insieme in modo sbagliato. Era scarno, i suoi occhi incavati si adattavano alla sua pelle che stava ingiallendosi. Per un istante Ron si domandò quando fosse stata l'ultima volta che Harry aveva mangiato. Stavano entrambi sparendo, sia lui che Harry stavano evaporando, e presto non ci sarebbe rimasto niente del Bambino Sopravvissuto, non ci sarebbe rimasto niente del suo migliore amico.

"Ti prego Ron," supplicò Harry, la sua voce si stava incrinando. "Ho perso Sirius. Ho perso Hermione. Non posso perdere anche te. Non posso sopportarlo." Leggeri fremiti torturavano il suo corpo fragile quando iniziò a dondolare avanti ed indietro. Ron si aspettava di vedere sottili tagli sulla pelle tesa che circondava le lunghe ossa delle braccia di Harry.

Il suo viso era sepolto nella mani mentre le sue spalle tremavano intensamente. Sembrava come quel giorno quando Ron si svegliò nell'infermeria e vide per la prima volta Hermione. Sì, stavano entrambi scomparendo. Sarebbero svaniti proprio come Sirius, proprio come Hermione, strappati dal mondo senza fanfare o ornamenti. Per quanto poco gli importasse di se stesso, non poteva lasciare che ciò accadesse a Harry. Non a Harry.

"Ci credi nei fantasmi, Harry?" disse Ron dolcemente, la sua voce fragile per il disuso.

Harry guardò su velocemente e raggelò mentre Ron emetteva le prime parole che non aveva rivolto a nessuno da settimane.

"Ci credi nei fantasmi?" chiese di nuovo.

"Ce...certo che ci credo," disse attentamente. "Li vediamo ogni giorno."

"No," replicò Ron con una piccola scrollata di capo. "Non quelli. Non quella specie che parla e racconta storie. Non quei pezzi di fumo e nebbia che vagano nei corridoi vuoti. Intendo quelli che solo tu puoi vedere, che solo tu puoi sentire. Quelli che non se ne vanno nemmeno quando chiudi gli occhi. Quelli che perseguitano solo te."

Le palpebre di Harry sbatterono rapidamente mentre continuò a guardare Ron. "Vedo Mamma e Papà qualche volta," disse dolcemente. "Anche Sirius."

"Ti guardano come se ti odiassero?"

Ron sentì il letto muoversi quando Harry sedette accanto a lui, sentì il calore di mani troppo magre che coprivano le sue. "Nessuno ti odia, Ron."

"Lei sì," disse Ron semplicemente mentre guardava dietro Harry, ad un paio di occhi mortali che lo guardavano dall'altra parte della stanza.

"Hermione non ti odia... non ti odiava. Lei ti amava."

Che strano, pensò, che Harry sapesse di chi stava parlando. "Lo so," replicò.

"Ti amava tanto quanto tu l'amavi."

Ron tornò a guardare Harry. "E' proprio questo, Harry. Io non..."

"Tu non cosa?"

"Io non l'amavo," ammise finalmente ad alta voce. "Non come lei voleva che facessi. Non come lei mi amava. Non l'ho amata abbastanza. E' causa di ciò che è morta."

Il viso di Harry si indurì e le sue mani strinsero quelle di Ron; erano ancora intrecciate sul grembo di Ron. "Hermione è morta perché siamo stati attaccati a Hogsmeade da una mezza dozzina di Mangiamorte," disse fermamente. "Non l'hai uccisa. Hai cercato di proteggerla proprio come hai cercato di proteggere me."

"Ah sì? Ho davvero cercato di farlo?"

"Ron..."

"Li ho visti arrivare." Gli occhi di Ron erano incatenati a quelli di Harry. Se Harry doveva conoscere la verità, doveva conoscerla tutta. "Li ho visti arrivare. Ho visto due bacchette puntate, una su Hermione e una su te. Ho visto una luce verde che passava velocemente attraverso l'aria e ho fatto una scelta. Sapevo che non potevo proteggervi entrambi, così ho fatto una scelta." La sua voce si indebolì e allontanò la mano da Harry. "Ho scelto te. Ti ho spinto via... e l'ho lasciata morire."

Harry rimase in silenzio, guardava Ron con occhi distaccati. E Ron, che non poteva più sopportare quei occhi muti, si spezzò. "E' colpa mia," disse, crollando su se stesso. Le sue mani si sollevarono e coprirono le orecchie come per cercare di bloccare che qualche suono lo raggiungesse. "E' colpa mia e mi biasima. Mi biasima per non averla spinta via. Mi biasima per non averla amata abbastanza."

Sentì mani afferrare le proprie e le sentì strappare via gentilmente cercando di toglierle dalle orecchie. "No," disse Harry tranquillamente mentre Ron guardò su. "Tu amavi Hermione," continuò. "L'amavi come potevi. Non avresti mai dovuto fare quella scelta. Nessuno dovrebbe mai fare quella scelta."

"Ma l'ho fatta..." disse Ron in un sospiro fioco.

Una mano afferrò il suo mento e lo sollevò. "E Hermione avrebbe capito."

"Non puoi vederla, Harry. Non puoi vedere lo sguardo nei suoi occhi."

"E' qui ora?" chiese Harry.

"E' dall'altro lato della stanza, che mi guarda come sempre."

"Non c'è niente lì, Ron," disse Harry guardando nient'altro nella stanza a parte il suo amico. "Non c'è niente in questa stanza; solo io e te."

Ron sentì le braccia di Harry che si avvolgevano intorno a lui, sentì il calore che radiava dal suo piccolo corpo mentre lo stringeva. "La vedi perché ti senti colpevole. Ti senti responsabile per la sua morte, ma non è vero. Amandola di più non l'avrebbe salvata. Hai fatto la scelta che ti suggeriva il tuo cuore, e Hermione non ti avrebbe mai, lei non ti avrebbe mai potuto, odiare per quello."

Allora sentì le lacrime, sentì il flusso del rimorso che scorreva giù per il viso e che gocciolava sui suoi vestiti, toccando la sua pelle gelata. Presto il mondo cominciò a offuscarsi e a svanire incessantemente e una voce da molto lontano sussurrò, "Ron, anch'io avrei scelto te."

***

Una vivace macchia d'erba era cresciuta sul punto dove giacevano gli ultimi resti di Hermione Jane Granger che la trattenevano a questa terra. Ron scorse le sue dita attraverso lo spesso fascio, lasciando che i fili verdi solleticassero i suoi palmi. Era la prima volta che tornava lì dal giorno che la seppellirono quasi un anno fa.

Stava aspettando che Hermione lo perdonasse, aspettando che le sue labbra taciturne gli concedessero l'assoluzione. Aspettava che i suoi occhi reticenti brillassero come lo facevano in vita. Aspettava che chiamasse il suo nome; quando lo amava.

Aspettava che le parole svanissero.

Traditore.

Bugiardo.

Assassino.

Ma non svanirono mai.

Harry gli aveva detto che Hermione non poteva perdonarlo perché non c'era niente da perdonare. E' stata una scelta che fece, e mentre la sua colpa potrebbe non andare mai via, doveva a Hermione molto di più che ricordarla come un fantasma che cercava di ucciderlo con silenziose accuse. Hermione, la sua Hermione, avrebbe voluto che Ron seguisse il suo cuore anche se voleva dire scegliere un cammino che li avrebbe divisi per sempre.

No, non si trattava affatto di perdono; si trattava di onestà, si trattava della profondità della fiducia e delle molte facce dell'amore.

Hermione camminava nei vicoli della sua mente, nelle ombre delle cotte della fanciullezza e dei primi baci. Lui ancora sorrideva quando pensava al marrone soffice dei suoi occhi o alla sensazione dei suoi capelli tra le dita. La sua voce ancora gli ricordava gli esami imminenti e i suoi rimproveri perché non faceva i compiti. Era sua amica, ecco come dovrebbe essere ricordata.

Il vento stava girando vorticosamente attorno a lui, sollevando le foglie secche e scompigliando i capelli sulla fronte. Attraverso la tenda della frangia rossa, vide lei: lo spettro che stava con lui in quel cimitero, la personificazione del suo più grande fallimento, l'esempio del suo dolore più profondo. Guardò un'ultima volta quel viso che l'aveva perseguitato, quei occhi mortali e quelle labbra mute di qualcuno che non aveva mai conosciuto, e che doveva lasciare andare.

Lasciando un bouquet di margherite vicino alla lapide, Ron disse addio al fantasma di Hermione.

  
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