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Autore: Logic Error    18/11/2010    1 recensioni
Ok, piccolo progetto che ho deciso di portare avanti. La storia è nata molto casualmente, mentre giocavo alla Wii e ascoltavo i Placebo. Inizierà come un qualcosa di abbastanza oscuro e di difficile comprensione -credo-, ma tenterò di semplificarlo nel tempo. Oh beh, a voi l'ardua sentenza.
Genere: Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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Just 19 this sucker's dream
I guess I thought you had the flavor
Just 19 and dream obscene
With six months off for bad behavior
Placebo - Special Needs


Prologo : Gardenia

Era in quella stanza da circa 2 minuti e 30 secondi.
Era nuda e i suoi capelli rosso amaranto cadevano riccioluti sulle spalle.
Intorno a lei, una stanza spoglia di qualsiasi arredo o utensile; completamente bianca, un’unica finestra proprio sulla sua testa. Lei sapeva e capiva, questo fu il suo primo pensiero. Non era spaventata dall’aria che entrava nelle sue narici o dalle dita che si muovevano rispondendo ai suoi comandi.
Capiva che l’organo all’interno del suo petto, chiamato cuore, pulsava il sangue all’interno delle sue vene.
Capiva e sapeva che i fotorecettori della sua retina, attraverso il nervo ottico, le permettevano di vedere.
Sapeva e capiva qualsiasi meccanismo all’interno del suo corpo. Ma, più in generale, lei sapeva tutto. Conosceva le leggi che governavano il suo corpo, la natura, il cosmo.
Era anche cosciente di questa sua conoscenza universale, quindi tutto aveva perfettamente senso.
Si alzò piano e cambiò stanza, percependo col piede il passaggio dal freddo parquet all’indifferente mattonella di scarsa qualità. Il suo sguardo incontrò uno specchio: una superficie riflettente…inutile ripeterlo, lei ne conosceva naturalmente tutte le caratteristiche.
Su di esso, scritto con del rossetto, un nome: Gardenia. Un nome femminile con chiari riferimenti alla pianta della gardenia. Nessuno le disse che quello fosse il suo nome, ma lei lo percepì come suo.
Una folta frangia le copriva gli occhi troppo grandi per non poter essere paragonati ad un cielo privato. Due ciocche ribelli scendevano fino al suo piccolo naso, per poi arricciarsi in corrispondenza della bocca rosa e carnosa.
Questo era quello che vedeva nello specchio.
E nonostante capisse il perché di quel suo aspetto, e capisse il movimento di ogni singola particella delle sue ciglia che si lasciavano trasportare inermi dalle sue palpebre pronte a privarla della vista per un millisecondo, proprio in quel momento, si chiese: “Chi sono?”

La finestra.
L’unica cosa che era sopra di lei quando si era ritrovata in quella stanza.
Sapeva che al di fuori di essa trascorreva fluida la vita di molti individui, esseri viventi ignari della sua esistenza.
Trovò dei vestiti su una struttura che sapeva chiamarsi ‘letto’: li indossò e decise di mischiarsi al flusso di quelle particelle chiamate ‘persone’.

Respirava a fatica.
Sapeva che c’era aria a sufficienza per tutti, ma respirava comunque a fatica.
Era nel centro esatto, nel centro esatto della bufera: si trovava poco più avanti della fine di un marciapiede, lasciandosi urtare e coinvolgere e abbandonare dai passanti che a malapena notavano la sua presenza.
Vide qualcuno urtarla, senza chiedere scusa; poteva capirlo, non l’aveva fatto apposta.
Vide qualcuno parlare ad alta voce; poteva capirlo, forse l’interlocutore non ci sentiva bene.
Vide altri bere ai cigli della strana fino a perdere i sensi; e si illuse di riuscire a capirli.
Vide altri vendere strane sostanza a ragazzine indifese; ed anche in quel caso si illuse di capirli.
Vide alcuni sfrecciare per le strade rischiando di investire i pedoni; e lì comprese.
Continuava a respirare a fatica, alla ricerca affannosa di un motivo, ma non lo trovò.
Non trovò nulla di logico in un branco di persone confuse, arrabbiata e ubriache, che la urtavano e la spingevano e…
Sapeva che tutti coloro che la circondavano erano identificati sotto il nome di ‘umani’.
Si toccò il volto e guardò quello di un passante: avevano le stesse caratteristiche, quindi anche lei era umana.
Era probabile che una buona percentuale di quella gente conoscesse il perché del sangue che fluiva e dei terremoti e delle bufere.
Ma…loro, sapevano chi erano in realtà?
Lei…sapeva chi fosse, in realtà?
Fu questo, quello che comprese.

Non respirava più.
Il freddo inoltre era penetrato nel suo giubbotto e s’era attaccato alla sua pelle.
Ipotermia, pensò, consolandosi.
E quindi cadde, sul ciglio della strada, col freddo nel corpo e il freddo nella mente.
Lei, chi era? E gli umani, in realtà, cos’erano?
   
 
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