Non sparare
One, twenty-one guns
Lay down your
arms
Give up the
fight
One, twenty-one
guns
Throw up your
arms into the sky
You and I
Prendiamo una grande
città.
Con il traffico, lo
smog e la frenesia che la caratterizzano. Dopo averla osservata per diversi
minuti, spostiamo l’inquadratura, lentamente. Attraversiamo la città,
godendo di un’invidiabile visuale aerea e raggiungiamo la periferia. Meno
traffico, meno smog e, soprattutto, più calma. Niente urla, nessuna fretta.
Sospiriamo, più
rilassati e ci guardiamo attorno: i giardinetti ben curati, le panchine, la
vita abitudinaria. Sorridenti diamo una rapida occhiata a tutti i negozietti:
il fruttivendolo all’angolo, il piccolo fioraio, la panetteria ben fornita
e il giornalaio che deve ancora aprire. Zoomiamo poi, su un edificio in
particolare.
La banca, la piccola
ed affollata banca. La migliore, nonché unica banca della periferia.
Zoomiamo ancora un
po’, quel tanto che basta a leggerne l’insegna: “ Happy
money: la tua banca”
Stringendoci nelle
spalle, sebbene indecisi, ci avviciniamo ancora. C’è fila agli sportelli,
qualcuno è in piedi, qualcun altro è seduto. In silenzio, persi nei loro
pensieri. C’è chi chiacchiera e chi canticchia…
Una nonnina lavora a
maglia: ha pensato che aspettando il proprio turno avrebbe potuto finire il
maglione per il nipotino. Arancione, come piace a lui, e caldo, come vuole lei.
Perché l’inverno è alle porte e non può assolutamente permettere che
prenda freddo. Ci avrebbe pensato lei a coprirlo come si deve.
Un uomo di mezza età,
rigido ed impettito nel suo completo elegante, parla concitato al telefono. Ha
fretta, spera con tutto se stesso che l’attesa non sia ancora lunga.
Continua a chiedersi perché mai ha scelto quella piccola banca per
l’importante transazione che deve assolutamente compiere. Ed è già in
ritardo.
Un paio di bambini
giocano allegri a nascondino, tentando invano di trovare un riparo dietro
piccoli pannelli divisori, purtroppo trasparenti. Quando varcano la soglia
altri due marmocchi si bloccano di colpo, guardandoli con diffidenza e
aspettativa. I due nuovi arrivati sorridono, lasciando rapidi la mano della
mamma e corrono dai nuovi amici, cominciando a rincorrersi. Passano fra le
gambe degli adulti, sgusciano come anguille e ridono, soprattutto ridono.
Risate che riscaldano il cuore. Risate che fanno sorridere.
Sorridono tutti nella
piccola banca. Impiegati, clienti. Senza saperne realmente il motivo.
Sorridono, basta.
Mauro, l’ultimo
della fila, anche lui sorride. E’ appena arrivato, una borsa a tracolla e
una sigaretta fra le dita. La camicia bianca con i primi bottoni aperti, il
jeans sbiadito e le scarpe sporche di terra. Ha visto la fila che lo aspetta,
avvertito l’aria viziata che occupa l’ambiente e la temperatura di
parecchi gradi più alta rispetto all’esterno. Eppure non si è
scoraggiato. Ha sorriso, illuminandosi in volto. Le lentiggini sembrano ridere
con lui, così come gli occhi resi più chiari dagli occhiali.
La nonnina seduta poco
lontano gli lancia un’occhiata ammonitrice: non si fuma in banca,
giovanotto.
Mauro annuisce, getta
prontamente la sigaretta nel cestino dell’immondizia e le sorride. La
nonnina scuote piano la testa, non riuscendo a non ricambiare quel sorriso
smagliante. E’ un giovane simpatico, in fin dei conti. Ha proprio
l’aria da bravo ragazzo. Lui, con quei suoi incredibili capelli rossi.
Mauro pensa che ci
sono buone possibilità di dover passare l’intera mattinata in fila,
eppure non gli interessa. Sa di potercela fare, sa di volerlo fare. Perché è da
fuori la porta che l’ha intravista e, ora che è dentro, lei è lì, a pochi
passi da lui. E Mauro sorride, gli occhi fissi sulla figura di Loredana.
I bambini corrono
ancora, più felici di prima. Uno di loro perde l’equilibrio in curva, cadendo
a terra. E’ caduto proprio ai piedi della ragazza che Mauro sta
guardando. Lei si mette in ginocchio, aiutando il bimbo a rialzarsi. Gli
sorride, cercando di far sparire l’espressione triste dal piccolo viso.
Gli domanda se sta bene, se sta vincendo il gioco. Il bimbo la guarda,
divertito da come i capelli lunghi e lisci della ragazza sembrino seguire i
movimenti del suo capo. Se lei annuisce i capelli annuiscono con lei, se
sorride, anche i capelli sorridono. Sono neri, lucenti, neri quanto gli occhi così
dolci. E il bambino annuisce, ricominciando a ridere e a correre. Esattamente
come se non fosse successo niente.
Loredana si rimette in
piedi, spolverando con la mano i pantaloni chiari. Pensa che non avrebbe dovuto
mettere vestiti così chiari, cosa le è saltato in mente? Pantaloni e camicetta
azzurri per andare a fare i servizi, che idea assurda. Osserva di sfuggita la
nonnina che lavora e si dice che deve imparare anche lei, a lavorare a maglia.
Quante volte se lo è già riproposto? Sorride, sapendo che le sue sono parole al
vento.
E’ un banale
sabato mattina di periferia. Uno come tanti. Il solito di sempre.
Nessuno, né la nonnina
né l’uomo di affari, si aspetta di sentire lo stridere di gomme in strada.
Nessuno si aspetta di
veder entrare tre uomini incappucciati.
Nessuno si aspetta di
sentire quelle parole: fermi tutti è una rapina!
Semplicemente, nessuno
se lo aspetta.
§§§
- Fermi tutti!
E’ una rapina! -
Così aveva gridato il
primo ad essere entrato. Un cappuccio nero calcato in testa, le maglie
abbastanza larghe da lasciargli modo di vedere, parlare e respirare. Gli altri
due erano vestiti allo stesso modo.
Si erano fermati
appena varcata la soglia, le pistole in pugno sollevate verso l’alto. Si
guardavano attorno, aspettandosi forse di veder dilagare il panico da un
momento all’altro. L’unica cosa che invece avevano ottenuto era il
silenzio più totale. Persino i bambini non ridevano più, sorpresi dalla nuova
irruzione.
Gli uomini in nero
rimasero qualche attimo frastornati, meravigliati dal fatto che nessuno si
fosse messo ad urlare, a piangere, a supplicare. Avevano gli occhi di tutti
puntati addosso.
Occhi curiosi, curiosi
e sorpresi. Occhi di persone che vivono in periferia e non si aspettano una
rapina.
Persone che sentono
parlare di eventi del genere solamente in televisione e non immaginano possano
accadere davvero, a loro. Persone che ancora sperano sia solo uno scherzo, o
forse un errore.
Solo quando il più
risoluto dei tre si riprese dalla sorpresa, gridando nuovamente la precedente
minaccia e puntando questa volta la pistola verso la folla, finalmente tutti
capirono che era serio.
- Tutti a terra!
– strillò, facendo segno ai complici di darsi una mossa.
Mentre lui si
assicurava che ogni persona obbedisse all’ordine, l’uomo in nero
alla sua destra si avvicinò all’unica telecamera della banca, oscurandola
con una bomboletta spray.
Annuì, tornando verso
quello che doveva essere il capo.
- E ora? –
chiese, spostando nervosamente il peso da un piede all’altro.
- Taci – gli
venne intimato in risposta.
Il primo uomo si
guardava attorno, soddisfatto da quello che vedeva.
- Bravi – disse
– Così va meglio -
Si erano messi tutti a
terra. Chi seduto, chi sdraiato. Nessuno sorrideva, ma non c’era nemmeno
qualcuno che piangeva. I bambini avevano gli occhi sgranati, sconvolti dalla
sorpresa, come se stessero guardando un film alla televisione. L’uomo
d’affari aveva cominciato ad imprecare fra i denti, maledicendosi ancora
per aver scelto quella dannata banca. La nonnina era ancora seduta sulla sua
sedia, la schiena appoggiata al muro. Aveva momentaneamente interrotto il suo
lavoro, guardando con disapprovazione i nuovi arrivati: erano ragazzi cresciuti
proprio male. Potendo, ci avrebbe pensato lei ad insegnargli le buone maniere.
- I soldi! –
gridò ancora, sempre lo stesso uomo, adesso davanti allo sportello principale.
Fissava
l’impiegato con rabbia, mostrandogli un enorme sacco nero.
- Riempilo, veloce!
– gli ordinò, la voce vibrante – Adesso! -
Il ragazzo dietro il
vetro annuì, lo sguardo fisso sulla canna della pistola che lo teneva sotto
tiro. Prese il sacco, deciso a riempirlo. Non era pronto a morire. Non era
ancora il momento, questo si ripeteva.
- Tenete
d’occhio gli altri! – gridò improvvisamente, rompendo il silenzio,
quello che ormai tutti avevano identificato come capo. Lo stesso verso cui in
quel momento stavano fluendo tutti gli improperi.
Gli altri due
incappucciati si erano infatti distratti, gli sguardi persi sui cartelloni
colorati appesi ai muri.
Al richiamo del capo
si ripresero, tornando a puntare le pistole verso le persone sul pavimento.
Non si sentiva volare
una mosca. L’unico rumore era il leggero fruscio delle verdi banconote
che venivano gettate con foga nel sacco. Il giovane impiegato infatti non se
l’era sentita di disubbidire. Diligente come non lo era mai stato,
seguiva le istruzioni appena ricevute dall’uomo in nero. Sua madre glielo
diceva sempre: sei un poco di buono, ecco cosa sei! Con la testa che ti
ritrovi, vedi che non camperai a lungo… In quel momento il ragazzo
sudava freddo, rivolgendo un tacito pensiero alla madre. Perché le madri,
c’è poco da fare, hanno sempre ragione.
Il silenzio surreale
che era appena sceso nell’edificio venne improvvisamente rotto da una
suoneria.
Era la suoneria di un
cellulare, vivace e chiassosa. Si diffuse nella stanza, facendo alzare la testa
a tutti.
Cercavano di capire da
dove provenissero quelle note, quella musica inadatta.
Fu il secondo uomo in
nero ad estrarre il telefono dalla tasca dei pantaloni. Lo fece con movimenti
impacciati ed imbarazzati. Quando il telefono fu libero la musica sembrò
alzarsi ancora più di volume, lasciando libera Cyndi Lauper di cantare a tutta
voce Girls just want to have fun.
- Imbecille! Lo vuoi
spegnere sì o no? – chiese, su tutte le furie, il primo uomo in nero.
L’altro nel
frattempo aveva portato il cellulare davanti agli occhi per di leggere il nome
del chiamante.
- Non posso, Pietro
– rispose, scuotendo la testa – E’ Michela, devo rispondere!
– continuò, ignorando le occhiate omicida che l’uomo di nome Pietro
gli lanciava.
La suoneria smise di
colpo, sostituita dalla voce dell’uomo che, sollevata la calza nera dalla
bocca, si era affrettato a rispondere. La voce adesso era dolce e pacata, quasi
confortante:
- Ciao, amore, tutto
bene? Senti adesso veramente non potrei parlare -
Pietro nel frattempo
sbattè con forza il pugno contro il vetro, facendo segno all’impiegato di
riprendere immediatamente da dove si era interrotto. Il ragazzo annuì,
ricominciando a gettare banconote nel sacco. Con un occhio guardava la pistola
che aveva davanti, con l’altro osservava il brigante innamorato.
- No, è una conferenza
di lavoro – diceva, giocherellando con la pistola – Certo che ci
vediamo stasera, amore. Al solito ristorante? A che ora? Va benissimo! –
Sorrise, annuendo ancora – Ti amo anch’io -
Pronunciate quelle
ultime parole chiuse la chiamata, posando il telefono in tasca.
Pietro lo fulminò con
gli occhi, ringhiando fra i denti:
- Finita la
telefonata? Non è che vuoi anche un caffè? – gli chiese, lapidario.
L’altro si
strinse nelle spalle, riabbassando la calza per coprire tutto il viso. Si
accorse della mano sollevata fra la folla e si avvicinò all’uomo che
l’aveva alzata:
- Che c’è?
– chiese, la voce di nuovo dura.
- Non è che posso fare
una telefonata anche io? – domandò, innocentemente, l’uomo con il
completo scuro ed elegante. Nonostante il cappuccio nero si videro lo stesso le
sopracciglia dell’uomo armato schizzare verso l’alto, in un
espressione basita.
- Certo che no!
– rispose, trattenendosi a stento dal gridare.
L’uomo
d’affari mise il broncio, guardandolo contrito e tentando di nuovo:
- Ma perché? Lei ha
telefonato! – disse, constatando l’evidenza.
- Non c’entra
niente! – ribattè l’altro, voltandogli le spalle e tornando alla
posizione di prima.
Giocava ancora con la
pistola, sovrappensiero.
- Sta andando tutto
bene con Michela, allora? -
A riportarlo alla
realtà fu il bandito che fino a quel momento non aveva mai parlato. Sentendone
la voce sobbalzarono tutti: era una voce femminile. C’era una donna sotto
quel cappuccio!
La domanda era stata
posta casualmente, apparentemente senza alcun motivo.
- Abbastanza sì,
stasera è il nostro quinto appuntamento -
- Mi fa piacere
– continuò la donna, con un tono che indicava l’esatto contrario.
– Hai intenzione di portarti anche lei a letto per poi non richiamarla
più? – chiese, caustica.
Pietro sbattè di nuovo
il pugno contro il vetro, soffocando un gemito per il dolore che si era causato.
- La smettiamo, sì o
no? Ma cosa vi prende, Santo Dio?! -
Gli altri due lo
ignorarono.
- Sedotta e
abbandonata. E’ così che fai, no? -
- No! Lo sai che non è
vero! – rispose l’uomo, allargando le braccia di fronte a lei che
lo assaliva.
- Cattivo, ragazzo.
Non ci si comporta così –
Si voltarono tutti
verso la nonnina che, un ferro da maglia puntato verso il bandito, gli faceva
la predica.
- Lo avevo già capito
che eravate state cresciuti male, ma questa è la conferma. Non si abbandonano
le ragazze, lo sai? E’ un brutto comportamento -
L’uomo scalciò,
sbattendo il piede per terra adirato: - Ma lei vuole stare zitta?! –
- Non essere scortese,
Simone. La signora ha ragione. Vedi che te lo dice anche lei di aver torto? -
Simone grugnì,
spingendo la donna verso le sedie e facendola sedere accanto alla nonnina.
Puntò la pistola
contro entrambe, minacciandole: - Zitte! Tutte e due! –
La donna si rialzò
immediatamente, dandogli con brutalità uno schiaffone sul volto.
- Non ci penso
proprio! – sibilò, favoreggiata dalla nonnina.
L’impiegato
ormai faceva cadere più banconote fuori che dentro il sacco.
Tutti nella stanza
seguivano con attenzione la conversazione, spostando alternativamente lo
sguardo da Simone alla ragazza; dalla ragazza alla nonnina; dalla nonnina di
nuovo a Simone.
Una mano si alzò di
nuovo dalla folla, interrompendo il gioco:
- Sicuri che non possa
telefonare? -
Pietro e Simone questa
volta gridarono insieme, furiosi:
- Sì! Non può! -
La nonnina scosse la
testa, contrariata: - Non siete corretti, però, signori. Se non era possibile
fare telefonate dovevate dirlo prima e in quel caso neanche lo sciupa femmine
avrebbe dovuto farlo – disse.
La donna con il
cappuccio rise, divertita.
- La signora ha
ragione. Hai sbagliato, Simone… imbecille e sciupa femmine – celiò,
il riso nella voce.
- Quindi posso
telefonare? – intervenne l’uomo d’affari.
- No! Cristo, no!
– gridò Pietro, strappando il sacco dalle mani dell’impiegato. Vi
guardò all’interno, vedendo che non era pieno nemmeno per metà. Sconvolto
risollevò il viso:
- E allora? Questi
sono i soldi? – chiese, esasperato e basito.
L’impiegato si
strinse nelle spalle, arretrando di un passo, incerto.
- E’ una piccola
banca, signore. Non abbiamo una grande disponibilità di liquidi – rispose
il ragazzo.
Questa volta a
sbuffare irritati furono tutti e tre i briganti.
- Chi è l’idiota
che ha scelto la banca? – chiese Pietro, lo sguardo rivolto verso Simone.
- Non io! – si
difese quest ultimo, indicando la ragazza alla sua destra: - E’ stata
Rita! – continuò.
Rita scosse la testa,
incrociando le braccia.
- Non è vero. Non sono
idiota, io. Perché avrei dovuto scegliere questo buco? – si stizzì lei.
- Che stai insinuando?
Che sono io l’idiota del gruppo? – l’assalì Simone,
piegandosi verso di lei.
- Stai facendo tutto
da solo, genietto – mormorò Rita, i denti serrati.
Pietro mugolò,
frapponendosi fra i due. Allargò le braccia, sospirando.
- Basta così –
disse – Perquisiteli tutti, vedete se hanno qualcosa di valore -
concluse, tornando allo sportello. Puntò di nuovo la canna sul giovane
impiegato che, gli occhi chiusi, sperava di scomparire.
- Non esiste una
cassaforte da questa parti? – gli chiese, come se discorresse del tempo.
- No, mi spiace
–
- Sicuro? Neanche una
piccola piccola? – si lagnò, il tono triste.
- No, sono mortificato
–
Pietro si lasciò
sfuggire un singulto, affranto. Sobbalzò, sentendo una mano che gli accarezzava
la gamba. Abbassò lo sguardo, individuando la manina di un bambino. Il piccolo
lo osservava, il sorriso sulle labbra:
- Non essere triste
– disse, cercando di confortarlo – Tieni – aggiunse,
porgendogli una caramella.
Pietro la prese,
ringraziandolo.
- E’ alla
fragola – gli spiegò il bambino. Pietro la aprì e, sollevata la calza, la
mise in bocca.
- Buona? – si
informò il bimbo, premuroso.
Pietro annuì,
carezzandogli i capelli e raggiungendo i suoi due complici. Li guardò mentre
facevano il giro delle persone, aprendo e restituendo i portafogli. Simone lo
vide masticare e si avvicinò, curioso.
- Che mangi? –
gli chiese.
- Una caramella
– rispose Pietro, contando i soldi che l’altro gli porgeva.
- Gusto? –
- Fragola –
disse Pietro, sospirando abbattuto. Venticinque dollari e cinquanta centesimi.
Poteva piangere?
Simone strinse gli
occhi, avvicinandosi di un passo ancora.
- Dove l’hai
presa? – chiese, il fare cospiratorio – La voglio anch’io -
Pietro si coprì gli
occhi con le mani.
Voleva piangere.
§
Mauro aveva capito
subito che erano briganti di terza mano.
Aveva intuito fin dal
primo momento che quella doveva essere la loro prima rapina. Ed ora, ripensando
agli indizi che aveva avuto, ne era sempre più convinto. Non erano esperti, no.
Idioti, più che altro.
Mauro sarebbe stato
capace di rapinare una banca mille volte meglio.
Tanto per cominciare
avrebbe scelto una banca più importante, con la possibilità così di arraffare
più soldi.
Poi, non avrebbe
parcheggiato la macchina a quel modo: per metà sul marciapiedi, che
ingenui… non facevano altro che attirare l’attenzione con quel
catorcio parcheggiato tutto storto.
Non avrebbe nemmeno
indossato quel tipo vecchio ed usurato di calza che, se non errava, era lo
stesso tipo che indossava sempre sua zia. Che vergogna, aveva pensato,
scuotendo la testa.
Mauro in quel momento
però, non pensava ai briganti imbranati. Pensava a Loredana.
Era preoccupato.
L’aveva vista
obbedire fulminea all’ordine ricevuto, sedersi per terra, lo sguardo
terrorizzato, ed arretrare lentamente verso il muro. Vi si era appoggiata,
stringendo le ginocchia al petto. Gli occhi bassi, la testa fra le mani…
tremava ad ogni urlo che sentiva. Sembrava volersi fare sempre più piccola.
Mauro era davvero
preoccupato: vedeva Loredana quasi ogni giorno, di sfuggita, tornando
dall’università. E non l’aveva mai vista in quello stato. Non era
semplice paura, quella che forse provavano un po’ tutti là dentro,
no… era terrore puro. C’era qualcosa che non andava.
Mauro lentamente,
cercando di non farsi vedere, si avvicinò alla ragazza. Prese posto accanto a
lei, cercando di attirarne l’attenzione, ma Loredana sembrava non
sentirlo affatto.
- Loredana –
bisbigliò, senza ottenere alcuna reazione.
Si avvicinò ancora un
pochino, trovandosi così a sedere accanto a lei. Le poggiò una mano sulla
spalla, ma la ragazza continuava ad ignorarlo. Mauro stava per demordere quando
sentì un singulto.
La fronte corrugata,
si piegò su di lei, portando le labbra accanto all’orecchio della ragazza.
- Stai bene? –
chiese, perfettamente conscio di quanto la sua domanda fosse idiota.
Loredana annuì,
cercando di allontanarsi dal ragazzo, proprio nel momento in cui uno dei
banditi alzava di nuovo la voce. Loredana non riuscì più a spostarsi. Rimase
pietrificata sul posto, il tremore che scompariva per poi tornare più forte di
prima, le mani che salivano improvvisamente alle orecchie.
Mauro guardava la
ragazza, osservandone confuso i gesti.
Serrò la mascella: non
poteva vederla in quello stato senza fare niente!
Si piegò di nuovo su
di lei, questa volta per niente propenso a lasciarsi allontanare. La chiamò e
le sollevò con delicatezza il mento per poterla guardare in viso. Loredana non
oppose resistenza.
- Ciao – disse
lui, la voce calda e rassicurante.
Loredana non
sorrideva. Le gote rigate dalle lacrime, lo fissava con un’espressione da
cucciolo impaurito.
- Io sono Mauro
– continuò il ragazzo, le labbra atteggiate in un largo sorriso. –
Tu sei? -
Loredana non rispose
subito: portò le mani in grembo, stringendole forte l’una nell’altra
e reclinando il capo all’indietro, contro il muro. Chiuse gli occhi,
inumidendosi le labbra.
- Loredana –
mormorò poi, la voce spezzata.
Mauro fece per dire
qualcosa, gli occhi sempre fissi sulla figura della ragazza, ma lei lo
precedette.
- Non fa caldo qui
dentro? – chiese, il respiro affannoso – Troppo caldo –
continuò, scuotendo la testa.
Mauro non sentiva
caldo. Assottigliò lo sguardo, sorpreso da come il respiro della ragazza
continuasse ad accelerare. Senza pensarci due volte le afferrò un polso,
stringendolo fra le dita per sentirne i battiti.
Quello che sentì non
gli piacque per niente: erano troppi battiti, veloci, assolutamente irregolari.
- Posso fare qualcosa
per te? – le domandò, spaesato, non avendo idea di come doveva
comportarsi.
Loredana prima negò
con il capo, poi annuì. Aprì gli occhi, incontrando quelli di Mauro.
- Falli andare via
– sibilò. C’era supplica nella sua voce. Ansietà. Paura.
Un senso di allarme
che sembrava stravolgerla totalmente.
La voce forte del
brigante che imponeva il silenzio fece trasalire Mauro, ma fu nel momento in
cui sentì il polso della ragazza tremare fra le sue dita che capì. Un lampo.
Un’improvvisa luce di comprensione.
Sorrise, prendendosela
con se stesso per non esserci arrivato prima.
Con un semplice
movimento si portò di fronte a lei, prendendo entrambe le mani della ragazza
nelle sue.
Loredana lo seguiva
con lo sguardo, lasciandolo fare senza opporre il minimo movimento.
- Sai che sta per
arrivare il freddo? – cominciò Mauro, il tono colloquiale di chi è
davanti ad una tazza di caffè. Loredana inarcò le sopracciglia, temendo per i
nervi del ragazzo.
- L’ho sentito
stamattina al meteo – spiegò Mauro, indifferente al resto – Dicono
che l’ondata di maltempo avrà inizio mercoledì per poi terminare solo con
l’arrivo della primavera –
Loredana lo ascoltava,
cullata da quella voce che riusciva ad incantarla.
- Non ti sembra
assurdo? Cioè, non dico che odio l’inverno… anzi, la pioggia mi
piace. C’è un qualcosa di magico nella malinconia che porta con sé, non
trovi? – Si fermò un secondo, continuando poco dopo – Non sono
neanche pronto a vedere la pioggia ogni giorno, però! –
Loredana non riusciva
a distogliere gli occhi da quelli del ragazzo. Sentiva le mani fresche di lui
che, forti e rassicuranti, stringevano le sue. Senza nemmeno accorgersene stava
reagendo esattamente come sperava lui. Mauro la osservava, notando con piacere
che il respiro si calmava, così come i battiti. Il tremore delle mani era quasi
scomparso.
- Il freddo ha un lato
positivo, però – disse lui, attendendo con ansia ben nascosta la domanda
che non si fece attendere troppo.
- Quale? –
chiese Loredana, la voce flebile.
- Il freddo si abbina
perfettamente con la cioccolata calda – spiegò Mauro, una luce maliziosa
negli occhi.
- Ti andrebbe di
venire a pendere una cioccolata con me, Loredana? – le domandò alla fine,
il sorriso appena intaccato dal timore per la risposta che sarebbe arrivata.
Mauro non staccava gli
occhi dalle labbra di lei, impaziente. Invece di vederle sorridere come si
aspettava, però, le vide tremare. Corrucciando il viso, stava per chiederle
cosa avesse quando si sentì scuotere per la spalla. Si voltò, scuro in volto,
incontrando le maglie nere di una calza.
- Posso fare qualcosa
per te? – chiese Mauro, la voce tagliente, seccato
dall’interruzione.
- Sì. Puoi fare
silenzio – rispose l’uomo, sconvolto dall’espressione furiosa
del ragazzo. Certo che il mondo non era più lo stesso: da quando in qua vieni
fissato con odio da chi tieni sotto tiro?
Mauro sollevò un
sopracciglio, le labbra serrate per il nervosismo.
- Stavo intrattenendo
una conversazione con la signorina – disse, la voce che vibrava dalla
rabbia.
- E noi stavamo
rapinando la banca – ribattè il brigante, mostrando la pistola a titolo
esplicativo. Mauro scosse la testa, come a dire che non gli importava. Fece per
girarsi di nuovo verso Loredana, ma venne bloccato dalla mano dell’uomo
in nero che, la voce piagnucolante, tornò alla carica:
- Abbiamo cominciato
prima noi, non è corretto interrompere! – esclamò, trattenendosi a stento
dal pestare i piedi per la frustrazione. Mauro alzò gli occhi al cielo, la
sensazione di essere tornato all’asilo.
- Non vi ho interrotti
– disse, alzandosi in piedi – Interrompere: “ sospendere,
troncare, mettere fine” . Non ho compiuto una sola di queste azioni,
stavo solo parlando con la signorina! – esclamò, mentre la voglia
improvvisa ed irrefrenabile di fumare lo assaliva.
Mauro avrebbe
continuato, per niente intimorito dalla situazione in cui si trovava. Una
sigaretta apparsa dal nulla fra le sue dita, gli occhi duri di chi sa di aver
ragione. Avrebbe continuato, ma a fermarlo questa volta fu una mano che gli
tirava la manica. Abbassò lo sguardo, incontrando gli occhioni da Bambi di
Loredana. La ragazza lo fissava, alternando lo sguardo fra lui e la pistola del
bandito, terrorizzata.
- Mauro –
sussurrò, la voce tremante – Lascia stare, ti prego! -
Il ragazzo tentò di
sorriderle, impresa ardua tanto il nervosismo che gli irrigidiva il viso.
Loredana continuava a
tirarlo per la manica, incitandolo a sedersi. Respirava con affanno, piccole
gocce di sudore che le imperlavano la fronte. Mauro portò la sigaretta alle
labbra, gli occhi ridotti a fessure.
- Te l’accendo?
-
Il ragazzo si voltò
appena, la mano del brigante a pochi centimetri dalla sua bocca, un accendino
pronto fra le dita. Mauro negò con il capo, lo sguardo di nuovo sul viso di
Loredana.
L’uomo in nero
era al suo fianco, anche lui con gli occhi puntati sulla ragazza:
- Che ha? – chiese,
confuso.
- E’
liguirofobica – rispose Mauro, inginocchiandosi davanti a Loredana,
riuscendo finalmente a sorridere.
- Liguiro… che?!
– esclamò il brigante, sconcertato.
Il respiro di Loredana
accelerò ancora un po’.
- Liguirofobica
– ripeté Mauro, - Soffre di Liguirofobia, paura dei rumori forti -
Il brigante si grattò
dietro la testa, imbarazzato senza capirne bene il motivo. Aprì la bocca, ma la
richiuse.
- Lori –
mormorò, Mauro – Va tutto bene -
Lei scosse la testa,
fissando con orrore la pistola poco lontana.
Mauro ne seguì lo
sguardo, rivolgendosi poi con decisione all’uomo dietro di lui:
- Non sparare –
disse, il tono che sembrava un ordine.
- Cosa? –
- Non hai intenzione
di sparare, vero? – chiese, come fosse una domanda retorica –
E’ terrorizzata dall’idea che tu possa premere quel grilletto
– continuò Mauro, prendendo le mani della ragazza fra le sue – Ma
non deve, perché tu non vuoi sparare, giusto? –
Doveva essere una
domanda quella del ragazzo, eppure non aveva niente di interrogativo. La risposta
se l’era dato da solo. Il tono, l’espressione, il brigante annuì
appena, incapace di fare altro.
Mauro sorrise,
carezzando la guancia della ragazza.
- Visto? –
chiese, sollevato dal fatto che il respiro di Loredana cominciasse a rallentare.
Al primo brigante se
ne aggiunse un secondo che, l’espressione scioccata, scuoteva la testa
affranto.
- Dobbiamo andarcene
– mormorava – Via di qui prima che la follia ci contagi,
assolutamente -
Un borbottio
indefinito, subito imitato dal compagno in nero.
- Il più lontano
possibile da questo quartiere – approvò, facendo dietrofront ed
avviandosi lesto all’uscita.
§
Simone seguiva Pietro,
pronto a lasciare la banca.
Gli importava poco che
avessero racimolato solo qualche migliaia di dollari. Faceva schioccare la
lingua, ancora il sapore di fragola nella bocca. Le lacrime avevano smesso di
premere per uscire: aveva capito che piangere a quel punto era inutile. Come si
dice? Mai piangere sul latte versato.
Pietro si stringeva
nelle spalle, la schiena rivolta all’uscita, lo sguardo perso sulla folla
di persone.
Era indeciso se
salutarle o meno.
Stava ancora
pensandoci quando qualcuno venne a sbattergli contro. Pietro ne sentì la voce,
rammaricata:
- Chiedo scusa! Non
l’avevo proprio vista – stava dicendo, un attimo prima che Pietro
si girasse.
E si trovarono faccia
a faccia: calza nera e slargata da donna e divisa della polizia.
Pietro sbarrò gli
occhi, imitando senza accorgersene l’espressione del poliziotto
sovrappeso che aveva davanti. Due espressioni da pesce palla, ecco cosa stavano
facendo.
Pietro, sacco in una
mano e pistola nell’altra.
Poliziotto, ciambella
in una mano e pistola nell’altra. Perché mai ciambella e pistola, si
chiedeva Pietro?
Non ci fu modo di opporsi
in alcun modo. Simone da un lato, che gli ricordava di non poter sparare,
c’era pur sempre la ragazza liguo qualcosa, che non lo dimenticasse; Rita
dall’altro lato, intenta a chiacchierare con la nonnina del lavoro a
maglia. Il poliziotto davanti, a cui era scivolata la ciambella.
Pietro lasciò cadere
le cose che reggeva e sollevò le mani, pronto ad essere ammanettato. Gli occhi
chiusi, sentiva a mala pena la voce incredula del poliziotto che chiamava il
collega, dicendogli di venire a vedere perché altrimenti non ci avrebbe creduto.
Pietro a quel punto ci
ripensò.
Sospirando si decise.
A quel punto avrebbe
potuto, si disse. Sì, ne era sicuro.
Poteva piangere.
§
Mauro stringeva con un braccio la vita di
Loredana.
Si assicurava che ce la facesse a stare in
piedi, che potesse uscire e prendere aria senza sentirsi male.
Sorrideva ancora, la sigaretta spenta che gli
pendeva dalle labbra.
- Come l’hai capito? – si sentì
chiedere, una voce dolce che lo prese alla sprovvista.
Abbassò gli occhi, incontrando quelli
riconoscenti di Loredana.
Mauro si strinse nelle spalle, facendola
sedere sul primo muretto che incontrarono. Le si fermò di fronte, le mani nelle
tasche e lo sguardo perso:
- Studio psicologia – disse, a mo’
di spiegazione.
Ancora non riusciva a capire come avesse
potuto non riconoscere subito i sintomi che mostrava.
Loredana annuì, le gote imporporate.
- E’ assurdo, vero? – chiese, la
voce bassissima.
- Cosa? –
Lei scosse la testa,
facendosi piccola piccola. Non le piaceva parlare di quella sua paura, paura
del resto che cercava sempre di ignorare, di nascondere persino a se stessa.
- E’ una fobia
ridicola, lo so. Io non capisco come sia possibile che… - si fermò,
interrotta dal dito che il ragazzo le aveva premuto dolcemente sulle labbra.
- Non mi hai più
risposto –
Loredana lo guardò,
sorpresa. Non riusciva più a seguirlo.
Vide il sorriso di lui
e sentì il viso che le andava in fiamme. Fiamma, caldo… cioccolata calda!
- Certo! –
rispose di colpo, gli occhi sgranati.
Il dito di Mauro
indugiava ancora sul labbro inferiore di lei, procurandole un brivido diffuso.
Si illuminò in viso, la sigaretta che cadeva da quell’equilibrio precario.
- Sai cosa, però?
– mormorò lui, allontanandosi di un passo – Fa caldo per una
cioccolata -
Il sorriso di Loredana
si spense di colpo, portato via da quello che era il sottinteso delle parole
del ragazzo.
- Non vuoi più…
-
Di nuovo lui non la
fece concludere, porgendole una mano.
- Voglio farti vedere
un posto che adoro – mormorò Mauro, guardandola birichino.
Loredana sorrise,
afferrando di slancio la mano di lui. La strinse forte, con tutte le sue forze.
Non avrebbe più voluto
lasciarla.
Era la prima volta che
una mano faceva sparire i rumori esterni.
Quando la stringeva i
suoni assordanti sembravano allontanarsi da lei, lasciandola sola con lui. Con
lui e la sua sigaretta. Loredana sorrise, guardando quelle dita magiche.
Una mano perfetta,
complementare alla sua.
Non l’avrebbe
più lasciata.
§§§
Questo è quello che si
riesce a vedere con uno zoom di precisione.
Miracoli
dell’elettronica.
Possiamo continuare a
guardare, seguire quei due che si allontanano dalla banca, semmai.
Possiamo seguirli, i
due piccioncini mano nella mano.
E arriveremmo fino
alla piccola biblioteca, da cui li vedremmo uscire solo parecchie ore dopo,
ancora mano nella mano, i sorrisi più luminosi di quand’erano entrati.
Non lo facciamo, però.
Non li seguiamo.
Da bravi osservatori
quali siamo, lentamente, arretriamo. Togliamo lo zoom, smettiamo di spiare.
Con grande forza di
volontà li lasciamo soli, a godersi quella che in fondo è la loro privacy. Non
ci è permesso usare lo zoom fino a questo punto, no. Arretriamo, arretriamo
sempre.
Ci allontaniamo dalla
periferia.
Torniamo ad inquadrare
la grande città e riflettiamo…
Da che parte zoomiamo
ora?
*